L'obbedienza è ambigua, come idea e come comportamento. E' un valore e un disvalore, una virtù e un vizio. Come virtù la conosciamo bene. Il bambino buono è quello che obbedisce. Così ci è stato insegnato fin da piccoli, anche giustamente. Cambiano le pedagogie, in bene ed in male, ma è sempre imitando chi ci precede nella vita, quindi anche obbedendo, che ci formiamo, cresciamo, impariamo, diventiamo ciò che saremo. Si diventa liberi cominciando naturalmente col non esserlo, e venendo guidati a fare prima per obbedienza, poi liberamente, ciò che impariamo a considerare necessario, utile,buono. Il bambino senza modelli chiari, che poi potrà criticare, resta come un mollusco senza scheletro interno che lo sostenga. Quel che gli viene comandato, anche dolcemente e con amore come fanno i buoni genitori, non ci riduce, ma ci dà una base solida, necessaria, sulla quale possiamo poi camminare, anche eventualmente in altre direzioni, con la nostra libertà e responsabilità. Anche per noi adulti che ci riteniamo capaci, liberi e responsabili, l'obbedienza sarà sempre una virtù, semplicemente perché ci sono gli altri, e l'obbedienza non è anzitutto eseguire di peso la volontà altrui, ma è essenzialmente dare ascolto e fare spazio agli altri, rispondere alle loro attese e bisogni, anche e a volte rispondere bene è dover dire il contrario.
Ma l'obbedienza è pure un vizio. Chi anzitutto e preliminarmente obbedisce eseguendo, rinuncia a pensare, ad ascoltare la propria coscienza, e manca anche di contribuire alla funzione di chi, in qualsiasi società, ha un compito direttivo, indicativo. Per dire qualcosa sull'obbedienza, dobbiamo in primo luogo dirne la problematica, e quindi sdoppiare l'oggetto: quale obbedienza? Il dovere e la virtù non sono semplicemente obbedire, ma stanno nel chiedersi "se" obbedire, se obbedire ancora, in che cosa obbedire. Una obbedienza senza libertà, opposta alla libertà, non sarebbe umana, non rispetterebbe l'umanità di chi obbedisce, e questa violazione avverrebbe proprio da parte dell'obbediente, non soltano da parte del comandante che volesse imporsi. Si tratta sempre di obbedire liberi. La prima obbedienza è il rispetto di questo valore inviolabile, negli altri come in noi stessi. Io posso dedicare la mia libertà, rinunciare alla mia decisione, per agire come un altro mi chiede, o per servire il suo valore, la sua vita, o una degna causa. Se cedo la mia libertà incondizionatamente, vado contro l'umanità mia e di tutti.Questo non ho il diritto di farlo, perché questa umanità non è solo mia: svilita in me è offesa per tutti. La spenderò invece per ciò che è giusto,la userò secondo la misura, e anche al limite che la giustizia le pone.
Meglio critici che passivi
Ognuno ha le sue obbedienze, se non altro per abitudine: obbedienza al suo partito, alla sua chiesa, al solito giornale, agli usi correnti. Purché non ci si adagi, infatti la via passiva, lasciata decidere dagli altri, dalle autorità, dalle mode e tendenze, dalle apparenze vuote ma imponenti, da chi fa più rumore,ci rende obbedienti senza che lo decidiamo, si impone a noi, ci toglie libertà con l'illusione di darci libertà solo perché ci discostiamo da qualche proposta più mite o più nuova, più scomoda, più inusuale, per obbedire alle voci più forti e pressanti. Il pericolo non viene dall'essere critici, ma dal non esserlo abbastanza! In qualunque società o comunità, il contributo migliore è di chi persino "dà fastidio", e "pianta grane",non di chi è sempre tranquillo,non pone mai problemi, di chi tace anche quando dovrebbe parlare e dissentire, col rischio di fare degli sbagli o persino del male senza volerlo. La possibilità, il coraggio e l'umiltà del dissenso, sono l'altra faccia dell'obbedienza, senza di cui l'obbedienza è cosa vuota, indegna. E questa è anche l'altra faccia della coesione necessaria in una comunità, che viene dal fare insieme le stesse cose tanto quanto dal cambiare le abitudini per fare cose migliori.
Reciprocità delle coscienze
Forse la coscienza è comoda (fare come mi pare e piace9?. No, assolutamente. Ma certamente può sbagliare, può inclinare verso risposte di comodo. Perciò una caratteristica della vita della coscienza è la reciprocità. L'ascolto delle altre coscienze è costitutivo essenziale della ricerca che ognuno fa nella propria coscienza. Già l'intima coscienza personale non è un solitario auto-ascolto. Infatti, la mia coscienza è un altro in me, perché mi può confortare ma può anche contestarmi, giudicarmi,rimordermi e castigarmi, premere irresistibilmente fino a farmi cambiare direzione di cammino. Per quanto determinata da tante cose, sebbene non assoluta e non infallibile, la coscienza è autorità, perché è l'istanza che ci fa crescere in umanità e in grazia: è l'ultima autorità, ha questo primato.
Quanto sopra è uno stralcio tratto dalla rivista Servitium su "obbedienza" n. 178 luglio - agosto 2008
Ho inteso pubblicarla, poiché rispecchia pienamente ciò che già pensavo, ma per il quale non trovavo le giuste parole per spiegare il rapporto tra ragione-libertà-coscienza-obbedienza.
Sappiamo tutti che molti popoli sono stati, e sono tutt'ora, relegati ad una china obbedienza da parte di governanti tiranni, ma ritengo che il fatto grave sia proprio quello di accettare supinamente certi comandi che sono contro la libertà individuale e sociale, contro l'espressione più grande che è il pensiero dell'uomo, la libera scelta di un lavoro, di una religione, di un modus-vivendi - basti pensare all'obbligo per le donne musulmane di indossare il burka. Ma al di là di queste considerazioni classiche, direi che a volte è necessario disubbidire. Laddove, per esempio, ci impongono scelte che vanno contro la nostra morale, contro la libertà di di pensiero, di espressione, contro l'economia di una Nazione, contro i bisogni autentici di un popolo.
Ho tralasciato tutto ciò che va contro Dio, per una semplicissima ragione: chi è credente, sa già quali sono le obbedienze e le disobbedienze che la Fede chiede (di qualsiasi religione), chi non crede, non se ne fa nulla delle scelte di coscienza che una fede richiede. Ma la coscienza civile, di un popolo, personale e sociale, va sempre rispettata.
Non ho pubblicato la foto di un dittatore, tutti ne conosciamo il volto distorto, ma ho scelto un'immagine che dimostra in modo chiaro come si possa obbedire ciecamente laddove sarebbe stata necessaria una grande disobbedienza,
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