AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

lunedì 15 aprile 2019

SANTA TERESA - Conferenza di P. Claudio Truzzi OCD - parte Nona




VIVERE IN COMUNIONE CON DIO TRINITà (TERESA)

Nel cuore della mistica Teresa regna il mistero della Trinità.
Lo troviamo al vertice della sua esperienza spirituale, e possiamo affermare che gli ultimi dodici anni della sua vita (dal 1571 al 1582) sono per lei – nonostante viaggi, fondazioni, impegni e sofferenze, incontri con persone d’ogni ceto e qualità, una convivenza quotidiana con le Tre Persone divine.
A Teresa è sufficiente rientrare in se stessa dove inibita la Trinità, per sentirsi sommersa in una pace immensa, che le permette d’affrontare i programmi e le attività quotidiane, con i piedi ben piantati in terra e il cuore in cielo. Proprio così! Lo confessa lei stessa al termine della vita, a Palencia nel 1581, quando spiega le sue impressioni su ciò che sta sperimentando:
«La pace interiore in cui sono, … la presenza della Tre divine Persone che mi dura sì a lungo da non poterne dubitare, mi fanno pensare a quel che dice san Giovanni, cioè che la santissima Trinità stabilisce “la sua dimora nelle anime” [Gv 14-23]; e ciò non soltanto con la grazia, ma anche con la sensazione della sua presenza, la quale porta con sé un’innumerevole quantità di beni, senza bisogno di tante considerazioni…» (Relaz. 6,7).
Si tratta del vertice dell’intimità con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.
Una comunione che riempie la sua esistenza di una compagnia e di una comunicazione divine. [“Comunicazione” – che indica la reciproca relazione della Persone divine fra di loro e la maniera di porsi e di donarsi a Teresa – è una parola chiave della sua spiritualità].
Sappiamo, tuttavia che non è stato così all’inizio; e che il cammino della rivelazione e della comu-nione di Dio, come Trinità, si realizzò soltanto a poco a poco.
Quando Teresa ci parla della Trinità, da una parte ci offre una testimonianza viva e umana dell’esperienza cristiana di questo mistero, non con la speculazione dei teologi, ma con la forza di ciò che lei ha visto e vissuto. Teresa, però, non si ferma qui. Lei vuole insegnarci qualcosa; desidera aiutarci a penetrare nel mistero, ad avvicinarci a ciò che sappiamo per fede e possediamo per grazia.
Ella ci aiuta a mantener vivo il significato di un Dio Uno e Trino che è trascendente e pieno di maestà; ma che, tuttavia, è nel contempo immanente, presente dentro di noi (e per questo bisogna cercarlo in noi che siamo il “castello interiore” della sua presenza, la dimora di Dio).
Tale Dio, però, è soprattutto condiscendente, cioè, un Dio che si fa vicino, prossimo, s'abbassa, s'adatta alla nostra capacità, secondo le belle parole di Teresa a proposito di Dio presente in noi, che invitano all’orazione di raccoglimento: «Poiché è un Signore, porta con sé la libertà, e poiché ci ama, si fa a nostra misura» (Cammino di Perfezione 28,11).
Una scoperta progressiva Possiamo affermare che all’inizio – il periodo dell’infanzia e della gioventù – la relazione religiosa di Teresa è occupata soprattutto dalla nozione di un Dio in generale, senza la connotazione specifica di Padre. Più tardi, dal tempo della gioventù e della sua vocazione, prevale il contatto con Cristo, specialmente come Dio-incarnato. Tutto il libro della Vita è marcato da tale visione, quando Teresa cerca ed incontra Cristo-Gesù-uomo (Vita, 3, 4,22), e in seguito scopre il Cristo-Signore  risorto, che le si rivela (Vita 26-29).
«Un giorno, mentre ero in adorazione, si degnò di mostrarmi le sue mani: erano così belle che non so come descriverle (…) di lì a pochi giorni vidi il suo volto divino e ne rimasi completamente rapita. Non potevo spiegarmi perché il Signore mi si mostrasse così poco a poco... Ma intesi che così faceva per adattarsi alla mia naturale debolezza» (ib. 28, 1). «Non è un morto che vedo ma lo stesso Cristo vivente che si fa vedere come Uomo-Dio nel modo con cui è risorto, non già nel sepolcro. Si manifesta alle volte con tanta maestà da non lasciare alcun dubbio che sia proprio il Signore, e ciò, specialmente dopo la comunione (ib. 28,8). «In via generale, il Signore mi si faceva vedere da risorto, così pure quando mi appariva nella sacra Ostia. Però qualche volta... mi mostrava la sue piaghe, talvolta in croce, talvolta nell'orto, talora sotto il peso della Croce, raramente con la corona di spine, sempre in conformità dei miei bisogni... Ma anche allora la sua carne appariva glorificata» (ib. 29, 4).
Gradualmente Teresa scopre anche la realtà viva ed operante dello Spirito Santo, come forza di libertà, come fiamma d’amore che le incendia il cuore (Cfr. Vita 24 e 29). Tale rivelazione personale dello Spirito Santo culmina nell’esperienza della Vigilia di Pentecoste (1563), allorché, leggendo quanto scrive Ludolfo di Sassonia nella Vita di Cristo sul mistero della discesa dello Spirito Santo sugli apostoli, lei stessa contempla il mistero di una colomba che scende e si posa su di lei. [Ne abbiamo parlato nella conferenza “Teresa e lo Spirito Santo]
Una vera esperienza mistica di Dio come Padre affiora nella vita di Teresa dalla conoscenza di Cristo, quando per la prima volta lo contempla nel seno del Padre (Vita 38,17).
«D'ordinario, prima di accordarmi qualche grande favore, il Signore mi umilia profondamente, come per farmi comprendere quanto ne sia indegna. Pensavo che fosse così anche allora. Ed eccomi, poco dopo, portata via da un così grande rapimento come se la mia anima fosse uscita dal corpo: comunque, se era nel corpo, non lo sapeva.
Vidi la sacratissima Umanità in mezzo a tanta gloria che non l'avevo mai veduta. Im modo chiaro ed ammirabile vidi Cristo nel seno del Padre, ma no so dire in che modo, perché mi parve di essere in presenza della divinità senza nulla vedere. Rimasi così stupita e fuori di me che passai vari giorni senza rinvenire. Mi pareva d'aver sempre dinanzi a maestà del Figlio di Dio, quantunque non come allora, e lo vedevo bene. Questa visioni resta così impressa, nonostante la rapidità con cui si effettua, che per un po' di tempo non è possibile dimenticare, e lascia nell'anima grade gioia e profitto».
Al termine di tale cammino – e ancora nel libro della Vita [redatto in Avila nel 1565] – la Santa ci sorprende nel parlarci della prima esperienza mistica trinitaria, non tanto com’esperienza della Inabitazione in noi, quanto come comprensione teologale del mistero. L’esperienza avviene in ambito liturgico. [Nei giorni di domenica era costume, allora, recitare nell’ufficio divino, all’Ora Prima, il detto Simbolo Atanasiano (o “Professione di Fede2, attribuita a sant'Atanasio – che però gli è certamente posteriore –, che inizia con le parole: “Chiunque vuole”. Si recitava in domenica perché questo giorno, dall'Età Media e sotto l’influsso di Alcuino di York, che fu maestro di Palazzo di Carlo Magno in Aqui-sgrana, era diventato la commemorazione della Trinità]. Scrive la Santa: «Un giorno, mentre recitavo il salmo: Quicumque vult [“Chiunque vuole”], mi fu dato a comprendere in modo così chiaro essere un Dio in tre Persone, che ne rimasi molto sorpresa e consolata. Questa illustrazione mi aiutò molto a meglio conoscere la grandezza di Dio e le sue meraviglie. E così, quando penso alla santissima Trinità o ne sento parlare, mi par di capirne qualche cosa, e ne godo immensamente» (Vita 39,25).
•• Tuttavia, a parte questa o qualche altra intuizione sul mistero trinitario, la fase di una rivelazione e comunicazione della Trinità si realizza per Teresa dall’anno 1571 in Avila, e dura sino alla morte.
Una delle prime visioni trinitarie è marcata dalla comprensione della presenza della Trinità (Inabitazione): «Il martedì dopo l’Ascensione mi ero comunicata con difficoltà, perché avevo lo spirito così distratto che non si poteva fermare su nulla. Trattenendomi alquanto a pregare, presi a lamentarmi con nostro Signore di questa nostra misera natura. Allora la mia anima cominciò a infiammarsi, e mi parve chiaramente di vedere in me la SS. Trinità per visione intellettuale. Mi si fece vedere sotto una certa rappresentazione, com’un immagine della verità, affinché la rozzezza del mio intelletto comprendesse come Dio sia trino e uno. Mi pareva che le tre Persone si rappresentassero distintamente nell’anima e mi parlassero insieme, assicurandomi che d’allora in poi, grazie all’aiuto che ognuna di loro mi avrebbe prestato, mi sarei migliorata in tre cose: nella carità, nel soffrire con gioia e nel sentire in me l’ardore della carità. Vedendo in me la SS. Trinità nella maniera anzidetta, compresi il passo dove il Signore assicura che le tre divine Persone abitano nell’anima in grazia» (Relazione 16).
E prosegue: «Una volta introdotta in questa mansione (VII), all’anima si scoprono, in visione intellettuale, le tre Perone della SS. Trinità, come in una rappresentazione della verità, in mezzo ad un incendio simile ad una nube risplendentissima che viene al suo spirito. Le Tre Persone si vedono distintamente, e l’anima, per una nozione ammirabile di cui viene favorita, conosce con certezza assoluta che tutte e Tre sono una sola sostanza, una sola potenza, una sola sapienza, un solo Dio. Ciò che crediamo per fede, lei lo conosce quasi per vista, benché non con gli occhi del corpo, né con quelli dell’anima… Qui le tre Persone si comunicano con lei, le parlano e le fanno intendere le parole con cui il Signore disse nel Vangelo che Egli col Padre e con lo Spirito Santo scende ad abitare nell’anima che lo ama ed osserva i suoi comandamenti» (VII Mansioni 1, 6).
  Le parole dell’esperienza: presenza e compagnia
Come vive Teresa con il Dio Trinitario?
Possiamo avvicinarci a quest’intimità in molti modi.
Il primo modo è il linguaggio stesso di Teresa: linguaggio mistico, spontaneo, che propone senza filtri, con grande immediatezza ciò che sente.
In Teresa predomina il linguaggio della “presenza”: un Dio che sta in lei, però aperto verso di lei. Lei si sente al cospetto di una Trinità che fa capire che “è lì per noi”. Non si tratta di qualcosa di statico, bensì di dinamico. Per questo Teresa ricorre anche ad un altro termine: “compagnia”.
Compagnia: un termine che piace a Teresa, perché parla d’amicizia, di partecipazione, di stare vicino a qualcuno. Se Cristo s’è fatto “nostro compagno” nel Santissimo Sacramento (Vita, 22,6), anche la Trinità è una presenza che accompagna, una “divina compagnia”, o, una “compagnia ammirevole”. E una compagnia fedele, giacché la medesima Teresa ci assicura – dopo la prima esperienza dell’inabitazione trinitaria –, le divine Persone non l’abbandonarono più, ma rimasero sempre con lei (M. VII, 1,7).
Teresa si sente una “portatrice della Trinità”, giacché si sente da loro abitata ed ha inoltre esperienza della loro presenza tanto forte e tanto intima che è come se Loro fossero «scolpite» nell’anima, senza che possa allontanarsi da loro (Relazioni 47). E affinché nessuno dubiti della sua visione chiara delle cose e della coscienza che ha dell’apparente tensione tra la grandezza di vivere in compagnia della Trinità e contemporaneamente l’esperienza d’ogni giorno, Teresa descrive tale “normalità” dopo averci narrato la sua esperienza trinitaria: «Stando così le cose, vi sembrerà che l’anima non sia in se stessa, ma tanto assorbita da non intendere nulla …». E risponde a questa sottile obiezione: «Eppure, per ciò che riguarda il servizio di Dio, è molto più in sé di prima, tanto che appena espletate le sue occupazione, si raccoglie con quella dolce compagnia …» (Castello. Inter. VII, 1,8).
Precisa, tuttavia, che «la vista di questa divina presenza non dura sempre così perfetta – dico, in modo così chiaro – come al momento della sua prima manifestazione o come quando il Signore si compiace di ripeterne la grazia. Se così fosse, sarebbe impossibile non soltanto occuparsi in altra cosa, ma neppure vivere tra gli uomini. Però, quantunque la visione non sia sempre così chiara, l’anima non lascia mai d’avvertire di essere in quella compagnia» (Ib 9).
– Una Trinità che si comunica  e parla
La relazione di Teresa con la Trinità è di una grande affabilità reciproca.
Certamente esiste una relazione d’intimità che si manifesta nell’adorazione silenziosa, nella coscienza di una compagnia che non sente bisogno di parole. E Teresa potrà far sua l'affermazione del monaco medievale Adamo di Perseigne: «La Trinità è amica del silenzio…». Pure lei si sofferma in molte occasioni sul silenzio che adora, come una delle maggiori e più alte forme di comunicazione con Dio (M. VII, 3,11). Nonostante ciò la Santa si compiace di rilevare che la relazione con la Trinità si snoda per i medesimi sentieri dell’amicizia nella preghiera. La Trinità è affabile con Teresa. Lo afferma lei stessa quando descrive la prima esperienza trinitaria: «Qui le tre Persone si comunicano con lei, le parlano e le fanno intendere le parole con cui il Signore disse nel Vangelo che Egli col Padre e con lo Spirito Santo scende ad abitare nell’anima che lo ama ed osserva i suoi comandamenti» (VII Mansioni 1, 6).
Tale affabilità di Dio è importante, perché libera la risposta dell’uomo. Parlare alla Trinità perché la Trinità parla con noi, significa entrare nel cerchio della comunicazione Trinitaria attraverso il Verbo, che è la Parola: parola nella Trinità e della Trinità in favore nostro; parola e risposta nostra nella Trinità.
Sono vari gli aspetti di tale affabilità amorosa del Dio che si comunica. Nelle esperienze mistiche di carattere trinitario che Teresa ci racconta nelle sue relazione, troviamo a volte parole che a lei rivolgono le Divine Persone. Si tratta sempre del Padre o del Figlio, poiché lo Spirito Santo sembra che permanga sempre in silenzio. Si tratta di frasi molto brevi, concise, essenziali, colme d’amore e d’amicizia, mai improntate a pessimismo, né a condanna o minaccia.
Vale la pena trascriverne alcune, come aiuto per la nostra fede:
  In un’occasione Teresa sente queste parole:
«Non affannarti per chiudere Me in te, ma cerca di chiudere te in Me» (Relaz. 18).
Un’altra volta percepisce questa frase del Padre:
«Io ti ho dato mio Figlio, lo Spirito santo e questa Vergine. E tu che mi puoi dare in ricambio?» (Ib, 25).
O questa frase che il Figlio rivolge al Padre a proposito di Teresa:
«Colei che mi desti, ecco io ti do» (Ib. 15, 3)  
Teresa vive in simile maniera con il Dio Trinitario e partecipa dei dialoghi delle Persone divine.
– Parlare con la Trinità
Sì, l’abbiamo visto: Teresa entra in conversazione con la Trinità e partecipa dei suoi dialoghi. Allora non ci sembrerà strano che pure il suo modo di trattare con il Padre, con il Figlio o lo Spirito Santo rivesti il tono amichevole e ardito di una conversazione familiare, in cui traspare tutta la sua confidenza e audacia.
Tutti i libri di Teresa sono intrisi di tale gioiosa e confidente conversazione con il Dio affabile e con-discendente. Ci sono, tuttavia, pagine che ci rivelano in maniera particolare questo simpatico stile di conversare di Teresa. Soprattutto nelle “Esclamazioni”, troviamo le preghiera più fervorose e il linguaggio più alto della conversazione di Teresa con la Trinità. Forse il miglior esempio è l’Esclamazione n. 7, che rappresenta un’esperienza mistica di comunione trinitaria.  
«Considera, Anima mia, con che gioia ed amore il Padre riconosce suo Figlio e il Figlio suo Padre; contempla l’ardore con cui lo Spirito Santo si unisce a Loro, e come nessuno dei Tre possa separarsi da tanto amore e conoscenza, formando loro una cosa sola: si conoscono, si amano e si compiacciono a vicenda. Ora, che bisogno v’è del mio amore? Perché lo volete, o mio Dio? Che ci guadagnate con esso?
– Oh, siate per sempre benedetto, mio Dio, Tutte le creature vi lodino, e con lodi senza fine, come senza fine siete Voi!».
Una comunione intensa tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, cui partecipa di persona Teresa per pura gratuità e come in un prolungamento di Maria, la Vergine del Magnificat (Escl. 1-3).
Così vive Teresa con la Trinità; e così c’insegna a vivere: non partendo dalle visioni, ma dalla fede;  spingendoci però, con l’esempio, a vivere con un Dio, Uno e Trino, che si fa compagno del nostro vivere, che è affabile nel suo conversare, che ci permette di «vivere in cielo, con i piedi ben piantati in terra”.

EDITH STEIN
* La vita divina che si sviluppa nell’anima non può essere altro che la vita trinitaria. L’anima si dona alla volontà paterna di Dio che genera, per così dire, nuovamente il Figlio. L’anima si fa tutt’uno col Figlio e vorrebbe scomparire con lui, affinché il Padre non veda nient’altro che il Figlio. E lo stesso si fa tutt’uno con lo Spirito Santo e diventa effusione d’amore divino.
* Spirito Santo, vita divina, amore divino equivale a questo: chi fa la volontà di Dio, questi conosce Dio e lo ama. Infatti, nel momento in cui facciamo con dedizione interiore ciò che Dio richiede, la vita divina diventa la nostra vita. Dio si trova in noi stessi.
* È difficile vivere fuori del convento e senza il Santissimo; ma Dio è in noi con tutta la Trinità. Se nell’intimo del nostro cuore abbiamo costruito una cella ben protetta in cui ci ritiriamo il più spesso possibile, non ci mancherà mai, dovunque ci troveremo.
* La preghiera “sacerdotale” del Salvatore svela il mistero della vita interiore: l’intima unità delle Persone divine e l’inabitaziione di Dio nell’anima. In queste segrete profondità, nel nascondi-mento e nel silenzio, si è preparata e compiuta l’opera della Redenzione, e così sarà sino alla fine dei tempi, fino al momento in cui tutti saranno veramente una sola cosa in Dio.

Io sono il tuo Dio...
e ti sto vicino, non puoi avere di più sulla terra,
         solo io posso riempire il tuo cuore.
         Sei solo? Io ti farò compagnia. Nessuno ha una parola buona per te?
         Ricorri con fiducia al mio cuore e ti esaudirÚ.
Io sono il tuo Dio
       e ti resto fedele anche quando ti mando la croce,
         per quanto pesi, se la porti con amore, diventerà leggera.
Io sono il tuo Dio e penso a te….:
         dall'eternità ho pensato a te e per te ho dato il mio sangue e la mia vita,
         come posso dimenticarmi di te!
Io sono il tuo Dio e tutto dispongo per il tuo meglio
         se ora non lo capisci un giorno lo vedrai con tutta la chiarezza e mi ringrazierai.
Io sono il tuo Dio, ti amo fedelmente,
         conosco tutto ciò che affligge il tuo cuore, vedo ogni sguardo, ascolto ogni parola che ti contraria.
         Accetta tutto con tranquillità e pace
         perché sono io che permetto affinché tu perseveri.
         Restami fedele affinché il mio cuore te ne ricompensi,
Io sono il tuo Dio,
       il mondo passa, il tempo fugge, gli uomini scompaiono, la morte tutto ti rapisce,
         una sola cosa ti resterà, il tuo Dio.
CHIESI A DIO
Chiesi a Dio di essere forte, per eseguire progetti grandiosi:
– Egli mi rese debole per conservarmi nell'umiltà.
Domandai a Dio che mi desse la salute , per realizzare grandi imprese:
– Egli mi ha dato il dolore per comprenderla meglio.
Gli chiesi la ricchezza per possedere tutto:
– Mi ha fatto povero per non essere egoista.
Gli domandai il potere – affinché ché gli uomini avessero bisogno di me:
– Egli mi ha dato l'umiliazione perché io avessi bisogno di loro.
Domandai a Dio tutto per godere la vita:
– Mi ha lasciato la vita affinché potessi apprezzare tutto.
«Signore, non ho ricevuto niente di quello che chiedevo,
– ma mi hai dato tutto quello di cui avevo bisogno, e quasi contro la mia volontà.
Le preghiere che non feci furono esaudite.
Sii lodato; o mio Signore, fra tutti gli uomini
– nessuno possiede quello che ho io!".                                                                                  Kirk Kilgour
“QUIEN A DIOS TIENE, NADA LE FALTA. DIOS SOLO BASTA!”
A luglio, dopo gli esami superati brillantemente, lo rividi nervoso ed insoddisfatto:  «Stefano, come mai?». «Papà non mi vuol comprare il motorino...» – mi rispose. Cercai di fargli comprendere ed accettare le ragioni del papà, e lo salutai.
Il compleanno gli portò presto il regalo sognato. Ma, dopo qualche mese, al telefono, avverto di nuovo un tono inquieto, affannoso: «Stefano, che hai?». «Sono caduto col motorino e mi sono fratturato un piede».
Tempo fa incontrai don Agostino, un mio amico, sacerdote in un paese colpito dal terremoto; mi confida i suoi crucci per le gravi lesioni subite dalla sua chiesa e l'incertezza circa l'arrivo dei finanziamenti indispensabili. Qualche mese dopo vedo la sua chiesa rimessa a nuovo grazie alle sovvenzioni tempestive, ma lui ancora preoccupato perché la gente, abituata alle funzioni religiose nel capannone, non entra in chiesa.
Proprio ieri incontro Graziella, da alcuni mesi felicemente sposata ad un giovane bello e ricco: non è contenta: «Temo – mi dice – che mi tradisca».
Antonio, il mio barbiere, ha appena fatto un prestigioso tredici: mi confida d’essere nervoso e stanco perché non riesce a dormire come prima.
Stamane passo per la strada e sento fischiettare allegramente: è Urbano, il mio amico netturbino, che spazza la strada ammucchiando le foglie cadute. Gli chiedo come mai sia tanto allegro nello svolgere un lavoro che sembra inconcludente, giacché le foglie, cadendo ogni giorno di nuovo dall'albero, rende-ranno vana la sua fatica. Mi risponde che è contento perché proprio le foglie che cadono danno da man-giare a lui e alla sua famiglia; ed aggiunge: «Quando si sta con Dio, si è sempre contenti».
Le sue parole mi richiamano quelle di Teresa d'Avila:
«A chi possiede Dio, nulla manca – Dio solo basta!».
Vorrei che le parole del mio amico netturbino arrivassero al cuore di tutte le persone inquiete e insoddisfatte riportando in loro la serenità.
Andrea Panont, ocd; ‘L’alfabeto di Dio’, ed. Mimep Docete

DIO:  “TI VOGLIO BENE!”
Il giorno dopo aver creato il mondo, il Signore tornò a guardare la sua Creazione.
C’era qualche ritocco da fare. C’erano dei bei sassi sui greti dei fiumi, grigi, verdi e picchiettati.
Ma sotto terra i sassi erano schiacciati e mortificati. Dio sfiorò quei sassi profondi,
ed ecco si formarono diamanti e smeraldi e milioni di gemme scintillanti laggiù nelle profondità.
Il Signore vide i fiori, uno più bello dell’altro. Mancava qualcosa, pensò, e posò su di essi un soffio leggero: ed ecco, i fiori si vestirono di profumo.
Un uccellino grigio e triste gli volò sulla mano. Dio gli fischiettò qualcosa. E l’usignolo iniziò a gorgheggiare.
E disse qualcosa al cielo e il cielo arrossì di piacere. Nacque così il tramonto.
Ma che cosa mai avrà bisbigliato il Signore all’orecchio dell’uomo affinché egli sia un uomo?
Gli bisbigliò, in quel giorno lontano, in quell’alba remota, tre piccole parole: “Ti voglio bene!”.
Ogni giorno Dio ti bisbiglia in un orecchio: "Ti voglio bene!"
E questo dovrebbe bastarti per essere felice...

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Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi