Ucraina. Il lavoro dei carmelitani in Romania, storie di lacrime e speranza
Il centro di spiritualità di Snagov aperto a chi fugge dalle bombe. Il superiore: è una Quaresima di vera passione per questa gente, nel buio brilla la bellezza della carità. Il presidente del MEC, che da primario ha lottato contro il Covid a Brescia, ha deciso di partire da pensionato per Bucarest: di fronte al male intenzionale bisogna agire nella gratuità
Antonella Palermo - Città del Vaticano
"Cosa posso fare?". È la domanda che si saranno posti in tanti e tanti altri se la staranno ponendo ancora di fronte ai tanti profughi costretti ad abbandonare l'Ucraina sotto assedio. Dopo la domanda, il discernimento, dopo il discernimento la decisione. È capitato anche alla comunità dei Carmelitani di Snagov (quattro religiosi, tre italiani e un rumeno) che hanno aperto le porte della loro casa di esercizi spirituali per accogliere famiglie da oltre confine.
Al di là del calcolo, aperti all'imponderabile
Siamo nei pressi di Bucarest, capitale della Romania. Qui i padri carmelitani sono insediati da 22 anni, un punto di riferimento per il Paese. Di norma accolgono gruppi che desiderano fare esperienza vocazionale. Dopo la pausa causata dalla pandemia, appena cominciate le migrazioni di massa dall'Ucraina, si sono messi in rete con una serie di associazioni in loco e hanno destinato una trentina di camere a questa gente, per un massimo di ottanta persone. Trovandosi in un punto strategico, da cui è peraltro facile organizzare ulteriori trasferimenti, hanno aperto le loro porte. "La nostra accoglienza è solitamente programmata e calcolata, mentre in questo caso abbiamo scompaginato la nostra organizzazione, aperti al non ponderabile. È così cominciato un periodo di condivisione della passione che si è rivelato bellissimo", racconta il Superiore Padre Antonio Prestipino.
Un tetto, l'amicizia, la condivisione del dramma
Tutto è coinciso con l’inizio della Quaresima. Una specie di profezia. Un tempo "forte" nel senso più vero e concreto del termine, fatto di condivisione insospettata, soprattutto con i bambini. I religiosi hanno coinvolto alcune religiose tornate dalla Russia. "Abbiamo animato la liturgia anche con la lettura in lingua russa - spiega il sacerdote - e questo ci ha aiutato nella comunicazione. Avere in casa una suora che parlava la loro lingua ha permesso di condividere il dramma che hanno vissuto. Così abbiamo partecipato con loro e i bambini ucraini hanno cantato alla messa. Abbiamo avuto testimonianze di persone che hanno ricominciato a pregare a partire da una religiosità forse perduta". E quella chiesa dall'architettura moderna - centro di spiritualità dell'intera arcidiocesi di Bucarest, decorata con le inconfondibili opere di Marco Rupnik - si è riempita di trepidazione ma anche di sollievo perché è diventata tetto, protezione e amicizia.
Nella cura per l'altro, vivere la passione di Gesù
"La nostra chiesa, sebbene sia una piccola realtà, si riempie la domenica", dice ancora padre Antonio. "In loro abbiamo visto la passione di Cristo che chiede il nostro coinvolgimento e alla quale è bello prender parte. Per noi è stata una esperienza faticosa - ammette - perché vuol dire anche tanto lavoro minuzioso di cura, a cui forse non eravamo abituati, ma è veramente stata anche una grande avventura spirituale che ci ha abituato a vivere più in profondità l’accompagnamento quaresimale del Signore Gesù nella sua passione per gli uomini". Adesso i profughi sono in minor numero però si sta pensando a come far partecipare anche queste persone nei riti del Giovedì Santo. Del resto, qui, la lavanda dei piedi pare sia stata già ampiamente realizzata.
Olivia: 'Nonna, con pazienza ricostruiremo tutto'
Prestipino racconta un paio di episodi che gli sono rimasti fissi nel cuore. Uno risale ai primi giorni: una signora con una bambina accolte in tarda serata. La bimba diceva: "Facciamo una foto da mandare al papà per fargli vedere quanto è bello questo posto dove siamo arrivati". "Mi sono ricordato del Vangelo della trasfigurazione della domenica, in cui Pietro ha detto a Gesù: 'E' bello stare qui. Ecco nella bellezza, nella gloria che il Signore ci fa vivere negli incontri e anche dentro le disgrazie che incrociamo, ci sono momenti di lucidità che ci fanno camminare verso la Pasqua, verso la vita nuova che ci vuol dare, in un percorso che non sappiamo quanto lungo e tortuoso sarà".
Un'altra scena impressa nella memoria è quella che si è palesata un giorno davanti al mosaico glorioso sul presbiterio della chiesa: "La nonna di Olivia si è messa drammaticamente a pregare urlando in ginocchio: 'Signore, Signore donaci la pace!'. La bambina immediatamente è andata da lei: 'Nonna, io sono qui con te, quello che gli altri stanno distruggendo noi con la pazienza lo ricostruiremo”. Una cosa struggente, davvero un incontro tra generazioni che si sostengono reciprocamente, proprio come dice il Papa. La speranza e la sicurezza di Olivia sono state commoventi".
Un ex-primario: dalla guerra al Covid, al servizio contro la guerra
Ad assistere i quattro religiosi ci sono alcuni postulanti e una serie di amici che si sono presi le ferie per aiutare i padri. "E’ il movimento della carità che ha fatto venir fuori la bellezza con i beneficiari della nostra casa, protagonisti insieme per un’opera comune, fruttuosa", conclude Prestipino. Ma la realtà dei carmelitani è composita e si arricchisce anche del prezioso contributo del Movimento ecclesiale carmelitano. Il presidente, Gabriele Tomasoni - dopo oltre quarant'anni nel Reparto di Rianimazione degli Spedali Civili di Brescia, dove da primario ha combattuto in prima linea contro il coronavirus - non ha esitato, e con sua moglie è partito per aiutare nell'accoglienza:
Lo intervistammo due anni fa, nella fase più critica della pandemia che mieteva centinaia di morti al giorno proprio nelle province di Bergamo e Brescia. Ora, da pensionato, suggella quarant'anni di matrimonio nel segno del servizio a chi fugge dalle bombe. "Mi è venuto spontaneamente di andare a dare una mano. Avendo degli appartamenti a disposizione abbiamo subito dato una disponibilità, nella campagna rumena, offrendo la possibilità ai bambini di svagarsi. Abbiamo riscontrato che il nostro desiderio di creare per loro un ambiente familiare è stato realizzato", racconta.
Il gioco dei bambini
"Ci dimostravano gratitudine con il pianto, il silenzio e l’abbraccio", racconta ancora il dottor Tomasoni. Precisa che ogni famiglia ha la propria stanza, senza assembramenti, c'è una cura e una attenzione verso ciascuno, soprattutto verso i bambini, che possono dare sfogo libero ai loro giochi nei campi e con gli animali. "Loro sono straordinari - dice - perché immediatamente riescono tutti insieme a organizzare il gioco, è veramente bello. Nel male che l’uomo ha saputo fare, il gesto di bontà fa la differenza e questo loro lo colgono". Una sera tardi, stanchissimi dopo un viaggio di tre giorni, a bordo di una macchina sono arrivate nove persone. "Vedere come i più piccoli superavano il disagio iniziale e il pudore e si buttavano a mangiare ciò che avevano è stata una esperienza significativa".
I giovani e la gratuità
Tomasoni ricorda il tempo della lotta in corsia contro il virus: "Ho passato due anni di intenso lavoro per una situazione eccezionale che si era determinata: il virus. Una pandemia che sembrava la prova più grande. Affrontare subito una esperienza peggiore... Quello era un evento improvviso e non calcolato - precisa - qui è un male intenzionale. E’ struggente. Però bisogna porre dei gesti di bontà perché è la speranza che possiamo dare". E ci dice una cosa che ripete spesso: "Il nostro tempo ci è dato e bisogna sfruttarlo al meglio. Non ci tiriamo indietro". Si congeda con un accenno sui giovani e sulla importante valenza pedagogica di iniziative come queste: "Che anche loro sappiano fare dei gesti di gratuità: se vogliamo un mondo nuovo, questo deve essere".
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