2 Beati
coloro che soffrono, perché saranno
consolati
Da un lato, nulla ci sembra tanto
opposti come i concetti di “sofferenza” e di “beatitudine”; però, dall’altra
parte, se ci fu qualcuno che soffrì, questi fu Gesù. E non crediamo che nessuno
possa negare che fu “beato”.
Da una parte, le beatitudini – così come le espone Matteo –
sono come “attitudini” con cui dobbiamo
vivere il Vangelo (da poveri, pacifici, ecc.); tuttavia, dall’altra parte,
questo “soffrire” non ci sembra un’ “attitudine”, ma piuttosto qualcosa che ci
capita addosso.
VEDIAMO
Chi sono gli “afflitti”, e perché sono chiamati “beati”?
Sorge
spontanea la domanda: «Com’è possibile che qualcosa che noi non vogliano, né
Dio voglia – la sofferenza – ce la converta Gesù in motivo di felicità e
beatitudine?».
Molto semplice: Gesù vincola la felicità di
coloro che soffrono alla consolazione che questi riceveranno.
Però,
quando? Sempre?
No, soltanto nella misura in cui lo
conformiamo con il suo; quando gli diamo il “senso”, il “significato” che gli
diede Lui; quando, alla fine, sappiamo trasformarlo in strumento di redenzione
nostra e altrui.
Non porta consolazione divina
qualsiasi dolore. Soffrire per il soffrire è una stoltezza o stupidità
umana. Però:
–
Soffrire, affinché non soffra un altro,
– Soffrire,
facendosi cireneo della sofferenza altrui,
– Soffrire in
espiazione dei propri peccati,
– Soffrire con
il fine d'imitare e “supplire” a ciò che manca alla passione di Cristo [San
Paolo].
Soffrire, in questo modo, è farlo sulla stessa onda dei
grandi “soffritori” dell’Antico e Nuovo Testamento.
Questi sono gli «afflitti, che saranno beati, perché saranno
consolati». Cristo può proclamare “beati”
coloro che soffrono e piangono perché, in quanto Messia, è il gran
“Consolatore”. Simeone, appena lo vede, può morire tranquillo perché ha
incontrato colui che aspettava, la “consolazione d’Israele” (Lc 2,25).
Molto tempo prima già il profeta Isaia
descrive il Cristo come l’Unto dello Spirito del Signore «per divulgare la
buona notizia a coloro che soffrono, per lenire i cuori straziati, per
consolare gli afflitti di Sion, per mutare la cenere in corona, il suo vestito
di lutto in profumi di festa, la sua tristezza in cantici». (61, 1-3).
MEDITIAMO
Con Cristo ogni cosa cambia di segno
«Venite
a me, voi tutti che siete stanchi ed affaticati, ed io vi consolerò. Prendete
il mio giogo sopra di voi e troverete ristoro per le vostre anime». (Mt 11, 28-29).
Ecco un invito sincero e sempre attuale.
Saremo, però, capaci di accettarlo
e preferiremo continuare a lamentarci e maledire le nostre sofferenze?
Tutti abbiamo già il posto
dove scaricarci delle nostre pene. Il triste è che preferiamo trovare la
soluzione o trascinarle con i nostri mezzi o con le nostre forze, giacché
pensare a Dio ci può sembrare sterile o umiliante. Conseguenza: i nostri dolori
e pianti, invece di fecondare le nostre esistenze per il Regno, l’unica cosa
che riescono a conseguire è irrigare ed incrementare la nostra tristezza.
«Venite a me». È l’invito
che Gesù ripete dall’alto della Croce. Un invito a soffrire “perché Lui
soffrì”, “come Lui soffrì”, “perciò che Lui soffrì”, e, unendo
“il nostro dolore con il suo”.
Un invito, questo sì, a rivedere
l’origine e la causa delle nostre tristezze, la motivazione delle
nostre sofferenze, le nostre attitudini di fronte al male.
Un
invito, infine, a convertirlo in dialogo amichevole con Lui. Questo, nella
preghiera.
E, questo, persino dentro le
varie modalità della preghiera, nella preghiera “di lamento”.
Forse
ci sembrerà qualcosa di superfluo, inutile. Ma non lo è. Tutto un intero libro
della Scrittura porta il nome di “Lamentazioni”. Si attribuisce al profeta
Geremia, in cui fa parlare per bocca sua, tutta una serie di sofferenze
personali e sociali, ed è una lezione orante che la Bibbia ci propone: Essa
c'insegna che questo “lamentarsi dinanzi al Signore”, non solamente è lecito,
ma persino salutare e purificante.
Invece, ciò che, sì, solitamente facciamo, è diventare
nervosi e correre a gridare dinanzi ai nostri e agli estranei, deboli e forti,
la nostra impotenza. Perché non imitiamo tanti profeti e santi?
Sarebbe sufficiente che aprissimo
il libro dei Salmi per trovarne rapidamente uno che ci porrà sulle labbra le espressioni adatte della
consolazione nella fede. Parole che, non accrescono le nostre amarezze, ma che
le mitigano e ci fanno gustare a poco a poco la consolazione di Dio.
CHIEDIAMOCI
«È
vero che a nessun cristiano viene a mancare la consolazione, se egli prega con
fede?».
Certo.
Alcune consolazioni provengono dalla stessa virtù della speranza che Dio
ci prepara dopo «questa notte passata in una cattiva locanda» – come
definisce la vita s. Teresa d’Avila – Dobbiamo «stimare poco le sofferenze del
tempo presente – come ricorda s. Paolo –, in comparazione con la gloria che si
manifesterà a noi un giorno». (Rom 8,18).
Per colui
che soffre con umiltà ed abbandono, ricordando i suoi peccati, esiste ed
esistettero sempre ciò che nella letteratura spirituale si conosce come
“consolazioni spirituali”: momenti in cui ci sentiamo ripieni di pace e di
consolazione. Anche in mezzo alle prove della fede, di quelle “notti” o cammini
nel deserto attraverso cui passano tutti gli spirituali, ci sono sempre
momenti in cui uno sperimenta la vicinanza di Dio e il suo supporto, nonostante
le apparenze.
Dal giorno in cui Cristo risuscitò, ad ogni tramonto totale
di Venerdì Santo, segue il mattino luminoso della risurrezione.
Quando, tuttavia, parliamo di
“consolazioni per il nostro soffrire”, non ci riferiamo unicamente
all’Al-dilà. Convertiremmo la fede in oppio. Siamo convinti che, nonostante
goderemo di felicità definitiva e totale nell’Aldilà, già in questa terra
“saremo consolati”, se soffriamo in Cristo, con Cristo e per Cristo.
• Non dimentichiamo,
tuttavia, che … il soffrire in modo evangelico è una grazia, un “dono dello
Spirito” che bisogna chiedere. Per
ciò stesso …
PREGHIAMO
1
– Gridano contro te, Signore
Signore! Li abbiamo visti l’altro giorno. In altri
giorni.
Li abbiamo visti maledire tutto e tutti. Sì, maledicevano
anche Te; bestemmiavano. Non l’ho mai capito.
Perché, se credono, che senso ha maledire il più grande e il
migliore dei Padri?
E, se non credono, che senso hanno le loro bestemmie senza
ritegno?
Però, perdonali, Signore, perché certamente non sapevano ciò
che stavano facendo...
E perché ... sembravano aver sofferto, parevano soffrire
molto.
Ché poco valgono ragioni o logiche quando ciò che ti
attanaglia è il dolore. Fatto fame, oppressione, ingiustizie…!
Senza dubbio, quando ti nominano, non si riferiscono a Te;
si riferiscono a quell’immagine che di Te proiettano tanti e
tanti-pseudo-credenti che vanno per il mondo.
Non imputare i loro insulti.
Soltanto tu conosci fino a che punto – può ottenebrare la
mente ciò che chiamiamo “passarla male”.
Sollevali, Aiutali. Consolali.
Meglio ancora: poni noi stessi sul loro medesimo cammino,
umani come loro, per consolarli.
Inseriscici nelle loro medesime situazioni.
Avvicinaci al loro tugurio, al loro licenziamento, alla loro
infermità, alla loro solitudine;
però incarnando dinanzi ad ogni circostanza
le medesime attitudini e le medesime reazioni che vogliamo
vedere in loro.
Pero, non, non fidarti di noi.
Dona loro la tua grazia e il tuo amore.
Disfa, come se si trattasse di un pugno di neve, il freddo e
l’amarezza dei loro cuori.
Dona loro un significato al dolore. Consolali!
2
– Grazie, per concederci di poter piangere, Signore!
Signore! Non sono un “piagnone”, né il “lamento personificato”;
però ti ringrazio per … aver
permesso che soffrissi “la mia parte”,
e abbia permesso che soffrissi anche, la “parte degli
altri”.
Rimango atterrito ogni volta
che sento dire:
«Non piangere, bambino: gli
uomini non piangono!».
Perché, gli uomini non
piangono? E se gli uomini non piangono …
perché si chiama, questa
terra in cui viviamo, né più né meno che “Valle di lacrime”?
Che sarebbe di questo mondo
se nessuno piangesse?
Gli uomini e le donne che non
hanno pianto sono, secondo il poeta, “come Chiese non benedette”.
Ed aggiunge che le lacrime
che non si spargono
formano conche, che se un
giorno dovessero trasbordare, provocherebbero catastrofi irreparabili.
Io voglio piangere, Signore.
Io desidero ringraziarti per
il dono delle lacrime.
I sorrisi e le lacrime sono
come il lubrificante che c’invii affinché non si ossidi lo sguardo
dinanzi alla tanta gioia e
tanta pena che c’è in questo nostro mondo benedetto.
Che fredda una sepoltura
senza lacrime!
Un incontro e un addio, senza
lacrime!
Una pena, senza poterla
piangere!
Desidero piangere, Signore,
però, non per obbligo, né sciocca debolezza.
Desidero piangere,
ringraziando dei tuoi doni.
Desidero piangere il mio
peccato e quello dei miei fratelli.
Grazie, Signore, perché Tu stesso
hai provato “questa” debolezza; perché Tu stesso c’insegnasti a piangere;
perché provocasti le nostre
lacrime; perché c’insegnasti anche ad asciugarle.
3 – DI PROFESSIONE …
“CONSOLATORE”
Signore!
Ci sono senza dubbio molte
professioni nella comunità cristiana. San Paolo le chiamò “carismi”.
Come le membra del corpo,
hanno ognuna la propria funzione, e tutte cooperano alla salute complessiva,
così ogni carisma edifica e
consolida la Comunità ecclesiale.
Oggi ti chiediamo il dono, il
carisma di “sapere consolare”.
Sono molte le lacrime
che si devono asciugare in questi tempi.
Moltissime le tristezze da
mitigare. – Non poche le angustie da lenire–Troppe le solitudini da
condividere.
Ti preghiamo che invii uomini
e donne
che si siamo prima identificate con il profeta Isaia,
sino a dire con lui (61, 1-3):
«Lo Spirito del Signore è
sopra di me … per consolare tutti gli afflitti …, per dare loro un diadema
invece della cenere, olio di letizia invece di un abito da lutto, lode invece
di un animo mesto».
Chi consola si sente figlio
ed inviato del “Dio d’ogni consolazione”, il quale – come afferma san Paolo –:
«Ci solleva in tutte le nostre
difficoltà affinché possiamo, a nostra volta, consolare gli altri
con quella consolazione che
abbiamo ricevuto da Dio».
Questo tipo di persone sono
per noi il nostro “fazzoletto”, la Veronica che con un panno
asciuga il volto insanguinato di Gesù.
Ottimo mestiere, questo del consolatore! …
CONIUGA PER NOI, SIGNORE IL VERBO
“SOFFRIRE” …
–
Ricorda, figlio: O stai soffrendo. O hai sofferto. O soffrirai.
–
Non incolparmi del tuo dolore. Di solito è la tua libertà e quella degli
altri che te lo provocano.
–
Spiegabile o misterioso, che grande altoparlante di me è il dolore!
–
Dicono: «Il dolore esiste, quindi Dio no!». Piuttosto dì:
«Se esistono entrambi, che senso dovrà avere il dolore?».
–
Io non creai il dolore. Non divinizzarlo. Soffri come me: per
redimere, e affinché altri non soffrano.
– Tommaso credette solo quando poté porre le
dita nelle mie piaghe. Lascia che altri le mettano nelle tue.
– Tanto soffrirai, quanto amerai.
Tanto amerai, quanto sarai capace di soffrire.
–
La penitenza purifica, merita. Però... mortificati, soprattutto, per non
mortificare.
–
Non sarai libero, né utile, né felice, finché non supererai questa tua
paura di soffrire.
Alla
fin fine, tutto sarà come una «notte passata in un cattivo albergo».
a – Uomini:
figli della compassione
Christine
era una buona madre e un'ottima moglie, ma un triste e desolato giorno il suo
giovane marito morì. Un dolore immenso e rovente dilaniò la sua esistenza.
Niente riusciva ad attenuare la sua sofferenza.
Cercava invano brandelli di consolazione nei suoi bambini
che la fissavano smarriti. Come specchi, gli umidi occhioni gli rimandavano
l'immagine del loro papà tanto amato. Neanche più ricordava il tempo in cui
lavorava cantando. Il lavoro, come il pane, gli era diventato amaro e pesante.
Una sera, rannicchiata nel letto,
piangeva silenziosamente per non svegliare i bambini, quando gli apparve una
figura dolce e rassicurante, che la
prese per mano. Era la Vergine del Carmelo.
«Vieni con me, Christine»
– le disse. «Vieni con me: ti porterò al fiume della pace. Chiunque si
bagna nelle sue acque, troverà la consolazione che cerca». – Camminarono nella
notte per molto tempo.
Ad un certo punto, Christine iniziò a sentire il rumore
d’acque scroscianti. Un fiume immenso, dalle acque pure e trasparenti, scorreva
davanti a loro.
«Immergiti nel Fiume della Pace» – gli intimò la Vergine.
«Le sue acque scioglieranno la tua pena e la tua angoscia». Christine
s’immerse. Il suo corpo fu avvolto da un conforto pieno di vigore e serenità,
una pace balsamica che guariva le sue ferite.
Dopo quell'immersione salutare, Christine chiese alla
Madonna: «Da dove viene quest'acqua miracolosa?».
«Sono le lacrime del mondo» rispose la Vergine. «Tutte le
lacrime del mondo si raccolgono in questo fiume.
Lacrime amare: di paura, di dolore, di delusione, di
sconfitta, di rabbia. Ma anche le lacrime più dolci, quelle versate per amore,
per il ritorno di una persona cara, per uno scampato pericolo».
Christine udì i sospiri e i gemiti di
tutti coloro che avevano versato quelle lacrime, e comprese che anche le sue
lacrime erano ormai un unico pianto puro e indistinto, che scorreva nelle acque
di quel fiume.
Si sentì in comunione totale con tutto il dolore e la gioia
del mondo.
Fu in quel momento
che la Madre di Dio le parlò del dolore di suo Figlio. Christine sentì il
pianto di Cristo davanti alla tomba di Lazzaro, il pianto nel Getsemani, il suo
pianto ai piedi della croce.
Christine si ridestò di colpo: il cuscino
era ancora bagnato, ma una pace profonda si era impadronita di lei...
Non siamo figli del dolore, ma della
compassione
b
– Fiducia in Dio – nella sofferenza
C'erano una volta due coraggiosi
cavalieri. Avevano affrontato battaglie, avventure rischiose, e messo a
repentaglio la vita al soldo di molti signori.
Una sera, uno dei due, guardando il
sole che tramontava, disse: «Mi resta un'ultima impresa». «Che cosa?».
«Voglio salire sulla montagna dove
abita Dio». «Perché?».
«Voglio sapere perché ci carica di
pesi e fardelli gravosi per tutta la vita e continua a pretendere sempre di
più, invece, di alleggerire il nostro
carico, ogni tanto almeno!» – disse amaro il primo cavaliere.
«Verrò con te. Ma io penso che Dio
sappia quello che fa» – concluse l'altro.
Il viaggio fu lungo e faticoso. Giunsero al monte di Dio. Salivano in silenzio, accanto ai cavalli
perché il sentiero era ripido e tormentato.
Già s’intravedeva la sommità della montagna nella nebbia, quando una voce tuonò dall'alto: «Prendete con voi tutte le pietre che trovate sul sentiero!».
Già s’intravedeva la sommità della montagna nella nebbia, quando una voce tuonò dall'alto: «Prendete con voi tutte le pietre che trovate sul sentiero!».
«Lo vedi?» – protestò il primo
cavaliere – «È sempre la stessa storia! Dopo tutta questa fatica, Dio ci vuole
oberare ancora. Io non ci sto più al suo gioco!». E tornò indietro.
L'altro cavaliere, invece, fece quello
che la voce aveva ordinato. Ci mise molto tempo e la salita fu penosa. Ma
quando il primo raggio di sole del
giorno le sfiorò, le pietre ammassate sul cavallo e sulle braccia del cavaliere
brillarono di luce limpidissima. Si erano trasformate in splendidi diamanti
d’inestimabile valore.
Signore,
faccio più domande di quante ne fai tu. Credo che il rapporto sia di dieci ad
uno.
Io chiedo:
«Perché
permetti la sofferenza? Per quanto tempo dovrò sopportarla? Che scopo ha? Hai
dimenticato di essere misericordioso? Ti ho stancato? Ti ho offeso? Mi hai
rigettato? Dove ho perso la tua guida? Quando mi sono smarrito? Vedi la mia
totale disperazione?».
Tu
mi chiedi: «Hai
fiducia in me?».
-------------------------------------------
(Materiale complementare)
Salmo
125 – Salmo 136
La sofferenza consolida e
purifica la fede: 1 Pietro 1, 6-9. – Patire per i fratelli da frutti: 2 Corinzi
4, 15.
Dio ci consola affinché
possiamo consolare: 2 Corinzi 1, 3-6.
Gioia per le attenzioni del Padre: Giovanni 17, 13. S.
Giovanni della Croce: Salita II, 7, 5; Cantico 36, 1
Nessun commento:
Posta un commento