I Martiri di Rochefort
Durante la Rivoluzione Francese fra il 1794 e il 1795 furono concentrati nella rada di Rochefort ottocentoventinove fra sacerdoti diocesani e religiosi di vari Ordini. Vecchie navi ancorate nella rada dove la Charente si getta in mare nei pressi di La Rochelle furono la loro prigione in attesa del trasferimento ai lavori forzati nella Guyana Francese o in Africa. Sulla Deux-Associés e la Washington fra l'11 aprile 1794 e il 7 febbraio 1795 morirono cinquecentoquarantasette prigionieri, vittime di terribili maltrattamenti e brutali vessazioni per aver rifiutato il giuramento della Costituzione civile del Clero imposto dall'Assemblea Costituente che voleva creare una chiesa nazionale francese. La loro colpa era quella di mantenersi fedeli alla Chiesa e al Papa, un atteggiamento imperdonabile per le guide e le menti "illuminate" dei rivoluzionari. I prigionieri erano ammassati come animali sulle navi. La Deux-Associés era una nave negriera trasformata in prigione. Alla data del 12 febbraio 1795 rimanevano duecentottantadue sopravvissuti che potevano ritornare in famiglia in penose condizioni con la proibizione di esercitare il ministero sacerdotale. Alcuni di loro raccontarono gli esempi eroici dei compagni deceduti in prigionia. Sulla Deux-Associés nel 1794 morirono tra le altre vittime dello sterminio p. Giovanni Battista Duverneuille (Limoges 1759) e p. Michele Luigi Brulard (Chartres 1758) che furono sepolti nell'isola di Aix. Ai carcerieri era stato dato l'ordine di farli morire lentamente di stenti. Un testimone scrisse a proposito di p. Brulard che nessuno avrebbe potuto credere che un corpo vivo potesse giungere a tal punto di incredibile magrezza. Con la fine d'agosto del 1794 a bordo della Deux-Associés scoppiò la peste e i prigionieri furono sbarcati nella vicina isola di Madame e alloggiati in tende esposti a tutte le intemperie. Qui il 10 settembre morì p. Giacomo Gagnot (Frolois 1753) qualificato come "fanatico pericoloso". I tre, Carmelitani Scalzi, sopportarono, senza cedere, minacce, ingiurie, brutalità, fame e malattie. Con la loro morte diedero una grande testimonianza cristiana di fedeltà alla loro vocazione, alla Chiesa e a Cristo usando compassione verso tutti e perdonando i prepotenti e vili aguzzini, come si può comprendere leggendo il testo dei Propositi formulati con tutti i prigionieri che si confortavano e si assistevano a vicenda nella prigionia: non preoccuparsi con inutili inquietudini per la rimessa in libertà, meditare durante la detenzione sugli anni passati facendo santi propositi per il futuro e mantenendo un animo sereno senza mostrare alcuna afflizione per la perdita dei loro beni e alcun risentimento contro chi se ne era impossessato. Umilmente si proponevano di parlar poco delle gravi sofferenze subite conservando la stessa carità verso coloro la cui opinione religiosa fosse diversa, miti e caritatevoli verso i persecutori.
Roberto Arioli
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