AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

lunedì 18 marzo 2019

TRINITÀ - Conferenza di Padre Claudio Truzzi OCD - parte quinta


5 – TRINITà – TUTTO PER AMOR NOSTRO


S. GIOVANNI DELLA CROCE – INNAMORATO DELLA SANTISSIMA TRINITÀ
Giovanni della Croce (1542-1591) è uno dei maggiori geni del cristianesimo. In questa genialità s’integrano la sua profonda vita teologale, i rapimenti ed esperienze mistiche, l’altezza, la profondità e l’armonia dei suoi versi ed altri elementi del suo talento umano che lo hanno posto nella Chiesa come un “sofferente” delle comunicazioni divine ineffabili; come uno che “patisce” (nel senso di ricevere) il divino, l’influsso divino, i raggi della Trinità.
Chi soffre di tale infermità superiore, sente che gli è impossibile spiegare convenientemente le sue esperienze, e al contempo si vede come forzato o condannato a parlare di ciò che ha sperimentato.
Attraverso le opere di Giovanni della Croce scorrono rivoli, fiumi, torrenti di vita e di dottrina che sfociano, a volte, impetuosi, in pagine traboccanti di profondità. Una di queste, di un insolito ardore e di una tenerezza indicibile, s’incontra nell’Annotazione alla canzone 27 a proposito di Dio Padre:
«In quest’unione interiore Dio si comunica all'anima con un amore così vero che non c'è affetto di madre che con tanta tenerezza accarezzi suo figlio, né amore fraterno né forma d’amicizia che vi si possa com-parare; perché a tanto giungono la tenerezza e la sincerità dell'amore, con il quale l'immenso Padre ricrea e solleva l'anima umile e amante (o cosa mirabile e degna d’ogni timore e ammirazione!) da sotto-mettersi veramente a lei, ed elevarla, come se Egli fosse il servo e lei il Signore. Ed è così sollecito a favorirla, come se Egli fosse lo schiavo, e lei Dio. Tanto profonda è l'umiltà e la dolcezza di Dio!» (CB 27, 1).
Ecco il Padre Celeste, capace di un amore autentico, più tenero di una madre, più amico di qualunque altro, umile e dolce, e sollecito a rendere l'uomo grande!
 Questo grande “paziente” del divino [Giovanni], oltre che ha viverlo, ha parlato e scritto molto sul mistero di Dio, Uno e Trino. Trapassato dal suddetto malessere di non poter esprimere tutto ciò che sentiva, nella vita normale e corrente si rifugiava nel silenzio riverente ed adorante, o versava la sua anima in giaculatorie che valgono molti libri. Ricordiamone soltanto un paio in cui, con le mani giunte in attitudine orante, esclama: «Oh che buon Dio abbiamo! Oh che buon Dio abbiamo!»...; e, in quest’altra più esplicita, gli si illuminavano gli occhi mentre esclamava: «Oh che beni e che gloria goderemo quando gioiremo della Santissima Trinità e della sua vista!».
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Oltre a tali confessioni viva voce, nei suoi scritti usa la parola Trinità 15 volte; 9 di esse le aggiunge al superlativo “Santissima”.  Per quanto si riferisce ai nomi delle Tre Persone Divine, usa il nome del Padre 131 volte; quello del Figlio 106 (cui bisogna aggiungere quello di “Figlio di Dio”, usato 89 volte); e infine nomina lo Spirito Santo 205 volte. Oltre a ciò, scrive la parola o il nome di Dio 4.356 volte. “Divinità”, l’impiega 48 volte.
Sotto il termine “Dio” racchiude “ciò che Dio è in sé”; e in questa formula, afferma, “s’include la rivelazione del mistero della Santissima Trinità e Unità di Dio” (“S 27,1), vale a dire, il mistero totale di Dio.
Un paio di volte scrive “Trino e Uno”.
Non bisogna dimentica tali dati per saper leggere esattamente sotto la semplice parola di “Dio2, tutto il mistero della Santissima Trinità. Per questo la sua formula preferita e usatissima “l’unione con Dio”, equivale, senza dubbio, all’unione con la Santissima Trinità, l’unione con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.
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Tale unione con le Tre Divine Persone inizia nel battesimo, giacché il battezzato è rigenerato dalle acque battesimali nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Lì si interra il seme che contiene in sé tutta la virtualità del futuro sviluppo, che può giungere a fiorire nello stato più perfetto di santità e d’unione con Dio che Giovanni conosce: il “matrimonio spirituale”: l’alleanza più perfetta di Dio con l’uomo e dell’uomo con Dio.
E Giovanni  si farà premura di precisare che «le persone della Santissima Trinità, padre e Figlio e Spirito Santo, sono loro che rendono possibile nell’anima questa divina opera dell’unione» (Fiamma 1 B 2,1).
Da qui ci rendiamo conto come tutto l’itinerario spirituale – che si va sgranando per la realtà dell’unione con Dio in azione progressiva –, è sotto l’azione della Trinità.
Fu senza dubbio la mano della mamma Caterina àlvarez che mosse la manina di Giovanni de Yepes, insegnandogli a fare il segno della Croce nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; e certamente quel piccolino tante volte tracciò questo segno distintivo del cristiano, lui che nel farsi Carmelitano scalzo l’adotterà come cognome: Giovanni della Croce.
Il poeta, il mistico, il santo qual è Giovanni della Croce, nella sua vita appare come sommamente favorito da esperienze superiori e un gran devoto del mistero trinitario. Bisogna considerarlo come un uomo che vive sotto l’influsso e l’onda della Santissima Trinità. Possiamo esser certi che nelle pagine dei suoi libri ha mesciuto non poche delle sue esperienze trinitarie, così come esperienze altrui, per esempio quelle di S. Teresa d’Avila.
Chi lo conobbe da presso ha potuto testimoniare sull’aspetto trinitario della sua spiritualità personale. Una sequenza di testimoni degni di fede lo descrivono come un’anima trinitaria di grande profondità.
  Maria della Croce (Machuca), professa fra le Scalze di Granada e poi fondatrice a ùbeda, afferma: «Fra i misteri che a questa testimone sembra che [fra Giovanni] coltivasse grande era l’amore verso quello della SS. Trinità e pure verso quello del Figlio di Dio incarnato, poiché lo vidi celebrare molte volte la Messa della SS. Trinità. Questa testimone gli chiese come mai celebrasse tante volte la messa della SS. Trinità, e lui le rispose con grazia: «La stimo il maggior santo del cielo!». In un’altra dichiarazione, la medesima precisa che Giovanni celebrava queste messe votive «particolarmente quando arrivava da un viaggio».
• Anna di sant’Alberto – carmelitana scalze e priora di Caravaca – dichiara: «Affermava che l’ordinaria presenza che aveva di Dio nostro Signore trascinava la sua anima dentro la Santissima Trinità, e che in compagnia di quel mistero delle tre Divine Persone la sua anima si trovava molto bene».
In altra occasione la medesima monaca racconta. «Una volta [fra Giovanni] disse a questa testimone che Dio comunicava alla sua anima il mistero della Santissima Trinità in tale maniera che se nostro Signore non intervenisse con un celeste aiuto particolare, gli sarebbe impossibile vivere».
Francesca della Madre di Dio — monaca scalza di Beas de Segura — riferisce che il Santo, una volta, dopo aver celebrato la messa della Santissima Trinità chiamò una religiosa del monastero molto devota a questo mistero e le disse: «Oh figlia, come la ringrazio, e la ringrazierò per tutta la vita per aver chiesto al Signore ce mi facesse celebrare la messa della Santissima Trinità, perché oggi la celebrai e mi fece una grandissima grazia. Infatti, al momento della consacrazione mi si mostrarono tutte le Tre Persone in una nube risplendente. Oh sorella, di quali beni e di che gloria tanto penetrante saremo inondati, allorché goderemo della Santissima Trinità e della sua vista!».

IL PIANO DI DIO NASCOSTO NEI SECOLI:  NOI!!!!
Chiuso nel carcere di Toledo, fra Giovanni scrive il suo più lungo componimento poetico: una romanza di 310 versi. Si tratta di una meditazione da mistico sull’intera storia della salvezza: come agisce il Padre Celeste, nel suo progetto di creazione dell’universo e dell’uomo, della salvezza, della Chiesa, di tutto il bene della futura umanità?  Giovanni riempie di queste riflessioni le ore interminabili della carcere tra il 1577 e il 1578.
* Cercandone la sorgente, il poeta e mistico inizia a descrivere la vita intima di Dio:
In principio era il Verbo – ed aveva in Dio sua vita
ed in Lui, la sua infinita – possedea felicità. (…)
La gloria del Figlio – è la stessa che è nel Padre
e tutta la propria gloria – il Padre nel Figlio possiede.
Per tal causa, infinito – è l’amore che le unisce [Persone divine],
perché unico è l’amore – che i Tre hanno, loro essenza,
ché l’amor quanto più è uno, – tanto più amor produce».
Il Padre e il Figlio, uniti dall'amore immenso che procede dai due, ossia, lo Spirito Santo, dialogano tra loro e il Padre va già dando consegne su come amare e comportarsi in futuro con gli uomini. Da notare la dolcezza del dialogo. Nelle parole del Padre traspare quasi la trepidazione che il Figlio non si equivochi su ciò che egli sta per proporgli: Lui non deve dubitare dell’amore unico del Padre suo e come la sua presenza gli sia più che sufficiente:
«Di niente mi compiaccio, Figlio, – se non di tua compagnia;
se qualcosa mi contenta – in te stesso io la amo:
quei che più a te somiglia – tanto più mi rallegra,
quei che niente in te somiglia – in me, mai nulla trova.
In te solo io mi compiaccio – vita della vita mia». (…)
Perché non dare – per così dire – uno sfogo a tanto amore e farne partecipi altri esseri?  Ecco il progetto della creazione: un atto d’amore. Un amore che è il prolungamento dell’amore verso il Figlio!
«A chi ti amasse, o Figlio, – me stesso io darei,
e l’amore che in te ho posto, – quello stesso in lui porrei,
in ragion dell’amore che ha portato – a colui che tanto amo.
 “Una sposa che ti ami, – Figlio mio, voglio donarti,
che per tua grazia meriti  – di stare in nostra compagnia,
affinché conosca i beni – che io possiedo in tale Figlio,
e con me si congratuli – di tua grazia e leggiadria».
Stupenda la descrizione della creazione: sposa del Figlio!|
Non dirà, poi, il Verbo fatto carne, Cristo: «Tu non hai voluto né sacrifici, né olocausti. Eccomi per fare, o Padre, la tua volontà»? E la volontà del Padre è che l’uomo lo conosca e amandolo goda della medesima felicità di Dio. Giovanni così immagina la risposta del Figlio-Verbo:
«Lo gradisco molto, Padre, –  il Figliolo gli risponde -,
alla sposa da te data, donerò il mio splendore,
affinché per esso veda – quanto vale il Padre mio
che ho, e come l’esser mio – da tal Padre io possiedo.
Sul mio braccio appoggiata – arderà nell’amor Tuo
ed in un diletto eterno – tua eccellenza esalterà». (versi 71-76).
In questi versi traspare la tenerezza del Figlio, che immagina il futuro rapporto d’amore con la sua “sposa”, con noi! Come non ricordare le parole del biblico Cantico dei Cantici, in cui è descritta la relazione fra Dio e il suo Popolo Israele come vicendevole innamoramento?
** Dal progetto e dal dialogo si passa all'azione. Giovanni attribuisce, con tutta la teologia, la creazione al Padre.
 «Facciamo – disse il Padre –-, ciò che merita il tuo amore».
Mentre dice tale frase tutto il mondo sorge creato,
un palazzo per la sposa con sapienza edificato». (…)
Giovanni da poeta e mistico rende così un concetto a lui caro, che spiega in termini teologici nel suo commento alla strofa 5, 1, 4 del Cantico spirituale:
«Dio ha creato tutte le cose … abbellendole d'innumerevoli grazie e virtù, in stretta dipendenza le une dalle altre, operando tutto questo per mezzo della sua Sapienza, che è il Verbo Figlio. (…)
Dio con la sola immagine di suo Figlio guardò tutte le cose. (…) E guardandole comunicò loro l’essere e le grazie naturali; ma con quest’immagine di suo Figlio le lasciò rivestite di bellezza, comunicando loro l’essere soprannaturale.
Ciò accadde quando Egli si fece uomo, innalzando questo alla bellezza di Dio».
Due sono i piani della creazione, gli angeli e gli uomini.
– I primi, gli angeli, già possiedono tale Sposo in gioia piena.
– I mortali, invece, solo in speranza di fede, che nel cuore li assicura che Egli un giorno li risolleverà dalla miseria in cui caduti. Egli, infatti, si farà in tutto somigliante a loro, e verrà da loro e con loro abiterà.
Da notare: il mondo materiale, nella sua meraviglia, non è altro che il palazzo della sposa! Se così bella è la creazione – tanto da far compiacere Dio stesso: alla fine d’ogni giorno della creazione il commento è: «E vide che erano molto buone»! –, quanto non saremo noi, le sue creature, per le quali ha creato tale “palazzo”?
* Per mezzo dei profeti, i progetti e i dialoghi intra-trinitari si trasmettono, lungo i secoli, agli uomini, che necessitano di salvezza. Questi, con la preghiera, con sospiri, con lacrime e con gemiti lo pregavano incessantemente che si deci-desse a rendersi presente fra loro.
L’un diceva: «O se fosse – ai miei tempi tanta gioia.
L’altro: «Orsù, dunque, Signore, – il tuo messaggero invia!».
Altri poi: «O  si aprissero – gli alti cieli e ti vedessi
giù discender coi miei occhi, – il mio pianto cesserebbe!
Piovete, o nubi, dall’alto – Colui che la terra brama,
e si apra ormai la terra, – che già spine produceva,
e quel fior faccia spuntare – di che essa fiorirà!».
Altri poi: «Fortunato chi a quel tempo esisterà,
e con gli occhi suoi umani – veder Dio meriterà,
e toccano con le mani – e stare insieme a Lui
e godere dei misteri – che allora ordinerà!».
In queste e altre preghiere passano i secoli; ma, verso gli ultimi anni, il fervore si fa più intenso. Il vecchio Simeone, prega che gli sia permesso di vedere quel gran giorno, e gli è promesso che non morirà finché non avrà preso fra le braccia e stretto al petto Dio stesso.
** Quando giunge la pienezza dei tempi – direbbe s. Paolo –, il tempo del “riscatto della sposa, il Padre fa al Figlio una nuova proposta: quella di farsi uomo, che si “umanizzi”.
Siamo sempre sul piano dell’amore. Affinché esista perfetto amore, ci dev’essere perfetta parità. Ebbene, al Figlio per essere come la sposa manca qualcosa: la carne! Diventato uomo, egli potrà renderla divina. Ci sarà allora perfetta somiglianza!
            «Figlio, vedi la tua sposa – a tua immagine formata (…)
nella carne solo è diversa, – di cui è privo l’essere tuo.
Or nell’amore perfetto – questa legge si richiede:
che perfetta somiglianza – tra l’amante sia e l’amato,
quanto più questa è perfetta – tanto più sarà il diletto.
Tal diletto nella sposa – Tua, molto crescerebbe
se a sé simil ti vedesse – anche nella carne umana».
«Mio è sempre il tuo volere – il Figliolo allor risponde –
e la gloria di cui godo – è che il tuo sia mio voler.
Perciò anch’io convengo, – o Padre, totalmente al tuo volere,
persuaso che in tal modo – tua bontà si manifesti
e risplenda il tuo potere, – tua giustizia e tua sapienza;
ciò andrò a dire al mondo – e così apparirà
la bellezza, la dolcezza – tua e la sovranità.
Andrò in cerca della sposa, – ed io stesso prenderò
le sue pene e i suoi travagli – che la fan tanto soffrire.
E affinché ella abbia la vita – io per lei mi immolerò,
e, togliendola all’abisso, – a te, Dio, la volgerò».
* La conseguenza di tale amore divino per noi?
Dio, così, uomo sarà, – l’uomo, Dio diventerà,
coi mortali converserà, – mangerà e berrà;
E con lor continuamente – Egli stesso rimarrà
fino a che non avrà fine – questo secolo che passa,
allorché godranno insieme, – poiché Egli è il vero capo
della sua sposa diletta (…)
Egli poi teneramente – l’alzerà sulle sue braccia – e il suo amore le darà.
Così uniti, tutti in uno, – al Padre suo la eleverà,
dove lei, del diletto – di Dio stesso, goderà.
Come il Padre e il Figlio e quello – che procede da loro due [Spirito Santo],
l’un nell’altro ha la sua vita, – così avverrà alla sposa,
che tutta assorta in Dio, – vivrà vita divina. (…)
**  Dall'accordo di entrambi si passa all’esecuzione.
Il Padre chiama allora un arcangelo, Gabriele, e lo invia ad una fanciulla, Maria.
Sarà sufficiente, e necessario il suo assenso affinché il gran mistero si compia. In lei il Verbo riveste di carne la Trinità.

Giunto è il tempo fortunato – in cui nascer Egli deve,
il Signor, come uno sposo – dal suo talamo se n’esce,
stretto forte alla sua sposa – che a braccio Egli conduce.
La dolcissima sua Madre – giù lo adagia sul presepio
in mezzo ad alcuni animali – che ivi si trovano.
L’uomo lieto innalza i carmi, – l’Angel sacra melodia,
festeggiando gli sponsali – avvenuti tra quei due.
Dio, però, nel suo presepe – geme, e grosse lacrime versa,
son gioielli che la sposa – per lo sposalizio porta.
Stupefatta è la sua Madre – dello scambio che essa vede:
pianto umano scorge in Dio, – e nell’uomo gioia piena,
di cui l’uno e l’altro alieno – per natura essere soleva.
Soltanto un mistico innamorato poteva racchiudere in poche parole e l’abbassamento di Dio che prende su di sé la nostra misera situazione: Dio che geme nel presepio e versa grosse lacrime (“pianto umano vede in Dio!) e la rinascita dell’uomo che ritrova la felicità, il senso del vivere  (“nell’uomo gioia piena”).
E Colui che solo il Padre – fino ad ora avea,
una Madre quindi acquista, – in modo nuovo concepito e strabiliante,
che da lei sola nell’intimo – la sua carne ha ricevuto
per cui, vero Figlio di Dio – e dell’uomo Egli può dirsi.
La madre, Maria, è muta per lo stupore dinanzi a ciò che ha vissuto in se stessa ed ora contemplano i suoi occhi. Ella lo va meditando in quel suo cuore della più grande contemplativa della storia. E lo lascia in eredità a noi.



S. EDITH STEIN – Pensieri trinitari
*  La vita divina che si sviluppa nell’anima non può essere altro che la vita trinitaria. L’anima si dona alla volontà paterna di Dio che genera, per così dire, nuovamente il Figlio. L’anima si fa tutt’uno col Figlio e vorrebbe scomparire con lui, affinché il padre non veda nient’altro che il Figlio. E lo stesso si fa tutt’uno con lo Spirito Santo e diventa effusione d’amore divino.
* Spirito Santo, vita divina, amore divino equivale a questo: chi fa la volontà di Dio, questi conosce Dio e lo ama. Infatti, nel momento in cui facciamo con dedizione interiore ciò che Dio richiede, la vita divina diventa  nostra vita. Dio si trova in noi stessi.
*  È difficile vivere fuori del convento e senza il Santissimo; ma Dio è in noi con tutta la Trinità. Se nell’intimo del nostro cuore abbiamo costruito una cella ben protetta in cui ci ritiriamo il più spesso possibile, non ci mancherà mai, dovunque ci troveremo.
*  La preghiera “sacerdotale” del Salvatore svela il mistero della vita interiore: l’intima unità delle Persone divine e l’inabitazione di Dio nell’anima. In queste segrete profondità, nel nascondimento e nel silenzio, si è preparata e compiuta l’opera della Redenzione, e così sarà sino alla fine dei tempi, fino al momento in cui tutti saranno veramente una sola cosa in Dio.


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