Esodo 3, 1-15
Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame
oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. 2 L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco
dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava.3 Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non
brucia?». 4 Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!».
Rispose: «Eccomi!». 5 Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale
tu stai è suolo santo!». 6 E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di
Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio.
7 Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei
suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. 8 Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo
salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il
luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. 9 Ecco, il grido degli
Israeliti è arrivato no a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. 10 Perciò va’! Io ti mando
dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». 11 Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare
dal faraone e far uscire gli Israeliti dall’Egitto?». 12 Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il segno
che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte».
13 Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: «Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a
voi». Mi diranno: «Qual è il suo nome?». E io che cosa risponderò loro?». 14 Dio disse a Mosè: «Io sono
colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: «Io-Sono mi ha mandato a voi»». 15 Dio disse ancora
a Mosè: «Dirai agli Israeliti: «Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi». Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato
di generazione in generazione.
III settimana
1. Commento
Visibilità e invisibilità
“Vedere Dio ... Il racconto biblico di Mosè ruota
intorno a queste due parole ... Mosè ha visto
Dio, o no?” (P. Beauchamp, Cinquanta ritratti
biblici, Cittadella, 20042 p. 75). I solo primi 6
versetti contengono 8 parole relative al vedere.
Il racconto della chiamata e della missione (7-
9) insiste ancora su Dio che “vede” (versetti 7
e 9) l’oppressione degli Egiziani. La missione di
Mosè sarà di annunciare la visione (versetto 16):
“Va’! Riunisci gli anziani d’Israele e di’ loro: «Il
Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, di
Isacco e di Giacobbe, mi è apparso”. L’angelo
del Signore, che non è descritto, si fa vedere da
Mosè ma è il Signore stesso che parla alle sue
orecchie. Tutto il racconto seguente vedrà Dio
e Mosè che si parlano faccia a faccia. Ma, all’inizio, per mettere in scena il Dio che appare, c’è
bisogna di un mediatore. Il mediatore di questa
visione è “l’angelo del Signore”. L’angelo è una figura che rivela e al tempo stesso nasconde,
che manifesta la presenza divina senza negarne
l’invisibilità. . Risveglia la nostalgia per il mondo
divino che rimane al di là della visibilità, secondo
le parole di Dionigi l’Areopagita: “Nessuno non
ha mai visto e nessuno mai vedrà il segreto di
Dio nella sua essenza”, (Gerarchia celeste, IV,3).
Il portico per entrarvi è la scena del roveto ardente, la figura angelica educa lo sguardo del
lettore, accendendo il desiderio di vedere Dio, e
rivelandogli al contempo che questo Dio rimane
profondamente celato al nostro sguardo.
La localizzazione della visione
Dio si rivela a Mosè nell’immagine di un fuoco.
Mosè vede qualche cosa di contrastante: un roveto che arde ma che non si consuma. Un roveto
ardente non è nulla di straordinario. La meraviglia di Mosè nasce dalla contraddizione: un roveto che arde e non arde. Il roveto ardeva per il
fuoco ma non si consumava (v. 2). Mosè semplicemente il fuoco. Il Signore non è la fiamma, è
nella fiamma, invisibile nel visibile, e da questo
stato segreto passa ad uno stato vero, quando
gli rivolge la parola per chiamarlo per nome.
Roveto e fuoco sono sacralizzati formando “una fiamma divina” come è scritto nel Cantico dei
Cantici (8,6). “Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la
morte è l’amore, tenace come il regno dei morti
è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco,
una fiamma divina!” Mosè “vede”, ma ciò che
vede apre il sentiero del “cuore”: si parlano e ciò
implica la volontà e il desiderio. Mosè desidera
vedere. Il suo pensiero matura in decisione. Per
questo si avvicina ma la voce gli proibisce di farlo.
L’esperienza del limite del vedere è espressa dal
gesto di coprirsi il volto. L’uomo non può guar-
dare Dio, ma Dio si fa vedere da lui.
La vocazione e la missione di Mosè
Se la visione provoca la distanza, la parola al
contrario introduce il dialogo, che tende a col-
mare la distanza. Mosè vede il fuoco ma non
riconosce la presenza del Signore sino a quando
non ascolta la sua voce. Dio chiama, Mosè risponde. Il volto è coperto ma la parola diventa
dialogo. Non si può vedere Dio ma si può ascoltarlo. San Gregorio di Nissa commenta: “Un
giorno, in pieno meriggio, fu colpito da una luce
così intensa che superava quella del sole e quasi
lo accecò. L’insolito fenomeno, pur avendolo
sbalordito, non gli impedì di levare gli occhi
verso la cima del monte, dove vide un chiarore
di fuoco attorno a un cespuglio, i cui rami però
continuavano a restare verdi anche in mezzo
alle fiamme come se fossero coperti di rugiada.
A quella vista Mosè esclamò: «Andrò a vedere
questa grande visione» (Es 3,3) e mentre pro-
nunziava queste parole avvertì che il chiarore del
fuoco raggiungeva contemporaneamente e in-
credibilmente tanto i suoi occhi come il suo udito” (Vita di Mosè I, 20). Dio si fa conoscere mediante la parola come il Dio dei padri. È la parola
che svela progressivamente il progetto divino di
liberazione. Mosè è chiamato ad ascoltare il suo
Dio, più che a vederlo: l’ascolto chiede attenzione. Posso guardare pensando ad altro. L’as-
colto esige invece che tutto converga nell’unità
di questo sforzo di attenzione e di apertura.
Dio ha visto l’oppressione del suo popolo: “Ho osservato la miseria del mio popolo
(3,7.9). Esiste uno stretto legame di causa ed
effetto tra i versetti 9 e 10. La causa è ciò che Dio
ha visto, l’effetto è la missione di Mosè: “Ecco, il
grido degli Israeliti è arrivato no a me ...” (3,9).
Per la prima volta, Dio gli presenta il contenuto
della sua missione: “Perciò va’! Io ti mando dal
faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli
Israeliti!” (3,10). Ma Mosè risponde subito con
un’obiezione: “Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli Israeliti dall’Egitto? (3,11).
Dio risponde alla prima obiezione: “Io sarò
con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho
mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte”
(3,12). Ma la parola è soprattutto il tramite della
più grande rivelazione: il Nome divino al versetto 14.
La rivelazione del Nome divino
“Il nome divino è allora rivelato sotto due forme;
«Egli è», la terza persona di un verbo; la si scrive
YHWH. Ma non è così che Dio lo rivela prima di
tutto a Mosè (Es 3,14). «Io sono colui che sono (o
che sarò)». Dio anticipa così la prima parola del
Decalogo: «o sono YHWH che ti ha fatto uscire
dal paese d’Egitto». Dio «declina» il suo nome
declinando il verbo essere. Poiché la rivelazione
non consiste solamente in questo verbo essere,
ma primariamente nel soggetto: Dio dice «Io».
Mancando «Io», «essere» si cancella. Dire «Io»,
è parlare. Dio si rivela come Colui nel quale
essere e parlare fanno un tutto [...] Dalla stessa
fonte, Mosè ha visto la Vita nel roveto ardente e
ascoltato la Parola”. (P. Beauchamp, ibidem p.
77) L’ultimo versetto (v.15) del nostro racconto
riassume tutti i nomi divini: Élohim, YHWH, il Dio
dei Padri, il Dio di Abramo, di Isacco e di Gia-
cobbe. La seconda parte del versetto è un’esclamazione liturgica, parallela a quanto leggiamo
nel Salmo 134,13: “Signore, il tuo nome è per
sempre; Signore, il tuo ricordo di generazione
in generazione”. Il libro dell’Apocalisse prova
molto probabilmente a tradurre questi aspetti
quando presenta Dio con questa triplice formula: “Colui che è, che era e che viene” (Ap 1,4).
Esercizio spirituale:
“Crederete che IO SONO” (Gv 13,19)
Nella preghiera di questa domenica, riconosciamo nel Signore “la fonte di ogni bontà” e di
“tutta la misericordia”. Domandiamo la grazia di capire meglio qual è l’iniziativa divina nella
nostra vita. Seguiamo il consiglio di san Giovanni della Croce: “In primo luogo bisogna sapere
che se l’anima cerca Dio, ancor di più il suo Amato cerca lei. [...] In questa opera Dio è l’agente
principale” (Fiamma d’amore viva 3, 28-2
Lettera a Roman Ingarden dell’8 novembre 1927 (LEV, 2001)
Contesto: Questa lettera segue a quella presentata nella II settimana. Edith Stein e Roman
Ingarden, che si erano conosciuti al tempo degli studi a Gottinga, si rincontrano, dopo più di
dieci anni, alla ne di ottobre 1927 a Spira. Edith ricorda il loro rincontro.
“Caro Signor lngarden,
appena ho avuto un po’ di tempo libero, l’ho utilizzato per scriverLe. Volevo farlo subito dopo
il ritorno da Bergzabern perché sentivo che quanto Le avevo detto era molto frammentario,
così scialbo e smorto a confronto con la realtà che ha alle spalle. [...] Lei vuole sapere quale
impressione ho avuto dal nostro incontro: credo che si sia svolto tanto bene che meglio non
ci si poteva aspettare. È già tanto se, dopo dieci anni che non ci vediamo e dopo un’esistenza
vissuta in situazioni così diverse, si possa parlare liberamente e chiaramente. A dire il vero non
mi aspettavo altro. Credo persino che ci siamo intesi meglio di come succedeva a Friburgo.
Inoltre, mi sembra che allora eravamo troppo occupati con noi stessi per guardare l’altro nella
maniera giusta. Mi ha resa molto felice il fatto che da un punto di vista religioso siano emersi
più punti di contatto di quanto le Sue lettere lasciassero prevedere. Per quanto qualche volta
già mi ero detta che in Lei tradizione ed educazione cattolica non potevano essere scomparse
senza lasciare alcuna traccia. E non mi meraviglia affatto che la mia crescita all’interno del
mondo cattolico per Lei non sia altro che un avvicinamento. Non so se i libri La possano aiu-
tare a comprendere meglio la via da me intrapresa. [...] Non so se questo per Lei possa essere
troppo. Penso che per prima cosa, dovrebbe servirsi della via intellettuale per giungere no
ai confini della ratio e con ciò giungere alle porte del mistero. [...] Era evidente che non intendevo presentarLe il mio cammino come il cammino. Fondamentalmente penso che siano tante
le strade che portano a Roma, come le teste ed i cuori degli uomini. Forse descrivendo la via
da me intrapresa ho maltrattato troppo l’aspetto intellettuale. Nel lungo periodo di preparazione esso ha contribuito in modo sicuramente determinante. E tuttavia sono consapevole che
decisivi sono stati gli avvenimenti reali, non il «sentimento», unito all’immagine concreta di un
cristianesimo autentico attraverso testimonianze eloquenti (Agostino, Francesco, Teresa). Ma
come posso in poche parole darLe un’immagine di quegli « avvenimenti reali»? È un mondo
infinito, che si apre come qualcosa di totalmente nuovo, se si inizia almeno per una volta a
vivere interiormente, anziché esteriormente. Tutte le realtà, con cui prima si aveva a che fare,
diventano trasparenti e si iniziano a sentire in maniera autentica le forze che sostengono e
muovono tutto. Come appaiono insignificanti i conflitti con i quali ci si scontrava in passato! E
quale pienezza di vita, ottenuta con sofferenza e gioia, che il mondo terreno non conosce né
può conoscere, contiene un solo giorno, così insignificante dall’esterno, di un’esistenza umana
semplicissima! Ed è strano vivere, come uno di loro, tra persone che vedono soltanto la superficie, senza immaginare o notare tutto quello che gli altri hanno in sé ed intorno a sé. Rimane
di stucco dinanzi a queste cose misteriose? Allora non si arrabbi con me, è mia intenzione, se
lo desidera, ritornare sul terreno della ratio, dove si sente a casa; non ne ho dimenticato del
tutto l’utilizzo, e la stimo - nei suoi limiti - persino più di prima”.
(Lettere a Roman Ingarden, p. 257-259)
Ri essione
Partendo dal racconto di Mosè, posso ri ettere sul mio atteggiamento verso il mistero di Dio.
Quale incontro con il Signore è stata per me una rivelazione? Con quale/i Nome/i e con quale
titolo mi rivolgo a Dio nella mia preghiera personale?
3. Pregare ogni giorno della settimana con Edith Stein
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Lunedì 25 marzo – Annunciazione: imparare la giusta obbedienza
“Entrando da lei, disse: ««Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te»». (Lc 1, 28) “La Vergine praticava questa perfetta obbedienza (a Dio), visto che si chiamava l’an- cella del Signore, e lo era realmente, mettendo a disposizione del Signore tutte le sue forze per servirlo” (Scritti spirituali). L’obbedienza gode di cattiva stampa. Devo sempre discernere oggettivamente, visto che raramente ho un angelo di fronte a me. Ma una volta che l’angelo lascia Maria, ella prende l’iniziativa di andare in soccorso alla sua anziana cugina. La vera obbedienza dona il gusto dell’iniziativa, del piccolo “di più” nel servizio di Dio e del prossimo ... |
Martedì 26 marzo: un amore senza frontiere
“Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: «Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?” (Mt 18, 32-33) “L’amore di Cristo non conosce con ni, non viene mai meno, non si ritrae di fronte all’abiezione morale e fisica. Cristo è venuto per i peccatori e non per i giusti. E se il suo amore vive in noi, allora agiamo come lui e andiamo dietro alla pecorella smarrita” (Il mistero del Natale). Gesù ci mette difronte ad una esigenze divina, talvolta impossibile ai nostri occhi. Non facciamoci ingannare: è lo Spirito di Cristo, l’Amore di Cristo in noi che può renderci capaci di amare senza limiti. |
Mercoledì 27 marzo: la casa di Dio
“Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento” (Mt 5, 17). “Al posto del tempio di Salomone, Cristo ha edificato un tempio di pietre vive, la comunione dei santi” (La preghiera della Chiesa). Tutta la Parola di Dio mostra che il Signore è alla ricerca di un luogo dove il suo Spirito, il suo Amore possa riposare (Gen 1). Dal Tempio di Gerusalemme sino al Cuore di Gesù, che è il luogo perfetto dove riposa lo Spirito. Uniti a Lui, formiamo il Tempio annunciato, la comunione dei santi (Ap 21). In Lui, con noi in Lui, tutto è compiuto. |
Giovedì 28 marzo: rispondere a Dio
«Non indurite il cuore come a Merìba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere” (Sal 94). “In ogni essere umano vi è un ambito che è libero da ogni vincolo terreno, che non proviene da altri uomini e non è definito da altri uomini. In tale ambito egli è solo dinanzi a Dio. È il punto più intimo dell’anima, l’io assolutamente individuale e libero, l’io personale (La struttura della persona umana). Sono difronte a Dio e devo dargli risposta. Non solamente con la parola ma con le mie azioni. Mi prendo un breve tempo di solitudine per mettermi davanti a Lui. |
Venerdì 29 marzo: il comandamento dell’amore
“Non sei lontano dal regno di Dio” (Mc 12, 34). “Tutta la dottrina di Gesù può essere interpretata come una esegesi dei comandamenti e delle prescrizioni del comandamento dell’amore. (Formazione della gioventù alla luce della fede cattolica). Amore di Dio e amore del prossimo fanno tutt’uno. Se vedo doppio, ho dunque un problema di vista! Che cosa posso fare oggi per amare il mio prossimo? |
Sabato 30 marzo: siamo lucidi!
“Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: «O Dio, ti ringrazio perché non sono come
gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano ” (Lc 18, 11)
“C’è una ragione per cui Dio si compiace solo dell’amore: tutte le nostre opere e i nostri sforzi sono nulla ai suoi occhi. Non possiamo dargli niente, non ha bisogno di niente e non chiede niente. Vuole solo una cosa: l’amore” (Scientia crucis) Spesso siamo farisei che vogliono servire Dio ... ed averne gloria ... Possiamo farlo ammirando sempre di più il bene che fanno gli altri, pubblici peccatori o meno ... |
Quaresima 2019 – In cammino verso la Pasqua con
Edith Stein
III settimana - SUPPLEMENTO: una riflessione filosofica
Il nome col quale Dio stesso si è definito: «Io sono colui che sono»
“Quasi non si osa chiarire queste parole con altre. Tuttavia, se l’interpretazione agostiniana è esatta, si può dedurre: colui il cui nome è «Io sono» è l’essere in persona. Che il cosiddetto Primo ente debba essere persona, si può già dedurre da quanto si è già detto: solo una persona può creare, cioè tradurre in esistenza il suo volere. [...]
Il nome, con cui ogni persona definisce se stessa, è «Io». «Io» può definirsi solo un ente che nel suo essere è interno al suo proprio essere e, nello stesso tempo, al suo essere distinto dagli altri enti. Ogni Io è unico, ha qualcosa che non divide con nessun altro ente, qualcosa di «incomunicabile» [...].
Ogni uomo è un «Io». Ognuno incomincia a chiamarsi «Io». In questo è sottinteso che anche il suo «Essere Io» ha un inizio. Può darsi che egli pronuncia la parola «Io», prima ancora di possederne il significato completo. [...] L’inizio della vita cosciente dell’Io non coincide con l’inizio dell’essere reale umano [...].
Il suo essere è bisognoso e per se stesso è nulla: è vuoto, se non viene riempito e se non riceve contenuti da mondi situati «al di là» del suo dominio, quello «esterno» e quello «interno». E la sua stessa vita viene dall’oscurità e si dirige verso l’oscurità, ha dei vuoti che non possono essere riempiti e viene conservata di momento in momento. Una distanza infinita la separa evidentemente dall’Essere divino, e tuttavia gli assomiglia più di qualsiasi altra che possa trovarsi nel raggio della nostra esperienza: appunto per il fatto che è un «Io», che è persona [...].
In Dio non c’è – come nell’uomo – opposizione fra la vita dell’io e l’essere. Il suo «Io sono» è un presente vivo ed eterno, senza inizio né fine, senza vuoti, né oscurità. Questo Io ha in sé e per sé ogni pienezza: non la riceve da nessun’altra parte – è appunto ciò da cui ogni altro essere riceve tutto, ciò che condiziona tutto, è l’incondizionato. [...] «Io sono» significa: io vivo, io so, io voglio, io amo – tutto questo non è un susseguirsi di atti temporali, ma proviene dall’eternità nell’unità di un atto divino, in cui coincidono tutti i diversi significati di atto – essere reale, presente vivo, essere perfetto, movimento dello spirito, atto libero. L’Io divino non è vuoto, ma accoglie, riunisce in sé e domina ogni pienezza. [...] È l’essere pienamente reale in quanto non ha in sé nessuna possibilità inadempiuta. [...] Dio è il Creatore di tutto il mondo che diviene e viene meno ed ha stabilito l’ordine dei passaggi dall’essere possibile all’essere reale. Ci troviamo qui di nuovo di fronte al grande mistero della creazione: che Dio abbia cioè tratto diversi esseri dal suo unico essere; una molteplicità di enti in cui è sperato ciò che in Dio è unito. [...]
Dio ha fatto nascere, ha plasmato e mantiene nell’esistenza tutto ciò che esiste [...].
Vicino alla rivelazione del nome di Dio «Io sono» vi è nell’Antico Testamento questa espressione nel racconto della creazione: «Facciamo l’uomo a nostra immagine» (Gen 1,26) che i nostri teologi ritennero la prima spiegazione del mistero della Trinità; inoltre c’è quella
III settimana - SUPPLEMENTO: una riflessione filosofica
Il nome col quale Dio stesso si è definito: «Io sono colui che sono»
“Quasi non si osa chiarire queste parole con altre. Tuttavia, se l’interpretazione agostiniana è esatta, si può dedurre: colui il cui nome è «Io sono» è l’essere in persona. Che il cosiddetto Primo ente debba essere persona, si può già dedurre da quanto si è già detto: solo una persona può creare, cioè tradurre in esistenza il suo volere. [...]
Il nome, con cui ogni persona definisce se stessa, è «Io». «Io» può definirsi solo un ente che nel suo essere è interno al suo proprio essere e, nello stesso tempo, al suo essere distinto dagli altri enti. Ogni Io è unico, ha qualcosa che non divide con nessun altro ente, qualcosa di «incomunicabile» [...].
Ogni uomo è un «Io». Ognuno incomincia a chiamarsi «Io». In questo è sottinteso che anche il suo «Essere Io» ha un inizio. Può darsi che egli pronuncia la parola «Io», prima ancora di possederne il significato completo. [...] L’inizio della vita cosciente dell’Io non coincide con l’inizio dell’essere reale umano [...].
Il suo essere è bisognoso e per se stesso è nulla: è vuoto, se non viene riempito e se non riceve contenuti da mondi situati «al di là» del suo dominio, quello «esterno» e quello «interno». E la sua stessa vita viene dall’oscurità e si dirige verso l’oscurità, ha dei vuoti che non possono essere riempiti e viene conservata di momento in momento. Una distanza infinita la separa evidentemente dall’Essere divino, e tuttavia gli assomiglia più di qualsiasi altra che possa trovarsi nel raggio della nostra esperienza: appunto per il fatto che è un «Io», che è persona [...].
In Dio non c’è – come nell’uomo – opposizione fra la vita dell’io e l’essere. Il suo «Io sono» è un presente vivo ed eterno, senza inizio né fine, senza vuoti, né oscurità. Questo Io ha in sé e per sé ogni pienezza: non la riceve da nessun’altra parte – è appunto ciò da cui ogni altro essere riceve tutto, ciò che condiziona tutto, è l’incondizionato. [...] «Io sono» significa: io vivo, io so, io voglio, io amo – tutto questo non è un susseguirsi di atti temporali, ma proviene dall’eternità nell’unità di un atto divino, in cui coincidono tutti i diversi significati di atto – essere reale, presente vivo, essere perfetto, movimento dello spirito, atto libero. L’Io divino non è vuoto, ma accoglie, riunisce in sé e domina ogni pienezza. [...] È l’essere pienamente reale in quanto non ha in sé nessuna possibilità inadempiuta. [...] Dio è il Creatore di tutto il mondo che diviene e viene meno ed ha stabilito l’ordine dei passaggi dall’essere possibile all’essere reale. Ci troviamo qui di nuovo di fronte al grande mistero della creazione: che Dio abbia cioè tratto diversi esseri dal suo unico essere; una molteplicità di enti in cui è sperato ciò che in Dio è unito. [...]
Dio ha fatto nascere, ha plasmato e mantiene nell’esistenza tutto ciò che esiste [...].
Vicino alla rivelazione del nome di Dio «Io sono» vi è nell’Antico Testamento questa espressione nel racconto della creazione: «Facciamo l’uomo a nostra immagine» (Gen 1,26) che i nostri teologi ritennero la prima spiegazione del mistero della Trinità; inoltre c’è quella
frase chiara del Redentore: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30). Il noi in quanto
unità del’Io e del Tu, è un’unità superiore a quella dell’Io. È – nel suo significato più
perfetto – una unità dell’amore. [...] L’amore è dono di sé ad un tu, e nelle sua perfezione –
per il dono reciproco di sé , è l’essere-uno. Poiché Dio è Amore, l’Essere divino deve essere
l’essere uno di una pluralità di Persona, ed il suo nome «Io sono» è equivalente a «io mi
dono totalmente ad un tu», «sono un tutt’uno con un tu» e quindi anche ad un «noi
siamo». [...]
(Edith Stein, Essere finiti e Essere eterni, Città Nuova Editrice, 19884, p. 366-373 passim)
(Edith Stein, Essere finiti e Essere eterni, Città Nuova Editrice, 19884, p. 366-373 passim)
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