“Di una cosa
possiamo essere certi, che il ricordo di questa vita pura e nobile durerà e che
egli sarà santificato nella memoria della gente pia di molte confessioni in
Inghilterra, se Roma lo canonizzi o no”. Con queste parole, il 12 agosto 1890,
il Times di Londra terminava il suo elogio funebre di John Henry Newman.
Mancando ora poco a che “Roma lo canonizzi”, per dirla con l’espressione del
giornale inglese, è interessante soffermarsi proprio sul rapporto tra l’autore
di Guidami, luce gentile e la Città Eterna. Una sfaccettatura del “poliedro
Newman” a cui è dedicata una mostra aperta al pubblico in questi giorni al
Venerabile Collegio Inglese, promossa dall’Ambasciata Britannica presso la
Santa Sede e arricchita da documenti prestati, tra gli altri, dalla
Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.
La mostra,
intitolata John Henry Newman, un Santo a Roma, esplora le sue quattro visite
nell’Urbe: nel 1833 in qualità di pastore anglicano; per oltre un anno tra il
1846 e il 1847 quando come seminarista frequentò il Collegio di Propaganda
Fide; nel 1856 come Preposito dell’Oratorio di Birmingham e infine, per 6 mesi,
nel 1879 in occasione della nomina cardinalizia da parte di Leone XIII.
Colpisce, del futuro Santo, il giudizio su Roma cuore della cattolicità, che si
evolve di pari passo con il suo cammino di conversione e “il ritorno a casa”
nella Chiesa cattolica. Durante il primo soggiorno, Newman esprime ammirazione
per le antiche vestigia romane arrivando ad affermare che “Roma è il luogo del
mondo che più desta meraviglia”. Tuttavia esprime un giudizio fortemente
negativo sul “Cattolicesimo romano”, non esitando a paragonare Roma ad una
nuova Babilonia.
12/10/2019
Tutto cambia
quando torna in Italia nel 1846, tredici anni dopo la sua prima visita. L’anno
prima aveva definitivamente abbracciato la fede cattolica. Si trova quindi
nella singolare situazione di essere, intellettuale di fama internazionale,
nella condizione di semplice seminarista al Collegio di Propaganda Fide assieme
al suo amico Ambrose St John, unici inglesi tra 140 studenti provenienti da
ogni angolo del mondo. Di quel periodo restano testimonianze, attraverso
scritti e lettere, che mostrano come l’autore di Grammatica dell’assenso guardi
Roma con occhi nuovi e ne colga ora l’inestimabile bellezza (e il respiro
universale) che dona alla città l’essere Sede del Successore di Pietro. Newman
è toccato dalla disponibilità che trova nel Collegio, dalla gentilezza che
incontra nei suoi confronti. “È così meraviglioso – scrive al riguardo –
trovarmi qui a Propaganda. E’ come un sogno, eppure così tranquillo, così
sicuro, così felice come se vi appartenessi da sempre”. Proprio nella chiesa
del Collegio verrà ordinato sacerdote il 30 maggio 1847, all’indomani della
celebrazione in cui, il giorno prima, era stato ordinato diacono nella Basilica
di San Giovanni in Laterano.
In questo
secondo soggiorno romano, Newman si nutre della devozione per la figura di San
Filippo Neri, che in qualche modo, proprio come Newman, aveva adottato Roma
quanto Roma aveva adottato lui. Così, prima di tornare in patria, decise che “non
si potesse far cosa migliore che diventare oratoriani”. Il suo ingegno, la sua
cordialità e il suo sense of humor lo rendono un erede naturale del fondatore
degli oratori. Come Preposito dell’Oratorio di Birmingham, del resto, farà
ritorno a Roma dieci anni dopo per una questione interna che solo qui poteva
risolvere. E’ però l’ultima visita quella che ha lasciato la traccia più
profonda, quando ritornò a Roma per ricevere, il 12 maggio 1879, la berretta
cardinalizia da Leone XIII.
Il grande
pensatore cristiano fu il primo cardinale creato da Papa Pecci, scelta che
sottolinea il grande interesse che Newman suscitò nei Pontefici del suo tempo.
Una “tradizione” che è proseguita con i successori di Leone XIII fino ad oggi,
come si evidenzia anche nel volume “Il cuore parla al cuore”, edito
recentemente dalla LEV. In questi giorni, i fedeli che entrano nella Basilica
di San Pietro possono incrociare lo sguardo di Newman ritratto nel grande
arazzo disteso dalla Loggia centrale. Con la Canonizzazione di domenica,
centoquaranta anni dopo la porpora, l’oratoriano più celebre della storia
“torna” dunque ancora una volta a Roma. Un viaggio sorprendente per un uomo, un
sacerdote, che diceva di sé di non essere portato alla santità. Previsione
sbagliata perché, a differenza di quanto San John Henry Newman affermava, la
storia dimostra che possono esserci santi letterati, che amano i classici e
scrivono romanzi.
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