AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

lunedì 28 ottobre 2019

BEATITUDINI . parte seconda - Conferenze di P. Claudio Truzzi OCD

2 Beati coloro che soffrono,  perché saranno consolati


Da un lato, nulla ci sembra tanto opposti come i concetti di “sofferenza” e di “beatitudine”; però, dall’altra parte, se ci fu qualcuno che soffrì, questi fu Gesù. E non crediamo che nessuno possa negare che fu “beato”.
Da una parte, le beatitudini – così come le espone Matteo – sono come “attitudini” con cui dobbiamo vivere il Vangelo (da poveri, pacifici, ecc.); tuttavia, dall’altra parte, questo “soffrire” non ci sembra un’ “attitudine”, ma piuttosto qualcosa che ci capita addosso.

VEDIAMO
Chi sono gli “afflitti”, e perché sono chiamati “beati”?
Sorge spontanea la domanda: «Com’è possibile che qualcosa che noi non vogliano, né Dio voglia – la sofferenza – ce la converta Gesù in motivo di felicità e beatitudine?».
Molto semplice: Gesù vincola la felicità di coloro che soffrono alla consolazione che questi riceveranno.
Però, quando? Sempre?
No, soltanto nella misura in cui lo conformiamo con il suo; quando gli diamo il “senso”, il “significato” che gli diede Lui; quando, alla fine, sappiamo trasformarlo in strumento di redenzione nostra e altrui.
Non porta consolazione divina qualsiasi dolore. Soffrire per il soffrire è una stoltezza o stupidità umana.  Però: 
        – Soffrire, affinché non soffra un altro,
     – Soffrire, facendosi cireneo della sofferenza altrui,
       – Soffrire in espiazione dei propri peccati,
      – Soffrire con il fine d'imitare e “supplire” a ciò     che manca alla passione di Cristo [San Paolo].
Soffrire, in questo modo, è farlo sulla stessa onda dei grandi “soffritori” dell’Antico e Nuovo Testamento.
Questi sono gli «afflitti, che saranno beati, perché saranno consolati». Cristo può proclamare “beati” coloro che soffrono e piangono perché, in quanto Messia, è il gran “Consolatore”. Simeone, appena lo vede, può morire tranquillo perché ha incontrato colui che aspettava, la “consolazione d’Israele” (Lc 2,25).
Molto tempo prima già il profeta Isaia descrive il Cristo come l’Unto dello Spirito del Signore «per divulgare la buona notizia a coloro che soffrono, per lenire i cuori straziati, per consolare gli afflitti di Sion, per mutare la cenere in corona, il suo vestito di lutto in profumi di festa, la sua tristezza in cantici». (61, 1-3).

MEDITIAMO
Con Cristo ogni cosa cambia di segno
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi ed affaticati, ed io vi consolerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e troverete ristoro per le vostre anime». (Mt 11, 28-29).
Ecco un invito sincero e sempre attuale.
Saremo, però, capaci di accettarlo e preferiremo continuare a lamentarci e maledire le nostre sofferenze?
Tutti abbiamo già il posto dove scaricarci delle nostre pene. Il triste è che preferiamo trovare la soluzione o trascinarle con i nostri mezzi o con le nostre forze, giacché pensare a Dio ci può sembrare sterile o umiliante. Conseguenza: i nostri dolori e pianti, invece di fecondare le nostre esistenze per il Regno, l’unica cosa che riescono a conseguire è irrigare ed incrementare la nostra tristezza.
«Venite a me». È l’invito che Gesù ripete dall’alto della Croce. Un invito a soffrire “perché Lui soffrì”, “come Lui soffrì”, “perciò che Lui soffrì”, e, unendo “il nostro dolore con il suo”.
Un invito, questo sì, a rivedere l’origine e la causa delle nostre tristezze, la motivazione delle nostre sofferenze, le nostre attitudini di fronte al male.
Un invito, infine, a convertirlo in dialogo amichevole con Lui. Questo, nella preghiera.
E, questo, persino dentro le varie modalità della preghiera, nella preghiera “di lamento”.
Forse ci sembrerà qualcosa di superfluo, inutile. Ma non lo è. Tutto un intero libro della Scrittura porta il nome di “Lamentazioni”. Si attribuisce al profeta Geremia, in cui fa parlare per bocca sua, tutta una serie di sofferenze personali e sociali, ed è una lezione orante che la Bibbia ci propone: Essa c'insegna che questo “lamentarsi dinanzi al Signore”, non solamente è lecito, ma persino salutare e purificante.
Invece, ciò che, sì, solitamente facciamo, è diventare nervosi e correre a gridare dinanzi ai nostri e agli estranei, deboli e forti, la nostra impotenza. Perché non imitiamo tanti profeti e santi?
Sarebbe sufficiente che aprissimo il libro dei Salmi per trovarne rapidamente uno che ci porrà sulle  labbra le espressioni adatte della consolazione nella fede. Parole che, non accrescono le nostre amarezze, ma che le mitigano e ci fanno gustare a poco a poco la consolazione di Dio.
CHIEDIAMOCI
«È vero che a nessun cristiano viene a mancare la consolazione, se egli prega con fede?».
Certo. Alcune consolazioni provengono dalla stessa virtù della speranza che Dio ci prepara dopo «questa notte passata in una cattiva locanda» – come definisce la vita s. Teresa d’Avila – Dobbiamo «stimare poco le sofferenze del tempo presente – come ricorda s. Paolo –, in comparazione con la gloria che si manifesterà a noi un giorno». (Rom 8,18).
Per colui che soffre con umiltà ed abbandono, ricordando i suoi peccati, esiste ed esistettero sempre ciò che nella letteratura spirituale si conosce come “consolazioni spirituali”: momenti in cui ci sentiamo ripieni di pace e di consolazione. Anche in mezzo alle prove della fede, di quelle “notti” o cammini nel deserto attraverso cui passano tutti gli spirituali, ci sono sempre momenti in cui uno sperimenta la vicinanza di Dio e il suo supporto, nonostante le apparenze.
Dal giorno in cui Cristo risuscitò, ad ogni tramonto totale di Venerdì Santo, segue il mattino luminoso della risurrezione.
Quando, tuttavia, parliamo di “consolazioni per il nostro soffrire”, non ci riferiamo unicamente all’Al-dilà. Convertiremmo la fede in oppio. Siamo convinti che, nonostante goderemo di felicità definitiva e totale nell’Aldilà, già in questa terra “saremo consolati”, se soffriamo in Cristo, con Cristo e per Cristo.
• Non dimentichiamo, tuttavia, che … il soffrire in modo evangelico è una grazia, un “dono dello Spirito” che bisogna chiedere.   Per ciò stesso …          
PREGHIAMO
1 – Gridano contro te, Signore
Signore! Li abbiamo visti l’altro giorno. In altri giorni.
Li abbiamo visti maledire tutto e tutti. Sì, maledicevano anche Te; bestemmiavano. Non l’ho mai capito.
Perché, se credono, che senso ha maledire il più grande e il migliore dei Padri?
E, se non credono, che senso hanno le loro bestemmie senza ritegno?
Però, perdonali, Signore, perché certamente non sapevano ciò che stavano facendo...
E perché ... sembravano aver sofferto, parevano soffrire molto.
Ché poco valgono ragioni o logiche quando ciò che ti attanaglia è il dolore. Fatto fame, oppressione, ingiustizie…!
Senza dubbio, quando ti nominano, non si riferiscono a Te; si riferiscono a quell’immagine che di Te proiettano tanti e tanti-pseudo-credenti che vanno per il mondo.
Non imputare i loro insulti.
Soltanto tu conosci fino a che punto – può ottenebrare la mente ciò che chiamiamo “passarla male”.
Sollevali, Aiutali. Consolali.
Meglio ancora: poni noi stessi sul loro medesimo cammino, umani come loro, per consolarli.
Inseriscici nelle loro medesime situazioni.
Avvicinaci al loro tugurio, al loro licenziamento, alla loro infermità, alla loro solitudine;
però incarnando dinanzi ad ogni circostanza
le medesime attitudini e le medesime reazioni che vogliamo vedere in loro.
Pero, non, non fidarti di noi.
Dona loro la tua grazia e il tuo amore.
Disfa, come se si trattasse di un pugno di neve, il freddo e l’amarezza dei loro cuori.
Dona loro un significato al dolore. Consolali!
2 – Grazie, per concederci di poter piangere, Signore!
Signore! Non sono un “piagnone”, né il “lamento personificato”;
però ti ringrazio per … aver permesso che soffrissi “la mia parte”,
e abbia permesso che soffrissi anche, la “parte degli altri”.
Rimango atterrito ogni volta che sento dire:
«Non piangere, bambino: gli uomini non piangono!».
Perché, gli uomini non piangono? E se gli uomini non piangono …
perché si chiama, questa terra in cui viviamo, né più né meno che “Valle di lacrime”?
Che sarebbe di questo mondo se nessuno piangesse?
Gli uomini e le donne che non hanno pianto sono, secondo il poeta, “come Chiese non benedette”.
Ed aggiunge che le lacrime che non si spargono
formano conche, che se un giorno dovessero trasbordare, provocherebbero catastrofi irreparabili.
Io voglio piangere, Signore.
Io desidero ringraziarti per il dono delle lacrime.
I sorrisi e le lacrime sono come il lubrificante che c’invii affinché non si ossidi lo sguardo
dinanzi alla tanta gioia e tanta pena che c’è in questo nostro mondo benedetto.
Che fredda una sepoltura senza lacrime!
Un incontro e un addio, senza lacrime!
Una pena, senza poterla piangere!
Desidero piangere, Signore, però, non per obbligo, né sciocca debolezza.
Desidero piangere, ringraziando dei tuoi doni.
Desidero piangere il mio peccato e quello dei miei fratelli.
Grazie, Signore, perché Tu stesso hai provato “questa” debolezza; perché Tu stesso c’insegnasti a piangere;
perché provocasti le nostre lacrime; perché c’insegnasti anche ad asciugarle.

3 – DI PROFESSIONE … “CONSOLATORE”
Signore! Ci sono senza dubbio molte professioni nella comunità cristiana. San Paolo le chiamò “carismi”.
Come le membra del corpo, hanno ognuna la propria funzione, e tutte cooperano alla salute complessiva,
così ogni carisma edifica e consolida la Comunità ecclesiale.
Oggi ti chiediamo il dono, il carisma di “sapere consolare”.
Sono molte le lacrime che  si devono asciugare in questi tempi.
Moltissime le tristezze da mitigare. – Non poche le angustie da lenire–Troppe le solitudini da condividere.
Ti preghiamo che invii uomini e donne
che si siamo prima identificate con il profeta Isaia, sino a dire con lui (61, 1-3):
«Lo Spirito del Signore è sopra di me … per consolare tutti gli afflitti …, per dare loro un diadema invece della cenere, olio di letizia invece di un abito da lutto, lode invece di un animo mesto».
Chi consola si sente figlio ed inviato del “Dio d’ogni consolazione”, il quale – come afferma san Paolo –:
«Ci solleva in tutte le nostre difficoltà affinché possiamo, a nostra volta, consolare gli altri
con quella consolazione che abbiamo ricevuto da Dio».
Questo tipo di persone sono per noi il nostro “fazzoletto”, la Veronica che con un panno asciuga il volto insanguinato di Gesù.
Ottimo mestiere, questo del consolatore! …
CONIUGA PER NOI, SIGNORE IL VERBO “SOFFRIRE” …
  Ricorda, figlio: O stai soffrendo. O hai sofferto. O soffrirai.
  Non incolparmi del tuo dolore. Di solito è la tua libertà e quella degli altri che te lo provocano.
  Spiegabile o misterioso, che grande altoparlante di me è il dolore!
  Dicono: «Il dolore esiste, quindi Dio no!». Piuttosto dì: «Se esistono entrambi, che senso dovrà avere il dolore?».
  Io non creai il dolore. Non divinizzarlo. Soffri come me: per redimere, e affinché altri non soffrano.
  Tommaso credette solo quando poté porre le dita nelle mie piaghe. Lascia che altri le mettano nelle tue.
– Tanto soffrirai, quanto amerai. Tanto amerai, quanto sarai capace di soffrire.
  La penitenza purifica, merita. Però... mortificati, soprattutto, per non mortificare.
  Non sarai libero, né utile, né felice, finché non supererai questa tua paura di soffrire.
Alla fin fine, tutto sarà come una «notte passata in un cattivo albergo».

a – Uomini: figli della compassione
Christine era una buona madre e un'ottima moglie, ma un triste e desolato giorno il suo giovane marito morì. Un dolore immenso e rovente dilaniò la sua esistenza. Niente riusciva ad attenuare la sua sofferenza.
Cercava invano brandelli di consolazione nei suoi bambini che la fissavano smarriti. Come specchi, gli umidi occhioni gli rimandavano l'immagine del loro papà tanto amato. Neanche più ricordava il tempo in cui lavorava cantando. Il lavoro, come il pane, gli era diventato amaro e pesante.
Una sera, rannicchiata nel letto, piangeva silenziosamente per non svegliare i bambini, quando gli apparve una figura dolce e rassicurante, che la  prese per mano. Era la Vergine del Carmelo.
«Vieni con me, Christine»  – le disse. «Vieni con me: ti porterò al fiume della pace. Chiunque si bagna nelle sue acque, troverà la consolazione che cerca». – Camminarono nella notte per molto tempo.
Ad un certo punto, Christine iniziò a sentire il rumore d’acque scroscianti. Un fiume immenso, dalle acque pure e trasparenti, scorreva davanti a loro.
«Immergiti nel Fiume della Pace» – gli intimò la Vergine. «Le sue acque scioglieranno la tua pena e la tua angoscia». Christine s’immerse. Il suo corpo fu avvolto da un conforto pieno di vigore e serenità, una pace balsamica che guariva le sue ferite.
Dopo quell'immersione salutare, Christine chiese alla Madonna: «Da dove viene quest'acqua miracolosa?».
«Sono le lacrime del mondo» rispose la Vergine. «Tutte le lacrime del mondo si raccolgono in questo fiume.
Lacrime amare: di paura, di dolore, di delusione, di sconfitta, di rabbia. Ma anche le lacrime più dolci, quelle versate per amore, per il ritorno di una persona cara, per uno scampato pericolo».
Christine udì i sospiri e i gemiti di tutti coloro che avevano versato quelle lacrime, e comprese che anche le sue lacrime erano ormai un unico pianto puro e indistinto, che scorreva nelle acque di quel fiume.
Si sentì in comunione totale con tutto il dolore e la gioia del mondo.
Fu in quel momento che la Madre di Dio le parlò del dolore di suo Figlio. Christine sentì il pianto di Cristo davanti alla tomba di Lazzaro, il pianto nel Getsemani, il suo pianto ai piedi della croce.
Christine si ridestò di colpo: il cuscino era ancora bagnato, ma una pace profonda si era impadronita di lei...
Non siamo figli del dolore, ma della compassione
b – Fiducia in Dio – nella sofferenza

C'erano una volta due coraggiosi cavalieri. Avevano affrontato battaglie, avventure rischiose, e messo a repentaglio la vita al soldo di molti signori.
Una sera, uno dei due, guardando il sole che tramontava, disse: «Mi resta un'ultima impresa». «Che cosa?».
«Voglio salire sulla montagna dove abita Dio».  «Perché?».

«Voglio sapere perché ci carica di pesi e fardelli gravosi per tutta la vita e continua a pretendere sempre di più, invece, di alleggerire il nostro carico, ogni tanto almeno!» – disse amaro il primo cavaliere.

«Verrò con te. Ma io penso che Dio sappia quello che fa» – concluse l'altro.
Il viaggio fu lungo e faticoso. Giunsero al monte di Dio. Salivano in silenzio, accanto ai cavalli perché il sentiero era ripido e tormentato.
Già s’intravedeva la sommità della montagna nella nebbia, quando una voce tuonò dall'alto: «Prendete con voi tutte le pietre che trovate sul sentiero!».

«Lo vedi?» – protestò il primo cavaliere – «È sempre la stessa storia! Dopo tutta questa fatica, Dio ci vuole oberare ancora. Io non ci sto più al suo gioco!». E tornò indietro.

L'altro cavaliere, invece, fece quello che la voce aveva ordinato. Ci mise molto tempo e la salita fu penosa. Ma quando il  primo raggio di sole del giorno le sfiorò, le pietre ammassate sul cavallo e sulle braccia del cavaliere brillarono di luce limpidissima. Si erano trasformate in splendidi diamanti d’inestimabile valore.
Signore, faccio più domande di quante ne fai tu. Credo che il rapporto sia di dieci ad uno.
     Io chiedo: «Perché permetti la sofferenza? Per quanto tempo dovrò sopportarla? Che scopo ha? Hai dimenticato di essere misericordioso? Ti ho stancato? Ti ho offeso? Mi hai rigettato? Dove ho perso la tua guida? Quando mi sono smarrito? Vedi la mia totale disperazione?».
            Tu mi chiedi: «Hai fiducia in me?».
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(Materiale complementare)
Salmo 125 – Salmo 136
La sofferenza consolida e purifica la fede: 1 Pietro 1, 6-9. – Patire per i fratelli da frutti: 2 Corinzi 4, 15.
Dio ci consola affinché possiamo consolare: 2 Corinzi 1, 3-6.
Gioia per le attenzioni del Padre: Giovanni 17, 13. S. Giovanni della Croce: Salita II, 7, 5; Cantico 36, 1

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