L’intervento di p. Aldo Formentin a
proposito della conferenza del Generale all’ocds
Carmelitano Secolare: «Diventa» ciò che
«sei»
Siamo grati a padre Aldo Formentin Assistente nazionale dell’Ocds che ci ha inviato questa sua riflessione sulla
conferenza all’Ocds iberico del Padre Generale (pubblicata sul numero
scorso). Siamo contenti di poter avere nuovi stimoli per approfondire quel testo e soprattutto per
attuare una verifica del cammino delle nostre fraternità. Una verifica che
richiede coraggio e limpidezza. Possiamo bleffare con chiunque, ma con Dio,
con Chi ci ha chiamati a questo cammino no. Stiamo camminando come Lui
vuole?
di P. ALDO FORMENTIN “Carmelitano Secolare: «Diventa»
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Il P. Saverio Cannistrà, in sostanza, ha
invitato ogni carmelitano secolare a scoprire la propria identità a partire
da ciò che lui « è ». In questo modo ha come capovolto il punto di partenza della sua indagine.
Invece di formulare la propria riflessione a partire da ciò che il Carmelitano
Secolare Teresiano è stato lungo il tempo, è partito senz’altro da ciò che il
carmelitano secolare «è e deve essere» di fatto ciò che «sei» , diventa ciò che Dio ha fatto di te! ”
Potremmo riassumere in questo modo quanto
detto dal Preposito Generale dei Carmelitani Scalzi al IV Congresso OCDS della
Penisola Iberica riunitosi in Avila lo scorso 1° maggio 2012.
Giugno 2012L’INTERVENTO DI P. ALDO FORMENTIN
oggi per la chiesa e nel mondo.
In particolare, per riflettere sulla sua
vocazione, la sua vita e la sua missione in modo adeguato, ha preso in
considerazione i tre aspetti essenziali dell’identità del cristiano
secolare teresiano: la laicità, la specificità della vocazione al Carmelo
Teresiano e la forma- zione o cura della sua vocazione.
La laicità
Circa la “laicità”, il P.
Generale si pone, prima di tutto, la domanda: «Come
possiamo capire e spiegare l’appartenenza comune di laici e di religiosi
alla medesima famiglia o, più precisamente, al medesimo Ordine?”.
E dopo avere affermato che la risposta
non è né facile né scontata, e che la laicità non «può con- sistere né nel
trasformare i laici in religiosi, né nel “laicizzare” la vocazione dei
religiosi», conclude perentoriamente dicendo che «la difficoltà
non si risolve mettendo tra parentesi le differenze che caratterizzano la
vita del religioso e quella del laico» ma partendo «dalla chiara
definizione e rispetto delle differenze».
Chi è dunque un cristiano « laico »?
Riprendendo alcuni documenti [in particolare in n.31e48 della Lumen
Gentium e in n.15e17 della Christifideles laici] con i quali la
Chiesa spiega che un cristiano è detto «laico» quando è posto – per
divina vocazione – a vivere e a farsi santo seguendo Cristo nel mondo e
trattando le cose del mondo, il P. Generale arriva a concludere che, come per
tutti i cristia- ni laici, anche per il carmelitano secolare «il mondo con
le sue concrete realtà, situazioni e impegni, è
lo strumento di cui la grazia di Dio si serve per la sua santificazione»...
L’urgenza di porsi una domanda
Se tutto questo è vero, ogni carmelitano
secolare dovrebbe allora chiedersi: “Come cristiano «laico», ho capito
che – per vivere la mia umanità alla sequela di Cristo – il « posto » che Dio
ha assegnato alla mia vita è nel «mondo», all’interno della mia famiglia, del
mio lavoro, delle incombenze della vita quotidiana?
Oppure sono convinto che, per essere una persona che segue sul serio Cristo,
Dio mi aspetti il più spesso possibile in chiesa e mi chieda di lasciar da
parte gli altri e gli affanni quotidiani e familiari per dedicarmi a frequenti pratiche di pietà come è chiesto a un frate o a una suora?
Sono convinto che la mia vita quotidiana «
è » amicizia vissuta con Dio [Vita di Orazione] perché il lavoro, la
fatica, le contrarietà, l’uso del denaro, la gestione dei beni che possiedo
ecc... sono il « segno sacramentale » della Presenza «amica» di quello
stesso Cristo che mi viene incontro nel gesto della mia quotidiana Orazione ?...
E la formazione?
A livello formativo invece, occorrerebbe
chiedersi: “Quante lezioni sono previste – all’interno dell’Iter formativo –
per la spiegazione e lo studio della dimensione laicale della vita del
cristiano cosicché i formandi siano debitamente introdotti nella corretta
mentalità laicale della loro vita cristiana?
Siamo proprio sicuri – analizzando concretamente il
nostro Iter formativo – che non stiamo incorrendo nell’ambiguità deprecata dal P. Generale per cui stiamo trasformando «i laici in religiosi» o,
in modo religiosamente più accettabile, stiamo insegnando ai nostri formandi a“laicizzare
la vocazione dei religiosi”?...
La vocazione carmelitana
Per sviluppare il secondo tema – “la
specificità della vocazione del carmelitano al Carmelo Te- resiano”
– il P. Cannistrà inizia col chiedersi che cosa qualifichi oggi un Ordine
Secolare. A partire da quanto scritto nel canone n. 303 del Codice di
Diritto Canonico, precisa innanzitutto che “dal punto di vista canonico,
le promesse (o i voti) non fanno parte degli elementi caratterizzanti gli
Ordini secolari. Nel diritto universale non se ne fa cenno e in molti Ordini secolari essi non sono previsti”.
Sono invece la “ricerca della perfezione cristiana” e “l’impegno apostolico” gli elementi caratterizzanti che definiscono e giustificano la vita di quei cristiani che si costituiscono in Ordine Secolare,
per vivere –all’interno di una condizione di vita
non religiosa ma secolare – attingendo ispirazione al carisma di un
Istituto Religioso.
Alla luce di questo, il Preposito Generale conclude dicendo che “Il laico carmelitano può essere defi- nito come
una persona che ricerca la santità, ossia la pienezza della sua vocazione
battesimale, e vive una “vita apostolica” non solo assumendosi tutta una
serie di impegni e attività di apostolato, ma mettendo l’intera propria vita a servizio di Cristo e del vangelo senza
modificare la sua condizione di vita nel mondo, ma accettandone tutte le varie dimensioni – affettive, economiche, sociali, politiche e culturali – e vivendole fino in fondo, evangelizzandole nella sua stessa persona, unendole cioè al Cristo di cui egli è membro».
Santi, ma come?
Detto questo però, puntualizza il P. Generale, rimane da chiarire quale sia di fatto il tipo di santità al quale il
carmelitano secolare deve aspirare. “Perché – continua – nonostante sia passato quasi mezzo secolo dal concilio Vaticano II, l’immagine
ancora prevalente del santo non è quella del laico, ma
quella del martire, del pastore, del missionario, della religiosa o del
religioso. Spesso anche nel presentare la santità di un laico si insiste su
aspetti eccezionali, quasi a dire che la sua santità si è rea lizzata
nonostante le condizioni di vita laicale, e non all’interno e a motivo di
esse. Che un uomo politico, ad esempio, possa aver cercato la santità
attraverso la sua attività politica o un imprenditore attr verso la sua
attività economica, risulta tutt’altro che evidente”.
E individua nel fatto che dei laici
facciano ancora le “Promesse” di vivere secondo lo spirito delle Beatitudini
e dei Consigli Evangelici la traccia del permanere di un’idea di
santità derivata dalla Pro- fessione dei Voti propria dei Religiosi. Cosa che
ha fatto spesso degli Ordini Secolari altrettante “copie in formato
ridotto” degli stessi Ordini Religiosi.
Ma la santità – prosegue il P. Generale “non è questione di promesse, voti o
pratiche ascetiche ... non è semplicemente un dovere morale o un impegno virtuoso”. Ma “è un modo di vivere, di pensare l’esistenza ...
è una vita dello Spirito che pulsa in noi e chiede di venire alla luce”.
È “l’impegno decisivo di vivere la sequela di Gesù Cristo, di vivere “in
obsequio Jesu Christi” in mezzo al mondo”!
E spiega che un carmelitano secolare impara da S. Teresa un’idea di santità che innanzitutto “nasce e si definisce
come risposta alla scoperta di essere amati da un Dio fatto uomo, amati così
come si è, senza condizioni o riserve, amati nell’essere poveri e peccatori”.
E, in secondo luogo, come esperienza della “sollecitudine per l’altro”:
per l’altro uomo, per la comunità, per la chiesa. Così che per il carmelitano
secolare teresiano “toccato misteriosamente, ma indubitabilmente”
dall’amore del Divino Amico “non ha nessun senso vivere in un altro modo,
vivere senza perdere la vita”...
Potremmo a questo punto chiederci: “Noi che abbiamo accettato la vocazione al Carmelo Secolare Te resiano, con “determinada determinación”, riteniamo che diventare santi sia un “non appartenersi più,
non avere niente per sé, ma al tempo stesso di possedere tutto in un modo nuovo”?
La Promessa con la quale ci siamo
legati al Carmelo è un aiuto a realizzare il nostro Battesimo con un “impegno
decisivo di vivere la sequela di Gesù Cristo[casto, povero e obbediente],
di vivere “in obsequio Jesu Christi” in mezzo al mondo”, o è un semplice
legame giuridico che ci rende partecipi di diritto al gruppo dell’Ordine
Secolare Teresiano?
Per affrontare l’ultima questione – il
valore formativo della comunità” – il P. Generale parte da quanto
espresso nel n. 40 delle Costituzioni OCDS – che naturalmente deve
venire completato da quanto offerto sullo stesso argomento dalla Ratio
Institutionis OCDS ai nn. 24-29 e 81-85 – per ribadire la necessità, per
chi vive nell’OCDS, di una reale vita comunitaria. Dove è combattuta sia la
convinzione che la “dimensione comunitaria si riduca solo alle questioni organizzative e di gover- no”. Sia l’idea che aderire all’OCDS significa
avere la possibilità di compiere un cammino spirituale «privato», come
se a Dio ci si potesse avvicinare in modo del tutto “solitario”. “In realtà –
dice il P. Generale – Teresa non è stata soltanto maestra di orazione e
di contemplazione per i singoli cristiani ... Ella conosceva per esperienza
le difficoltà e i rischi che tale cammino presenta quando si è soli ... Ha
[invece] voluto fondare comunità oranti.[Ed] è significativo
che per Teresa l’amore reciproco sia la prima condizione per poter affrontare
un cammino di orazione”. In questo senso parla della «compagnia dei
buoni» come di un «vantaggio» [Vita, 40,19] e di una «grande
grazia» [Vita 2,8] per chi desidera imparare a vivere in intimità
con Dio.
Chi viene a contatto, dunque, con il
carisma di Teresa deve sapere che dalla «quotidiana amicizia con Dio»
nell’Orazione può nascere solo una «vita quotidiana concepita come
amicizia». “Per cui – spiega il P. Generale – ciò che tiene uniti
i membri di una Comunità OCDS è il fatto di camminare insieme, nella stessa direzione,
condividendo obiettivi e finalità, ciascuno nella particolare situa- zione di
vita in cui si trova... crescendo nella fiducia e nella conoscenza reciproca, in modo che la parola possa essere scambiata con libertà, senza
timore di essere giudicati, fraintesi o addirittura traditi”.
A questo punto ci potremmo chiedere se è
proprio questo il “clima” fraterno nel quale vivono le nostre Comunità/
Fraternità dell’OCDS? Ogni Fraternità non
deve avere paura di “interrogarsi seriamente
se stia facendo questo cammino di maturazione e se il suo ruolo nella vita dei
propri membri sia effettivamente importante o solo marginale ... [perché]
– conclude confortandoci il P. Generale – a questo siamo stati chiamati il giorno
in cui abbiamo varcato la soglia del Carmelo”.
P. Aldo Formentin ocd
Ringrazio Stefania De Bonis per l'invio del bollettino del mese di giugno, della fraternità secolare della Provincia Campana, dal quale ho desunto la relazione sopra riportata di Padre Aldo Formentin.
Mi conforta apprendere che il discorso del Padre Generale è perfettamente in linea col mio pensiero, infatti una comunità deve saper creare quel luogo di conoscenza e libertà reciproca di poter manifestare apertamente le proprie esperienze, i propri dubbi e le proprie speranze, senza timore di essere giudicati fraintesi o addirittura traditi.
Non lontano da qui
riposa ogni cosa perduta
e avanzano in luoghi conosciuti
le orme dei passeri.
La pupilla si dilata
in battiti di eterni minuti
e nel disgelo degli anni
sale, fra la salsedine e il bosco,
il canto dolce di antichi pensieri.
Non lontano da qui
è ancora possibile sognare. (anno 2000