AFORISMA

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(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

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sabato 23 giugno 2012

CARMELITANO SECOLARE. DIVENTA CIO' CHE SEI


L’intervento di p. Aldo Formentin a proposito della conferenza del Generale all’ocds
Carmelitano Secolare: «Diventa» ciò che «sei»

Siamo grati a padre Aldo Formentin Assistente nazionale dell’Ocds che ci ha inviato questa sua riflessione sulla conferenza all’Ocds iberico del Padre Generale (pubblicata sul numero scorso). Siamo contenti di poter avere nuovi stimoli per approfondire quel testo e soprattutto per attuare una verifica del cammino delle nostre fraternità. Una verifica che richiede coraggio e limpidezza. Possiamo bleffare con chiunque, ma con Dio, con Chi ci ha chiamati a questo cammino no. Stiamo camminando come Lui vuole?
di P. ALDO FORMENTIN Carmelitano Secolare: «Diventa»
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Il P. Saverio Cannistrà, in sostanza, ha invitato ogni carmelitano secolare a scoprire la propria identità a partire da ciò che lui « è ». In questo modo ha come capovolto il punto di partenza della sua indagine. Invece di formulare la propria riflessione a partire da ciò che il Carmelitano Secolare Teresiano è stato lungo il tempo, è partito senz’altro da ciò che il carmelitano secolare «è e deve essere» di fatto ciò che «sei» , diventa ciò che Dio ha fatto di te! ”
Potremmo riassumere in questo modo quanto detto dal Preposito Generale dei Carmelitani Scalzi al IV Congresso OCDS della Penisola Iberica riunitosi in Avila lo scorso 1° maggio 2012.
Giugno 2012L’INTERVENTO DI P. ALDO FORMENTIN
oggi per la chiesa e nel mondo.
In particolare, per riflettere sulla sua vocazione, la sua vita e la sua missione in modo adeguato, ha preso in considerazione i tre aspetti essenziali dell’identità del cristiano secolare teresiano: la laicità, la specificità della vocazione al Carmelo Teresiano e la forma- zione o cura della sua vocazione.
La laicità
Circa la “laicità”, il P. Generale si pone, prima di tutto, la domanda: «Come possiamo capire e spiegare l’appartenenza comune di laici e di religiosi alla medesima famiglia o, più precisamente, al medesimo Ordine?”.
E dopo avere affermato che la risposta non è né facile né scontata, e che la laicità non «può con- sistere né nel trasformare i laici in religiosi, né nel “laicizzare” la vocazione dei religiosi», conclude perentoriamente dicendo che «la difficoltà non si risolve mettendo tra parentesi le differenze che caratterizzano la vita del religioso e quella del laico» ma partendo «dalla chiara definizione e rispetto delle differenze».
Chi è dunque un cristiano « laico »? Riprendendo alcuni documenti [in particolare in n.31e48 della Lumen Gentium e in n.15e17 della Christifideles laici] con i quali la Chiesa spiega che un cristiano è detto «laico» quando è posto – per divina vocazione – a vivere e a farsi santo seguendo Cristo nel mondo e trattando le cose del mondo, il P. Generale arriva a concludere che, come per tutti i cristia- ni laici, anche per il carmelitano secolare «il mondo con le sue concrete realtà, situazioni e impegni, è lo strumento di cui la grazia di Dio si serve per la sua santificazione»...
L’urgenza di porsi una domanda
Se tutto questo è vero, ogni carmelitano secolare dovrebbe allora chiedersi: “Come cristiano «laico», ho capito che – per vivere la mia umanità alla sequela di Cristo – il « posto » che Dio ha assegnato alla mia vita è nel «mondo», all’interno della mia famiglia, del mio lavoro, delle incombenze della vita quotidiana?
Oppure sono convinto che, per essere una persona che segue sul serio Cristo, Dio mi aspetti il più spesso possibile in chiesa e mi chieda di lasciar da parte gli altri e gli affanni quotidiani e familiari per dedicarmi a frequenti pratiche di pietà come è chiesto a un frate o a una suora?
Sono convinto che la mia vita quotidiana « è » amicizia vissuta con Dio [Vita di Orazione] perché il lavoro, la fatica, le contrarietà, l’uso del denaro, la gestione dei beni che possiedo ecc... sono il « segno sacramentale » della Presenza «amica» di quello stesso Cristo che mi viene incontro nel gesto della mia quotidiana Orazione ?...
E la formazione?
A livello formativo invece, occorrerebbe chiedersi: “Quante lezioni sono previste – all’interno dell’Iter formativo – per la spiegazione e lo studio della dimensione laicale della vita del cristiano cosicché i formandi siano debitamente introdotti nella corretta mentalità laicale della loro vita cristiana?
Siamo proprio sicuri – analizzando concretamente il nostro Iter formativo – che non stiamo incorrendo nell’ambiguità deprecata dal P. Generale per cui stiamo trasformando «i laici in religiosi» o, in modo religiosamente più accettabile, stiamo insegnando ai nostri formandi a“laicizzare la vocazione dei religiosi”?...
La vocazione carmelitana
Per sviluppare il secondo tema – “la specificità della vocazione del carmelitano al Carmelo Te- resiano” – il P. Cannistrà inizia col chiedersi che cosa qualifichi oggi un Ordine Secolare. A partire da quanto scritto nel canone n. 303 del Codice di Diritto Canonico, precisa innanzitutto che “dal punto di vista canonico, le promesse (o i voti) non fanno parte degli elementi caratterizzanti gli Ordini secolari. Nel diritto universale non se ne fa cenno e in molti Ordini secolari essi non sono previsti”.
Sono invece la “ricerca della perfezione cristiana” e “l’impegno apostolico” gli elementi caratterizzanti che definiscono e giustificano la vita di quei cristiani che si costituiscono in Ordine Secolare, per vivere –all’interno di una condizione di vita non religiosa ma secolare – attingendo ispirazione al carisma di un Istituto Religioso.
Alla luce di questo, il Preposito Generale conclude dicendo che “Il laico carmelitano può essere defi- nito come una persona che ricerca la santità, ossia la pienezza della sua vocazione battesimale, e vive una “vita apostolica” non solo assumendosi tutta una serie di impegni e attività di apostolato, ma mettendo l’intera propria vita a servizio di Cristo e del vangelo senza modificare la sua condizione di vita nel mondo, ma accettandone tutte le varie dimensioni – affettive, economiche, sociali, politiche e culturali – e vivendole fino in fondo, evangelizzandole nella sua stessa persona, unendole cioè al Cristo di cui egli è membro».
Santi, ma come?
Detto questo però, puntualizza il P. Generale, rimane da chiarire quale sia di fatto il tipo di santità al quale il carmelitano secolare deve aspirare. “Perché – continua – nonostante sia passato quasi mezzo secolo dal concilio Vaticano II, l’immagine ancora prevalente del santo non è quella del laico, ma quella del martire, del pastore, del missionario, della religiosa o del religioso. Spesso anche nel presentare la santità di un laico si insiste su aspetti eccezionali, quasi a dire che la sua santità si è rea lizzata nonostante le condizioni di vita laicale, e non all’interno e a motivo di esse. Che un uomo politico, ad esempio, possa aver cercato la santità attraverso la sua attività politica o un imprenditore attr verso la sua attività economica, risulta tutt’altro che evidente”.
E individua nel fatto che dei laici facciano ancora le “Promesse” di vivere secondo lo spirito delle Beatitudini e dei Consigli Evangelici la traccia del permanere di un’idea di santità derivata dalla Pro- fessione dei Voti propria dei Religiosi. Cosa che ha fatto spesso degli Ordini Secolari altrettante “copie in formato ridotto” degli stessi Ordini Religiosi.
Ma la santità – prosegue il P. Generale non è questione di promesse, voti o pratiche ascetiche ... non è semplicemente un dovere morale o un impegno virtuoso”. Ma “è un modo di vivere, di pensare l’esistenza ... è una vita dello Spirito che pulsa in noi e chiede di venire alla luce”. È “l’impegno decisivo di vivere la sequela di Gesù Cristo, di vivere “in obsequio Jesu Christi” in mezzo al mondo”!
E spiega che un carmelitano secolare impara da S. Teresa un’idea di santità che innanzitutto “nasce e si definisce come risposta alla scoperta di essere amati da un Dio fatto uomo, amati così come si è, senza condizioni o riserve, amati nell’essere poveri e peccatori”. E, in secondo luogo, come esperienza della “sollecitudine per l’altro”: per l’altro uomo, per la comunità, per la chiesa. Così che per il carmelitano secolare teresiano “toccato misteriosamente, ma indubitabilmente” dall’amore del Divino Amico “non ha nessun senso vivere in un altro modo, vivere senza perdere la vita”...
Potremmo a questo punto chiederci: “Noi che abbiamo accettato la vocazione al Carmelo Secolare Te resiano, con “determinada determinación”, riteniamo che diventare santi sia un “non appartenersi più, non avere niente per sé, ma al tempo stesso di possedere tutto in un modo nuovo”?
La Promessa con la quale ci siamo legati al Carmelo è un aiuto a realizzare il nostro Battesimo con un “impegno decisivo di vivere la sequela di Gesù Cristo[casto, povero e obbediente], di vivere “in obsequio Jesu Christi” in mezzo al mondo”, o è un semplice legame giuridico che ci rende partecipi di diritto al gruppo dell’Ordine Secolare Teresiano?
Per affrontare l’ultima questione – il valore formativo della comunità” – il P. Generale parte da quanto espresso nel n. 40 delle Costituzioni OCDS – che naturalmente deve venire completato da quanto offerto sullo stesso argomento dalla Ratio Institutionis OCDS ai nn. 24-29 e 81-85 – per ribadire la necessità, per chi vive nell’OCDS, di una reale vita comunitaria. Dove è combattuta sia la convinzione che la “dimensione comunitaria si riduca solo alle questioni organizzative e di gover- no”. Sia l’idea che aderire all’OCDS significa avere la possibilità di compiere un cammino spirituale «privato», come se a Dio ci si potesse avvicinare in modo del tutto “solitario”. “In realtà – dice il P. Generale – Teresa non è stata soltanto maestra di orazione e di contemplazione per i singoli cristiani ... Ella conosceva per esperienza le difficoltà e i rischi che tale cammino presenta quando si è soli ... Ha [invece] voluto fondare comunità oranti.[Ed] è significativo che per Teresa l’amore reciproco sia la prima condizione per poter affrontare un cammino di orazione”. In questo senso parla della «compagnia dei buoni» come di un «vantaggio» [Vita, 40,19] e di una «grande grazia» [Vita 2,8] per chi desidera imparare a vivere in intimità con Dio.
Chi viene a contatto, dunque, con il carisma di Teresa deve sapere che dalla «quotidiana amicizia con Dio» nell’Orazione può nascere solo una «vita quotidiana concepita come amicizia». “Per cui – spiega il P. Generale – ciò che tiene uniti i membri di una Comunità OCDS è il fatto di camminare insieme, nella stessa direzione, condividendo obiettivi e finalità, ciascuno nella particolare situa- zione di vita in cui si trova... crescendo nella fiducia e nella conoscenza reciproca, in modo che la parola possa essere scambiata con libertà, senza timore di essere giudicati, fraintesi o addirittura traditi”.
A questo punto ci potremmo chiedere se è proprio questo il “clima” fraterno nel quale vivono le nostre Comunità/ Fraternità dell’OCDS? Ogni Fraternità non deve avere paura di “interrogarsi seriamente se stia facendo questo cammino di maturazione e se il suo ruolo nella vita dei propri membri sia effettivamente importante o solo marginale ... [perché] – conclude confortandoci il P. Generale – a questo siamo stati chiamati il giorno in cui abbiamo varcato la soglia del Carmelo”.
P. Aldo Formentin ocd

Ringrazio Stefania De Bonis per l'invio del bollettino del mese di giugno, della fraternità secolare della Provincia Campana, dal quale ho desunto la relazione sopra riportata di Padre Aldo Formentin.
Mi conforta apprendere che il discorso del Padre Generale è perfettamente in linea col mio pensiero, infatti una comunità deve saper creare quel luogo di conoscenza e libertà reciproca di poter manifestare apertamente le proprie esperienze, i propri dubbi e le proprie speranze, senza timore di essere giudicati fraintesi o addirittura traditi. 

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