AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

mercoledì 21 novembre 2012

NELLO SPAZIO DELL'ANIMA

Ringrazio Stefania De Bonis per avermi inviato il bollettino mensile dell'ocds della Provincia Campana, dal quale ho estrapolato questo interessante articolo, sulle Mansioni, di Santa Teresa d'Avila, commentate da Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein.

Edith Stein commenta il libro delle Mansioni di S. Teresa d’Avila
Massimiliano Mirto ocds 

L’opera Essere finito essere Eterno prevedeva, secondo le intenzioni dell’Autrice, due Appendici, una era l’analisi del Castello Interiore di S. Teresa d’Avila mentre l’altra era intitolata La filosofia esistenziale di Martin Heidegger.
L’idea di Edith Stein era questa: non solo vedere nel Castello Interiore una conferma alle proprie teorie ma, mettendo a confronto da una parte il Castello Interiore e dall’altra il Saggio di Heidegger, dimo-
strare che riguardo alla struttura dell’anima ne aveva capito più S. Teresa che Heidegger stesso.
Infatti, l’Appendice su Heidegger è una critica profonda degli esiti di “Essere e tempo”, opera fondamentale del filosofo tedesco, perché tali esiti portano al nichilismo, mentre S. Teresa, pur nella sua limitata cultura, riesce a descrivere meglio e più profondamente quale sia struttura dell’anima.
L’IO PURO, in fenomenologia va inteso come quell’elemento che rende vivo ogni istante dell’unità di vissuto e che si apre al passato e al futuro; esso è la coscienza che si muove in uno spazio che è l’anima. Quindi secondo E. Stein l’anima è uno spazio strutturato dove si muove l’io. Abbiamo detto però che è uno spazio strutturato ed E. Stein accetta la strutturazione che ne fa S. Teresa nel Castello Interiore.
La prima parte di questo scritto è un’interpretazione propria dell’opera di S. Teresa, la seconda parte del castello dell’anima di E. Stein è un confronto della teoria di S. Teresa con la filosofia moderna.
Quest’anima, dove l’io si muove, è raffigurata e paragonata ad un castello che ha molte stanze o mansioni. Il corpo rappresenta le mura, i sensi e le cosiddette potenze spirituali (memoria, intelletto, volontà) alcune volte sono viste come i custodi del castello, come gli abitanti del castello o come i vassalli del castello. Queste mansioni sono pensate come stanze comunicanti e sono tra loro collegate e sono 7. Al di fuori delle mura (del corpo) si estende il mondo esterno. Al centro vi abita Dio. Quindi tra il mondo esterno e Dio ci sono queste 7 stanze e la settima stanza è nel Cantico dei Cantici chiamata “la cella vinaria”. Gli abitanti che stanno fuori le mura o nei pressi del castello non sanno ciò che avviene all’interno. Quindi è come se l’io (abitante) stesse al di fuori della sua anima (diremo: è alienato). Il paradosso secondo E. Stein si esprime in quella strana condizione patologica, ossia quelle anime che perché prese dalle cure delle cose esterne non conoscono la propria casa; quindi: è come se l’io non conoscesse nemmeno la sua vita interiore. Queste anime hanno disimparato a pregare.
Qual è la porta per entrare nel castello? La preghiera e la meditazione, ma nella tradizione carmelitana si intende per preghiera il dialogo con Colui che so che mi ama, ovvero, si intende una relazione inter- personale fra l’anima e Dio per cui io so con chi parlo. E’ una relazione agapica, d’amore con il Creatore.
LA PRIMA DIMORA
1.a stanza = conoscenza di sé. E’ il primo momento di questa preghiera, quindi è la porta. Non si possono alzare gli occhi a Dio se non si è consapevoli della propria bassezza. Quindi la conoscenza di Dio e di sé si susseguono a vicenda. Riconoscendo la propria bassezza ci si avvicina sempre di più a Dio. Per contro, noi non possiamo conoscere noi stessi se non conosciamo la grandezza di Dio. In questa prima stanza, che è molto lontana dalla settima dove Dio risiede, non arriva la luce della 7° stanza o meglio, l’anima non la riconosce perché è come se avesse gli occhi annebbiati.


LA SECONDA DIMORA 
2.a stanza = è caratterizzata dal fatto che dentro questa stanza l’anima percepisce già alcuni richiami di Dio. Cioè appelli che vengono dall’esterno. Quali sono? Un’omelia, una malattia, un passo di un libro, oppure altre situazioni esistenziali (per esempio un episodio che contribuisce alla conversione di E. Stein è stato il modo in cui la vedova di Reinaich ha accettato cristianamente la morte del marito in guerra).
Tutte queste situazioni sono richiami di Dio. L’anima però nella seconda mansione vive ancora nel mondo e per il mondo. E’ pienamente inserita in questo contesto ma i richiami la invitano a rientrare dentro se stessa. La vita mistica è un modo di vivere nel mondo cristianamente. E. Stein dà però per scontato una fede cristiana.
 LA TERZA DIMORA
3.a stanza = nella terza mansione si trovano le anime che hanno preso a cuore le chiamate di Dio e costantemente cercano di indirizzare la propria vita a Dio. In questa fase la protagonista è l’anima, quella che S. Giovanni della Croce chiama notte attiva, cioè quella che dipende dalla sua volontà. Si guardano con cura dal peccato, sono afflitte da dure prove. Qui ci si preoccupa di essere a Dio ma si è ancora attaccati ai beni della terra. Se si ricevono delle consolazioni vengono però sentite come del tutto naturali (per es.: il piacere di aver compiuto un’opera buona). In questo senso si è sostenuti dalla grazia, non c’è nessun intervento mistico o diretto di Dio ma la vita naturale che è sostenuta dalla grazia. Tutto ciò che fino ad ora l’anima conosce di Dio le viene dalla vita della fede e la fede nasce dall’udito (ascoltare cioè capire le cose che ti accadono co- me un messaggio che Dio ti manda per istruir- ti).
LA QUARTA DIMORA
4.a stanza = fin qui l’anima non ha avvertito nulla della presenza di Dio ma Dio c’è. Solo nella quarta stanza l’uomo può avvertire uno stato di grazia, cioè al posto delle consolazioni che hanno origine dalla nostra natura, subentrano le dolcezze che hanno la loro origine in Dio. Esse vengono percepite anche dalla nostra natura che vi trova ancor più gioia che nelle consolazioni. La santa chiama queste consolazioni “le orazioni di quiete”, queste dolcezze si manifestano nell’anima senza nessuno sforzo dell’anima stessa, ma sono date da Dio.
Queste consolazioni vengono paragonate da S. Teresa all’acqua che viene condotta nei bacini attraverso dei tubi. Non siamo noi che dal pozzo tiriamo l’acqua con fatica ma riceviamo l’acqua senza sforzo. Cioè mentre nell’orazione di prima c’è la nostra fatica, nell’orazione di quiete il protagonista è Dio.
In questa stanza si rientra in se stessi per- ché si è chiamati da Dio. Poiché dipende completamente da Dio tuffare l’anima nella quiete la santa invita insistente- mente a tenere imbrigliata l’attività dell’intelligenza e della immaginazione, cioè in questo stato l’anima deve perdersi completamente in Dio perché se si sforza con l’intelletto giungerebbe all’aridità, faticherebbe a vuoto. Se si sforzasse metterebbe in agitazione l’intelletto e l’immaginazione trascurando l’essenziale.
Es.: Marta e Maria. Il compito di Marta è essenziale ma Maria fa  orazione, bisogna alimentare se stessi pensando alla gloria del Signore. E’ Dio che si da come oggetto alla riflessione intellettuale, Dio ha una luce nella nostra anima che sorpassa tutto ciò che noi possiamo coglie- re, così che l’intelletto rimane assorto.
Qual è l’effetto di questa preghiera? La dilatazione o l’aumento dell’anima. Quindi le quarte mansioni sono quelle in cui il protagonista non è più l’anima ma Dio, l’anima da questa esperienza ne esce più sapiente.
LA QUINTA DIMORA
5) mansione = mentre l’anima nell’orazione di quiete è come in un sogno perché sembra assopita pur non essendo completamente addormentata, nella quinta mansione è nella cosiddetta orazione d’unione, cioè l’anima è completamente addormentata per le cose del mondo e completamente sveglia per Dio. Questo fenomeno però è di brevissima durata, non può durare più di mezz’ora, in sui l’anima è completa mente assorta in Dio, potremmo paragonarla al sonno dello spirito di quelli che vanno a Medjugorie. Il corpo non percepisce il dolore, diremo che l'anima non è nemmeno cosciente a se stessa però è completamente sveglia per Dio. Le potenze dell’anima sono in stato di riposo cioè memoria, intelletto, volontà sono spente e il corpo è come se fosse senza vita. In questo stato neppure il demonio può entrare e fare danni perché Dio è così profondamente legato all’essenza dell’anima che il diavolo non solo non osa avvicinarsi ma nemmeno capisce ciò che sta succedendo. Che cosa accade in questa breve esperienza di unione? (5.a mansione). Che l’anima non comprende che cosa succede, ma Dio si imprime nell’anima in modo tale che quando essa rientra in se stessa non può dubitare di essere stata in Dio e Dio in lei.
Questa verità rimane in lei tanto solidamente, che anche se Dio per tanto tempo non elargisce più questa grazia, non può dimenticare. Attraverso questa mansione S. Teresa giunge a una verità di fede: che Dio è in tutte le cose, con la sua presenza, con la sua potenza, con la sua essenza. E questo è diverso dalla in abitazione per stato di grazia, cioè nessuna cosa potrebbe mantenersi nell’essere da se stessa, cioè per essere deve sempre essere sostenuta nell’essere, cioè da Dio.
Tutto ciò che è creato è sostenuto nell’essere da Dio, anche satana gli è sottomesso in tutto e per tutto. E’ del tutto impossibile quindi giungere nella settima stanza senza che Dio conduca l’anima.
Es.: riprende l’esempio del baco da seta, così come la vita dell’anima sboccia. Cosa fa il baco? Si alimenta, si costruisce la casa nella quale deve morire, muore e rinasce farfalla. E’ come se l’anima dovesse fare la stessa cosa. L’anima con l’orazione muore al mondo ma attraverso l’orazione, le letture, le prediche, la vita di grazia si è alimentata e si è costruita la casa dove deve morire per rinascere in modo completamente diverso a quella che è la vita di grazia. Cioè lo scopo finale della vita di grazia, della vita mistica, è una vita di profonda unione con la volontà di Dio, dove la volontà dell’uomo coin- cide perfettamente con la volontà di Dio. Questo lo hanno sperimentato molti santi per noi. Come Gesù ha vissuto completamente la volontà del Padre così il cristiano vivrà esattamente della volontà unificato radicalmente e totalmente nella volontà di Dio.
Questo cammino ha un obiettivo teologico. Il paradosso è che questo cammino si conclude con l’unione della volontà di Dio con quella dell’uomo, e il tutto porta l’uomo a ritornare nel mondo per servire gli altri. Non è una mistica che separa dal mondo ma fa ritornare l’essere umano nel mondo e nella storia. E’ un cammino che conduce il credente alla condizione di libertà e servizio. Il motto potrebbe essere “Contemplativi per la Chiesa”. C’è una duplicità di amore verso Dio e verso gli altri.
LA SESTA
E SETTIMA DIMORA
Nella 6.a stanza ha luogo il cosiddetto fidanza- mento spirituale, il presupposto che porta all’unione tra la volontà di Dio e quella dell’uomo, cosa che si realizzerà nella 7.a stanza.
Qui il suo desiderio di questa unione anela. Qui c’è un lavoro di purificazione, l’anima viene colpita da profonde bufere interiori che possono essere paragonate solo alle pene dei dannati e alle quali solo Dio può porre fine. Questa sofferenza non dipende dalla sua volontà e solo il Signore inaspettatamente vi pone fine, come se sull’anima non fosse mai gravata questa nube oscura.
Tale esperienza non è lunghissima e grazie all’intervento divino, quando le pene cessano, l’anima si sente sollevata. L’anima sa che ciò è reso possibile solo grazie all’intervento di Dio, ella sa molto bene che non è stata lei a vincere, ma la grazia del Signore. Per giungere a questa certezza l’anima non ha bisogno di riflessione o ragionamento, l’anima sa bene di essere “piccola” perché ha conosciuto la propria nullità.
Quali sono le sofferenze? Fra le sofferenze di questa fase c’è anche l’incapacità di pregare, e l’anima non trova consolazioni né presso Dio, né presso le creature.
E l’anima cosa può fare? Ciò che può aiutare per ovviare a ciò sono le opere di carità che rendono sopportabile questa fase, come pure la fiducia nella misericordia di Dio.
Però l’anima sente di essere già vicina a Dio. Egli si fa sentire con impulsi dolci e delicati che partono dal più profondo dell’anima, e sono completamente diversi da tutto ciò che noi possiamo stimolare nella
preghiera.

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