Cara Rina, mi sono permessa di prendere da una pagine del tuo giornale: ROSEBUD-giornalismo online questo articolo di tuo pugno, che hai pubblicato alcuni giorni fa, perché lo trovo così sentito, scritto con uno stile davvero da grande scrittore, e desideravo condividerlo con i miei lettori, Spero che ne trarranno un grande insegnamento, da ogni angolazione lo leggano: letteraria, poetica, intimista, spirituale. A me ha dato molto!!! Grazie!
di Rina Brundu.
Come si può fare della buona letteratura poetica: ne sono estasiata!
In questo tempo che passa, veloce, che mangia i suoi giorni, le ore, i minuti, tutti i nostri sogni, in questo tempo che passa veloce che depone polvere che diventa crosta si sposta illude ci costa, in questo tempo che non sento più mio mi sono accorta di averti dimenticato, di averti a mio modo scordato, di non averti convenientemente salutato. Quando te ne sei andato. Che a pensarci bene, facendo mente locale, sono solo pochi mesi che sedevamo sotto quel sole cocente, a suo modo stridente con il freddo intorno e parlavamo di niente, di robe stonate, storie mai raccontate, conosciute a memoria, fondi di bottiglia di vite antiche spezzate e che nessuno ricordava più. Che seduto sulla panca di quella vecchia piazzetta non hai mai fatto discorsi grandi, ragionamenti, convincimenti profondi credimi non so se ne avevi nel caso ritengo te li tenevi e preferivi ascoltare. Anche parlare sono convinta ti costasse fatica, come il tedio di ciò che sapevi. E poi la noia. Ma a volte ridevi quando lei si faceva gioco di noi e intuivi, capivi, presentivi, captavi ciò che non aveva bisogno di essere detto. Che a narrarlo ci pensavano i raggi del sole, quando rossastri irridevano il mondo, creavano mostri, coni d’ombra dentro e intorno al villaggio, imbrogliavano l’anima in quel canto benigno. Che a narrarlo ci pensava la pioggia cadendo fitta, briosa, dispettosa, irritante, antipatica, fastidiosa, ripuliva l’aria e ci illudeva di essere. Ancora. Che a narrarlo ci pensava la neve. Quella soffice di infiniti anni fa, quella stessa che diventava mantello, pesante, sfilacciato, afflosciato sul quale catturare anche il più docile agnello, vitello, ti costava. Fatica. Immagino. Immagino perché il resto lo narrava il silenzio proprio quello che è sempre stato barriera, muro di gomma mai veramente provato. Mi chiedo adesso cosa sei stato? Ragazzo ribelle, forse rassegnato? Uomo adulto prostrato, testardo, ostinato? O invece duttile, remissivo, ubbidiente, conciliante che in fondo, credo (di nuovo!), poco ti importava delle vaneglorie del mondo dentro il nulla dei canyon assolati dove ricercavi libertà. In questo tempo che passa, veloce, che mangia i suoi giorni, le ore, i minuti, tutti i nostri sogni, in questo tempo che passa veloce che depone polvere che diventa crosta si sposta illude ci costa, in questo tempo che non sento più mio… mi sono accorta di averti dimenticato, di averti a mio modo scordato, di non averti convenientemente salutato. Lo faccio adesso, zio.
Grazie a te cara Danila per quanto fai per Rosebud. Ciao.
RispondiEliminaHai visto che ti ho dedicato un video irlandese? Tutto quello che faccio, lo faccio perché lo desidero ed è molto volentieri che collaboro con te!! Un abbraccio
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