Quando cominciò il mondo nuovo
Utopia?
Era un giorno feriale per nulla differente dagli altri giorni. Solo indizio, un vento leggero dall’est che sembrava avesse premura di arrivare da qualche parte. Assieme a lui gruppi di bambini con in mano un ramoscello di una pianta mai vista prima che agitavano festanti. Si tenevano l’un l’altro la mano e cantavano una lingua ormai dimenticata dai grandi che guardavano, attoniti, l’inattesa invasione dei bambini in festa. Alcuni cominciarono a seguirli sul cammino mentre altri, in disparte e di nascosto, piangevano come se da anni avessero smesso di generare lacrime vere e genuine. La sera di quel giorno arrivò più in fretta del solito e così pure le stelle, meno distratte, cominciarono a danzare sottovoce.
I muri di cinta e i bastioni delle città fortificate, al loro passaggio, crollavano come fossero null’altro che polvere al vento. Lo stesso accadde con i fili spinati, i sistemi di allarme e di controllo, gli schermi protettori da eventuali attacchi nemici, le frontiere si spostavano a seconda delle necessità di coloro che desideravano attraversarle. Persino il mare, apparentemente insensibile ai naufraghi, si era cinto di una calma che nessuno, a memoria d’uomo, ricordava così profonda e pacata. Le mura più robuste cadevano una dopo l’altra e le strade, le case, le piazze e i giardini, tornavano quello che erano stati una volta: aperti a tutti.
La festosa invasione dei bambini non sì fermava più e anche un numero crescente di adulti, donne soprattutto, si aggiungeva dopo ogni crollo. Fu poi la volta degli imperi d’acciaio, di gesso, di arroganza e di polvere a cadere, uno sull’altro, come carte che il vento mescola e porta lontano. Imperi potenti, eterni, immortali, si sfaldavano al tocco lieve del ramoscello dei bambini che giocavano a rifare il mondo come meglio a loro sembrava. Della stessa fine erano oggetto anche gli eserciti, i battaglioni e i sempre più numerosi mercenari che della guerra vivevano. La maggior parte dei militari disertava, altri si vestivano da festa e alcuni di loro si aggiungevano al gruppo dei bambini che continuava la sua opera nel mondo.
Quanto ai fabbricanti d’armi avevano smesso e optato per fare mattoni, piastrelle, cemento e porcellana per ricostruire quanto era stato da loro distrutto. C’è chi si improvvisava muratore, imbianchino, piastrellista, costruttore di ponti e elettricista. Alcuni di loro, infine, cominciarono di buon grado a costruire strade dove prima non c’erano e a riparare quelle distrutte dai bombardamenti. La terra intera era ormai diventata un grande cantiere a cielo aperto e la mano d’opera lavorava con solerzia e dignità perché più nessuno diceva suo ciò che era di tutti. I poveri e i mendicanti si erano trasformati in datori di lavoro.
Infine, al canto in lingua antica dei bambini, caddero in ultimo le parole armate, false e tradite dai grandi manipolatori dell’informazione. Molte si nascondevano per la vergogna, altre promettevano di ravvedersi e alcune, infine, domandavano ai bambini ciò che avrebbero dovuto rappresentare. Fiumi di parole come fango che scorreva dai canali di scolo ed erano drenati in un grande abisso e poi ricoperte di terra. Su questa spuntarono in fretta fiori, erba e una foresta di alberi che portavano scritta una parola nuova da seminare altrove. Quanto ai bambini, terminata l’opera che durò circa una settimana, iniziarono finalmente a giocare.
Mauro Armanino, Niamey, Pasqua, 2022
Commento di Danila Oppio:
se la Pasqua fosse così, sarebbe Pasqua tutti i giorni, una vera Rivoluzione e Risurrezione non solo di Cristo, ma del mondo tutto! Un racconto che fa riflettere, molto avvincente ma, temo, altrettanto utopico.
Buona Pasqua a tutti i visitatori di questo blog!
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