Gallarate, 3 giugno 1922 –
Parma, 11 luglio 2013
Io, Suor Maria Gabriella
di Gesù, rinnovo il mio voto a Dio… Era la sera del 10 luglio 2013, e la rinnovazione
dei voti religiosi, che per tradizione viene effettuata sul letto di morte, era
necessariamente pronunciata dalla Madre Priora: Suor Maria Gabriella infatti da più giorni non dava segni di
vitalità. Ma quando la Madre finì di leggere la formula, Suor Maria Gabriella,
raccogliendo le sue ultime energie, pronunciò un faticoso ma chiaro Sì.
Era la sua ultima parola:
la mattina seguente sarebbe entrata nell’eternità.
La
piccola Anna Maria
Anna Maria Orlandi nasce a Gallarate il 3 giugno del 1922 da Annibale,
industriale tessile che porta avanti l’azienda fondata dal padre Gaspare, e da
Giuseppina Pizzamiglio, appartenente ad una famiglia che da generazioni
esercita in Gallarate la professione notarile. Dunque, un ambiente distinto e
signorile, dove non mancano gli agi: la cucina è gestita da un’abilissima cuoca
tirolese professionista – fräulein Platzgummer – e i due fratellini (poco dopo
la nascita di Anna Maria arriverà infatti il piccolo Rino) sono affidati
dapprima a una qualificata «tata» in piena regola, con tanto di divisa bianca e
blu, e successivamente a un’insegnante privata. L’abitazione poi è una delle
più belle della già benestante Gallarate.
Ma la ricchezza materiale
convive con uno stile di vita serio e impegnato: papà è un grande e onesto
lavoratore, che sa farsi amare dagli operai e che sa affrontare i boicottaggi
dovuti alla sua posizione critica nei confronti del fascismo. E’ anche un
eccellente disegnatore, che progetta personalmente le fantasie dei tessuti e
che realizza in un magnifico stile liberty i volantini pubblicitari
dell’azienda.
Mamma Giuseppina a sua
volta dedica il tempo libero ad attività sociali, tutte a titolo gratuito:
tiene corsi di economia domestica e si prodiga come croce-rossina, offrendo anche
esempi di dedizione eroica in occasione della seconda guerra mondiale.
Il tutto, radicato in una
fede cristiana solida e convinta.
I piccoli, quasi coetanei
e perennemente insieme, sono molto diversi per temperamento: Rino è dolce e
remissivo, mentre Anna Maria ha la stoffa del leader; inventa e impone i giochi
ed estende la sua autorità indiscussa anche ai cuginetti. Anche mamma e papà
devono fare i conti con questo suo carisma, e più di una volta si vedono
costretti ad arrendersi davanti ai no e ai sì della loro bambina.[1]
Fenomenali sono i suoi capricci, accompagnati però dal debito preavviso: Adesso
capricci, annuncia la bambina, dopo di che si sente in diritto di gridare a
sirene spiegate.
Eppure la stoffa è buona,
e con il passare degli anni i comportamenti irrequieti cadranno per lasciare
emergere in pienezza quelle caratteristiche che vi sottostavano: fermezza di
carattere, coraggio, volontà tenace.
L’educazione dei bambini,
oltre che ai genitori, è affidata dapprima alla già citata balia, poi –
raggiunta l’età scolare – a un’insegnante privata; per motivi ideologici il
padre non vuole che i bambini frequentino le scuole pubbliche. Ma quando i
figli terminano il corso di studi primario, papà Annibale vede che non c’è
altra scelta, e li iscrive alla scuola media cittadina. A quattordici anni Anna
Maria si iscrive al Liceo Classico di Gallarate, dove ha la sorte di incontrare
ottimi insegnanti e compagni di classe particolarmente brillanti e intelligenti
(ne usciranno molti noti e stimati professionisti), che creavano un sano clima
di emulazione e costituivano uno stimolo a dare sempre il meglio di sé. I
professori – si diceva – avevano paura di quella classe, sia per il clima da tutti
per uno, uno per tutti che vi regnava, sia perché i ragazzi fiutavano al
volo se gli insegnanti non erano all’altezza del loro compito, e non ne
perdonavano una.[2] Furono anni
sereni, che Suor Maria Gabriella ricorderà sempre con gioia sorridente. Una
annotazione della quale non possiamo fare a meno, visto il piacere con cui ce
ne parlava: Anna Maria, fra una versione di greco e una di latino, trovò
ampiamente il modo di praticare sport, favorita sia dalla sua condizione di
benestante, sia dalla diffusione che la pratica sportiva aveva raggiunto
durante il ventennio fascista. Giocava a tennis, praticava lo sci alpino e si
dedicava anche al tiro a segno: disciplina questa in cui, a Roma, si laureò
campionessa italiana.
Una
giovane donna dalla vita intensa e impegnata
Terminato brillantemente
il Liceo Classico, Anna Maria avrebbe voluto iscriversi alla facoltà di
medicina, ma l’opposizione dei genitori la indusse a orientarsi verso la facoltà
di scienze biologiche, che finirono per piacerle moltissimo e anzi lasciarono
in lei una vera e propria forma mentis.
In facoltà seguì con
particolare interesse le lezioni del Professor Silvio Ranzi (Roma, 1902 –
Milano, 1996), un luminare della biologia al quale si devono importanti
ricerche sperimentali nel campo dell'embriologia. Uomo distinto e integerrimo,
il professore notò il rigore e la serietà di Anna Maria, e dopo la laurea le
offrì un posto come assistente e, in pratica, come sua sostituta: la stimò
sempre moltissimo e – ormai novantenne – venne persino a trovarla a Parma.
Con l’ingresso
nell’ambiente universitario iniziò per Anna Maria un periodo eccezionale di
esperienze scientifiche ed umane, intessute di viaggi, di congressi, di frequentazioni
accademiche ad altissimo livello.
Era lei che interrogava
gli studenti (e forse li spaventava anche un po’, data l’esattezza che
giustamente esigeva), che spesso sostituiva il professore a lezione e che
collaborava con lui in quelle ricerche di embriologia per le quali ancor oggi
il Ranzi è citato nelle enciclopedie. Il suo impegno di ricercatrice comportava
estrema precisione, lucidità intellettuale e anche abilità manuale, visti i
lavori delicatissimi di preparazione dei tessuti per l’esame microscopico.
Ma era anche un lavoro di
grandissima soddisfazione, una soddisfazione che a distanza di decenni
continuava a brillare nei discorsi di Suor Maria Gabriella.
Momenti speciali erano
quelli dei congressi internazionali, dove al prestigioso onore di rappresentare
il mondo della ricerca italiana, si aggiungeva il piacere di trovarsi –
trattati da ospiti d’onore – nelle più belle capitali europee, come Parigi e
Londra… Memorabile fu, intorno al ’50, un lungo soggiorno a Napoli, dove il
professor Ranzi era stato capo di un reparto della Stazione Zoologica (tuttora
attiva e famosa per avere installato l’acquario più antico d’Europa). Il gruppo
dei ricercatori – alloggiato splendidamente in un hotel affacciato sul mare –
“ordinava” le specie marine occorrenti per i propri studi ai pescatori del
posto, e questi, con straordinaria abilità, le scovavano, le catturavano e le
consegnavano nel giro di poche ore.[3]
Questi aspetti per così
dire “brillanti” si nutrivano però di continui sacrifici: prima di tutto la sua
posizione di docente universitaria richiedeva non solo una solidissima base di
conoscenze, ma anche un aggiornamento continuo e un altrettanto continuo controllo
di sé e delle proprie parole, nelle lezioni come nei colloqui con gli studenti,
negli esami come nell’assistenza alle tesi. A questa tensione intellettuale si
aggiungevano i disagi di pendolare, che la tenevano lontana da casa tutto il
giorno e la costringevano a levatacce mattutine e a pasti consumati alla spartana,
riscaldati a malapena con il fornello del laboratorio di chimica! In più, i disagi
comuni arrecati dalla guerra, che aveva reso quasi irreperibili non solo tanti
generi di prima necessità, ma anche le più comuni attrezzature scientifiche:
cosa alla quale Anna Maria e i colleghi supplivano con la proverbiale e
italianissima arte di arrangiarsi.
Una disciplina dura, dunque, per la mente e per il fisico: ma anche
un’eccellente prepara-zione alla vita carmeli-tana! Nella stessa direzione si
collocano anche gli impegni sociali che Anna Maria assunse, continuando così la
bella tradizione materna: per anni fu Dama accompa-gnatrice degli ammalati nei
pellegrinaggi a Lour-des – mettendo così a profitto anche le sue conoscenze
mediche – e lavorò come volontaria in un centro di consulenza familiare di ispirazione
cattolica.
Al
Carmelo: Legnano, prima tappa
Sempre pronta a raccontare
con vivacità gli episodi più piacevoli del suo passato, Suor Maria Gabriella
diventava riservatissima quando si trattava del suo mondo più intimo. In
comunità sapevamo dei suoi anni giovanili intessuti di impegno professionale,
sociale e anche religioso; sapevamo del suo ingresso dopo i trent’anni d’età…
ma nulla sapevamo della «scintilla» che l’aveva portata a scoprire la sua
vocazione carmelitana. L’abbiamo appreso solo dopo la sua morte, grazie ad una
sorella con la quale si era confidata.
Anna Maria, probabilmente
già alla ricerca dell’orientamento da dare alla propria vita, nota
all’università la presenza di una padre carmelitano e ha un colloquio con lui.
Argomento: l’«utilità» delle monache di clausura. La giovane docente la mette
in dubbio; tuttavia, onestamente, ascolta con attenzione anche il parere
opposto. La notte stessa, uno strano sogno: si vede vestita da carmelitana.
Ora, il bravo scienziato è
colui che rifugge dal partito preso, ma al contrario fa attenzione a
tutti i fenomeni, li annota e li «ascolta». Da ricercatrice rigorosa, Anna
Maria non si affretta ad archiviare il sogno, ma si chiede il suo significato e
se ne lascia interpellare. Ne viene fuori un cammino di intenso discernimento
che la porta a riconoscere la chiamata al Carmelo che Dio le ha messo nel
cuore.[4]
Ma tra la consapevolezza
della chiamata e la sua realizzazione c’è un lungo tratto di strada in salita.
Prima di tutto Anna Maria deve affrontare l’opposizione dei genitori, e della
madre in particolare: era una donna sinceramente religiosa, ma per lungo tempo
non riuscì a credere alla vocazione della figlia. In secondo luogo il distacco
dal mondo che la vocazione comporta, per Anna Maria era particolarmente
faticoso, in quanto le veniva richiesto di lasciare una vita intensa e di
grande soddisfazione intellettuale e professionale, nella prospettiva di una
brillantissima carriera universitaria. Infine, sapeva bene che la sua attitudine
al ragionamento scientifico e il suo stile di vita «moderno» (viaggi,
indipendenza economica, responsabilità accademiche) una volta al di là della
grata si sarebbero dovuti scontrare con le mille piccole consuetudini della
vita carmelitana, e – per giunta – di quella dei primi anni ’50.
Una
vera corsa a ostacoli, che poteva essere intrapresa soltanto dietro la spinta
di una volontà ferrea e di un amore incondizionato a Dio, oltre a quella della
Grazia che non viene mai meno a chi vuole servire il Signore con decisione
(Santa Teresa).
In
questo faticoso cammino Anna Maria trova un aiuto in Madre Teresa di Gesù, la
«leggendaria» priora di Legnano, al cui Carmelo aveva bussato: donna di
intensissima spiritualità, ma anche di stupenda umanità, Madre Teresa aveva un
dono particolare per rasserenare i cuori e ricomporre con tatto e buon senso
anche le situazioni più complicate. Con la sua indiscussa autorità, la Madre
ottiene all’aspirante carmelitana un colloquio con un pezzo da novanta
dell’Ordine, il belga Padre Gabriele di Santa Maria Maddalena, celebre nel
Carmelo per la sua impareggiabile direzione spirituale, ma altrettanto celebre
al di fuori dell’Ordine, in quanto autore di Intimità Divina, uno dei
grandi classici della spiritualità cristiana.
Il
Padre la rassicura sulla sua vocazione e le ricorda con dolcezza che al Carmelo
il suo lavoro quotidiano non sarà più quello di una ricercatrice, ma quello di
un’umile donna di casa… Parole semplici, che acquisteranno quasi il valore di
un testamento spirituale se si considera che poco tempo dopo questo colloquio
Padre Gabriele morirà improvvisamente, lasciando nella costernazione quanti lo
avevano conosciuto, amato e stimato.
Così
rassicurata da voci tanto autorevoli e sostenuta da una convinzione matura e
profonda, Anna Maria entra al Carmelo di Legnano: è il 3 ottobre del 1953.
Il
monastero che l’accoglie ha una storia “giovane” e già illustre. Fondato da
appena quattro anni, brilla per l’impegno con cui pratica la regola e anche per
alcune figure di rilievo che compongono la comunità. Oltre a Madre Teresa e ad
altre monache di grande ricchezza spirituale (come la Madre Maestra Suor Paola
di Cristo Re), spicca Suor Maria di Gesù, al secolo principessa Paternò,
approdata al Carmelo dopo venticinque anni di matrimonio e di comune accordo
con il marito, a sua volta divenuto sacerdote barnabita.
Di
tutte Suor Maria Gabriella conserverà un ricordo gratissimo, e ne parlerà con
ammirazione e riconoscenza, raccontando gli aneddoti della loro vita, ma
specialmente cogliendo di ciascuna la profondità e la qualità del rapporto con
il Signore.
L’iter
della postulante è quello consueto: sei mesi dopo l’ingresso arriva la
vestizione, con l’imposizione del nuovo nome: Suor Maria Gabriella di Gesù, in
memoria dell’indimenticato Padre Gabriele da poco defunto. La professione
semplice è emessa il 26 aprile del 1955 e tre anni dopo arriva quella solenne.
Tra
i Padri che assistono la comunità va ricordato in modo particolare Padre
Beniamino della Ss.ma Trinità, connazionale di Padre Gabriele, che lo aveva
segnalato alle monache come suo “erede” nell’attività di direzione spirituale.
Con Padre Beniamino, uomo dalla coscienza molto retta e al contempo dolce e
signorile nel tratto, definitore dell’Ordine e vero figlio di Santa Teresa, la
comunità si trovava in grande sintonia; anche Suor Maria Gabriella trae
profitto dalla sua direzione spirituale e instaura con lui un rapporto duraturo
– anche se fatto solo di qualche lettera e dei rari colloqui in parlatorio –
che si protrarrà fino alle soglie del nuovo millennio, allorché Padre
Beniamino, quasi novantenne, sarà trasferito dalla casa generalizia a un
convento delle sue native Fiandre.
In
monastero le difficoltà non mancano. Per la ex ricercatrice, abituata a
gestirsi in totale autonomia e a fornire una spiegazione rigorosamente
razionale ai fenomeni che esamina, le regole di un Carmelo degli anni ’50 erano
troppe e troppo minuziose: da come tagliare il pane a come piegare il velo,
dall’ordine con cui spolverare i mobili al frasario fisso da utilizzare nelle
svariate circostanze… A ciò si aggiunge il fatto che diverse consuetudini erano
nate da una necessità contingente: poi succedeva che la necessità veniva meno,
mentre la consuetudine acquisita rimaneva, anche se svuotata del motivo che
l’aveva determinata. Il passare degli anni, il rinnovamento post conciliare e
l’acquisizione diffusa di una mentalità più informale portarono a semplificare
moltissimo le “regolette” di cui la vita carmelitana di allora era intessuta;
ma Suor Maria Gabriella fece in tempo a sorbirsele tutte, e – nella sua
mentalità di ragazza “moderna” - le giudicava non un mezzo per arrivare a Dio,
ma piuttosto per perderlo di vista.
Una
mattina, subito dopo essersi alzata, cominciò a contare i gesti in qualche modo
“regolati” dal complesso cerimoniale di allora. Le finestre si aprono così, le
scale si scendono così, la porta si chiude così… Uno, due, tre, dieci, venti…:
a metà mattina il computo era arrivato a svariate decine, e ad ogni
progressione nel conteggio cresceva l’esasperazione della giovane suora: quando
ecco che all’improvviso le si aprirono gli occhi del cuore. Tutti quei gesti,
letti in un’ottica soprannaturale, erano altrettanti atti di adesione alla
volontà di Dio. Poco importava che le sembrassero inutili, complicati, o
antiquati: erano in ogni caso ciò che Dio le chiedeva in quel momento, e
pertanto il loro valore reale (ad li là delle apparenze) era sostanziale
ed efficace in ordine all’unione profonda con Dio.
Certo,
negli anni seguenti ella sarà comunque favorevole a semplificare o lasciar
cadere quelle usanze che non erano supportate da una reale necessità pratica.
Ma
quella lezione interiore, fiorita tra le spine di una mattinata “no”, si
impresse per sempre nel cuore di Suor Maria Gabriella, che a distanza di anni
ogni volta evidenzierà, con passione e intima convinzione, l’importanza
teologica del più piccolo dei nostri gesti, in perfetta consonanza con quello
che diceva Santa Teresa di Lisieux: Come tutto è grande nella vita
religiosa! Perfino uno spillo raccolto con amore può salvare un’anima!
Questo
episodio è solo la spia dell’intenso lavoro interiore che la giovane religiosa
va effettuando, e del quale è un prezioso frutto lo scritto seguente. Si tratta
di un biglietto del ’62 che Suor Maria Gabriella portò sempre con sé e che
abbiamo trovato dopo la sua morte: un’offerta di se stessa all’amore di Dio,
redatta con termini tanto precisi quanto appassionati, e scritta con
l’approvazione di un P.B. che abbiamo ovviamente identificato con il già
citato Padre Beniamino.
con
l’approvazione di P.B.
Giovedì
Santo 1962
“Oblatus est quia Ipse voluit”
Gesù, come Te
voglio darmi! Darmi nella carità, nell’abbandono più assoluto…“usque ad finem”…
In unione a
tutti i sentimenti che vibrarono nel tuo Cuore nel primo Giovedì Santo,
gioiosamente e solennemente rinnovo oggi e depongo sull’altare l’offerta totale
della mia volontà, di tutto il mio essere per consacrare e abbandonare con Te
la mia vita ad ogni volontà del Padre…
Sento, Gesù,
che in questa comunione di offerta che oggi si effettua nelle mani del
Sacerdote, si realizza la mia vera e profonda unione con Te, che sono ora
veramente tua sposa in una reciproca, silenziosa promessa di amore e di sofferenza.
Gesù, Tu hai
detto che non vi è amore più grande che dare la vita per quelli che si amano; è
questa l’aspirazione profonda che Tu hai comunicato alla mia anima… Tu conosci
la sincerità e l’intensità di questo desiderio che brucia nel mio cuore con
ardore sempre crescente. Lo depongo nel Tuo Cuore, lo affido alla Tua bontà e
misericordia infinita…
O Gesù, sento
che se sarò fedele nella silenziosa e nascosta donazione delle piccole cose, la
tua infinita, divina fedeltà mi verrà incontro, aiuterà la mia debolezza e
impotenza, mi concederà la vera immolazione totale, nella Carità, per il trionfo
dell’Amore e l’estensione del tuo mistico Corpo.
Sapendo
bene che Suor Maria Gabriella era nemica giurata della retorica vuota (specialmente
quella spirituale!) possiamo dedurre che questa offerta sia stata poi
concretamente vissuta nel quotidiano per tutto il tempo della sua vita
religiosa, con quella rettitudine senza sconti che era propria della sua forma
mentis.
La
comunità non tardò a notare questa monaca giovane e impegnata, e ben presto
arrivarono gli incarichi di responsabilità.
Accanto
alla mansioni tradizionalmente affidate alle giovani professe (come ad esempio
la cura del guardaroba), Suor Maria Gabriella si vide affidare l’incarico di angelo
del noviziato, una religiosa cioè che, pur senza avere la mansione di madre
maestra, deve orientare le novizie nelle mille piccole consuetudini della vita
monastica: con le parole, ma ancora di più con l’esempio.
Da
angelo del noviziato a madre maestra il passo fu breve, e così, a
pochi anni dalla professione solenne, Suor Maria Gabriella iniziò quella
“carriera” di formatrice che l’avrebbe impegnata per decenni e che le avrebbe
dato – insieme con le inevitabili preoccupazioni e sofferenze – la gioia
incomparabile di veder crescere sotto i suoi occhi decine di giovani vocazioni,
belle, durature e feconde[5].
Nel
frattempo – siamo ormai negli anni ’60 - si profilava all’orizzonte una novità
che avrebbe coinvolto la vita del monastero e quella di Suor Maria Gabriella in
particolare. A Lodi era stato nominato un vescovo carmelitano, Mons. Tarcisio
Benedetti. Il suo grande desiderio di avere un Carmelo nella propria diocesi
era supportato dall’assicurazione di un sostegno economico da parte dei tanti
ebrei che durante la guerra aveva protetto e salvato. A ciò si aggiungeva la
grande fioritura dei monasteri lombardi di quegli anni, con la relativa
facilità di trovare un sufficiente numero di monache per fondare un nuovo
monastero: e così avvenne.
Fu
proprio il giovane, fiorente monastero di Legnano che si prese il carico
(sempre estremamente impegnativo, e su tutti i fronti!) della fondazione. Con
l’intelligente lungimiranza che la caratterizzava, la saggia Madre Teresa
scelse le monache adatte a questo scopo: visto che a Lodi si prevedevano
abbondanti vocazioni, nell’elenco non poteva mancare una esperta madre maestra
quale era ormai divenuta la nostra Suor Maria Gabriella.
La
fondazione di Lodi
Era
il giugno del 1967 quando il canonico extra omnes segnò l’inizio della
vita claustrale del Carmelo di Lodi: una fondazione che si affacciava sotto
ottimi auspici. Fortemente voluto dal Vescovo e ben presto punto di riferimento
di tutta la diocesi, il nuovo monastero colpiva non solo per la sua slanciata
ed elegantissima forma a vela, ma ancor di più per lo straordinario fiorire di
vocazioni con il quale il Signore volle benedirlo. I Padri volentieri visitavano
quella comunità che pullulava di veli bianchi al punto che il Cardinale
Ballestrero, grande amico di Lodi, diceva scherzosamente che le novizie
potevano benissimo fare un colpo di stato: erano la maggioranza!
Un
così prezioso tesoro umano e spirituale quale era questo gruppo di novizie
doveva essere custodito da mani sicure: così la Priora Madre Maria Agnese le
affidò – come era prevedibile - a Suor Maria Gabriella.
Tale
impegno, sempre svolto in pieno accordo con la priora, consentì a Suor Maria Gabriella
di dare un’impronta e un’impostazione a tutta la comunità: un po’ perché si
trattava di una comunità appena nata e quindi tutta da organizzare, un po’
perché le novizie formate dalla madre maestra ne sarebbero stati i futuri
mattoni. In un ambiente attivo ed effervescente come quello di Lodi sua
preoccupazione fu sempre quella di indirizzare le intenzioni e le azioni delle
novizie (nonché la proverbiale operosità lombarda) ad un fine soprannaturale: Le
cose vanno fatte per amore del Signore, amava ripetere; e raccomandava che
le giovani non si lasciassero dominare dalla fretta di vederle finite. Per
contro, a chi con troppa facilità commetteva dimenticanze nell’esecuzione del
proprio dovere, diceva accorata: L’amore non dimentica!
L’ufficio
di madre maestra non fu soltanto un arricchimento per la comunità: lo fu anche
per la stessa Suor Maria Gabriella. Nel microcosmo del noviziato confluiscono
persone diversissime per età, storia personale, carattere, estrazione sociale e
formazione culturale; e diversissime anche per le vie e i modi attraverso i
quali il Signore guida ciascuna anima. Accostare il mondo interiore di ciascuna
novizia, mediare i rapporti umani tra novizie e quelli (a volte burrascosi!)
con la famiglia di provenienza, inserire le giovani nella vita comunitaria,
misurare ogni volta quanto esigere e quanto cedere, vedere le ragazze aprirsi –
ma anche chiudersi - alle sollecitazioni della Grazia…
Tutte
queste esperienze, poco appariscenti sul piano della “cronaca”, ma ricchissime
quanto a profondità e intensità, diedero al suo naturale senso di maternità (Se
mi fossi sposata – ci disse una volta – avrei voluto molti figli)
una dimensione soprannaturale e anche universale: il dover essere madre di un
piccolo gruppo di aspiranti alla vita carmelitana la aiutò a sentirsi madre di
ogni anima che la contattava e – più in generale – di ogni anima.
L’ultima
tappa: Parma. Gli anni del Priorato
Il
monastero di Lodi non aveva tradito le speranze suscitate nel corso della
fondazione: le ragazze continuavano a presentarsi numerose, e la comunità era
uno splendido fiorire di veli bianchi. Mentre negli anni ’70 la Chiesa europea,
sotto l’onda d’urto del sessantotto, conosceva una dolorosa crisi vocazionale,
il monastero di Lodi si presentava come un’isola felice dove le vocazioni
sovrabbondavano. Suor Maria Gabriella, quasi in naturale continuità con il suo
ufficio di madre maestra, nel 1976 succedette a Madre Agnese nella guida della
comunità, caricandosi di un priorato che sarebbe stato ancora una volta ricco
di nuove entrate, vestizioni e professioni: eventi così frequenti che erano
diventati quasi elementi di una felicissima routine…
Ma
ecco che con l’avvicinarsi degli anni ’80 il Signore bussa alla porta del
monastero di Lodi con una novità: qualche carmelo della Provincia Lombarda è in
difficoltà. Poche vocazioni, molte anziane, parecchie inferme… Urgeva la
presenza di qualche monaca generosa che da un altro monastero andasse a portare
aiuto. Sembrava naturale, sia per le priore degli altri monasteri, sia per i
superiori di allora, batter cassa al “ricco” monastero di Lodi, dove la crisi
non era quella delle celle vuote, ma – se mai – quella delle celle insufficienti!
A beneficiare della generosità di Lodi fu dapprima il monastero di Ferrara,
dove vennero inviate (1977) due monache che diedero un aiuto validissimo alla
comunità. Poco dopo l’ottanta fu il monastero di Parma – ricchissimo di storia
e memoria ma da anni senza vocazioni – che chiese aiuto alla provincia: ancora
una volta a rispondere all’appello fu Lodi, che inviò, oltre a una delle due
sorelle “in prestito” a Ferrara, ben tre religiose. Fra esse, Suor Maria
Gabriella, che nella comunità emiliana avrebbe avuto l’ufficio di priora.[6]
Il
compito che l’attendeva richiedeva doti non piccole di cuore e di intelligenza,
di buon senso e di coraggio. Si trattava infatti di rivitalizzare una comunità
che negli ultimi vent’anni aveva visto una sola professione contro dodici
funerali. E bisognava farlo con sapienza: da un lato immettendo quel dinamismo
organizzativo e spirituale che era proprio della giovane comunità di Lodi,
dall’altro rispettando quelle tradizioni e quello stile particolarmente
accogliente che affondavano le loro radici in un passato glorioso e che avevano
raccolto intorno alle monache di Parma stima e affetto da parte di moltissimi
fedeli, amici e benefattori.
Suor
Maria Gabriella profuse il suo impegno in entrambe le direzioni.
Sul
piano organizzativo pianificò il lavoro della comunità – anche avvalendosi del
valido aiuto dato dalle altre tre religiose “lodigiane” – distribuendo gli
uffici in modo da valorizzare le capacità e i talenti di ciascuna e anche
fornendo le officine[7] di nuove
attrezzature; questa nuova sistemazione consentì anche di recuperare pienamente
i ritmi e gli orari propri della vita monastica.
Nel
suo sessennio di priorato parmigiano (Suor Maria Gabriella infatti fu rieletta
e rimase in carica anche per il triennio 1986-1989) ella fece inoltre apportare
numerose migliorie all’edificio, che ormai contava una trentina d’anni e che fu
ampiamente rinnovato: per esempio venne ristrutturata completamente la
lavanderia, sia come attrezzatura che come modalità di funzionamento; la
legnaia cedette il passo al più funzionale boiler; la cucina fu rimodernata con
l’introduzione di nuovi elettrodomestici e il pollaio – che era diventato
troppo impegnativo per la sorella che fino ad allora lo aveva curato – fu
riconvertito in deposito attrezzi.
Anche
sul fronte – chiamiamolo così – della “continuità”, Suor Maria Gabriella
profuse le sue energie con intelligente lungimiranza e carità: raccolse e
valorizzò le tradizioni del Carmelo di Parma e in particolare il suo tono
singolarmente familiare e cordiale. Con il piccolo mondo che ruotava intorno al
monastero (padri e sacerdoti, benefattori, amici e conoscenti) ella seppe
mantenere quel senso di accoglienza materna che aveva caratterizzato le
precedenti priore, e anzi finì per calamitare intorno alla sua persona non solo
gli amici “storici” della nostra comunità, ma anche un gran numero di persone
che – forse passandosi la parola l’una con l’altra – chiedevano di incontrarla
in parlatorio per confidarsi e chiedere consigli.
Oltre
a tutto questo, Suor Maria Gabriella assunse su di sé il compito di madre
maestra: infatti, proprio in concomitanza con l’arrivo delle “lodigiane”, il
noviziato conobbe una inattesa fioritura, percepita dalla comunità come una
benedizione del cielo e quasi un sigillo alla riuscita operazione di innesto!
Un
tramonto fecondo
Gli
intensi anni del priorato parmigiano, ai quali si aggiunse la sua costante
tensione personale verso la santità, furono un grande impegno per lei e per il
suo fisico; per sovrappiù, la sua volontà e la sua virtù tendevano a
minimizzare quegli acciacchi e quei dolori che l’età porta quasi sempre con sé.
Così, quando nell’estate del 1989 terminava il suo secondo mandato di priora ed
era ormai vicina ai settant’anni, dovette pagare il conto al suo corpo, fino ad
allora troppo trascurato. Quei disturbi fisici ai quali fino a quel momento aveva
sempre reagito a forza di volontà, si presentarono in tutta la loro severità:
in particolare i suoi problemi erano legati all’apparato osseo-motorio, con
presenza di dolori talvolta lancinanti alla schiena e alle gambe. Per qualche
tempo, visto il peggioramento costante e rapido della sua situazione, la
comunità temette seriamente che dovesse infermarsi completamente nel giro di
pochi mesi: ormai le era diventato impossibile anche il solo stare seduta per
più di pochi minuti consecutivi.
Ma
le cose presero una direzione imprevista e insperata: sarà stato per le
attenzioni della nuova priora Suor Maria Maddalena, sarà stato per i lunghi e
ripetuti cicli di cura presso il Centro Fisioterapico Don Gnocchi,[8] sarà stato per la riduzione drastica
dei suoi impegni, sarà stato perché era così scritto in Cielo… di fatto, dopo
qualche mese di immobilità quasi totale, la nostra Suor Maria Gabriella vide
una lenta ma progressiva ripresa che ci lasciò meravigliate: certo, i dolori
erano sempre in agguato e la mobilità restava limitata, ma - tra pastiglie e
precauzioni – riuscì a riguadagnare una discreta indipendenza; si spostava autonomamente
con l’aiuto del deambulatore, poteva stare seduta per un buono spazio di tempo
e dunque poteva partecipare a quasi tutti gli atti comuni: dopo le apprensioni
iniziali, ci pareva un recupero miracoloso, e un recupero stabile: infatti le
sue condizioni – precarie ma accettabili - rimasero sostanzialmente le stesse
per oltre vent’anni e fu solo nell’ultimo anno della sua vita che assistemmo a
un peggioramento via via sempre più evidente.
Così,
alleggerita dal peso e dalla responsabilità del priorato, assistita con
riverente amore dalla comunità e in particolare dall’instancabile infermiera
Suor Giovanna Maria, ma allo stesso tempo discretamente autonoma, Suor Maria
Gabriella si avviava a vivere un lungo (quasi un quarto di secolo!) e sereno
tramonto. Sostenuta da una mente ancora lucidissima e vivace, e da una tensione
sempre crescente verso il Signore, organizzò la sua nuova vita facendo
convivere, con le dovute precauzioni fisiche, un’osservanza quasi regolare,
l’approfondimento costante della spiritualità carmelitana e anche l’attenzione
verso il prossimo, al di qua e al di là delle grate.
Una
piccola stanza a pian terreno, attrezzata con un divano-letto, uno scaffale e
una scrivania, era diventata il suo quartier generale: vi prendeva posto la
mattina per fare rientro in cella la sera; ciò le permetteva di raggiungere con
il suo deambulatore, in autonomia e senza l’ostacolo delle scale, tutti i
luoghi interessati agli atti comuni, dal coro al velario, dal refettorio al
parlatorio fino alla ricreazione. Quella piccola stanza, dall’aria molto vissuta,
raccontava senza bisogno di parole come scorrevano le giornate della sua
ospite!
Sul
divano non mancava mai una consistente pila di carta stampata: un po’ di libri,
un paio di riviste missionarie o comunque di ispirazione cattolica (trovava
sempre generosi e solleciti amici che, di propria iniziativa, le regalavano un
qualche abbonamento… del quale beneficiava tutta la comunità!) l’Osservatore, e
l’Avvenire, che doveva leggere per poi estrarne le notizie da comunicare in
ricreazione. Questo ufficio “decadde” allorché il quotidiano Avvenire fu
collocato in biblioteca, a disposizione di tutte: ma anche in seguito rimaneva
pur sempre piacevole sentire le notizie da lei, come filtrate dalla sua
sapienza: quella “profana”, che le consentiva di aggiungere spiegazioni e
approfondimenti di tipo scientifico; e quella spirituale, che le faceva leggere
le cose con lo sguardo sempre orante e soprannaturale.
Vicino
alla carta stampata, un tocco tutto femminile: l’immancabile lavoro a
uncinetto! Ora una soffice coperta per i bambini, ora un elaborato centro, ora
una fantasiosa presina; e accanto al lavoro del momento, la sacca di tela con
le riviste di uncinetto, sacca che era diventata quasi il logo di Suor Maria
Gabriella, e il segnale infallibile della sua presenza in zona! Questi lavori,
che un’altra sorella poi confezionava e presentava con arte da vetrinista,
occupavano un intero ripiano nella annuale mostra dei lavori ed erano dono
apprezzatissimo da amici e benefattori del monastero.
Dietro
al divano, il lavandino affollato di medicinali le ricordava la sua precarietà
ma anche la cura affettuosa con la quale la comunità cercava di alleviarle il
più possibile i disagi; dal lato opposto (la giovane Anna Maria per lunghi anni
aveva studiato pianoforte), uno scaffale straripante di spartiti musicali: una
specie di fabbrica del duomo in perenne fase di riordino. Ma si vedeva
bene che quel riordino non sarebbe mai finito, data la meticolosità con la
quale ciascun foglio veniva catalogato e – spesso – ricopiato e riadattato…
Di
fianco, l’incantevole finestra, affacciata sulla tettoia di un piccolo portico
che a sua volta immette nel giardino del noviziato. Più in là, una fitta fila
di conifere lasciava intravedere solo il cielo, e come la siepe di
leopardiana memoria, “escludeva il guardo” dall’impoetica visione dei
condomìni. Qualche vaso di fiori sul davanzale infine completava il meraviglioso
effetto-montagna! Oltre alla sua bellezza intrinseca, questa finestra aveva il
pregio di essere un osservatorio privilegiato dei numerosi ospiti del tetto:
stornelli che facevano il bagno nella grondaia, merli che cercavano le larve
tra le fessure delle tegole, intraprendenti passerotti che contendevano le
briciole di pane alle tortorelle, e un grosso gatto bianco e fulvo che, sapendo
di trovare al di là del vetro una amica degli animali, raggiungeva il davanzale
e si produceva nel suo repertorio di mosse e capriole, non senza avere prima
avvisato della sua presenza con un miagolio o un tocco di zampetta. Suor Maria
Gabriella, con la doppia attitudine della scienziata e della contemplativa,
doppiamente gustava queste pagine di storia naturale che Dio sembrava sfogliare
ogni giorno appositamente per lei.
Sotto
la finestra, il tavolino con messale, breviario e Bibbia, e con la sua schiera
di matite da museo, che la proverbiale parsimonia della nostra sorella aveva
accuratamente conservato per decenni! Sparsi qua e là, foglietti, agende, bloc
notes, tutti rigorosamente di recupero: Suor Maria Gabriella amava molto
esprimersi con carta e penna, e successivamente catalogare in tante cartellette
(che erano un vero campionario dell’arte del riciclaggio!) i suoi numerosi
scritti. Ora era un semplice indirizzo, ora un promemoria; ora una preghiera,
ora un appunto spirituale; ora l’intervento che avrebbe tenuto in capitolo, ora
la sua rielaborazione sintetica di un articolo appena letto. E spesso, molto
spesso, erano lettere che le venivano richieste dall’affetto o dalla carità.
Se
la sua stanza era lo specchio della sua vita in genere, il tavolino era lo
specchio della sua anima. Prima di tutto colpiva la freschezza del suo cuore,
che la portò, fino alle soglie dei novant’anni, a raccogliere appunti su
appunti, ad approfondire, riassumere, ricopiare tutti i frammenti di sapienza
che le era dato di trovare. Spesso poi – e qui riaffiorava l’antica docente –
si dava un “programma” preciso. Per esempio, un testo della Santa Madre, o una
virtù monastica, o un documento pontificio. Leggeva quello che trovava in proposito,
lo meditava, lo sintetizzava e lo archiviava nell’ennesima cartelletta… A volte
invece approfondiva temi di bioetica, disciplina che riassumeva un po’ i suoi
interessi fondamentali: la verità della scienza e la Verità di Dio. E talvolta
si concedeva qualche lettura più aneddotica, giusto per avere qualcosa di
piacevole da raccontare in ricreazione.
Ma
ciò che emerge da questo suo lavorìo e che vogliamo sottolineare è la passione
mai affievolita di aprire a Dio il cuore e la mente, di imparare sempre
qualcosa di nuovo, di non ritenersi mai arrivata, ma di mantenere la freschezza
(una delle sue parole preferite!) dell’amore. Allo stesso tempo la sua
effervescenza interiore non comportava il rischio della dispersione: nella
molteplicità amava cercare la sintesi; amava vedere che i particolari si
ricomponevano ed entravano nel disegno di Dio. Si accorgerà – disse con
il suo caratteristico tono intenso e come ispirato a una sorella che era andata
a trovarla a pochi giorni dall’ultimo ricovero – di come nella vita tutto,
tutto, tutto entra in un piano di Dio…
E
d’altronde l’espressione biblica che più di ogni altra catalizzava le sue
riflessioni era il giovanneo consummatum est, tutto è compiuto:
espressione che era solita pronunciare gustandola sillaba per sillaba… Nel consummatum
est Suor Maria Gabriella vedeva prima di tutto l’adesione profonda
(altra sua espressione chiave) alla volontà di Dio, che comportava
necessariamente una consumazione dolorosa della creatura. Ma consumazione non è
solo sofferenza. L’antica latinista sapeva che consumare non ha come
ascendente il solo cum-sumere (prendere tutto) ma anche cum summa:
con perfezione, con pienezza, fino alla sommità. Dunque il “suo” consummatum
diventava il momento in cui, sia pur dopo un cammino di sofferenza, la natura
umana veniva assunta dalla perfezione stessa di Dio, in una unità armoniosa che
abbracciava passato e presente, tempo ed eternità.
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Questa
ricchezza interiore non poteva restare sotto il moggio, ma doveva essere prima
o poi esposta su quel piccolo ma fecondo lucerniere che è il parlatorio del
Carmelo. Non si contano coloro che si rivolgevano a lei per un consiglio o un
conforto e che poi continuavano a mantenere i contatti, annoverandola nel
numero delle persone più care. Ed è comprensibile: il modo di porgersi di Suor
Maria Gabriella, sintesi di rigore e calore, catturava stima e affetto. La sua
struttura mentale, frutto della disposizione naturale ma anche della formazione
scientifica, era severa e quadrata: i dati oggettivi andavano sempre tenuti presenti
con rispetto e non potevano essere interpretati con disinvoltura. Dunque, chi
la contattava sapeva di trovarsi di fronte a una persona retta e affidabile,
che non avrebbe mai annacquato, nemmeno per compiacenza, il tesoro della
verità.
Ma
dentro questo solido contenitore che era la sua struttura mentale, la Grazia –
assecondata da una risposta seria e profonda - aveva riversato tesori di calore
e umanità, di comprensione e di effusività (altra sua parole chiave, che
ripeteva mille e mille volte!): il modo di sorridere, il movimento delle mani,
il protendersi del busto, il tono della voce, la scelta dei vocaboli… tutto
contribuiva a mettere a proprio agio l’interlocutore e a farlo sentire accolto
e come “atteso”.
E,
come ci scrisse nel messaggio di condoglianze una persona che di tanto in tanto
la veniva trovare: Ogni incontro con lei era una "scorta" di luce
che durava a lungo.
Verso
l’eternità
Il
novantesimo compleanno di Suor Maria Gabriella fu particolarmente festoso. Al
di qua della grata, dispensato e torta con il “90” d’obbligo; al di là della
grata, le presenza premurosa e affettuosa del fedelissimo fratello Rino,
accompagnato da figlie e nipoti: anche da parte sua, una torta degna di un così
solenne traguardo! Suor Maria Gabriella gradì molto queste manifestazioni di
affetto, che potè gustare pienamente, forte di una mente ancora vivace e di un
cuore sempre aperto.
Certo,
gli anni erano passati e i suoi movimenti si erano fatti via via più limitati.
Il deambulatore lasciava sempre più spesso il posto alla carrozzella, che
appariva più sicura e più pratica; e accanto ai problemi all’apparato osseo si
affiancavano tanti altri piccoli disturbi che richiedevano di essere monitorati
e curati a suon di pastiglie. Le mani tremavano e la dissuadevano dal prendere
quella penna che per anni era stata uno strumento di fattiva carità. Era
apparsa anche la sordità, che un opportuno apparecchio riusciva a rimediare, ma
solo in parte… Né erano mancati alcuni ricoveri ospedalieri: una volta la
frattura di un braccio, una volta uno scombussolamento della glicemia, una
volta una seria aritmia cardiaca… Con tutto ciò, il quadro d’insieme, in
relazione all’età, poteva ancora dirsi soddisfacente.
Ma
una volta girata la boa dei 90 anni, iniziò un declino inarrestabile. Notammo
che sempre più spesso ripeteva le stesse cose e sfogliava il breviario alla
ricerca del "segno": due piccoli ma inequivocabili campanelli
d’allarme, che ci dicevano come qualcosa cominciasse a scricchiolare nella mente.
E siccome fino ad allora il suo fisico era stato sorretto specialmente dalla
sua forza mentale, ecco che anche questo, di pari passo, si fece sempre più
fragile e lento.
Per
qualche mese però questo decadimento è stato come ammortizzato dalle abitudini
(e dalle virtù!) acquisite: sempre signorile nei modi, sempre cortese con chi
l’avvicinava, sempre dignitosa nell’esprimersi, sempre esatta - e persino
ricercata - nella scelta dei vocaboli.
Ma
nella primavera del 2013 è iniziato il tracollo; dopo un paio di cadute,
peraltro senza conseguenze fisiche, Suor Maria Gabriella ha cominciato ad
essere come smarrita (forse lo spavento? forse il bisogno di avere qualcuno al
suo fianco?), a non reggersi in alcun modo sulle gambe, a confondere le
persone. Il timore che potesse fare altre e più rovinose cadute ci aveva
indotte ad alloggiarla in infermeria, dove era riparata dal letto a sbarre. Il
distacco (consapevole e sofferto) dalla sua stanzetta tanto amata, fu a quel
punto molto di più di un semplice trasloco; fu l’espressione visibile di quel
distacco interiore che il Signore le andava chiedendo. A proposito di ciò,
vogliamo dire che proprio in questo tempo di smarrimento psicologico abbiamo
avuto modo di vedere fino a che punto le virtù teologali avessero penetrato e
plasmato la sua persona. Magari non ricordava più se una consorella era viva o
morta, se eravamo in Quaresima o in Avvento… ma se si presentava l’occasione di
fare un’osservazione di carattere spirituale, ecco che ritornava quella di prima,
ed esprimeva concetti o consigli con una precisione di termini, un calore di
partecipazione e una profondità sapienziale che ci lasciavano sorprese.
Continuò a farlo fino a pochi giorni prima di perdere definitivamente la
parola, e lo faceva con quell’aria dolce e solenne insieme di chi sta per
congedarsi dalla vita e vuole lasciare il suo testamento. Molte volte, anche e
specialmente quando parlare le era diventato molto faticoso, pregava a voce
alta e ripeteva al Signore l’offerta di se stessa, della sua volontà, della sua
mente (si accorgeva – eccome! – del proprio declino), della sua vita. Si
intuiva che stava combattendo una battaglia interiore, che capiva molto di più
di quanto non dicessero le sue parole sempre più faticose, e che certamente
soffriva: ma non appena una sorella entrava nella sua stanza, le riservava un
sorriso sereno e accogliente: anche questo, un segno della virtù che aveva
acquisito come vero “abito” e che ora affiorava quasi d’istinto appena se ne
presentava l’occasione…
Il
2 luglio del 2013 – fino ad allora era riuscita a presenziare, sulla
carrozzella, a molti atti comuni – arrivò il tracollo definitivo: respirazione
faticosa, valori sottosopra e parola totalmente compromessa. Fu ricoverata
nella clinica Piccole Figlie (alla quale pure vogliamo tributare una menzione
di stima e affetto) e fu assistita giorno e notte, in parte dalla Madre, in
parte da una brava badante dell’est, e specialmente dalla sua fedelissima
infermiera. Anche il fratello Rino volle esserle vicino in questo ultimo
tragitto, tanto che pernottò in Parma insieme con le figlie: l’ultima
testimonianza di un affetto intenso e commovente!
Intanto
il fisico di Suor Maria Gabriella, aggravato dai 91 anni e non più coordinato
dalla mente, si andava consumando. Così scrivevamo a un caro missionario
saveriano che l’amava come un figlio:
Si rende conto la Madre
Gabriella di essere all'ospedale? Di avere accanto ora la Madre Priora, ora
altre Sorelle? Di essere arrivata alla "dirittura d'arrivo"? Impossibile
rispondere. Sono i segreti dell'anima e di Dio. D'altronde il mistero del
"consummatum est" era uno dei più cari al suo cuore, uno dei più
meditati, per tutta la sua vita religiosa, e adesso è come quegli studenti che
vanno agli esami con una grande preparazione di fondo, e che non hanno certo
bisogno di ripassare la lezione negli ultimi minuti.
Chiedemmo
ai bravi medici di curarla al meglio, ma anche di dimetterla allorché fosse stata
prossima alla morte. E così fu.
La
sera del 10 luglio fu riaccompagnata in monastero e nel varcare la soglia emise
un piccolo gemito: forse aveva riconosciuto l’ambiente? Nel frattempo ci
eravamo attivate per allestirle la stanza nel migliore dei modi; avevamo
acquistato una bombola d’ossigeno e ne avevamo già prenotata – ma non sarebbe
servita… - una seconda. La sera, tutta la comunità si raccolse intorno a lei
per pregare. Suor Maria Gabriella era pallidissima, silenziosa e immobile.
Unico segno di vita, il faticoso e sorprendente “sì” che pronunciò dopo che la
Madre ebbe letto per lei la formula della Professione.
Fu
vegliata per tutta la notte, mentre la temperatura corporea andava aumentando
senza un’apparente ragione. La mattina seguente, 11 luglio e festa di San
Benedetto, mentre stava per terminare la Celebrazione Eucaristica delle 7.30,
la Madre salì in infermeria per amministrare la Comunione all’infermiera; ma
prima prese la piccola teca che custodiva il Corpo del Signore e la appoggiò
sulla guancia dell’inferma: E’ un bacio di Gesù, le disse. Poi comunicò
la sorella che l’assisteva, che si raccolse in preghiera appoggiando il volto
tra le mani. Quando lo rialzò, si accorse che Suor Maria Gabriella, senza un
solo gemito, aveva cessato di vivere. Erano le 8.10. Pochi istanti prima il
Sacerdote aveva detto: La Messa è finita, andate in pace.
DAL MONASTERO DI PARMA
Trittico
Orlandino (Anna Maria Orlandi, Sr. M. Gabriella 1922-2013)
(Cinquantesimo
di Professione, foto rielaborata)
SI’
47904
Antica tradizione del Carmelo:
sovra il letto di morte la Sorella
conclude il suo cammino rinnovando
la Professione... Nulla presagire
fa la lucidità da parte sua.
Pertanto la Priora intona lei
la formula che abbraccia un’esistenza
d’intensa e genuina donazione.
Con meraviglia di tutte si sente
della Sorella il SI’: tutto seguì!
(Montechiaro
7-9-2013), Padre Nicola Galeno
Trittico
Orlandino (Anna Maria Orlandi, Sr. M. Gabriella 1922-2013)
(Foto
infantile rielaborata)
LEADER
47905
Anna Maria ha la stoffa del leader,
in questo contrastando il fratellino
Rino, ch’è sempre dolce e remissivo.
Inventa e impone i giochi a tutti quanti,
compresi i cuginetti. Donde attinge
questo carisma che sa impensierire
persino i Genitori, soprattutto
quando solennemente preavvisa
che stanno per scattar i suoi CAPRICCI?
Da quel momento par una sirena
che deve il suo volume dispiegare...
(Montechiaro
7-9-2013), Padre Nicola Galeno
Trittico
Orlandino (Anna Maria Orlandi, Sr. M. Gabriella 1922-2013)
BABAU 47906
Pareva un toccasana la minaccia
a questa irrequieta fanciullina:
“Se non ti calmi, vedrai dal camino
discendere un BABAU terrificante”!
Come non detto: in quello stesso istante
si vede comparire un non so che
tutto peloso e scuro... Che sarà?
Restano sconcertati i Genitori...
Uno scoiattolo invano tentava
di risalir la cappa del camino...
(Montechiaro
7-9-2013), Padre Nicola Galeno
[1] Un episodio merita di
essere ricordato: in seguito a un certo capriccio, i genitori – secondo una
prassi tipica del tempo – cercarono, ovviamente invano, di intimorire la bambina
prospettandole l’arrivo di un non meglio identificato babau che sarebbe
dovuto discendere dal camino. Neanche a farlo apposta, in quell’istante apparve
all’imboccatura della canna fumaria un oggetto scuro e peloso (che si rivelò
poi la coda di un povero scoiattolo che cercava di risalire e riguadagnare la
libertà…) I familiari per un attimo ne furono terrorizzati, mentre Anna Maria,
assolutamente impassibile, godeva con nascosta soddisfazione il doppio
spettacolo: del babau e dell’imbarazzato spavento dei grandi.
[2] Rimase storico il dispetto che
i ragazzi fecero all’insegnante di lettere che, al momento di assegnare la
versione dal greco, era solito scrivere il testo sulla lavagna in tutta fretta
e, anziché lasciarlo a disposizione dei ragazzi – come vorrebbe la prassi
corretta - lo cancellava subito,
concedendo a malapena il tempo di terminarne la copiatura. Vista inutile la
ripetuta richiesta di lasciare sulla cattedra una copia del testo, i ragazzi
escogitarono una beffa geniale. Il giorno del compito in classe, strofinarono
sulla lavagna della paraffina. Il professore ignaro si accinse a scrivere il
testo… ma il gesso scivolava sulla lavagna senza lasciare traccia. Provò un
secondo gesso, un terzo… e alla fine comprese e andò in escandescenza,
chiamando in classe il preside. Quest’ultimo fece la sua doverosa sfuriata, ma
in cuor suo riconobbe le ragioni dei ragazzi: e da quella volta in poi non
mancò mai sulla cattedra il testo scritto a disposizione degli studenti.
[3] Il soggiorno napoletano,
del quale ella parlava spesso e con piacere, fu anche l’occasione per vedere
dal vivo, e da una posizione privilegiata, il celebre miracolo di San Gennaro.
Le manifestazioni di devozione popolare che accompagnano il miracolo (e che
Suor Maria Gabriella imitava simpaticamente in ricreazione) indubbiamente erano
molto lontane dalla sua spiritualità! Tuttavia si accostò al fenomeno con cuore
disponibile e mente aperta, e rilevò che oggettivamente il comportamento del
liquido era esattamente quello del sangue umano “fresco”, riconoscendo in tutto
questo una azione indubbiamente soprannaturale.
[4] Molto spesso le vocazioni
che si manifestano in età adulta hanno avuto in realtà una specie di segno
premonitore durante l’infanzia. Anna Maria, ad appena tre o quattro anni, si
era lasciata affascinare dalla storia di Santa Veronica Giuliani, a lei
raccontata dalla sua devotissima «tata». Così, volendo imitare la santa,
indossava un lungo grembiule nero, annodava in vita una corda intrecciata dagli
operai di papà e, volendo fare adorazione, si inginocchiava davanti a
quello che a suo parere era l’oggetto più sacro presente nella casa: un
flaconcino di acqua benedetta!
[5] Molte delle sue novizie
divennero a loro volta madri maestre e priore (anzi, fior di priore, come disse
una volta); altre abbracciarono con grandissima generosità la vocazione carmelitano-missionaria
in terra d’Africa; altre ancora, dopo una vita di esemplare dedizione, già da
tempo hanno preceduto la loro madre maestra nell’incontro definitivo con il
Signore. Ed è bello far presente che anche le giovani le quali – per i più
svariati motivi – finirono per uscire dal monastero, spesso hanno mantenuto un
rapporto affettuoso e cordiale con la loro antica madre maestra, e che l’hanno
sempre tenuta, anche a distanza di decenni, come confidente, consigliera ed
amica.
[6] Le quattro monache
provenienti da Lodi arrivarono, attesissime dalla comunità di Parma, il 30
aprile del 1983, e si incardinarono definitivamente nel 1989. L’innesto fu sempre
percepito come felice e provvidenziale, e ancora oggi la data del 30 aprile
viene festeggiata con l’immancabile giorno di “dispensato”: per i non addetti
ai lavori, precisiamo che il “dispensato” è un giorno in cui la comunità è
dispensata dal silenzio che regola la vita monastica, e quindi può comunicare
liberamente e festosamente. Subito dopo l’arrivo a Parma furono effettuate le
elezioni, che videro eletta Suor Maria Gabriella per il triennio 1983-1986.
[7] Con questo termine un poco
altisonante si indicano al Carmelo i vari ambienti di lavoro: il guardaroba,
l’infermeria, la cucina…
[8] Voluto dallo stesso Don
Gnocchi, il centro omonimo che ha sede in Parma (e che gli anziani chiamano
ancora con l’antico nome de I Mutilatini) ora è gestito dai Fratelli
delle Scuole Cristiane, e si è sempre distinto per un affetto grande e generosissimo
per la nostra comunità: è d’obbligo una menzione ammirata e riconoscente!
Grazie di tutto!
RispondiEliminaAlla cara suora una preghiera per lei e anche a lei affinché da lassù aiuti noi e tutti quelli che sono in difficoltà e hanno bisogno come e più di noi!