VIVERE IN COMUNIONE CON DIO TRINITà (TERESA)
Nel cuore della mistica Teresa regna
il mistero della Trinità.
Lo troviamo al
vertice della sua esperienza spirituale, e possiamo affermare che gli ultimi
dodici anni della sua vita (dal 1571 al 1582) sono per lei – nonostante viaggi,
fondazioni, impegni e sofferenze, incontri con persone d’ogni ceto e qualità,
una convivenza quotidiana con le Tre Persone divine.
A Teresa è
sufficiente rientrare in se stessa dove inibita la Trinità, per sentirsi
sommersa in una pace immensa, che le permette d’affrontare i programmi e le
attività quotidiane, con i piedi ben piantati in terra e il cuore in cielo.
Proprio così! Lo confessa lei stessa al termine della vita, a Palencia nel
1581, quando spiega le sue impressioni su ciò che sta sperimentando:
«La pace interiore in cui
sono, … la presenza della Tre divine Persone che mi dura sì a lungo da non
poterne dubitare, mi fanno pensare a quel che dice san Giovanni, cioè che la
santissima Trinità stabilisce “la sua dimora nelle anime” [Gv 14-23]; e ciò
non soltanto con la grazia, ma anche con la sensazione della sua presenza, la
quale porta con sé un’innumerevole quantità di beni, senza bisogno di tante
considerazioni…»
(Relaz. 6,7).
Si
tratta del vertice dell’intimità con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.
Una comunione che riempie la sua
esistenza di una compagnia e di una comunicazione divine. [“Comunicazione” –
che indica la reciproca relazione della Persone divine fra di loro e la maniera
di porsi e di donarsi a Teresa – è una parola chiave della sua spiritualità].
Sappiamo, tuttavia che non è stato
così all’inizio; e che il cammino della rivelazione e della comu-nione di Dio,
come Trinità, si realizzò soltanto a poco a poco.
Quando Teresa ci parla della Trinità,
da una parte ci offre una testimonianza viva e umana dell’esperienza
cristiana di questo mistero, non con la speculazione dei teologi, ma con la
forza di ciò che lei ha visto e vissuto. Teresa, però, non si ferma qui.
Lei vuole insegnarci qualcosa; desidera aiutarci a penetrare nel mistero, ad
avvicinarci a ciò che sappiamo per fede e possediamo per grazia.
Ella ci aiuta a mantener vivo il
significato di un Dio Uno e Trino che è trascendente e pieno di
maestà; ma che, tuttavia, è nel contempo immanente, presente dentro
di noi (e per questo bisogna cercarlo in noi che siamo il “castello interiore”
della sua presenza, la dimora di Dio).
Tale Dio, però, è soprattutto condiscendente,
cioè, un Dio che si fa vicino, prossimo, s'abbassa, s'adatta alla nostra
capacità, secondo le belle parole di Teresa a proposito di Dio presente in noi,
che invitano all’orazione di raccoglimento: «Poiché è un Signore, porta con sé la
libertà, e poiché ci ama, si fa a nostra misura» (Cammino di Perfezione 28,11).
Una scoperta progressiva – Possiamo affermare che all’inizio –
il periodo dell’infanzia e della gioventù – la relazione religiosa di Teresa è
occupata soprattutto dalla nozione di un Dio in generale, senza la
connotazione specifica di Padre. Più tardi, dal tempo della gioventù e della
sua vocazione, prevale il contatto con Cristo, specialmente come Dio-incarnato.
Tutto il libro della Vita è marcato da tale visione, quando Teresa cerca ed
incontra Cristo-Gesù-uomo (Vita, 3, 4,22), e in seguito scopre il
Cristo-Signore risorto, che le si rivela
(Vita 26-29).
«Un giorno, mentre ero in adorazione, si degnò di mostrarmi
le sue mani: erano così belle che non so come descriverle (…) di lì a pochi
giorni vidi il suo volto divino e ne rimasi completamente rapita. Non potevo
spiegarmi perché il Signore mi si mostrasse così poco a poco... Ma intesi che
così faceva per adattarsi alla mia naturale debolezza» (ib. 28, 1). «Non è un morto che vedo ma lo stesso
Cristo vivente che si fa vedere come Uomo-Dio nel modo con cui è risorto, non già nel sepolcro.
Si manifesta alle volte con tanta maestà da non lasciare alcun dubbio che sia
proprio il Signore, e ciò, specialmente dopo la comunione (ib. 28,8). «In via
generale, il Signore mi si faceva vedere da risorto, così pure quando mi
appariva nella sacra Ostia. Però qualche volta... mi mostrava la sue
piaghe, talvolta in croce, talvolta nell'orto, talora sotto il peso della
Croce, raramente con la corona di spine, sempre in conformità dei miei
bisogni... Ma anche allora la sua carne appariva glorificata» (ib. 29, 4).
Gradualmente Teresa scopre anche la
realtà viva ed operante dello Spirito Santo, come forza di
libertà, come fiamma d’amore che le incendia il cuore (Cfr. Vita 24 e 29).
Tale rivelazione personale dello Spirito Santo culmina nell’esperienza della
Vigilia di Pentecoste (1563), allorché, leggendo quanto scrive Ludolfo di
Sassonia nella Vita di Cristo sul mistero della discesa dello Spirito
Santo sugli apostoli, lei stessa contempla il mistero di una colomba che scende
e si posa su di lei. [Ne
abbiamo parlato nella conferenza “Teresa e lo Spirito Santo]
Una vera
esperienza mistica di Dio come Padre affiora nella vita di Teresa dalla
conoscenza di Cristo,
quando per la prima volta lo contempla nel seno del Padre (Vita
38,17).
«D'ordinario,
prima di accordarmi qualche grande favore, il Signore mi umilia profondamente,
come per farmi comprendere quanto ne sia indegna. Pensavo che fosse così anche
allora. Ed eccomi, poco dopo, portata via da un così grande rapimento come se
la mia anima fosse uscita dal corpo: comunque, se era nel corpo, non lo sapeva.
Vidi la sacratissima Umanità in mezzo a tanta gloria che
non l'avevo mai veduta. Im modo chiaro ed ammirabile vidi Cristo nel seno del
Padre, ma no so dire in che modo, perché mi parve di essere in presenza della
divinità senza nulla vedere. Rimasi così stupita e fuori di me che passai vari
giorni senza rinvenire. Mi pareva d'aver sempre dinanzi a maestà del Figlio di
Dio, quantunque non come allora, e lo vedevo bene. Questa visioni resta così
impressa, nonostante la rapidità con cui si effettua, che per un po' di tempo
non è possibile dimenticare, e lascia nell'anima grade gioia e profitto».
Al termine di tale cammino – e ancora nel libro della
Vita [redatto in Avila nel 1565] – la Santa ci sorprende nel parlarci della prima esperienza mistica
trinitaria, non tanto com’esperienza della Inabitazione in noi, quanto
come comprensione teologale del mistero. L’esperienza avviene in ambito
liturgico. [Nei giorni di domenica era costume, allora, recitare
nell’ufficio divino, all’Ora Prima, il detto Simbolo Atanasiano (o “Professione
di Fede2, attribuita a sant'Atanasio – che però gli è certamente posteriore –,
che inizia con le parole: “Chiunque vuole”. Si recitava in domenica
perché questo giorno, dall'Età Media e sotto l’influsso di Alcuino di York, che
fu maestro di Palazzo di Carlo Magno in Aqui-sgrana, era diventato la
commemorazione della Trinità]. Scrive
la Santa: «Un giorno, mentre recitavo il salmo: Quicumque vult [“Chiunque vuole”], mi fu dato a comprendere
in modo così chiaro essere un Dio in tre Persone, che ne rimasi molto
sorpresa e consolata. Questa illustrazione mi aiutò molto a meglio conoscere la
grandezza di Dio e le sue meraviglie. E così, quando penso alla santissima
Trinità o ne sento parlare, mi par di capirne qualche cosa, e ne godo
immensamente» (Vita 39,25).
••
Tuttavia, a parte questa o
qualche altra intuizione sul mistero trinitario, la fase di una rivelazione e
comunicazione della Trinità si realizza per Teresa dall’anno 1571 in Avila, e dura
sino alla morte.
Una delle prime
visioni trinitarie è marcata dalla comprensione della presenza della
Trinità (Inabitazione): «Il martedì dopo l’Ascensione mi ero comunicata con
difficoltà, perché avevo lo spirito così distratto che non si poteva fermare
su nulla. Trattenendomi alquanto a pregare, presi a lamentarmi con nostro
Signore di questa nostra misera natura. Allora la mia anima cominciò a
infiammarsi, e mi parve chiaramente di vedere in me la SS. Trinità per visione
intellettuale. Mi si fece vedere sotto una certa rappresentazione, com’un immagine
della verità, affinché la rozzezza del mio intelletto comprendesse come Dio
sia trino e uno. Mi pareva che le tre Persone si rappresentassero
distintamente nell’anima e mi parlassero insieme, assicurandomi che d’allora
in poi, grazie all’aiuto che ognuna di loro mi avrebbe prestato, mi sarei
migliorata in tre cose: nella carità, nel soffrire con gioia e nel sentire in
me l’ardore della carità. Vedendo in me la SS. Trinità nella maniera anzidetta,
compresi il passo dove il Signore assicura che le tre divine Persone abitano
nell’anima in grazia» (Relazione 16).
E prosegue: «Una volta introdotta in questa mansione (VII),
all’anima si scoprono, in visione intellettuale, le tre
Perone della SS. Trinità, come in una rappresentazione della verità, in mezzo
ad un incendio simile ad una nube risplendentissima che viene al suo spirito.
Le Tre Persone si vedono distintamente, e l’anima, per una nozione ammirabile
di cui viene favorita, conosce con certezza assoluta che tutte e Tre sono
una sola sostanza, una sola potenza, una sola sapienza, un solo Dio. Ciò
che crediamo per fede, lei lo conosce quasi per vista, benché non con gli occhi
del corpo, né con quelli dell’anima… Qui le tre Persone si comunicano con lei,
le parlano e le fanno intendere le parole con cui il Signore disse nel Vangelo
che Egli col Padre e con lo Spirito Santo scende ad abitare nell’anima che lo
ama ed osserva i suoi comandamenti» (VII
Mansioni 1, 6).
– Le parole dell’esperienza: presenza e
compagnia
Come vive Teresa con il Dio
Trinitario?
Possiamo avvicinarci a quest’intimità
in molti modi.
Il primo modo è il linguaggio
stesso di Teresa: linguaggio mistico, spontaneo, che propone senza filtri,
con grande immediatezza ciò che sente.
In Teresa predomina il linguaggio
della “presenza”: un Dio che sta in lei, però aperto verso di
lei. Lei si sente al cospetto di una Trinità
che fa capire che “è lì per noi”. Non si tratta di qualcosa di statico, bensì
di dinamico. Per questo Teresa ricorre anche ad un altro termine: “compagnia”.
Compagnia: un
termine che piace a Teresa, perché parla d’amicizia, di partecipazione,
di stare vicino a qualcuno. Se Cristo s’è fatto “nostro compagno” nel
Santissimo Sacramento (Vita, 22,6), anche la Trinità
è una presenza che accompagna, una “divina compagnia”, o, una “compagnia
ammirevole”. E una compagnia fedele, giacché la medesima Teresa ci assicura
– dopo la prima esperienza dell’inabitazione trinitaria –, le divine Persone non
l’abbandonarono più, ma rimasero sempre con lei (M. VII, 1,7).
Teresa si sente una “portatrice della
Trinità”, giacché si sente da loro abitata ed ha inoltre esperienza della loro
presenza tanto forte e tanto intima che è come se Loro fossero «scolpite» nell’anima,
senza che possa allontanarsi da loro (Relazioni 47). E affinché nessuno dubiti della sua visione chiara delle
cose e della coscienza che ha dell’apparente tensione tra la grandezza di
vivere in compagnia della Trinità e contemporaneamente l’esperienza d’ogni
giorno, Teresa descrive tale “normalità” dopo averci narrato la sua esperienza
trinitaria: «Stando così le cose, vi sembrerà che l’anima non sia
in se stessa, ma tanto assorbita da non intendere nulla …».
E risponde a questa sottile obiezione: «Eppure, per ciò che riguarda il servizio
di Dio, è molto più in sé di prima, tanto che appena espletate le sue
occupazione, si raccoglie con quella dolce compagnia …» (Castello. Inter. VII, 1,8).
Precisa, tuttavia, che «la vista di questa divina presenza
non dura sempre così perfetta – dico, in modo così chiaro – come al momento
della sua prima manifestazione o come quando il Signore si compiace di
ripeterne la grazia. Se così fosse, sarebbe impossibile non soltanto occuparsi
in altra cosa, ma neppure vivere tra gli uomini. Però, quantunque la visione
non sia sempre così chiara, l’anima non lascia mai d’avvertire di essere in
quella compagnia» (Ib 9).
– Una Trinità che si
comunica e parla
La relazione di Teresa con la Trinità è di una grande affabilità
reciproca.
Certamente esiste una relazione d’intimità che si manifesta
nell’adorazione silenziosa, nella coscienza di una compagnia che non sente bisogno
di parole. E Teresa potrà far sua l'affermazione del monaco medievale Adamo di
Perseigne: «La Trinità è amica del silenzio…». Pure lei si sofferma in
molte occasioni sul silenzio che adora, come una delle maggiori e più alte
forme di comunicazione con Dio (M. VII, 3,11). Nonostante
ciò la Santa si compiace di rilevare che la relazione con la Trinità si snoda
per i medesimi sentieri dell’amicizia nella preghiera. La Trinità è
affabile con Teresa. Lo afferma lei stessa quando descrive la prima esperienza
trinitaria: «Qui le tre Persone si comunicano con lei, le parlano e le fanno
intendere le parole con cui il Signore disse nel Vangelo che Egli col Padre e
con lo Spirito Santo scende ad abitare nell’anima che lo ama ed osserva i suoi
comandamenti» (VII
Mansioni 1, 6).
Tale
affabilità di Dio è importante, perché libera la risposta dell’uomo.
Parlare alla Trinità perché la Trinità parla con noi, significa entrare nel
cerchio della comunicazione Trinitaria attraverso il Verbo, che è la Parola:
parola nella Trinità e della Trinità in favore nostro; parola e
risposta nostra nella Trinità.
Sono
vari gli aspetti di tale affabilità amorosa del Dio che si comunica. Nelle
esperienze mistiche di carattere trinitario che Teresa ci racconta nelle sue
relazione, troviamo a volte parole che a lei rivolgono le Divine
Persone. Si tratta sempre del Padre o del Figlio, poiché lo
Spirito Santo sembra che permanga sempre in silenzio. Si tratta di frasi molto
brevi, concise, essenziali, colme d’amore e d’amicizia, mai improntate a
pessimismo, né a condanna o minaccia.
Vale la pena trascriverne
alcune, come aiuto per la nostra fede:
• In un’occasione Teresa
sente queste parole:
«Non
affannarti per chiudere Me in te, ma cerca di chiudere te in Me» (Relaz.
18).
• Un’altra volta
percepisce questa frase del Padre:
«Io ti ho
dato mio Figlio, lo Spirito santo e questa Vergine. E tu che mi puoi dare in
ricambio?» (Ib, 25).
• O questa frase
che il Figlio rivolge al Padre a proposito di Teresa:
«Colei che mi desti, ecco io ti
do» (Ib. 15, 3)
Teresa
vive in simile maniera con il Dio Trinitario e partecipa dei dialoghi delle
Persone divine.
–
Parlare con la Trinità
Sì, l’abbiamo
visto: Teresa entra in conversazione con la Trinità e partecipa dei suoi
dialoghi. Allora non ci sembrerà strano che pure il suo modo di trattare con il
Padre, con il Figlio o lo Spirito Santo rivesti il tono amichevole e ardito di
una conversazione familiare, in cui traspare tutta la sua confidenza e audacia.
Tutti i libri di Teresa sono intrisi
di tale gioiosa e confidente conversazione con il Dio affabile e
con-discendente. Ci sono, tuttavia, pagine che ci rivelano in maniera
particolare questo simpatico stile di conversare di Teresa. Soprattutto nelle
“Esclamazioni”, troviamo le preghiera più fervorose e il linguaggio più alto
della conversazione di Teresa con la Trinità. Forse il miglior esempio è
l’Esclamazione n. 7, che rappresenta un’esperienza mistica di comunione
trinitaria.
«Considera,
Anima mia, con che gioia ed amore il Padre riconosce suo Figlio e il Figlio suo
Padre; contempla l’ardore con cui lo Spirito Santo si unisce a Loro, e come
nessuno dei Tre possa separarsi da tanto amore e conoscenza, formando loro una
cosa sola: si conoscono, si amano e si compiacciono a vicenda. Ora, che bisogno
v’è del mio amore? Perché lo volete, o mio Dio? Che ci guadagnate con esso?
– Oh, siate
per sempre benedetto, mio Dio, Tutte le creature vi lodino, e con lodi senza
fine, come senza fine siete Voi!».
Una
comunione intensa tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, cui partecipa di
persona Teresa per pura gratuità e come in un prolungamento di Maria, la
Vergine del Magnificat (Escl. 1-3).
Così vive Teresa con la Trinità; e così c’insegna a vivere:
non partendo dalle visioni, ma dalla fede; spingendoci però, con l’esempio, a vivere con
un Dio, Uno e Trino, che si fa compagno del nostro vivere, che è affabile nel
suo conversare, che ci permette di «vivere in cielo, con i piedi ben
piantati in terra”.
EDITH
STEIN
* La vita divina che si
sviluppa nell’anima non può essere altro che la vita trinitaria. L’anima si
dona alla volontà paterna di Dio che genera, per così dire, nuovamente
il Figlio. L’anima si fa tutt’uno col Figlio e vorrebbe scomparire con
lui, affinché il Padre non veda nient’altro che il Figlio. E lo stesso si fa
tutt’uno con lo Spirito Santo e diventa effusione d’amore divino.
* Spirito Santo, vita divina, amore divino
equivale a questo: chi fa la volontà di Dio, questi conosce Dio e lo ama.
Infatti, nel momento in cui facciamo con dedizione interiore ciò che Dio
richiede, la vita divina diventa la nostra vita. Dio si trova in noi stessi.
* È difficile vivere fuori
del convento e senza il Santissimo; ma Dio è in noi con tutta la Trinità.
Se nell’intimo del nostro cuore abbiamo costruito una cella ben protetta in cui
ci ritiriamo il più spesso possibile, non ci mancherà mai, dovunque ci
troveremo.
* La preghiera “sacerdotale”
del Salvatore svela il mistero della vita interiore: l’intima unità delle
Persone divine e l’inabitaziione di Dio nell’anima. In queste segrete
profondità, nel nascondi-mento e nel silenzio, si è preparata e compiuta
l’opera della Redenzione, e così sarà sino alla fine dei tempi, fino al momento
in cui tutti saranno veramente una sola cosa in Dio.
Io sono il
tuo Dio...
e ti sto vicino, non puoi avere di
più sulla terra,
solo io posso riempire
il tuo cuore.
Sei solo? Io ti farò
compagnia. Nessuno ha una parola buona per te?
Ricorri con fiducia al
mio cuore e ti esaudirÚ.
Io sono il tuo Dio
e ti resto fedele anche quando ti mando la croce,
per quanto pesi, se la
porti con amore, diventerà leggera.
Io sono il tuo Dio e penso a te….:
dall'eternità ho
pensato a te e per te ho dato il mio sangue e la mia vita,
come posso
dimenticarmi di te!
Io sono il tuo Dio e tutto dispongo per il tuo meglio
se ora non lo capisci
un giorno lo vedrai con tutta la chiarezza e mi ringrazierai.
Io sono il tuo Dio, ti amo fedelmente,
conosco tutto ciò che
affligge il tuo cuore, vedo ogni sguardo, ascolto ogni parola che ti contraria.
Accetta tutto con
tranquillità e pace
perché sono io che
permetto affinché tu perseveri.
Restami fedele
affinché il mio cuore te ne ricompensi,
Io sono il tuo Dio,
il mondo passa, il tempo
fugge, gli uomini scompaiono, la morte tutto ti rapisce,
una sola cosa ti
resterà, il tuo Dio.
CHIESI
A DIO
Chiesi a Dio di essere forte, per
eseguire progetti grandiosi:
– Egli mi rese debole per conservarmi nell'umiltà.
Domandai a Dio che mi desse la salute , per realizzare grandi
imprese:
– Egli mi ha dato il dolore per comprenderla meglio.
Gli chiesi la ricchezza per
possedere tutto:
– Mi ha fatto povero per non essere egoista.
Gli domandai il potere – affinché
ché gli uomini avessero bisogno di me:
– Egli mi ha dato l'umiliazione
perché io avessi bisogno di loro.
Domandai a Dio tutto per godere
la vita:
– Mi ha lasciato la vita affinché potessi apprezzare tutto.
«Signore, non ho ricevuto niente di quello che chiedevo,
– ma
mi hai dato tutto quello di cui avevo bisogno, e quasi contro la mia
volontà.
Le preghiere che non feci furono esaudite.
Sii lodato; o mio
Signore, fra tutti gli uomini
– nessuno possiede quello che ho io!". Kirk Kilgour
“QUIEN A DIOS TIENE, NADA LE FALTA. DIOS SOLO
BASTA!”
A luglio, dopo gli esami superati
brillantemente, lo rividi nervoso ed insoddisfatto: «Stefano, come mai?». «Papà non mi
vuol comprare il motorino...» – mi rispose. Cercai di fargli comprendere ed
accettare le ragioni del papà, e lo salutai.
Il
compleanno gli portò presto il regalo sognato. Ma, dopo qualche mese, al
telefono, avverto di nuovo un tono inquieto, affannoso: «Stefano, che hai?». «Sono caduto col motorino e mi sono fratturato un
piede».
Tempo fa incontrai don
Agostino, un mio amico, sacerdote in un paese colpito dal terremoto; mi
confida i suoi crucci per le gravi lesioni subite dalla sua chiesa e
l'incertezza circa l'arrivo dei finanziamenti indispensabili. Qualche mese
dopo vedo la sua chiesa rimessa a nuovo grazie alle sovvenzioni tempestive, ma
lui ancora preoccupato perché la gente, abituata alle funzioni religiose nel
capannone, non entra in chiesa.
Proprio ieri incontro Graziella,
da alcuni mesi felicemente sposata ad un giovane bello e ricco: non è contenta:
«Temo – mi dice – che mi tradisca».
Antonio,
il mio barbiere, ha appena fatto un prestigioso tredici: mi confida d’essere
nervoso e stanco perché non riesce a dormire come prima.
Stamane passo per la strada e sento
fischiettare allegramente: è Urbano, il mio amico netturbino, che spazza la strada ammucchiando le foglie cadute.
Gli chiedo come mai sia tanto allegro nello svolgere un lavoro che
sembra inconcludente, giacché le foglie, cadendo ogni giorno di nuovo
dall'albero, rende-ranno vana la sua fatica. Mi risponde che è contento perché
proprio le foglie che cadono danno da man-giare a lui e alla sua famiglia; ed
aggiunge: «Quando si sta con Dio, si è sempre contenti».
Le sue
parole mi richiamano quelle di Teresa d'Avila:
«A chi possiede Dio,
nulla manca – Dio solo basta!».
Vorrei che le parole
del mio amico netturbino arrivassero al cuore di tutte le persone inquiete e
insoddisfatte riportando in loro la serenità.
Andrea
Panont, ocd; ‘L’alfabeto di Dio’, ed. Mimep Docete
DIO: “TI VOGLIO BENE!”
Il
giorno dopo aver creato il mondo, il Signore tornò a guardare la sua Creazione.
C’era qualche
ritocco da fare. C’erano dei bei sassi sui greti dei fiumi, grigi, verdi e
picchiettati.
Ma sotto
terra i sassi erano schiacciati e mortificati. Dio sfiorò quei sassi profondi,
ed ecco si
formarono diamanti e smeraldi e milioni di gemme scintillanti laggiù nelle
profondità.
Il Signore
vide i fiori, uno più bello dell’altro. Mancava qualcosa, pensò, e posò su di
essi un soffio leggero: ed ecco, i fiori si vestirono di profumo.
Un uccellino grigio e triste gli volò sulla mano. Dio gli fischiettò
qualcosa. E l’usignolo iniziò a gorgheggiare.
E disse
qualcosa al cielo e il cielo arrossì di piacere. Nacque così il tramonto.
Ma che cosa
mai avrà bisbigliato il Signore all’orecchio dell’uomo affinché egli sia un
uomo?
Gli
bisbigliò, in quel giorno lontano, in quell’alba remota, tre piccole parole: “Ti
voglio bene!”.
Ogni giorno Dio ti bisbiglia in un orecchio:
"Ti voglio bene!"
E questo dovrebbe bastarti per essere felice...
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