ieri, domenica 25 gennaio 2015 si è svolta nelle Parrocchie la Festa della Famiglia. Una bella iniziativa, senza dubbio alcuno, ma che ha occupato gli operatori parrocchiali impegnati in quell'ambito, per l'intera giornata.
Iniziando dalla S. Messa, per poi proseguire con il pranzo comunitario e quindi con momenti di incontri pomeridiani, non ha lasciato altro spazio.
Per cosa? Beh, se la festa della famiglia è fatta per festeggiare la famiglia stessa, direi che sarebbe essenziale che la si possa viverla coi propri cari.
Se l'operatore parrocchiale non trova il tempo per far visita alla vecchia nonna, ad incontrare il fratello che arriva dall'estero e che può abbracciare solo in poche occasioni all'anno, se non riesce a portare un saluto ai genitori, qualcosa non mi torna.
Davvero non mi torna. E allora mi sa tanto, ma proprio tanto, di avvertire odore di ipocrisia.
Invece di organizzare festeggiamenti così impegnativi, perché non suggerire prima di tutto, di non trascurare quello che, più che dovere, dovrebbe essere un vero piacere trascorrere almeno un'ora nel far visita alla famiglia d'origine?
Certo, la famiglia delle giovani coppie è composta dai coniugi e dai figli nati dal matrimonio, ma non per questo, deve essere trascurata la famiglia di provenienza.
Ne parlo a ragion veduta. Ho provato un profondo dispiacere, apprendere che mia figlia non ha avuto il tempo di far visita al padre sofferente, alla anziana nonna, al fratello arrivato da lontano, a me, sua madre e all'altro fratello.
Che catechesi del cavolo sarà mai, quella di predicare l'unità familiare, se poi tutto si fa in parrocchia, tralasciando il primario scopo del senso della famiglia?
Colpa di mia figlia? Non credo. Credo invece che il troppo fare in parrocchia, cancelli e annulli quel che più conta. E allora, signori Parroci, quando organizzate alcune feste parrocchiali, insistete col dire che prima di tutto, occorre rispettare la precedenza.
Se desidero partecipare ad un ritiro spirituale, del quale ne sento il bisogno, ma per accedervi non penso a preparare il pranzo ai miei cari, o ad assistere la vecchia madre, allora quel ritiro spirituale non ha alcun valore. Come direbbe Santa Teresa d'Avila, sarebbe solo una golosità spirituale, che annulla il vero bene che dovrei perseguire.
Si, sono un po' arrabbiata, perché io stessa ho sempre operato in parrocchia e ancora, per quel poco che gli impegni familiari mi consentono, offro il mio aiuto.
Ma anche quando ero subissata da molteplici impegni parrocchiali, cercavo di mettere sempre al primo posto la primaria vocazione: il matrimonio e la famiglia.
Se la Parrocchia, con le sue frequenti attività, esige la presenza degli operatori pastorali a scapito della famiglia, qualcosa non funziona. Causa divisione, non unione, e molta amarezza.
E' bello che la parrocchia diventi un centro importante per i suoi parrocchiani, ma sarebbe auspicabile che venisse sempre ribadito, da parte dei sacerdoti, che prima di ogni altra cosa, viene la Carità altrimenti, come dice San Paolo:
Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.
Riassumendo: se durante la Festa della Famiglia, impegnata in attività parrocchiali, non trovassi il tempo per stare un poco con la mia famiglia, non conosco il significato di Carità ma non lo conosce neppure la Parrocchia che non mi ha concesso il tempo, prezioso, per trascorrerlo con i miei familiari, in questo particolare giorno.
Semplicemente tutto questo non ha senso.
L'immagine che ho sopra pubblicato, è emblematica: la famiglia non è formata solo dai coniugi con i loro figli, ma è a più largo spettro: nonni, genitori, zii e cugini. Non riduciamo il senso di famiglia a Giovanni e Danila, e a Paola e Alberto, come ha detto il Cardinale Scola. A mio avviso si tratta di una famiglia ristretta, senza sbocchi.
Quanto ha scritto il Cardinale, è valido per la coppia ma, ripeto, la famiglia non consiste solo nella coppia di coniugi. Qui sotto riporto il testo.
Incontro con il Cardinale Angelo Scola 21 novembre 2014
Crediamo che non esista “la famiglia”, ma esistono Giovanni e Danila, Paola e Alberto ecc, cioè uomini e
donne che si incontrano nella loro specificità e individualità da rispettare e da ascoltare con rispetto. Se
assunta così la famiglia è un’esperienza percorribile da tutti, è una esperienza di pienezza che sempre
precede ognuno di noi, un’esperienza che ci chiama a uscire da noi per incontrare sempre più l’altro,
esperienza che comprende fatiche, difficoltà e cadute, ma che tende sempre con forza alla meta,
corroborata dal perdono nella coppia e dal perdono di Gesù. Un’esperienza così vale la pena viverla.
Danila Oppio ocds
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