CARATTERISTICHE DEL DIO DI TERESA
Accanto alle prove, ora Cristo continuava a parlarle con frequenza e sembrava procedere sempre al suo fianco
"Apparizione di Nostro Signore a Santa Teresa"
- Convento di Santa Teresa, Avila -
Nella
religiosità che conobbe S. Teresa, si considerava Dio come il Creatore del
mondo e il Giudice della Storia: un essere astratto, che sfugge
all’immaginazione, dal momento che non ha né volto né figura. Dio era percepito
come il “Giusto Giudice”, colui che ci deve esaminare con rigore nel giorno del
giudizio.
Il padre Eterno era
il grande assente nella devozione dei fedeli. La pietà dei Castigliani del
secolo XVI si centrava, infatti, nella
figura di Cristo, la cui umanità era efficacemente ricordata nelle immagini che
decoravano le facciate delle chiese e le pale degli altari, e che uscivano per
le strade nelle processioni.
Inoltre, i teologi
dell’epoca – e ce n’erano di eccellenti – nel trattare di Dio Padre gli
applicavano categorie filosofiche di “Essere”, “Motore Immobile”, “Ente
necessario” e altri termini che oscuravano gli aspetti maggiormente biblici di
Dio: la realtà, cioè di essere Amore e Misericordia.
Nonostante tale
atmosfera culturale e religiosa, quando noi ci avviciniamo ai testi di S.
Teresa di Gesù, scopriamo che lei si riferisce a “Dio Padre” come lo fa la
Sacra Scrittura: il Padre è Colui che ama Gesù e gli esseri umani; Colui
che perdona con Misericordia infinita; Colui che dà la vita a Cristo
affinché la comunichi a noi uomini.
Se ne ricava
l’impressione che Teresa abbia assimilato il ‘Vangelo secondo S. Giovanni’ e lo
abbia convertito in esperienza mistica.
Diamo una sintesi delle qualità che
Teresa assegna a Dio.
Diciamo subito che è giusto parlare del
“Dio della Santa”. In effetti, lei è giunta a farsi un’immagine molto
particolare e concreta di Dio.
I lunghi anni dell’incontro, le innumerevoli grazie che
ricevette, così come le profonde purificazioni cui fu sottomesso il suo
spirito, andarono configurando nel cuore e nella mente di Teresa un’immagine
molto peculiare.
C’è però, qualcosa di più. Dio stesso le si rivelò attraverso
altissime esperienza mistiche in cui ha potuto contemplare il volto di
Cristo, la realtà e verità della Divinità, le Persone divine, ecc. L’immagine
che Teresa aveva ricevuto dai genitori andò crescendo e maturando al calore
dell’esperienza religiosa profonda. Per questo possiamo affermare che il Dio
che Teresa ci offre, è un essere vivo, molto distante da quello dei
filosofi, anche se molte delle qualità apparentemente coincidono.
Un Dio vivo
• È
un Dio vivo, perché Teresa ha sempre sentito l’urgenza della sua chiamata, che
l’ha fatta uscire –
come gli antichi protagonisti d’Israele –, dalla sua terra e da se stessa (V
4.1):
«Mi pare di poter dire con sicurezza che quando
lasciai la casa di mio padre provai un tale spasimo che non credo di doverlo
sentir maggiore in punto di morte. Sembrava che le ossa mi si slogassero tutte
per la gran forza che mi dovevo fare, perché l’amore di Dio non aveva ancora
vinto quello della famiglia: la lotta fu tale che se il Signore non m’avesse
aiutato, ogni mia considerazione sarebbe stata insufficiente»..
Ogni
ascesa spirituale era accompagnata in lei da una nuova chiamata, che provocava
un passo in avanti.
Talvolta Teresa paragonerà tale chiamata
al dolce fischio del pastore, al cui eco si raduna tutto il gregge. È, però,
vivo anche perché lei lo percepisce come fuoco trasformatore, al cui
impatto si sente ardere d’amore divino. Tutto l’itinerario teresiano è un
incontro con la vita di Dio che va vivificando l’uomo sino alla trasformazione
piena.
Un Dio “che viene incontro”
• Il Dio di Teresa, non è l’Essere supremo
dell’astrazione, né dell’Idea motrice dell’universo. È il Dio degli uomini.
Si potrebbe parlare di “antropologismo” di Dio, dato il suo interessamento per
noi.
La sua passione per
l’uomo giunse al suo punto culminante in Gesù Cristo, che – a dire di Teresa –
si è sposato con l’umanità intera mediante l’Incarnazione. Quest’attitudine di
Dio, produce in lei meraviglia ed adorazione.
È il fondamento dell’essere
• Dio è per
Teresa l’“ambito” vitale in cui è avvolta e bagnata la creazione. Ancor
più: è la vita stessa dell’universo; la sua presenza, infatti, lo sostiene e lo
conserva. Tale convinzione s’intensificò con la percezione di Dio come fondo
del “Io umano”. In tal modo la creazione si trovava piena di luce e di vita,
originata da quel fuoco illuminatore e quella fonte perenne che si nasconde
nelle medesime radici dell’uomo (V 40,9-10: «Stando un giorno in orazione mi
fu rappresentato, in rapidissima visione, come le cose si vedano in Dio e come
Egli le contenga in sé. Paragonerò la Divinità ad un nitido diamante, molto più
grosso dell’universo, o ad uno specchio… Ogni nostra azione si riflette
nel diamante, perché esso racchiude ogni cosa, e nulla vi può essere al di
fuori della sua ampiezza»).
Dio s’identifica con Gesù
• Teresa sa che Dio non si esaurisce con Gesù
– non ignora, infatti, il mistero delle altre Persone divine –; è convinta,
tuttavia, che il suo Dio è colui che si riflette nel volto di Cristo Gesù. Lei,
tutto quanto ha percepito della Divinità, l’ha contemplato nel volto di Gesù,
che è il Dio degli uomini
«O
mio Dio, come far comprendere la maestà con cui vi manifestate, e fino a che
punto vi mostrate Signore della terra e del cielo, e di tutte le terre e di
tutti i cieli che poteste creare? Per un Signore come Voi, sarebbero un nulla
anche mille e mille mondi, tanta è la maestà in cui l’anima vi vede adorno!»
(cfr: V 28,8).
In questa forma tanto semplice ha captato Dio nella storia umana.
Il Dio lontano – che
la mente non può rappresentare e che corre il pericolo d’essere reso un mito
dal l’istinto di sublimazione della nostra psiche inferma –, trova la sua
chiave di lettura e di comprensione nell’essere di Gesù. Per questo, Teresa
farà sua, proprio nel mezzo del suo discorso polemico, l’affermazione
evangelica che, chi vede Gesù, scorge il Padre.
Accennavamo
prima che lei sa bene che il mistero di Dio è una pluralità di Persone che Gesù
non esaurisce: constata, però, che per entrare in questa mistero trinitario
sono necessari il mediatore, la porta e la via, che non sono altro che Gesù
stesso. Questi, inoltre, è il “Verbo di Dio”, vale a dire, la sua parola
diretta a noi. – In Gesù, quindi, si trova quanto potremo sapere di Dio.
Dio è rivolto all’uomo
• Dio è orientato all’uomo: è il presupposto
fondamentale che dona coerenza alla spiritualità di Teresa. L’origine di ciò si trova nella sicurezza di
sapersi amata dall’eternità e d’aver compreso che un simile amore è stato
donato ad ogni uomo. Per esprimere un fatto tanto inaudito e, insieme
consolante, si sentirà obbligata ad utilizzare non pochi antropomorfismi.
(cfr.
E 7-2: «Considera, anima mia, con che gioia ed amore il Padre riconosce suo
Figlio e il Figlio suo Padre. Contempla l’ardore con cui lo Spirito Santo si
unisce a Loro, e come nessuno dei Tre possa separarsi da tanto amore e
conoscenza, formando loro una cosa sola: si conoscono, si amano e si
compiacciono a vicenda. Ora, che bisogno v’è del mio amore? Perché lo volete, o
mio Dio? Che ci guadagnate con esso? – Oh, siate per sempre benedetto, mio Dio.
Tutte le creature vi lodino, e con lodi senza fine, come senza fine siete Voi!»).
Dio, origine della “bellezza”
• Uno degli impatti più forti sperimentati da
Teresa nella sua esperienza religiosa, fu dovuto all’in-contro con la
“bellezza”, che sembra lei abbia focalizzato in maniera particolare, nel volto
di Cristo.
Racconta: «È pure impossibile che tale
visione sia effetto di fantasia. Non vi è motivo per crederlo, perché la
bellezza e la bianchezza di una mano soltanto, superano notevolmente ogni umana
immaginazione» (V 28,11).
La bellezza del
Cristo giunge a folgorarla. «Dopo aver visto la gran bellezza del Signore,
non vi fu persona che al suo confronto m’apparisse così piacevole da occupare
ancora il mio spirito» (V 37,4).
Sotto l’impressione forte di queste
visioni, esclamerà: «Oh sovrano mio Dio, potenza infinita, bontà suprema,
sapienza eterna, senza principio e senza fine! Voi, le cui opere non hanno
limite, le cui perfezioni sono incomprensibili ed infinite, oceano senza fondo
di meraviglie, bellezza che in sé comprende ogni bellezza, voi che siete la
forza stessa. Oh! Se in questo momento, gran Dio, potessi avere tutta la
sapienza e l’eloquenza degli uomini! Come potrei far meglio comprendere, per
quanto è a noi concesso – giacché la nostra scienza non è che ignoranza –
alcuna di queste vostre perfezioni che meno imperfettamente fan conoscere chi
siete Voi, nostro Signore e nostro Bene!». (CP 22,6)
Finalmente, Dio è
denominato Bellezza: una bellezza che eccede tutte le bellezze create.
Per questo, ella poteva contemplare
la creazione e scoprire in essa il passaggio di Dio, il suo profumo.
La creazione diventava il manto o la veste
di Dio, attraverso cui penetrano e si riflettono le irradiazioni della sua
bellezza. L’uomo contemplava, oltre alla bellezza derivata del suo essere di
creatura, lo splendore della di Lui grazia. Così, poteva descrivere la vita
spirituale come un cammino ascensionale dietro alla sua bellezza.
Dio, fine dell’uomo
• Dinanzi alla domanda: “Qual è la meta
della vita umana?”. La risposta di Teresa sarebbe: “La trasformazione in
Dio”. Tutto il suo discorso si finalizza a tale meta.
Inoltre, le “Settime Mansioni” – che
segnalano il punto culminante del percorso – sfociano in ciò che lei ha
chiamato “matrimonio spirituale” o “trasformazione dell’anima in Dio”. È noto
che Teresa ha incastonato il progetto divino dentro la struttura umana; ognuna
delle nostre potenze o capacità devono ritrovarsi aperte completamente alla
grazia di Dio.
Secondo ciò, Dio è la pienezza dell’uomo secondo i
gradi: uomo, cristiano-Cristo, Dio-Trinità.
Il Dio, che si rivela nell’orazione
• Già sappiamo come l’esperienza religiosa
di Teresa si trovi strettamente legata al tema orazionale. La sua storia
salvifica, orientata interamente all’orazione, consistette in una progressiva
scoperta di Dio, in sintonia con i diversi stadi della preghiera. Possiamo,
quindi, affermare che ogni grado dell’orazione si specifica per un’immersione
ogni volta più profonda nel mistero di Cristo e di Dio. Per questo ci è lecito
sostenere che il Dio di Teresa si manifesta nell’orazione, che è il “luogo
della rivelazione”, il suo ambito di manifestazione (cfr V 8,5; ecc.).
Il Dio che si manifesta nella Chiesa
• Rimanere nel seno della Chiesa, significava
per Teresa la garanzia più certa dell’autenticità della sua esperienza. A
questo desiderio di comunione con la Chiesa si deve che tutti i suoi libri,
prima d’esser pubblicati, furono scrupolosamente esaminati dai teologi. Da
notare che, tanto nei prologhi quanto negli epiloghi delle sue opere,
s’incontra sempre il medesimo ritornello: «Tutto quanto posso affermare, sta
sempre sotto il giudizio della Chiesa».
Il suo amore e
devozione per essa si confondono con la sua adesione ardente alla verità,
spiega-bile soltanto con la sua ansia e preoccupazione di non uscire giammai
dal piano di Dio.
Per questo possiamo
affermare che il suo Dio e quello che si manifesta e vive nella Chiesa. La sua
fede fonda mentale può sintetizzarsi nella trilogia seguente: Verità, Chiesa,
Dio.
Il Dio di Teresa, Oggi
• Il tema di Dio si trova in questo periodo
sottomesso ad un animato e complesso dibattito. L’ateismo formale di non pochi
sistemi di pensiero sta obbligando molti credenti e riconsiderare i fondamenti
su cui si basavano le prove dell’esistenza di Dio. Oggi si pretende dar una
risposta a tale domanda inquietante da diverse prospettive. Noi siamo convinti
che l’interrogazione non sarà schiarita se – come s’è fatto sino ad oggi – si
continua a passar sotto silenzio la voce dei mistici. In concreto,
crediamo che la spiritualità teresiana, composta di esperienze vive, può
apportare non poco alla chiarificazione di tutta la tematica di Dio.
Non si pensi per
questo che non siamo coscienti dell’esistenza di obiezioni sostanziali contro
l’esperienza e la percezione mistica. In generale, cioè, quando l’uomo afferma –
su quel possibile essere che cade fuori della nostra percezione positiva –, che
non è se non un’illusione, la quale, annidandosi nel profondo dell’uomo, si
proietta fuori di sé. All’uomo, però, per quanto a lui sembri il contrario, gli
è impossibile uscire da se stesso.
• Se simile obiezione può essere valida sul
piano filosofico, crediamo, tuttavia, che non lo sia su quello mistico, dal
momento che questi – il mistico – sperimenta, sente, patisce, vede, ascolta,
odora, palpa, ecc. Quantunque i nostri più qualificati spirituali
affermino che nessuno di questi verbi – separati o tutti insieme – sono capaci
di tradurre la loro ricchezza insita, essi, tuttavia, segnalano che l’uomo si
sente immerso nel proprio insieme da qualcosa che si trova di là di se stesso.
D’altra parte confessano che tale realtà che li trascende, è immediata, poiché
la percepiscono in tutto il loro essere.
• Il pensiero attuale dovrebbe tenere
maggiormente in considerazione tutta questa problematica, che costituisce
sicuramente uno dei fenomeni più misteriosi e ricchi dell’umanità. La forza
probativa della mistica, riguardo alla dimostrazione dell’esistenza di Dio,
risiede nel fatto che essa proclama e comprova che l’uomo che la vive, si sente
pienamente colmato, nella pienezza: in altre parole che questo desiderio ed
ansia d’eternità ed infinità, e tale insoddisfazione costante che perseguitano
l’uomo, rimangono totalmente saziati nell’incontro col divino.
• Se no, si leggano i libri di Teresa, che
confermano quanto diciamo. Dinanzi alla figura di Cristo, o di fronte alla
percezione di Dio, la nostra Santa si sente pienamente soddisfatta; brama
solamente l’incontro definitivo lì promesso. In questi fenomeni si osserva che
chi li patisce, si è incontrato con se stesso, è giunto alla meta, si sente
pieno, maturo e completato. È possibile che tutto ciò non sia più che una
proiezione del profondo dell’essere? Come spiegare dall’insoddisfazione e senso
di finitezza emerga la felicità e la soddisfazione piena? Non ci troveremmo di
fronte ad una fragrante contraddizione, se affermassimo una simile cosa?
• Pensiamo che la mistica teresiana offre una
risposta valida alle grandi domande che torturano l’uomo. D’altra parte,
l’esperienza dei mistici manifesta che la creatura solamente si riempie e si
soddisfa nell’incontro interpersonale; e ci rivela, in più, la profondità
dell’uomo, la sua finitezza e l’assoluto di Dio.
• Senza dubbio, l’esperienza vitale teresiana
– così intensa, così nitida e tanto debordante – prova chiaramente l’esistenza
di Dio, del Dio personale. Dopo una lettura attenta dei suoi libri, il lettore
si sente obbligato ad esclamare, come Edith Stein, senza poter contenere
l’esplosione di gioia che l’invade: “Qui sta la verità!”.
• Gli scritti di Teresa, anche se non hanno il
carattere ed il carisma dell’ispirazione – caratteristica esclusiva della
Bibbia – lasciano intravedere un’ispirazione speciale. La loro lettura suscita
il sospetto che nel fondo d’ogni linea e d’ogni vocabolo, si trova l’Essere
supremo che dona armonia e bellezza, poiché la forza del loro contenuto
soggioga profondamente: è come se quella letteratura fosse pianificata ed i
vocaboli e le espressioni dilatati per dar spazio a qualcosa che li supera.
A luglio, dopo gli esami
superati brillantemente, lo rividi nervoso e insoddisfatto: «Stefano, come
mai?». «Papà non mi vuol comprare il motorino...» – mi rispose. Cercai di
fargli comprendere e accettare le ragioni del papà, e lo salutai. Il compleanno
gli portò presto il regalo sognato. Ma, dopo qualche mese, al telefono, avverto
di nuovo un tono inquieto, affannoso: «Stefano, che hai?». «Sono caduto col
motorino e mi sono fratturato un piede».
Tempo fa incontrai don
Agostino, un mio amico, sacerdote in un paese colpito dal terremoto; mi confida
i suoi crucci per le gravi lesioni subite dalla sua chiesa e l'incertezza circa
l'arrivo dei finanziamenti indispensabili. Qualche mese dopo vedo la sua chiesa
rimessa a nuovo grazie alle sovvenzioni tempestive, ma lui ancora preoccupato
perché la gente, abituata ormai alle funzioni
religiose nel capannone, non entra in chiesa.
Proprio ieri incontro
Graziella, da alcuni mesi felicemente sposata ad un giovane bello e ricco: non è contenta: «Temo – mi dice – che mi tradisca».
Antonio, il mio barbiere,
ha appena fatto un prestigioso tredici: mi confida d’essere nervoso e stanco
perché non riesce a dormire come prima.
Stamane passo per la
strada e sento fischiettare allegramente: è Urbano, il mio amico netturbino,
che spazza la strada ammucchiando le foglie cadute. Gli chiedo come mai sia
tanto allegro nello svolgere un lavoro che sembra inconcludente, giacché le
foglie, cadendo ogni giorno di nuovo dall'albero, renderanno vana la sua
fatica. Mi risponde che è contento perché proprio le foglie che cadono danno da
mangiare a lui e alla sua famiglia, e aggiunge: «Quando si sta con Dio, si è
sempre contenti».
Le sue parole mi
richiamano quelle di Teresa d'Avila: «A chi ha Dio, nulla manca – Dio solo
basta». É proprio vero, mi ripeto: solo Dio può bastare. Vorrei che le parole
del mio amico netturbino arrivassero al cuore di tutte le persone inquiete e
insoddisfatte riportando in loro la serenità.
Andrea Panont, ocd;
‘L’alfabeto di Dio’, ed.
Mimep Docete