Edith Stein nel libro di Lella Costa. "Ciò che possiamo fare"
Una donna ricca di talenti che combatte per il riconoscimento della
dignità delle donne, che da ebrea si converte al cattolicesimo diventando
monaca, ma che va incontro alla morte ad Auschwitz "per il suo
popolo": è Edith Stein, poi santa Teresa Benedetta della Croce. Di lei si
parla in un libro scritto da Lella Costa
Adriana Masotti - Città del Vaticano
Edith Stein e le donne. Edith Stein e
l'Europa. Il senso di responsabilità nei confronti del mondo e delle persone e
la consapevolezza di sé. C'è tutto questo nel libro intitolato: "Ciò che
possiamo fare", scritto dall'autrice di testi teatrali, nonché
attrice Lella Costa e pubblicato dalla casa editrice
Solferino. Il rosa confetto della copertina attira. Il sottotitolo anticipa il
contenuto: la libertà di Edith Stein e lo spirito dell'Europa.
Una vita in prima linea
Edith Stein: nata il 12 ottobre 1891
da una famiglia ebrea e morta in una camera a gas il 9 agosto 1942 perché
ebrea, nonostante la conversione al cattolicesimo; santificata dalla Chiesa
cattolica e proclamata patrona, con altri santi e sante, del continente
europeo. Una vita sempre in prima linea: dalle aule universitarie agli ospedali
da campo della prima guerra mondiale, dalle conferenze in giro per l'Europa
all'orrore di Auschwitz. Allieva prediletta del filosofo Husserl, impegnata per
i diritti delle donne, suora di clausura. Lella Costa si confronta con il
pensiero e la vita di Edith che continua a parlarci: delle discriminazioni
ancora possibili, dell'impegno e del coraggio necessari anche oggi,
dell'importanza delle identità, che fondano e nutrono l'Europa, e insieme del
dovere dell'accoglienza.
Lella Costa: Edith, una figura che mi
ha conquistato
Un libro il suo che coinvolge, una
lettura appassionante come appassionante è la figura di Edith Stein. Ma di
questa donna che cosa ha suscitato più emozioni e riflessioni in Lella Costa
quando ha deciso di conoscerla di più?
R. – Intanto non l’ho deciso, me l’hanno
proposto, ed è una cosa che mi ha spiazzato: sapevo molto poco di lei. Come ho
cominciato a conoscerla, sono rimasta quasi sopraffatta dalla complessità di
questa donna che da giovane ha fatto delle scelte così radicali. Direi che,
soprattutto in un momento come questo, in cui sembra quasi che non avere
talenti o vocazioni, non applicarsi, sia un titolo di vanto, la passione per lo
studio, la serietà, il rigore, e l’assunzione di responsabilità di Edith Stein,
poi Santa Teresa, mi hanno veramente conquistata; e mi è sembrato anche giusto
raccontare questa storia proprio in questo momento.
La sua attività è molto centrata
sulle donne e sul riconoscimento dei loro diritti, dignità e capacità. In
questo libro si parla di una donna che proponeva alle altre donne un modello
classico: essere madri e mogli e però - e lei lo fa notare nel libro - per se
stessa ha scelto esattamente il contrario. Secondo lei oggi che cosa direbbe
Edith alle donne?
R. – Sicuramente credo che Edith, che
si è comunque battuta per i diritti delle donne – ad esempio per il diritto di
voto e la pari dignità – credesse profondamente nel sostenere il modello della
maternità, dell’essere sposa e madre. Ma nello stesso tempo non poteva ignorare
sé stessa, i talenti che vedeva in sé. Il suo talento è stato rifiutato dal mondo
accademico: nonostante una tesi di laurea meravigliosa, Edith non è stata
ammessa alla carriera accademica e quindi forse è rimasta anche scottata da
questo. Io credo che oggi alle donne lei ripeterebbe quello che ha sempre
ripetuto: dignità, dignità, dignità, e il più possibile individuare i propri
talenti e le proprie vocazioni.
Papa Francesco, parlando della donna
nella Chiesa, ha parlato più volte di una Chiesa “che pensa con le categorie di
una donna” e tutti ci chiediamo che cos’è tipicamente femminile. Lei nel libro
ne fa un breve elenco deducendo alcune cose da Edith Stein: la libertà, la
coerenza, l’impegno, il guardare al bene comune, il sentire che la propria
storia ha senso solo se collegata con le altre ecc…
R. – Quello che mi ha colpito, che
credo sia importante e anche una caratteristica del femminile – il che non vuol
dire sia esclusiva di tutte le donne - è il senso di responsabilità, ma
l’assunzione di responsabilità non riguarda solo i grandi temi e il ruolo in
cui ci si pone nel mondo, ma anche le relazioni personali, e mi ha molto
colpito che Edith Stein, nata da famiglia ebrea, con una madre profondamente
religiosa, ovviamente addolorata per la decisione della figlia non solo di
convertirsi ma addirittura di prendere i voti, a questa madre a cui ha scritto
una lettera a settimana fino all’ultimo, Edith dedica del tempo e della cura,
va a trovarla prima di entrare in convento e va in sinagoga con lei. Questo mi
è sembrato un gesto tipicamente femminile, nel senso appunto dell’aver cura. Il
sostantivo che secondo me meglio definisce Edith è proprio responsabilità.
L’altro tema legato alla Stein è
l’Europa: ricordando il male che c’è stato viene da dire “mai più”, e invece
pur con le differenze, l’Europa torna a chiudersi, torna a respingere ….
R. – È sicuramente importante il
fatto che Edith Stein, Santa Teresa, sia stata scelta dalla Chiesa come uno dei
sei patroni dell’Europa - da notare che sono tre uomini e tre donne -; è
significativo e non mi sembra una forzatura. Non possiamo sapere di preciso
quale immagine avesse lei dell’Europa, ma sicuramente ne ha visti i mutamenti e
le contraddizioni: è una donna che ha molto viaggiato in Europa. E soprattutto
la coerenza adamantina, per cui non si può e non si deve mai essere giudicati
colpevoli o essere perseguitati per dove si nasce, in questo momento mi sembra
importante, e non certo soltanto per l’Europa. Mi è piaciuto riportare nel
libro la poesia di Emma Lazarus, poetessa americana ebrea della seconda metà
dell’Ottocento, i cui versi sono stati iscritti alla base della Statua della
Libertà, che dice: “Dateli a me i poveri. Dateli a me i naufraghi. Dateli a me,
che sono qui ad accoglierli”. E visto quello che succede negli Stati Uniti in
gran parte, e un po’ nel mondo, è curioso ed è bello e significativo che siano
parole di donna.
La santità di Edith Stein: forse sta
in un particolare che emerge da alcune lettere riportate nel libro:
"facciamo con tranquillità i nostri doveri quotidiani", oppure in
piena persecuzione nazista: "siamo tranquille e contente". Si tratta
di una pace interiore profonda...
R. – Credo sicuramente di sì. C’è
questo elemento di assoluta pacificazione e accettazione di un destino, e
quindi credo anche una consapevolezza. Questa frase, che noi poi abbiamo scelto
anche come titolo del libro – il libro si chiama: “Ciò che possiamo fare” –
questa frase: “Ciò che possiamo fare in paragone a quanto ci viene dato è
sempre poco”, dice tanto e a me piace molto questa idea di spendersi. Mi ha
colpito moltissimo che Edith abbia lavorato tanto sull’empatia, quando lei
forse di suo tanto empatica non era. Però credo che l’aver perseguito questa
strada con tanta determinazione e con tanta passione, un lavoro su di sé che è
partito dalla testa ma che poi è probabilmente arrivato anche al cuore, sia un
segno non so se di santità, ma sicuramente di un’adesione, di un’accettazione
della regola, della meditazione, dell’approfondimento. Questa scelta poi della
clausura, quindi del dedicarsi completamente alla preghiera, allo studio... È
una gran figura di donna. Poi probabilmente, anzi sicuramente, ci sono altri
modi di esercitare e di mettere in pratica la santità, e non credo ce ne sia
uno solo.
Il vedere nella persecuzione nazista
la Croce di Cristo da portare, la fiducia in Dio, anche questo sicuramente è da
santi…
R. – Sicuramente è da santi, davvero
da santi.