DOBBIAMO IMPARARE DA MARCO
Il prof. Andreoli
parlò dell'esistenza della bellezza interiore del dolore a una trasmissione
sull'importanza delle parole, che ora è
solo esteriore.
Non la capii, mi rivolsi a psichiatri e psicologi
conosciuti ma nessuno di loro mi diede una spiegazione plausibile.
Ieri, quando
Marco è mancato, amico di mio fratello, una vita di sofferenza e mi è ritornata
alla mente quanto sostenuto dal prof. Andreoli.
Marco fin da
piccolo era malato ai reni. Dopo varie operazioni subì un trapianto fino a
ridursi su una sedia a rotelle , alternando periodi buoni a altri sempre
peggiori.
Ciò non gli
ha impedito di studiare, di sfruttare e sviluppare le sue doti quale
giornalista e radiocronista sportivo per i vari sport locali, fino ai suoi
ultimi giorni.
La madre lo
accompagnava in auto al collegio Brandolini tutti i
giorni perché potesse frequentare l'Istituto per Ragionieri, e poi a Udine le
lezioni di Economia e Commercio che purtroppo ha dovuto interrompere per
l'aggravarsi del suo stato di salute. Non avrebbe potuto recarsi da solo con
autobus: lei pazientemente e con grande forza, che ha trasmesso al figlio non
solo attraverso il suo DNA ma anche con la consueta pazienza, lo aspettava nel
piazzale antistante gli edifici scolastici e universitari. In auto attendeva la
fine delle lezioni, che ci fosse pioggia o vento, nebbia o sole, trascorreva il
tempo a cucire, a ricamare pizzi, centritavola, tende, tovaglie, camicie, e a
rammendare. A ogni buon esito medico e scolastico c'era un pizzo completato per
qualcuno, spesso per la basilica della Madonna di Motta.
Il padre
Sergio, da bravo falegname, ha costruito la loro casa al fine di eliminare tutte
le barriere architettoniche, fin da quando ancora non si parlava di agevolazioni
fiscali al riguardo, o addirittura inventando adattamenti secondo le
progressive difficoltà. Accompagnava
Marco a tutti gli appuntamenti sportivi che entrambi seguivano con l'entusiasmo
pari ai quello dei tifosi più agguerriti. Non mancavano mai a cantare nel coro
della parrocchia e della basilica, entrambi e sempre con presenza attiva e
fervente.
Marco aveva
anche una bella voce e, oltre che radiocronista e cantore, era anche lettore
durante la “messa granda” delle dieci in
Basilica, e si notava quanto fosse dispiaciuto se qualcuno gli toglieva
incautamente il posto, non pensando che per lui era un'occasione importantissima per la sua vita.
Era una
penna difficile, non largo di giudizi benevoli agli sportivi, graffiante e duro
come spesso accade per chi si trova a dover lottare ogni momento per muoversi, mangiare,
dormire, ciò che di solito per chi non
ha problemi di salute, fa senza rendersi conto di quanto sia fortunato. Ci
metteva però sempre tanta volontà, come quando incitava e sosteneva gli animi
delle sue pallavoliste preferite.
E le
vacanze? E perché no! La montagna era
una meta familiare cui non si doveva rinunciare, così come i pellegrinaggi a
Lourdes e alla Terra Santa, quel sacro luogo che lui sperava di poter rivedere anche
a giugno 2019.
Durante una
celebrazione per il giubileo mariano
alla quale partecipavano gruppi cristiani residenti nei dintorni, mi colpì il
suo disappunto per le loro movenze esuberanti e canti rituali tipici africani.
Quelle persone, socialmente in difficoltà, erano più simili a lui che alla
platea per problemi di accoglienza e di integrazione: erano stranieri e quindi emarginati, ma li disapprovava per la diversità del loro modo
di partecipare alla funzione religiosa, secondo
lui non attinente al rito religioso rigorosamente classico in cui era
cresciuto.
Un duro in
tutti i sensi, anche nell'intransigenza di una fede che gli ha permesso di
lottare fino alla fine, con la certezza di vivere ogni minuto immerso nella gratitudine,
affidandosi alla volontà divina, nonostante le continue battaglie fisiche
sempre più estenuanti.
Ogni
ricovero era un'incognita e i medici si stupivano per le subitanee riprese. Lo
scorso anno gli riscontrarono una massa abnorme nell'addome infiltrata tra vari
organi, tanto che l'equipe sanitaria si rifiutò di intervenire, poiché l'unico
rene era malato e lo stato fisico debilitato.
Il marito di
una nostra amica, ricercatore oncologo a Trento, analizzò gli esami e lo
propose a Verona, dove tentarono l'impossibile: Marco sapeva che non aveva
scampo, ma comunque volle sottoporsi all’intervento chirurgico, pur col rischio
di rimanere sotto i ferri o aspettare la fine precoce. Non sarebbe stato un’operazione
decisiva e risanante, ma una prova, un esperimento.
E anche
questa volta, a dispetto di tutti, Marco reagì positivamente, poiché si
affidava sempre alla Madonna, e anche i medici dissero che forse si era
trattato di un miracolo.
Lentamente si riprese e riuscì a fare terapia
riabilitativa, a uscire in carrozzina elettrica. Era un informatico di ultima
generazione, guai a farsi sfuggire le pur costose novità tecnologiche che gli
permettevano di muoversi un po'. Fece qualche vacanza ancora in montagna, anche
lì subì qualche ricovero in vari
ospedali, per un mal di gola che peggiorò il respiro e la deglutizione, facendo
uso di antibiotici sbagliati ma, ancora una volta, ne venne fuori.
Seguiva
sempre lo sport anche nei letti d'ospedale, e raccontava che aveva compiuto i quarant'anni
in Terra Santa e ne andava fiero. Come ho già detto in precedenza, progettava
di ritornarvi a giugno 2019, ma poco prima di Pasqua le sue condizioni
peggiorarono precipitosamente e il giovedì Santo era di nuovo a Ca' Foncello.
Le vene
erano fragili e iniziarono a infilare il catetere per la dialisi su quella del
collo, le sue sofferenze divennero
sempre più intense. Rifiutava gli antidolorifici perché non voleva dormire,
desiderava stare sveglio per vivere ogni minuto, prevedendo che avrebbe potuto essere l'ultimo.
A Pasqua il
fratello mi disse che combatteva con tenacia, il morale alto, come spesso dimostrava, ma stavolta appariva stanco come mai prima d’ora. Iniziava
a gonfiarsi e la pressione scendeva sempre più, e a metà settimana in Albis non si alzò più dal letto e non riusciva a parlare.
Avendo perduto tutte le forze, la madre chiamò il Cappellano per la Comunione e
lui muovendo un dito, fece intendere che la voleva ricevere.
Sabato 27
aprile 2019 compì quarantasei anni. Lunedì 29 aprile 2019 all'alba ebbe un infarto,
si agitò e chiamarono i familiari. Tentarono di rianimarlo, e la madre percorse
velocemente in auto i 45 chilometri che
la separavano da Treviso. Arrivò in tempo prima che un secondo infarto lo
portasse via da questa terra. Ho avuto
la fortuna di salutarlo, pochi giorni prima della sua scomparsa, nel piazzale
della Madonna e mi aveva detto: “fin che la va!”.
Giovedì
Santo fioriva un giglio con un mese di anticipo, il famoso giglio della nonna
materna, che preannunciò la morte di papà, e lo avvertii come un presentimento
per Marco; il Sabato Santo fiorì un altro e lo associai ad una cara signora che ebbe un infarto e il
terzo per il marito dell'amica materna che si era aggravato. Sembra stupido, lo so, ma ho iniziato a
leggere queste fioriture come un segno, un legame invisibile tra terra e cielo,
qualsiasi sia la natura, divina o ancestrale.
Capitò
durante giornate grigie, col ritorno del freddo vento invernale che di norma
arresta i primi germogli primaverili. Eppure…i gigli fiorirono. In realtà questi
gigli sono apparsi come angeli per Marco, perché alle cinque del 29 aprile
2019, lui spirava mentre la rosa ultracentenaria di mio nonno paterno fioriva.
La mattina, quando mi alzai e la vidi fiorita, pensai subito a Marco, e ne ebbi
conferma quando più tardi dai giornali lessi la dolorosa notizia .
E’ la rosa
di Marco, “innamorato della vita”. I frati non usano nominare singoli soggetti
durante le messe, invece per lui era da molto tempo che chiedevano preghiere, e
furono pronti a dargli il saluto di commiato, tanto erano ammirati per il suo
calvario vissuto con indubbia fede.
I giornali e
gli sportivi l’hanno voluto ricordare mentre la famiglia ha deciso di vestirlo
con abiti sportivi e la maglia firmata da atlete dell'Imoco Volley per la quale stravedevano. La madre ha voluto
deporre il suo corpo nella bara del Papa, di legno chiaro, come di compensato,
semplice e ornata da un mazzo di calle, umili fiori di campo come lo era lui,
rustico ma profondamente essenziale.
Giace sereno,
sembra un bambino con le piccole mani bianche e la grande testa, il viso ancora
un po' abbronzato. Il fratello lo rimprovera già: guarda che lì hai fatto guai, guarda che devi fare questo, fare
quello...
La madre è
come lui, forte, afferma che lui non ce la faceva più. E’ contenta quanto i social parlano di lui; era importante,
non era solo un malato in carrozzella, un ultimo. Il padre tace, un uomo sempre
a disposizione degli altri e l'ombra di Marco, non sa nascondere il suo
abbattimento.
L'epigrafe
riassume il credo famigliare: E' in Paradiso. Stasera primo maggio si reciterà
il S. Rosario, domani alle ore 11 non un semplice funerale, ma la liturgia di
Resurrezione. Lui ha vissuto pienamente ed ho così compresa l'espressione del
prof. Andreoli sulla bellezza del dolore. Sto piangendo ancora la
dipartita del mio papà e ora lui è con Marco che gli farà di sicuro la
telecronaca del Giro d'Italia.
Il due
maggio, giorno dell'ultimo saluto in terra, festeggerà con i nostri grandi eroi
più intimi, insieme al tavolo di Leonardo da Vinci, brindando all’anniversario
della scomparsa del grande artista, avvenuta 500 anni fa, nel 1519. E ditemi se
sia solo una fatalità. Vorrei fermarmi qui a raccontare di Marco, ma il
funerale, anzi la liturgia di Risurrezione scelta in tutto il rito dalla
famiglia, mi spinge ancora, solo per fare memoria, a rileggerla per ricordarmi
un buon esempio forte di vita.
Il rosario è
gremito di giovani, amici, sportivi: si recita il primo maggio così che tante
persone possono parteciparvi. Il giorno dopo la chiesa è gremita, tanto che
molta gente è dovuta rimanere fuori: giornalisti, calciatori, pallavolisti che
portano la lunga bara bianca spoglia per un corpo piccolo. Ma sono più adulti,
tantissimi lo conoscevano e anche i suoi amici frati che leggono le letture
pasquali e di Resurrezione.
La fede
famigliare in cui è cresciuto li sorregge nella certezza che non è stata una
vita persa ma piena e ora in assoluta lucentezza. Le campane hanno suonato
rintocchi di festa pasquale, gioiosi nell'accompagnare a piedi il feretro. Ho
tentato trascrivere qualche passo dell'omelia del Parroco. Quando rileggerò i
miei appunti, penso di trovare tante ripetizioni, ma chissà che possano tornare
utili ...
“I
valori di Marco radicati in Cristo per non essere nullità, ma diventare
dignità: anche nell'importanza di celebrare il rito (era molto attaccato alla
tradizione severa, difficile) ...Era un terremoto per come si esprimeva nelle
varie relazioni umane. Un cuore limpido per orientarsi verso le stesse che Dio
offre e che attendono di esprimersi nella normalità: ciò dona il senso di Risurrezione
e pienezza. Il corpo lascia vuoto da riempire in altra dimensione.
Altro passo scritto nella vita di Marco: sua
convinzione che chi cammina in fede, apre orizzonti per godere pienezza nel
Signore. Ricordate l’entusiasmo per le sue tante passioni. L’amore concreto per
la Terra Santa e lo sport. Lascia traccia di lievito consegnato per far
lievitare la farina che in noi secca. Storia non scritta di emozioni di strada
ma dentro di noi il Risorto matura dentro: il sole all'orizzonte al tramonto
illumina ancora come il Sole che giunge a Pasqua. Il canto scelto da famiglia è Victimae Paschali Laudes, inno pasquale, perché lui ha vissuto
con i segni della Passione. Cristo Risorto vi avvii sulla strada di Marco, che
ci da' una mano da vittorioso, non dobbiamo vedere la sua dipartita come morte
di una vita, ma di vincita, starà sempre con noi dandoci coraggio.
Era un terremoto, lassù ne starà combinando
una delle sue. Era anche battagliero come serve nello sport. La benedizione
dell'acqua alla sua salma: come nel Battesimo che rigenera e la sua morte non
deve sembrare una pianta spezzata ma potata per rigermogliare; l'incenso: resina
che profuma e si espande similmente al suo fare e pensare; cero pasquale come
la Luce di Cristo che arde per sempre.”
Il canto finale è stato l'inno a Maria Regina
Coeli che la folla ha ripetuto spontaneamente più d'una volta, Maria Maddalena
che è stata la prima a trovare il sepolcro vuoto, sua Madre che corse in auto
per essergli accanto per l'ultima volta, qui in terra. Un padre mi ha detto che
devo far conoscere questa esperienza del dolore cristianamente vissuto da Marco
che è preziosa eredità: anche se l'ho buttata giù di corsa e mi scuso per chi
troverà tante ripetizioni e slittamenti nel fantastico, da modesta credente e
scarsa scrittrice. Ognuno di noi perde tanti affetti nella propria vita che fanno
nascere in noi sentimenti contrastanti di rabbia e timore. La dipartita di
Marco trasmette invece un segno di speranza e di quiete.
GIULYIS
NdR: La testimonianza dell’autrice è un
ottimo incentivo per aiutarci a vivere una vita veramente cristiana, così come
l’ha vissuta Marco, e per comprendere che la morte terrena non è la fine di
tutto, ma l’inizio di una nuova Vita.
Il testo è stato rivisitato, per eliminare
ripetizioni, e dare un senso ad appunti presi al volo o non molto chiari, ma il
contenuto resta quello che Giulys ha voluto trasmetterci.
E la ringraziamo di cuore per il racconto che ci ha trasmesso.
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