La favola del potere e i figli del re
C’era una volta un Re. Avvicinandosi l’ora di lasciare il suo trono a uno dei tre figli pensò bene di chiamarli a sé e di inviarli in missione. Ognuno di loro sarebbe dovuto tornare con un dono rappresentativo di come avrebbero voluto il loro regno, una volta al potere. Il Re avrebbe scelto il suo successore in funzione dell’importanza e il significato del simbolo presentatogli. Passarono anni da quando i figli erano partiti per il lungo viaggio di ricerca e già il Re loro padre disperava di poterli rivedere. Un giorno però, quasi al tramonto del sole, il figlio maggiore tornò alla reggia e gli consegnò ciò che aveva messo da parte per lui. Si trattava di una splendida spada lavorata a mano da uno dei migliori artigiani del mondo allora conosciuto. Un’arma così affilata, maneggevole e leggera, da destare invidia perché da essa emanava un senso di potenza e d’invincibilità. Un’arma del genere, simbolo di forza, destava timore, ammirazione e assicurava sicurezza e perpetuità al regno. Al Re il simbolo piacque molto e, con un gesto impulsivo, avrebbe voluto affidargli le chiavi del regno. Una promessa però è una promessa, specie se si tratta della parola di un Re. Decise dunque di aspettare il simbolo del regno sognato che gli altri figli avrebbero portato a casa.
Qualche giorno più tardi tornò il suo secondo figlio. Con malcelata soddisfazione aprì quanto aveva custodito in una curatissima borsa ricamata d’oro. Si trattava di diamanti mai visti prima da occhio umano. La forma, i colori e la purezza del taglio al vederli mozzavano il fiato. Il Re, pure avvezzo a diamanti, pietre preziose e ori raffinati, ne fu sedotto e, per un momento, dimenticò la promessa che aveva fatta a sé stesso e agli altri. La luce che emanava dai diamanti era unica e avrebbe rappresentato la luminosità, la ricchezza e la prosperità del futuro regno come il secondo figlio immaginava. Il Re, che aveva accumulato una notevole esperienza di governo nei decenni del suo regno, era soddisfatto per quanto i primi due figli gli avevano mostrato. Aveva l’impressione di aver loro trasmesso qualcosa di necessario per governare i sudditi qualora avesse lasciato il potere. Con un poco di apprensione si accinse ad attendere il terzo e ultimo dei suoi figli, il più giovane di loro. Passavano i giorni, le settimane, i mesi e forse gli anni. Il tempo di abdicare si stava ormai avvicinando. Finché una mattina, di buonora, arrivò il terzo e più giovane dei suoi figli. Suo padre lo trovò trasformato nello sguardo e nel volto. Molto più maturo di quando era partito.
Il giovane spiegò a suo padre, stanco ormai dall’attesa, il motivo del suo ritardo. Era rimasto per tutto il tempo, dopo aver invano cercato un simbolo per il suo futuro regno, con un vecchio saggio, consumato dall’esperienza della vita. Stare con lui e abbeverarsi alla sua ancestrale saggezza era stata una lezione di vita più importante dei corsi che aveva seguito nelle università del regno. Non si era accorto del tempo passato ad ascoltare la saggezza antica del suo unico e indimenticabile maestro. Alla domanda del padre di mostrargli quanto gli aveva portato come simbolo del regno che avrebbe sognato servire, il giovane figlio, da una consunta bisaccia estrasse i doni. Si trattava di due modesti sacchi di pelle chiusi con cura alla sommità con un laccio di corda usata. Il figlio, in silenzio, mostrò al padre ormai stanco, i due simboli che aveva ricevuto in dono dal vecchio saggio. Era stata la sua ultima eredità perché il vecchio saggio era deceduto il giorno prima del suo ritorno alla reggia. Aprì sotto gli occhi attenti del padre e degli altri fratelli il primo dei sacchi che conteneva cenere. Poi, con lentezza e nello stupore dei presenti, aprì il secondo sacco che conteneva sabbia. Cenere e sabbia è quanto il più giovane di figli aveva portato al Re suo padre che, stupito e deluso dal figlio minore, si accingeva a scegliere tra i doni dei primi due figli.
Era, il vecchio e stanco Re, tentato dal primo e dal secondo dei regali mentre si sentiva offeso da quanto il terzo figlio gli aveva portato. Non volle prendere però nessuna decisione prima di aver riposato una notte sperando che il sonno gli portasse consiglio. E così fu. Il mattino seguente convocò i tre figli e li informò della decisione di affidare il suo regno al terzo figlio, il minore. Spiegò loro che un regno basato sulla ricchezza avrebbe avuto bisogno di armi per difenderla e che le guerre non avrebbero mai avuto fine. Il nuovo Re, alla fine, aveva capito a sue spese che il potere non è che cenere che il vento disperde. Avrebbe infine ricordato che le tutte ricchezze del mondo, usate senza saggezza non sono altro che sabbia.
Mauro Armanino Niamey, 10 gennaio 2021
Il blog di P. Mauro
Nel suo blog ci comunica il suo viaggio in questo nuovo mondo.
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