V
(4°) – SETE DI GIUSTIZIA
(ho scelto tre simboli, due appartengono alla giustizia umana, uno a quella divina:ndr)
«Beati
coloro che hanno fame e sete di giustizia,
perché
saranno saziati»!
Nella formulazione di questa beatitudine si parla di tre
concetti: di “fame”, di sete”, di “giustizia;
e del
fatto che chi ha fame e sete di tale giustizia, sarà in un certo momento
“saziati” di essa.
Procediamo a passo a passo.
Di che “giustizia” dobbiamo aver fame e sete, per essere fra i
“beati”?
Un po’ di luce ce la fornisce la
Bibbia interconfessionale quando traduce questo passo di Matteo così: «Beati coloro che
desiderano ardentemente ciò che Dio vuole, perché Dio esaudirà i loro desideri».
Quindi
non si tratta soltanto di mangiare o bere, ma di compiere la volontà di
Dio.
E saremo ancor più illuminati se prestiamo attenzione all’uso
specifico che Matteo fa sempre tanto del sostantivo “giustizia”, quanto
dell’aggettivo “giusto”. [San Giuseppe, uomo “giusto”].
Si tratta di un uso che sempre si pone in relazione ad un determinato
comportamento dell’uomo.
Avere “fame e sete di giustizia” equivale,
per quest'Evangelista:
• A sentirsi dominati da tale disposizione interiore, per la quale ci sentiamo interamente
dedicati a Dio, senza riserve, in esclusivo. Significa cercare d'essere “perfetti”
come lo è Lui; è sentire in sé quest’ansia ardente, divorante, affinché la
volontà divina si compia completamente, in tutti ed ad ogni costo. E non solo a
parole, ma in opere e in verità.
• Inoltre,
essere “giusti”, per Matteo equivale ad operare secondo le norme di Dio,
rispettando tanto i diritti divini quanto quelli umani. E tale condotta, simile attitudine – che diventerà il criterio di elezione
e motivo di benedizione nel Giudizio Finale (25, 34-40) –, è riflessa in modo
plastico e singolare nel soccorso ai bisognosi: nel dar da mangiare all’affamato, dar da bere
all’assetato, accogliere il forestiero, vestire l’ignudo, attendere agli
infermi, visitare i prigionieri… (25, 35-39).
Possiamo, quindi, concludere, con il card. Martini, che il
vocabolo “giustizia” suggerisce, almeno,
tre attitudini differenti:
– La “giustizia
di Dio”, o salvezza finale, che Egli offre a tutti gli uomini.
– La “giustizia
dell’uomo”, cioè, le sue opere buone, o “opere di misericordia”.
– E la “giustizia
sociale”, intrecciata sulle nostre interrelazioni giuste.
Non si tratta, quindi, in questa beatitudine,
di spiritualizzare o materializzare tale fame o questa sete; di
discutere sul significato letterale o metaforico. Si tratta piuttosto di
provare come queste tre attitudini siano tanto in relazione l’una con le altre,
come possono esserlo in una pianta, le radici, il fiore e il frutto:
La
“radice” è la “giustizia di Dio”. È Lui
con la sua grazia, che ci rende giusti, santi.
Il “fiore”
sono le “nostre opere buone”, realizzate in accordo con la volontà di Dio.
I “frutti”
appariranno sotto forma di “giustizia sociale”, di “solidarietà”, di “carità”.
Disposizioni
e virtù, tutte, con cui l’uomo non ha come obiettivo se stesso, la propria
soddisfazione o interesse, ma quello del prossimo. E fra
questi, logicamente, i più bisognosi.
MEDITIAMO
E facciamolo in doppia direzione: la “fame”
e la “sete di Dio”, e la “fame e la sete” dei nostri fratelli.
1 – Le nostre ansie di Dio:
Riflettiamo su alcune di queste frasi che tante volte ripetiamo:
«O Dio, Tu sei il mio
Dio, per te veglio… La mia anima anela a Te come terra deserta, arida,
senz’acqua …» (Sicuri?).
«Come anela la cerva
fonti di acqua fresca, così l’anima mia anela a Te, mio Dio» (Ne siamo certi?).
«Sia fatta la tua
volontà in terra come avviene in cielo» [Convinti?].
«Vivo, ma non io; è
Cristo che vive in me» [Ne siamo tanto persuasi?].
La legge che irriga lo sviluppo delle nostre capacità, ci
ricorda che “quanto più, più; e quanto meno, meno”. Cioè, quanto più
esercitiamo i muscoli, tanto più li renderemo capaci di prodezze. E viceversa.
L’organo non esercitato, si atrofizza.
Il medesimo fenomeno avviene con l’appetito. Uno inizia col
mangiar meno, e quanto meno si nutre, tanta maggior inappetenza lo invade.
Non ci
sta avvenendo la medesima cosa con la nostra “fame e sete di Dio”?
Sono poche
le droghe tanto efficaci per creare dipendenza quanto l’amore.
Da
qui la conclusione: il testo della nostra beatitudine potremmo modificarlo e,
per esempio, fargli dire: “Beati chi è affamato e assetato di Dio,
perché
lo sperimenterà ogni giorno più e più, fino a giungere alla sazietà definitiva
della Gloria».
2 – “Fame” e “sete” dei nostri fratelli
L’affamato, ora, è il povero che desidera, più di chiunque, che
ci sia “giustizia", cioè, che si compia il piano di Dio sui beni della
terra.
Non è possibile non ricordarci della parabola del “Ricco
epulone e del povero Lazzaro”.
La “sazietà” di questo ricco è agli antipodi del compimento di
tale piano divino.
C'era una volta un uomo ricchissimo. Possedeva tanti negozi, tante
fabbriche e tante banche, cosicché ogni settimana riceveva nel suo palazzo
molti autocarri carichi di denaro. Non sapeva più dove metterlo o in che cosa
spenderlo. Si comprava tutto quello che gli piaceva: aerei, navi, treni, edifici,
monumenti, ecc. Era sempre alla ricerca di cose da comprare.
Giunse un giorno in cui aveva proprio tutto. Non c'era cosa che non
possedesse. Tutto era suo.
Tuttavia c'era una cosa che non riusciva ad avere. E per quanto ne
comprasse, una non la trovava mai. Era la gioia. Non trovò mai il
negozio in cui la vendessero.
S'impegnò a cercarla a qualunque costo, perché era l'ultima cosa che gli
mancava. Percorse mezzo mondo alla sua ricerca, ma senza risultato.
Un giorno capitò in un piccolo villaggio e venne a sapere che un vecchio
saggio poteva aiutarlo.
Viveva in cima a una montagna, in un'umile e povera capanna. Si diresse
verso di lui e quando lo trovò gli disse: – Mi hanno detto che lei potrebbe
aiutarmi a trovare la gioia –.
Il vecchio lo
guardò sorridendo e rispose: – Lei l'ha già incontrata, amico. Io ho molta
gioia.
– Lei?
– esclamò stupito il
ricco. – Ma se possiede soltanto una povera capanna e poco più!
– Certo, e proprio per questo ho la gioia, poiché do a
chi ne ha bisogno tutto quello che ho di più, affermò il vecchio.
– E
così si ottiene la gioia? –
chiese il ricco.
– Così
l'ho trovata io –
confermò il Vecchio.
Il ricco se ne
andò pensieroso.
Poco tempo dopo risolse di dare tutto
quello che non gli era necessario a quelli che ne avevano bisogno. Con
grande sorpresa scoprì che facendo così sentiva gioia. Si era reso conto che
c'è più gioia nel dare e nel rendere felici gli altri che nel ricevere e
possedere tante cose senza condividerle.
Josè
Navarro
e Maria
Carla Mantovan
Per questo, dentro la
spiritualità di ognuna di queste beatitudini, non possiamo far a meno di
promuovere, oggi, la sua dimensione sociale. In
tal senso ci sarò molto utile concentrarci su tale valore tanto sentito ai
nostri giorni, dal nome “solidarietà”.
• Chiaro che non c’è nulla di nuovo! Chiaro che potrebbe trattarsi
di uno dei tanti slogan che alcuni diffondono persino per interessi
inconfessabili. Per noi, tuttavia, è una disposizione radicata nello stesso
Vangelo, perfettamente allacciabile con questa beatitudine e ciò deve bastarci.
– “Solidarietà”
è la presa di coscienza della nostra partecipazione attiva alla sorte dei
“diversi da noi”.
Il modo di sintonizzarci con le gioie e le angustie degli altri.
– “Solidarietà”
è quel clima in cui crescono facilmente ideali comuni: per esempio, farla
finita con la fame e la sete di giustizia di molti.
– “Solidarietà”
è quel criterio che dobbiamo usare nell’ora di discernere fra molte scale di
valori e priorità: “Che cos’è per me la prima cosa, la seconda, la terza…”.
– “Solidarietà” è quella fonte da cui
sgorgano con spontaneità, non soltanto le iniziative, ma anche il
coraggio per portarle a termine.
– “Solidarietà”, per molti e in molti ambienti
è, infine, il nuovo nome della carità di sempre …
Però,
questa “fame e sete di giustizia” sono “doni dello Spirito”. Una
grazia da chiedere. Per questo…
PREGHIAMO
Credo
della “Fede e Giustizia”
Crediamo
in Gesù,
Figlio del Padre e Dio come Lui,
che si fece uomo libero e solidale,
Via e Meta dell’essere umano e della Storia Universale.
Morto
violentemente sulla Croce, per mano del potere civile e religioso per redimerci
e a causa il suo impegno verso gli ultimi della terra,
e tramite loro, con tutti gli uomini e le donne.
Profeta della Fede
e della Giustizia,
si convertì, con la Risurrezione, in Capo dell’Umanità
per la gloria di Dio e la salvezza di tutto il mondo.
Crediamo nel Dio di Gesù,
suo Padre e nostro Padre, fonte di ogni bene e nemico di ogni
male,
che ha creato un mondo in marcia, e l’ha posto nelle nostre
mani,
affinché lo sviluppassimo a beneficio di tutti.
Ha
inviato a noi suo Figlio Gesù
per dar inizio al suo regno, in cui non ci siano più dei o
padroni,
e siamo tutti liberi e solidali.
Crediamo nello Spirito Santo,
Spirito d’Amore e di Giustizia,
che riempiva tutto l’essere di Cristo.
Sparso su di noi affinché noi si continui la sua opera
e costruiamo un mondo nuovo senza classi né disuguaglianze …
Crediamo nella Chiesa,
che è la “Comunità di Gesù”. Santa e peccatrice nel medesimo
tempo,
inviata ad annunciare a tutto il mondo la Buona Novella;
e ad essere segno efficace di Fede e di Giustizia …
Proclamiamo un futuro eterno,
illimitato, per ciascun uomo, sopra ogni dolore ed ingiustizia,
perché il male è stato vinto e la morte pure, annientata da Gesù
….
(da un poema di P.
Loidi)
«Signore, tu devi far giustizia…»
Ammutolii di colpo
con il calore ancora tiepido, lì, sulle labbra
dell’ultima parola lanciata
sulla tua inerte mano poderosa.
Le orme dei miei
passi, ancora cariche di presente,
furono fantasmi che mi segnalarono
con il bollente vapore della sua nebbia –
la Verità, la Giustizia, la Pietà
del tuo amore.
Ti volevo
implacabile.
Volevo che il tuo respiro fulminasse … Eri Dio!
Dovevi annichilare ciò che non era giusto.
La tua giustizia doveva imporsi sulla Terra.
E le orme dei miei piedi
lì, allo scuro ….
Si calmò il mio respiro eccitato.
Poi, quasi senza voce,
con parole che sgorgavano dall’intimo,
sussurrai, timorosa:
“Mi vorrai aiutare, perché questi uomini ….”. (M.E.Lacaci)
DECALOGO DELLA “GIUSTIZIA”
1
– Riconoscere
la sacralità in ogni persona, cominciando da se stessi.
2
– Ricordare
che gli atti della persona non violenta aiutano a liberare il Divino nel
rivale.
3 – Accettarsi come si è con le proprie
ricchezze ed i propri limiti, certi che anche Dio ci accetta come siamo.
Evitare gli eccessi d’orgoglio, la smania del grande e le false speranze.
4 – Riconoscere che i propri
risentimenti e l’odio che si nutre per gli altri deriva dalla difficoltà
a riconoscere che la stessa realtà vive in se stessi. Rinunciare ad essere
violenti con le parole o i gesti.
5 – Rinunciare al dualismo noi-loro, che divide in buoni
e cattivi, con il pericolo di demonizzare l’avversario e determinare una
condotta autoritaria e assolutistica. Si genera razzismo ed apre la strada alla
guerra. Affrontare la paura con amore più che con valore.
6 – Comprendere ed accettare che la “Creazione nuova”, la
costruzione della “Comunità amata”, non si fa da soli e richiede pazienza e
capacità di perdonare.
7 – Considerarsi parte della
creazione
e stabilire con essa una relazione d’amore, non di dominio, ricordando che la
distruzione del pianeta è un problema spirituale, non solo scientifico o
tecnologico. Considerarsi “unità”.
8 – Essere disposti a soffrire, forse con gioia, se
crediamo che questo serva per liberare la parte
di “divino”
che c’è negli altri.
9 – Essere capaci di godere ogni volta che la
presenza di Dio è accettata, e rendere questa presenza riconoscibile agli
altri.
10 – Prendersi del tempo, essere pazienti,
seminare l’amore e il perdono nel proprio cuore e attorno a sé, in modo da
crescere gradualmente nell’amore e nella capacità di perdonare.
Rosamary Link, Louis Vitale, OFM
e Ken Katigan (Centro Pace e Bene, Las Vegas, Nevada).
• Completare
le seguenti frasi …:
Se
potessi, la prima cosa che cambierei ….
Io mi impegno
a ….
Materiale
complementare
Salmi 62 e 63
Citazioni bibliche – San Paolo: Filemone 1,
9-10; 2Cor 5, 14-15; Galati 6, 7-8.
Santa Teresa, Cammino di Perfezione 21, 2–
San Giovanni della Crcoe, Cantico I, 3,
14-22.
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