GRAZIE A PADRE EMILE ZAMBO MBOGO!
Stamattina ho ricevuto dal Camerun quanto sotto riportato, e poiché sta scritto che va diffuso, ecco che molto volentieri mi appresto a farlo. Il carissimo Padre Emile, Priore presso la Missione Carmelitana in Africa, spesso mi chiede notizie della salute di mio marito che, dopo un delicato intervento al cuore, ora si sta rimettendo. Lui non l'ha dimenticato, come io non dimentico il mio figlio spirituale, P. Emile, e prego per la sua opera di evangelizzazione, affinché molti giungano a Cristo, al Suo Amore, e che tra questi, nascano vere vocazioni religiose. Che Dio ti benedica, Emile!
CAMMINA CON NOI
Il simbolo di Gesù come pastore buono produce oggi in qualche cristiano un certo fastidio. Non vogliamo essere trattati come pecore di un gregge. Non abbiamo bisogno di nessuno che governi e controlli la nostra vita. Vogliamo essere rispettati. Non abbiamo bisogno di nessun pastore.
Non sentivano così i primi cristiani. La figura di Gesù buon pastore divenne molto presto l’immagine più amata di Gesù. Già nelle catacombe di Roma lo si rappresenta carico sulle spalle della pecorella smarrita. Nessuno pensa a Gesù come a un pastore autoritario che vigila e controlla i suoi seguaci, ma come a un pastore buono che si cura di loro.
Il buon pastore si preoccupa delle sue pecore. È il suo primo tratto. Non le abbandona mai. Non le dimentica. Ha ogni riguardo per loro. È sempre attento alle più deboli o malate. Non è come il pastore mercenario che, quando vede qualche pericolo, fugge per salvare la sua vita abbandonando il gregge. Non gli importa delle pecore.
Gesù aveva lasciato un ricordo incancellabile. I racconti evangelici lo descrivono preoccupato degli infermi, degli emarginati, dei piccoli, dei più indifesi e dimenticati, dei più smarriti. Non sembra preoccuparsi di se stesso. Lo si vede sempre che pensa agli altri. Gli importano soprattutto i più derelitti.
Ma c’è qualcosa di più. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. È il secondo tratto. Fino a cinque volte l’evangelo di Giovanni ripete queste parole. L’amore di Gesù per la gente non ha limiti. Ama gli altri più di se stesso. Ama tutti con l’amore del buon pastore che non fugge di fronte al pericolo, ma dà la sua vita per salvare il gregge.
Per questo l’immagine di Gesù buon pastore divenne molto presto un messaggio di consolazione e fiducia per i suoi seguaci. I cristiani impararono a rivolgersi a Gesù con parole prese dal salmo 22: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla… se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me… felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita”.
Noi cristiani viviamo frequentemente una relazione abbastanza povera con Gesù. Abbiamo bisogno di conoscere un’esperienza più viva e profonda. Non crediamo che egli ha cura di noi. Ci dimentichiamo che possiamo ricorrere a lui quando ci sentiamo stanchi e senza forze o smarriti e disorientati.
Una Chiesa formata da cristiani che si rapportano con un Gesù mal conosciuto, confessato solo in modo dottrinale, un Gesù lontano la cui voce non si ode bene nelle comunità… corre il rischio di dimenticare il suo Pastore. Ma chi avrà cura della Chiesa se non è il suo Pastore?
José Antonio Pagola
Rete evangelizzatrice BUONE NOTIZIE
Fa’ conoscere il Buon Pastore
Diffondilo.
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29 aprile 2012
IV Pasqua (B)
Gv 10, 11-18
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