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[1] – BEATI I POVERI DI SPIRITO
«Beati coloro che scelgono di
essere poveri, perché hanno Dio per Re».
Sappiamo che il cammino di Gesù
verso la felicità passa per l' “amore”.
Però, a sua volta, all'amore si
giunge per mille cammini.
Nelle sue “Beatitudini”, Gesù
pone in risalto come per giungere ad amare, il primo cammino sia di essere
“poveri”. E allora noi...
Vediamo... Chi sono i poveri?
Non basta
consultare il dizionario per saperlo, né controllare il coefficiente della
“rendita pro capite”, perché se Luca parla semplicemente di “poveri”, Matteo,
secondo le diverse traduzioni, chiama “beati” ...
- “Coloro che scelgono di essere
poveri”,
- “I poveri di spirito”,
- “Coloro che sono coscienti di
essere poveri”,
- “Coloro che si sentono poveri
dinanzi a Dio”.
Tali sfumature complicano un po' la possibile
interpretazione circa i “poveri” che Gesù chiama “beati”.
Tuttavia, in qualcosa possiamo
concordare. Esiste una povertà “materiale”: quella di chi è privo del
necessario per vivere, dell'indigente e misero; e quell'altra di chi, pur
possedendo il fabbisogno, si sente un nulla dinanzi a Dio.
Quindi,
non c'è povertà nell'abbondanza; né dove esiste il superfluo. Neppure è povero
chi, al solo aprire la bocca, vede compiersi tutti i suoi capricci.
Non è, tuttavia, alla povertà
materiale che si riferisce Gesù. Una piaga sociale, un frutto del peccato com'é
l'indigenza, non potrà mai essere la piattaforma di nessuna beatitudine o
felicità.
Quando parla di “povero”,
Gesù va più in là del “mendicante”.
Rifacendosi
all'Antico Testamento, per san Matteo
–
i “poveri” sono gli umili, i semplici, coloro che non contano sui propri
mezzi per uscire da una triste
situazione e confidano completamente nella
Provvidenza divina che sanno non mancare mai;
–
sono coloro che, non avendo nulla di cui gloriarsi e in cui appoggiarsi, si
aprono alle promesse di Dio e vivono la
virtù della speranza. «Non c'è nulla tanto grande con la speranza del povero»,
recita un proverbio popolare.
–
“Poveri”, infine, dovrebbero essere, oggi, in questo senso, coloro che –
non vantando privilegi, non possedendo polizze di assicurazione, né rotondi
conti correnti, né stupide superbie e altre facciate dietro di cui trincerarsi
–, lungi dal rinchiudersi in se stessi, si aprono sempre più a ciò che Dio
chiede ed a ciò che di nostro possono aver bisogno gli altri.
“Ricco”,
invece, secondo il Vangelo, sarebbe l'opposto:
– chi crede di non aver bisogno
di Dio né del prossimo; [Fariseo e pubblicano]
– chi afferma di possedere tutto
ben stretto;
– chi non vede il senso di
aspettare "la beatitudine del regno di Dio", né ora, né mai, perché
tale benessere già sa fabbricarsela da solo quando lo voglia.
Approfondimento
Non siamo di fronte ad una
specie di consacrazione della povertà, quasi fosse una condizione ideali per
accogliere il regno di Dio. Sarebbe allora una legittimazione dell'ingiustizia
e dell'avidità umane, che vengono invece smascherate e condannate nei quattro
“guai a voi, ricchi” successivi.
E neppure si deve credere che
dipenda dal fatto che i povero siano moralmente migliori dei ricchi.
Non c'è nessuna condizione
sociale, e nessun merito da parte degli uomini che renda, di per sé, idonei al
regno. Questo è un dono gratuito di Dio, non conquista dell'uomo. Dio non è un
contabile.
In realtà, ciò che è in gioco,
nelle beatitudini, è l'idea stessa che ci si fa di Dio.
«Gesù
proclama che Dio ha deciso di stabilire il suo regno e di manifestare la sua
potenza regale. Chi trarrà profitto da questo nuovo stato di cose? I poveri,
gli oppressi, gli schiacciati. Se Dio è veramente un re degno di tal nome,
eserciterà il suo potere proprio in favore dei poveri, dei piccoli, e per i
poveri sarà un bene che Dio stesso si faccia loro protettore. Allora saranno
felici. Per i poveri si apre una speranza meravigliosa» (J. Dupon). Per cui la beatitudine si
potrebbe tradurre così: «Beati i
poveri, perché Dio è stanco di vederli soffrire, perché Dio ha deciso di
mostrare che vi ama».
Così bisogna evitare di
utilizzare la beatitudine in chiave di rassegnazione o, peggio, come pretesto
“religioso” per mantenere un ordine sociale ingiusto. Le beatitudini non devono
servire a schiacciare i poveri, ma a liberarli. La povertà resta un male contro
cui bisogna lottare senza tregua.
Il messaggio di Cristo non si
riassume nell'amore alla povertà, ma all'amore ai poveri.
L'ideale non è la povertà, ma l'amore
che si esprime nel gesto di condividere, nel trasformare i beni in sacramento
di fraternità. D'altra parte, saremo giudicati proprio sull'atteggiamento che
avremo adottato nei confronti di quelli che hanno fame, sete, sono senza
vestiti, senza casa, malati, prigionieri (Mt 25). «Quello che avrete fatto a costoro, l'avete fatto a me» –
dichiara Gesù.
MEDITIAMO...
Che
attitudine ci richiede tale beatitudine? La medesima di Maria,
all'Annunciazione.
“Povero” nel linguaggio biblico,
furono gli "anawin", coloro che, non possedendo nulla, ponevano tutta
la loro speranza nelle promesse di Dio. Maria fu l'ultima degli
"anawin", colei che semplicemente disse: «Sì!», giacché
nel povero comandano sempre i disegni di Dio. Maria non è colei che “fece”, ma
che “la-sciò che Dio compisse in lei cose
grandi” e che si convertì in piena “disponibilità” per il suo Dio e i suoi.
Questa dev'essere la nostra
“attitudine” per meritare la felicità che Gesù promette ai poveri di spirito.
Però..., per quale motivo
essere “poveri in spirito”?
* Prima di ogni altra considerazione,
ricordiamo la fondamentale: perché Gesù fu povero.
Dev'essere
sempre l'imitazione del Signore ciò che ci spinge ad essere ed a vivere poveri:
amiamo la povertà semplicemente perché Lui l'amò e come Lui
l'amò.
* San Paolo, nel suo cantico ai Filippesi (2,
5-8)
[«Cristo
Gesù, pur essendo per natura Dio, non stimò un bene irrinunciabile l'essere
uguale a Dio, ma annichilò se stesso prendendo la natura di servo, diventando
simile agli uomini, ed essendo uomo, si umiliò facendosi obbediente fino ala
morte, e alla morte di croce».],
descrive
la povertà di Gesù come annichilazione, svuotamento, alienazione della
sua condizione divina, come incarnazione ed obbedienza sino alla morte ed alla
morte di Croce.
Quindi,
se Lui, essendo ricco, si fece povero per amor nostro, è logico che io faccia
altrettanto.
* Dall'atra parte, essere povero secondo lo
stile di Gesù, comporterà per me rinunciare non soltanto a possibili
capricci, ma persino ai miei buoni desideri, diritti e piani personali.
Tutto ciò in onore ad una piena disponibilità ai disegni ed al volere di Dio.
* La povertà,
inoltre, è favorita di, e, a sua volta, genera non poche virtù.
Presuppone, infatti, una mortificazione costante, poiché significa dar la
morte, giorno per giorno, ad un'infinità di desideri, creando, in tal modo, spazi ogni volta
maggiori all'azione dello Spirito.
Di
fronte a ciò di cui abbiamo bisogno e che non teniamo, inizia a chiederci
pazienza e speranza.
Se
il Signore mi dice: «Esci dalla tua terra e dalla tua patria e vattene
in un paese che io ti mostrerò» (Gen, 12,1), Egli mi sta ponendo alla
prova la fede nuda e la mia speranza e confidenza in Lui; e, naturalmente,
l'amore, poiché la mia decisione si suppone gratuita e disinteressata.
* L'essere poveri secondo lo Spirito, conduce
ad una sequela di Cristo più pura e radicale... e verso una gioiosa libertà
di spirito. Povero è chi non ha nulla da perdere, se non le proprie catene.
* Infine,
“povertà e missione” sono, a loro volta, concetti che camminano insieme: «Andate.
Non portate né oro, né argento, né denari nella vostra cintura.
Neppure una bisaccia per il viaggio; né due
tuni-che, né sandali, né bastone» (Mt 10, 6-9).
Chiediamoci
– Come reagire di fronte ad una società che ha
fatto del superfluo una necessità?
– Che cosa pensiamo di una Chiesa che ancora
necessita di tanto denaro per evangelizzare?
– Come possiamo essere poveri, mentre in realtà
non manchiamo di nulla?
Iniziamo col far nostra l'
“opzione preferenziale per il povero e i poveri”.
L'amicizia e il tratto con la
povertà ed i poveri ci faranno capire il significato del "superfluo";
e da qui scopriremo il progetto di Dio su di noi e suoi "nostri beni
economici".
E
concludiamo con una certezza: la povertà evangelica è un "dono dello
Spirito". Una grazia che bisogna chiedere, come tutte, con umiltà,
con fiducia e perseveranza: un apprendistato che dobbiamo realizzare
giornalmente dalla mano del nostro Maestro e con l'esempio dei suoi più fedeli
seguaci.
Per
ciò stesso...
Preghiamo
"La povertà e le
povertà"
Signore, chiedere è il miglior modo di
riconoscere la propria povertà
di fronte a colui cui uno dirige
le sue suppliche.
Per questo ci accostiamo a Te –
Signore e Datore di ogni dono – con questa nostra fila di suppliche.
Ci
sappiamo creati a tua immagine;
però
siamo pure coscienti di essere peccatori, cioè, gente di "cattiva
immagine",
che potremo cambiare
soltanto rivestendoci di nuovo
dell'immagine del tuo Figlio.
Ma... per ricuperare tale
immagine,
dobbiamo realizzare nelle nostre
esistenze ciò che fu, per la Sua, il
"punto di partenza": Spogliarci!
La nostra prima supplica è
proprio per questo:
Dacci un cuore povero
che ci serva come
"Chilometro 0" della nostra rotta verso Te.
Liberaci
anche, Signore,
sia da una concezione
“materialistica”,
e sia da quella
“spiritualistica” della povertà.
La prima può degenerare in
“spettacolo”;
con la seconda possiamo correre
il pericolo
di credere che non siamo
attaccati a nulla, perché ... non ci manca nulla!
Donaci la grazia di vivere in
povertà
concreta, reale , visibile,
significante...
Altra
supplica, Signore: che non dimentichiamo
che c'é qualcosa di peggiore del
sostituire la fede e la fiducia in Te:
è il riporre la nostra
speranza e tranquillità nel denaro.
Ci riferiamo al cadere nella
mostruosità
di pensare che possiamo
estendere il tuo Regno a forza di denaro.
E
per ultimo, Signore,
ti preghiamo di sradicarci la
nostra impenitente tendenza di cercare “sicurezze”:
la sicurezza di una
"coscienza che si sente a posto",
la sicurezza di una legge
scrupolosamente adempiuta;
la sicurezza di alcuni principi
di una solidità provata,
e persino la sicurezza degli
stessi dogmi professati con molta fermezza ed a viso aperto.
Illudersi di possedere la
verità, è talvolta una sottilissima forma di ricchezza,
una prova che non è la verità a possederci.
Spogliaci dei nostri morbidi
cuscini di verità.
Preghiera di un “Abbandonato”
Signore, desidero essere un
“abbandonato”.
No, non voglio dire un
pelandrone, né un ignavo; e neppure un vagabondo ozioso.
Desidero essere soltanto un
cristiano,
uno di quelli che un giorno
hanno letto Matteo 6, 33, e presero sul serio quelle parole:
«Cercate prima il regno di Dio e
la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù».
Desidero
ripeterti, sereno, le parole del tuo Figlio e nostro fratello, Foucauld:
«Padre, mi pongo nelle tue mani.
Fai di me quello che desideri.
Avvenga ciò che vuole, ti
ringrazio,
purché si compi la tua volontà
in me e in tutte le creature.
Padre, non desidero niente
più...».
Però,
Signore,
quando agisco in questo modo,
coloro che mi sono attorno mi
chiamano: utopico, romantico, sognatore, insensato...
E io non sono nulla di tutto ciò,
Padre mio.
Da tuo Figlio ho appreso che «gli
uccelli del cielo né seminano, né mietono, né accumulano e,
tuttavia, Tu provvedi loro il
cibo» (Lc 12,
22).
Perché non dovresti aver cura di
me?
Perché devo tener tutto
programmato?
Perché non lasciarti spazio
affinché anche Tu possa operare?
Però
continuano a prendermi in giro:
Dicono che sto seguendo mode
ecologiche; o che, per comodità,
non voglio farmi carico
dell'angustia dei problemi e dei pesi che ogni giorno ci presenta.
E non è così, Padre mio; non è
proprio così!
Più che sfuggire dalla dura
realtà, ciò che faccio è lavorare, sì:
però, poi, affidarmi a Te, senza
condizioni.
Desidero essere povero!
Sembra
facile, sembra comodo,
e tuttavia, come costa tale
abbandono completo!
Necessito una fiducia illimitata
in Te.
Necessito non distrarmi da ciò
che è sostanziale: Tu.
Necessito recitare nell'anima e
tradurre nella mia vita quei versi di san Giovanni della Croce:
«L'anima
mia s'è data – tutti i miei beni sono a suo servizio;
non pascolo più la greggia, –
non ho più altra cura,
ché solo nell'amore è il mio esercizio» (Cantico 28)
Materiale complementare:
Sal 15: "Proteggimi, o Dio, mi
rifugio in Te". – Sal 22: "Il Signore è il mio Pastore".
Sal 26: “Il Signore è mia luce e mia
salvezza”.
Sofonia: 3, 11-13: “Dio mi renderà
povero, se glielo permetto”.
Isaia 61, 10-62: Cristo di compiace
della sua sposa povera e lei risponde.
San Giovanni della Croce: Salita II,
7, 15. Fiamma 3, 46; Cantico 28.
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