LA GRANDEZZA DELLE “PICCOLE COSE”
Nei nostri sogni non abbiamo, forse, seminato pace e gioia là dove ci saremmo trovati? Nei nostri sogni, senza dubbio, abbiamo desiderato, persino, “emendare” il progetto di Dio e rimediare alcune delle cose che ci sembrava non riuscire a far bene del tutto. Non è forse vero che con frequenza guardiamo al cielo e abbiamo rimproverato il Signore: "Dio mio. come puoi permettere che accadano simili cose?".
La nostra realtà è, però, più povera. Uno sguardo ai contorni della nostra vita ci lascia un'impressione di povertà, di non star facendo niente…, o poco. I grandi e bei progetti sognati, e mai realizzati, impediscono di affrontare la realtà delle piccole cose e di scoprire la grandezza di quegli atti impercettibili che sono quelli che in realtà costruiscono pace e cambiano – sì, quantunque paia sorprendente – il mondo.
• Quando Teresa scopre la propria vocazione di amore nella Chiesa, lo farà convinta del fatto che simile amore che nasce in lei, è risposta ad un Amore che l’amò per primo, Amore che è Dio manifestato in Cristo Gesù. Soltanto in questo maniera potrà rispondere:
«Non ho altro modo di provarti il mio amore che gettare fiori; cioè non disprezzando nessun piccolo sacrificio, nessun sguardo, nessuna parola, approfittando delle cose più piccole e facendole per amore». (B, 4r-v- 232).
Lo sa bene, Teresa, che «pretendere pagare con amore umano l'Amore divino», è un compito impossibile. Non c'è né nella sua vita, né nella sua opera, traccia di una spiritualità farisaica che pretenda conquistare il cuore di Dio a forza di opere che la rendano pura. Lui è l'unico santo, l'unico puro, e «non c'è altra cosa che possa renderci graditi a Dio – confesserà Teresa – fuori dell'amore». (B, 1) – che è una risposta apprezzata alla previa misericordia del Padre celeste.
Nell' “Offerta all'Amore misericordioso” Teresa ha lasciato condensata la vocazione della sua vita, che è la vocazione all'amore vissuto in chiave di gratitudine a Chi ci ha amato per primo.
L'essere amato insegna all'uomo ad amare, e la donna Teresa s’istruisce nell'amore dal tocco dell'amore divi-no. Desiderando rispondere alla misericordia sviscerata di Dio e non trovando il modo di ottenerlo piena-ente, incontra pace solo nel comprendere – leggendo san Paolo –, che «la Chiesa teneva un cuore, e che questo cuore stava ardendo di Amore». (B, 3v). Nella legge nuova dell'amore, persino una debole ragazza può pretendere di colmare la sua sete di realizzare tutte le vocazioni, ritornando a Gesù amore per amore.
Sembrerebbe che un Amore divino esiga in cambio una dedizione assoluta, radicale e manifestata in grandi opere e sacrifici. Così lo pensavano molti suoi contemporanei, che moltiplicavano le opere e i sacrifici, nell'intento di riparare le offese fatte a Dio mediante l'offerta della propria sofferenza.
• La proposta di Teresa, invece, è una svolta, che situa nel piano della gratuità evangelica la nostra relazione con Dio: salvati dall'amore incommensurabile del Padre, manifestato in Gesù, non possiamo pretendere di conquistare con le nostre opere ciò che ci è stato regalato per misericordia.
Come un minuscolo uccellino, Teresa eleva al cielo ogni piccola opera, ogni semplice sguardo, ogni parola e ogni gesto. L'Amore di Dio si rende, in tal modo – attraverso la risposta dell'uomo – quotidiano: fiorisce in ogni gesto e feconda la vita, che si costruisce nei piccoli dettagli e non nei grandi progetti che di solito finiscono in niente.
La sentita “piccolezza” di Teresa è il veicolo privilegiato attraverso cui l'amore di Dio è catturato per il (dal) mondo, e può rivelarsi in quei piccoli gesti di preoccupazione e passione per gli altri che costituiscono la sua vita. Nella lettera Leonia (12-7-1896) ella affermerà:
«Come temere uno che si lascia rapire dai capelli che volano sul nostro collo? Sappiamo, quindi, come tener prigioniero questo Dio che si fa mendicante del nostro amore. Dicendoci che è un capello ciò che può operare questo prodigio, Lui ci manifesta che le nostre più piccole azioni, fatte per amore, sono quelle che imprigionano il suo cuore. Ah, se si dovesse fare grandi cose, quanto ci dovremmo compatire!... Invece, come siamo felici, dal momento che Gesù si lascia incatenare da quelle piccole!...».
• • La vita di Teresa di Lisieux, ci insegna pure, che i piccoli gesti e preoccupazioni per gli altri sono un veicolo per l'espansione dell'amore di Dio nel mondo. Ella intende la vita del crocifisso come l'incarnazione del Mistero dell'Amore, che si è fatto piccolo e vicino per compatire l'umano, per compartecipare il patimento di ogni uomo, di ogni donna. Teresa è conscia del Dio che si avvicina e ci chiede di piantare la nostra tenda al fianco di chi soffre; di compatire la loro vita, colma, spesso, non di grandi catastrofi, ma dalle ferite del quotidiano, … e che tuttavia hanno bisogno di consolazione.
Il cammino della santità in Teresa è il “cammino piccolo” dell'amore reale nei piccoli gesti reali: non rimproverare, per esempio, la consorella che le schizza addosso l’acqua sporca, non lagnarsi del rumore molesto del conteggio del rosario... Può questo essere materia di santità? La relazione della vita di Teresa ce lo illustra meglio di una caterva di ragionamenti.
• Amore grande nelle cose "piccole"
La testimonianza delle consorelle di Teresa [conservate nel processo di beatificazione della Santa], ci mostrano con realismo crudo la povera realtà di quella comunità: molte sorelle che si dividono in partiti contrari, povertà intellettuale e umana, invidia, gelosie, poco apprezzamento della Regola e del silenzio...
Ascoltiamo, in proposito, suor Maria della Trinità: "Teresa visse nel Carmelo in un tempo in cui tutto stava in disordine nella comunità. Si erano formati partiti [...]. Si mancava molto alla carità. Si osservava male la regolarità e il silenzio".
Le opzioni per Teresa non erano molte:
– o lasciarsi trascinare dalla corrente, o mettersi contro alla maggioranza delle sorelle, creando un partito di "pure", "osservanti"...,
– o dirigersi verso tutte con amore, per avvicinarsi a coloro che più ne avevano bisogno e tentare di convertir così le sue “nemiche” in “amiche”.
• Lei sceglierà la seconda opzione, e in essa si eserciterà negli anni di vita nel Carmelo, con grande effetto.
La testimonianza di sua sorella Paolina nei processi è illuminante:
"Nel Carmelo [...] erano continue le occasioni di scontro, di attriti, e per conseguenza, di sofferenza. Anime, che pur erano eccellenti e virtuose, lasciavano trasparire mancanze d’impazienza e di scontento. Posso testimoniare che mai Teresa, anche nell'occasione di toccarle il più umiliante e penoso, perse la sua calma, la sua dolcezza, la sua carità sempre amabile. Credo che, per chi conosca bene l'anima umana e la vita di Comunità, non è una prova disprezzabile di fortezza soprannaturale”.
Risulta maggiormente neutrale la testimonianza di sr. Maria Maddalena, che, novizia di Teresa nel 1892, cercava di schivarla, di eludere le sue domande... Suor Teresa le pareva di una perfezione sospettosa, non risvegliava in lei nessun genere di confidenza. Ascoltiamone la testimonianza nel Processo: “Fin dal principio avvertivo in suor Teresa del Bambino Gesù una virtù sempre fervente, fino al propormi di stare attenta se fosse possibile trovarla in fallo, perché io ascoltavo contro di lei molte critiche, ispirate dallo spirito di partito”.
Come avviene in tanti altri casi, la medesima comunità – che trascurava l'amor fraterno, l'attuazione del comando del Signore –, si preoccupava di coltivare ortiche che servivano alle mortificazioni straordinarie. – Succede così: sogniamo di spaccare le rocce del male a forza di tremendi colpi di martello, dimenticando co-me il mare eroda colossali rupi con la pazienza e il rumore delle piccole onde che si spengono sulla spiaggia.
Il 25 di aprile del 1893, Teresa scriverà in una lettera a sua sorella Celina:
«Il nostro Amato non ha necessità dei nostri grandi pensieri, delle nostre opere brillanti; se volesse pensieri sublimi non ha i suoi angeli, le sue legioni di spiriti celesti, la cui scienza eccede infinitamente quella dei più grandi geni della nostra triste terra?».
E un anno dopo, il 26 aprile, le scriverà: «Ringrazia Gesù [...]. Se rimani sempre fedele nel compiacerlo nelle cose piccole, Egli si vedrà obbligato ad aiutarti in quelle grandi».
•• Per Teresa, la carità – la più grande delle virtù –, «non era compresa sulla terra».
E allora, via le ortiche e le penitenze da bestia! Perché per lei non sono nulla in confronto dell'amore che si manifesta nelle cose piccole! La madre Agnese afferma nei Processi:
“La Serva di Dio studiò fin nelle sue profondità le diverse parole di Gesù a proposito della carità verso il prossimo e mi parlò molte volte del desiderio di porre in pratica ciò che comprendeva tanto bene”.
E la praticherà dove si deve porre: nell'incontro interpersonale, attraverso parole e gesti di misericordia, che non sono tanto grandi da passare agli annali della storia, ma che costruiscono una santità del quotidiano tanto poco apprezzata quanto necessaria: cioè: l’autentica preoccupazione, passione, per gli altri.
– quella dell'anziana che lei non rifiuta di servire i suoi ospiti, preparando un caffè ad un'ora intempestiva;
– quella dell'uomo, che stanco del lavoro, non ricusa la conversazione con un amico che ha bisogno;
– quella della madre che veglia una notte il suo bambino con la febbre,
– quella del sacerdote, che stanco e infermo, non rifiuta di prendere il bicchiere di cioccolata che una parrocchiana gli offre anche quando la sua testa sta sul punto di scoppiare ...
Gesti e parole simili a quelli che, se guardiamo nel nostro cuore, nella nostra memoria, ricordiamo come i più belli della vita: quello sguardo, quell'attesa, quel bicchiere di acqua, quel sorriso che sollevò il nostro cuore ...
* Il difficile compito di aiutare una portinaia
Suor Raffaella del Cuore di Maria era figlia di un tornitore e bottaio della Normandia. Entra al Carmelo a 28 anni e al tempo di Teresa era la portinaia del monastero di Lisieux.
Nel 1983 Teresa è nominata sua aiutante. Teresa suda e sopporta pazientemente tutti i capricci e manie della consorella portinaia. Non soddisfatta della disponibilità della sua giovane aiutante, suor San Raffaele inizia ad esigere da lei altri servizi estranei al suo incarico, e cerca d’imporle i suoi criteri sul come attendere alla sua salute, mentre in refettorio priva del corroborante bicchiere di sidro la sua compagna di mensa.
Teresa non sopporta in modo stoico questi abusi. Lei ha sempre pronto un sorriso, un gesto amabile, uno sguardo di accettazione, in modo che la sorella non possa sentirsi umiliata, scoperta, offesa. In compagnia di Teresa suor San Raffaele sta tranquilla, si sente ascoltata ed amata. Per questo, di fronte ad una recriminazione di suor Maria della Trinità, la portinaia non dubiterà di rispondere: – O mia piccola sorella, mai la sorella Teresa di Gesù Bambino mi ha parlato come fa Vostra Carità! –.
Lo stile di Teresa lo conosciamo dalla testimonianza di sua sorella, suor Maria:
«Sii molto amabile con lei, perché è inferma; perciò, è carità lasciarle credere che ci fa del bene, e questo ci offre occasione di praticare la pazienza».
* Teresa non si sbagliava nel trattare suor Raffaele come ammalata. Poco prima della morte di Teresa, ella inizio un declino mentale che la porterà in pochi anni alla demenza, in cui rimarrà tristemente immersa sino alla morte nel 1918.
•• La vita di Teresa "canonizza" tale santità delle piccole cose, quantunque a suor Maria della Trinità – come lei stessa riconosce nei Processi – le sembrassero una solenne sciocchezza e un abuso:
“Mostrava tanta compiacenza che avvertii come qualche sorella ne abusasse e chiedessero il suo aiuto come cosa obbligata. E questo era ciò che mi rivoltava. Lei però lo trovava naturale, e la sua carità cercava sempre il modo di accontentare tutte”.
• Non cerca le anime perfette
Nella comunità di Teresa – lo abbiamo detto – abbondavano sorelle di una povertà spirituale prossima alla malattia. Ella percepisce la facilità con cui noi cerchiamo le persone di conversazione gradevole, mentre rifuggiamo da quelli o quelle la cui forma esterna risulta povera, sgradevole.
Gli infermi corporali sono un campo appropriato per esercitare la carità; avvicinarsi a loro ed alleviare la loro sofferenza ci riempie di gioia interiore. Non accade, però, la stessa cosa con le infermità spirituale.
Teresa nota con perspicacia psicologica come nella sua comunità non siano apprezzate le sorelle piene di «mancanza d’educazione, di suscettibilità di carattere: cose che non rendono la vita gradevole». (C, 28r);
si evita la loro compagnia perché si teme una reazione sgradevole, uno sgarbo.
Per Teresa,
«tali infermità morali sono croniche, non c'è speranza di cura. Però d'altra parte so che se io dovessi essere ammalata per tutta la vita, mia madre non cesserebbe di starmi vicina, di far tutto ciò che può per sollevarmi. Perciò vedi la conclusione che traggo da tutto questo: in ricreazione, nella richiesta alla priora, devo cercare la compagnia delle sorelle che mi sono meno gradevoli: compiere verso queste anime sorelle ferite l'ufficio del buon samaritano. Una parola, un sorriso amabile bastano molte volte per rallegrare un'anima triste». (ibidem).
Conosciuto è il caso della consorella san Pietro.
Questa religiosa, colpita da artrosi, non poteva camminare senza aiuto, ed era un imbarazzo per le infermiere d'ufficio accompagnarla in refettorio. La Santa si offre volontaria per quell'incarico e, non senza sforzo, conduce ogni giorno l'inferma al suo posto in refettorio, sopportando senza lamentarsi i suoi rimbrotti.
Nel manoscritto C, 29, troviamo la deliziosa narrazione di Teresa. E per chi, a queste altezze, pensi che il cammino della santità presentato da Teresa non è altra cosa che sopportare le ingiustizie cui ci sottomettono temperamenti dispotici, e che in tal modo non si aggiusta assolutamente nulla, ecco qui il testo della Santa:
«Con le sue povere mani deformate [suor San Pietro] poneva il pane nella sua scodella come meglio poteva. Non ci misi molto ad accorgermene, e da allora non la lasciavo nessuna sera senza averle prestato questo piccolo servizio. Dal momento che lei non me lo aveva chiesto, la mia attenzione la commosse molto, e, per questo piccolo dettaglio, che io non avevo cercato intenzionalmente, mi guadagnai interamente le sue simpatie. E soprattutto (lo venni a sapere poi) perché dopo averle spezzato il pane le donavo, prima di andarmene, il mio più grazioso sorriso». (C 29v)
Un semplice gesto, un sorriso ispirato dall'Amore è stato capace di mutare un cuore esigente in amico, fino al punto che suor San Pietro si fa meno puntigliosa nelle richieste a Teresa. Anni più tardi, questa religiosa chiamerà suor Celina per spiegarle la carità che la nostra Santa esercitò con lei e confidarle un'intuizione, che la sorella di Teresa comunica nei Processi: “Non dico ciò che penso di ciò [santità] – confessò suor San Pietro –, però questa bambina arriverà molto in alto. Se le ho raccontato tutto è perché lei è giovane e potrà riferirlo ad altri a suo tempo, perché tali atti di virtù non devono restare sotto il candelabro”.
Se ci siamo soffermati su questa lunga testimonianza dei Processi, è perché essa ci permette di giustificare in modo chiaro, che l'atteggiamento di Teresa non comporta la rinuncia dei deboli, ma l'accettazione dei conflitti in un modo nuovo, che esige un coraggio e una fortezza molto superiori ai metodi violenti. L'amore assoluto al Crocifisso obbliga a contemplare in tutti l'immagine di Colui che volle essere vestito della nudità dei suoi fratelli più poveri. anche nella nudità morale delle malattie psichiche e la mancanza di formazione. Da questa esperienza di Dio sgorga l’impegno concreto di Teresa con i deboli, quelli che noi, a parole o gesti – rifiutiamo – perché non appartengono al gruppo dei “buoni”.
Questo modo di assumere i conflitti – come vediamo nel caso di suor Marta e suor San Pietro – che cerca di attrarre l'altro [“nemico”] con gesti e parole fraterni, risulta essere molto più prezioso di qualsiasi metodo di esclusione violenta, poiché incorpora nella comunità, alla corrente di vita, coloro che già davamo per persi.
La passione per gli altri che riga la vita di santa Teresa di Gesù Bambino si estende attraverso la preghiera e il sacrificio ai lontani, però è eminentemente concreta e vicina.
– Io inizio a costruire un mondo nuovo quando costruisco un focolare nuovo, un vicinato fresco, un paese riformato; insomma, quando m’impegno nei piccoli gesti di carità e amore per il prossimo, che tanto costano.
• Una novizia difficile
Suor Marta di Gesù, compagna di noviziato di Teresa, non era una persona di tratto facile. Orfana dall'età di otto anni, aveva conosciuto vari orfanotrofi normanni. Forse per questo era aggressiva e bisognosa d’affetto. Durante il noviziato non poteva evitare di sentire grande ammirazione per la compagna, e tuttavia non perdeva occasione di ferirla con commenti ironici, sarcastici. La goccia che fece traboccare il vaso fu il fatto che Teresa fosse ammessa alla Professione 15 giorni prima di lei.
Come accade alla nostra Santa, anche lei rimane in noviziato dopo la Professione, e chiede di fare i ritiri spirituali annuali in contemporanea con Teresa, che si trova costretta a rompere il suo silenzio per ascoltare e consigliare suor Marta, che sembra aver stabilito con lei una relazione di amore-odio. Non desidera separarsi da lei, ma non perde occasione di criticarla in pubblico e ferirla con commenti mordaci e frequenti indelicatezze.
L'atteggiamento di Teresa è quello che siamo venuti a mostrare fino da ora: comprensione, capacità di ascolto, un sorriso, un gesto amabile..., che dovranno attendere fin dopo il 1897 per germinare in suor Marta.
Ascoltiamo la sua testimonianza nel Processo: "La feci soffrire molto col mio carattere difficile; però posso affermare, in tutta verità, che conservò sempre la stessa dolcezza, la medesima uguaglianza di carattere. Meglio, direi che quanto più la faceva soffrire, sembrava raddoppiare maggiormente i "festeggiamenti" e le attenzioni. Mai mi rifiutò nonostante la frequenza delle mie visite; mai manifestò il minimo gesto di stizza (impazienza) al ricevermi. Le ammirevoli virtù facevano sì che io la amassi molto. Tuttavia, a volte, sperimentavo la tentazione d’infastidirmi (arrabbiarmi). Allora mi allontanavo da lei e non desideravo più parlarle. Però, nella sua grande carità mi cercava sempre per far del bene alla mia anima, e con la sua dolcezza, riusciva a guadagnarmi sempre.
Un giorno, che ero nervosa e scontenta, le dissi cose che dovettero causarle una gran pena; però non lo mostrò, e mi parlò con calma e bontà, supplicandomi con insistenza che l'aiutassi in un certo lavoro. Mi arresi alle sue richieste, mormorando però, perché mi era molto di fastidio. Mi venne allora l'idea di vedere fin dove sarebbe giunta la sua pazienza, e per esercitare la sua virtù mi proposi di non rispondere a nulla di ciò che mi diceva; ma non potei fare a meno di piegarmi alla sua dolcezza e finii per chiederle perdono per la mia condotta.
Suor Teresa di Gesù non mi fece nessun rimprovero, non mi rivolse nessuna parola mortificante, e, quantunque mi mostrasse i miei torti, mi animò ad essere più dolce quando si trattava di rendere un servizio".
• • Concludiamo questo tema con una bella pagina di Teresa.
Ella – che desiderava essere artista, e però dovette cedere questo privilegio alla sorella Celina – ci lascia qui un canto all'estetica dell’etica; alla bellezza di una piccola opera d’amore inspirata nell'Amore:
«Una sera d'inverno, stavo compiendo – come di costume – il mio dolce compito per suor San Pietro. Faceva freddo, stava diventando notte.... All'improvviso, giunse da lontano, il suono armonioso di uno strumento musicale. Allora m’immaginai un salone molto ben illuminato, tutto risplendente di ornamenti dorati, e in esso giovani elegantemente vestite che si scambiavano complimenti e cerimonie mondane. Subito, il mio sguardo si posò sopra la povera inferma che sostenevo.
Invece di melodie, ascoltavo ogni tanto il suoi gemiti lamentosi; invece di ricchi ornamenti vedevo le piastrelle del nostro chiostro austero, appena illuminato da un debole chiarore.
Non posso esprimere ciò che passò nella mia anima. Ciò che so è che il Signore la illuminò con i raggi della verità che superarono tanto il brillare tenebroso delle feste della terra, che non potevo credere alla mia felicità... Ah, non avrei cambiato quei dieci minuti impiegati nel compiere il mio umile compito caritativo per godere mille anni di feste mondane...» (C 29v-30
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Canonizzazione di S. Teresa di Gesù Bambino (17 maggio 1925) Immagini dal Corriere della Sera dell'epoca.
Meditazione:
VIVERE IL PRESENTE
Per amare Dio occorre fare la sua volontà. Ma la sua volontà si presenta momento per momento.
Essa può essere espressa da circostanze esterne, dai propri doveri, da un consiglio di persone sagge o che ti rappresentano Dio. O anche da un imprevisto doloroso, e gioioso, o noioso, o indifferente.
Chi la comprende è lo spirito attento, l'anima vigile. Non per nulla il Vangelo parla così spesso di vigilanza.
Ed è proprio il Vangelo che concentra l'uomo sul presente quando, non volendo che si preoccupi del futuro, fa chiedere il pane al Padre solo per «oggi», ed invita a portar la croce di «oggi», e dice che basta l'affanno di «ogni giorno». È ancora il Vangelo che ammonisce: «Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».
• Noi, per abituarci a vivere bene il presente, dobbiamo saper dimenticare il passato e non preoccuparci del futuro. E ciò è sapienza: giacché il passato non esiste più ed il futuro sarà quando diverrà presente. (...)
All'inizio forse non è del tutto semplice.
Allora occorre, con perfetto abbandono in Dio, credere al suo amore e compiere con decisione quella che si pensa la sua volontà, con la fiducia che, se non lo fosse, Egli ci rimetterà nel giusto binario. E anche qualora la volontà di Dio apparisse chiara – come quando essa chiama ad un lavoro da compiere per intere ore, c'è sempre una tentazione da vincere, uno scrupolo da cacciare, una preoccupazione da gettare nel cuore di Dio, pensieri peregrini da allontanare, desideri vari cui rinunciare,
• Vivere il presente è un'idea e una prassi straordinariamente ricca.
Afferma, infatti, s. Francesco di Sales che ogni attimo viene carico di un ordine di Dio e va a sprofondarsi nell'eternità per fissarne ciò che ne abbiamo fatto.
Vivere il presente è poi – per i cristiani che sono nel “mondo” – forse la sola possibilità di farsi santi. Ed è quindi una necessità.
• Il presente arriva con un dono particolare, atto a compiere bene il proprio dovere (la "grazia attuale").
«I doveri d’ogni istante, sotto le loro oscure apparenze nascondono la verità del divino Volere; essi sono come i sacramenti del momento presente» – è stato scritto.
Papa Giovanni viveva queste norme: «... Io devo fare ogni cosa, recitare ogni orazione, eseguire quella regola, come se non ci avessi altro da fare, come se il Signore m’avesse messo al mondo solo per far bene quel l'azione, ed al buon esito di essa stia attaccata la mia santificazione, senza pensare al dopo o al prima».
• Sembra inoltre che “vivere il presente” sia la regola dei nostri tempi: l'epoca che viviamo spesso non ci permette altro. È quasi finito il tempo di sognare, di contemplare. Oggi si corre. Anzi si corre troppo, e, proprio per non cadere nella nevrosi o impazzire, occorre fermarsi ogni attimo nel presente.
Ci rimane soltanto lo stretto sentiero, spesso ancora da scoprire, di prendere ogni giornata come fosse l'ultima e di vivere con fede e senso di responsabilità, come se ci attendesse ancora un grande futuro».
D'altra parte, c'è chi osserva che anche oggi si può incorrere nell'errore di sempre: cioè quello di soffermarsi su un passato o un futuro che non esistono e trascurare il presente, unica occasione per "vivere" veramente.
Per una strana alienazione l'uomo di questo mondo
– vive nel passato, nei suoi ricordi o nell'attesa del suo avvenire;
– quanto al momento presente, egli cerca d’evaderne, esercita il suo spirito inventivo per meglio "ammazzare il tempo”. Quest'uomo non vive nel “qui ed ora”, ma in fantasticherie di cui è inconsapevole.
Un proverbio ascetico afferma:
"L'ora che tu vivi, il compito che adempi,
l'uomo che tu incontri in questo momento
sono i più importanti della tua vita".
Sono tali perché il passato e il futuro, nella loro astratta dislocazione, sono inesistenti, e non hanno accesso all'eternità; questa non converge che verso il momento presente e non si dà che a chi si rende totalmente presente in quel momento. È solo in questi istanti che la si può raggiungere e vivere nell'immagine del presente eterno..
COSÌ SI COMPORTAVA PAPA GIOVANNI XXIII
QUANDO CONFIDAVA:
Solo per l’oggi vivrò;
solo per l’oggi avrò la massima attenzione del mio aspetto;
solo per l’oggi m’adatterò alle circostanze;
solo per l’oggi crederò,
sarò felice e non avrò timore;
Solo per oggi non berrò – dicono coloro che desiderano smettere di bere –.
Soltanto per questi momenti ed in questo preciso istante,
cercherò di vivere e di comunicare vita.
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