"Ricordati che Dio ti vuole bene!" Queste erano le parole che egli diceva a tutti coloro che bussavano alla porta del convento dei Cappuccini di viale Piave a Milano dove era giunto il 29 aprile 1910. Fra' Cecilio aveva voluto essere fratello laico perché non si era sentito degno del sacerdozio. Come laico avrebbe potuto servire a tempo pieno i padri suoi confratelli e dedicarsi ai poveri che bussavano numerosissimi in cerca di cibo e di assistenza alla porta dei frati. I poveri, particolarmente quelli dei dopoguerra dei due conflitti mondiali del secolo scorso, non erano solo accattoni o i "barboni", ma madri, vedove, disoccupati, sfollati bisognosi di tutto. Per questa gente, a Milano, fece miracoli sotto gli occhi dei suoi aiutanti che videro il prodigio che avveniva quando il grande pentolone della minestra o della pasta si svuotava troppo presto mentre la fila dei miseri era ancora lunga. Allora fra' Cecilio esortava chi lo affiancava ad avere fiducia e si metteva a raschiare il fondo del pentolone col mestolo che ne usciva ogni volta colmo di pasta o di minestra finché anche l'ultimo della fila se ne andava sfamato. Lo stesso avveniva quando infilava la mano in una cesta ormai vuota di provviste, come attestava il giovane frate che lo aiutava, e dalla quale traeva un nuovo sacchetto di cibo. Fra' Cecilio Maria Cortinovis era nato a Costa Serina, nella Bergamasca, settimo di otto fratelli, una famiglia onesta, non ricca dove la fede cristiana vissuta e praticata costituiva il fondamento dell'amore familiare. L'educazione della madre fu determinante per la sua crescita morale e spirituale, questo senza sminuire il buon esempio dato dal padre. A dieci anni ricevette la Prima Comunione; di quel primo incontro con Gesù Eucarestia gli rimase per tutta la vita un ricordo indelebile, fu un'esperienza determinante e consapevole che trasformò il suo spirito. Ai suoi tempi le scuole terminavano per la maggior parte dei bambini con la terza elementare e così avvenne anche per lui che venne subito occupato nei lavori dei campi e nella sorveglianza degli animali al pascolo. Il lavoro gli permetteva di contemplare la bella natura della valle e di osservare le chiese dei paesi in lontananza riflettendo che Gesù vi era presente nel tabernacolo. Erano momenti di amorosa meditazione e di lode a Dio. Pur non avendo una grande cultura Cecilio era capace di pensieri profondi e di felici intuizioni. A quattordici anni si iscrisse nel Terzo Ordine Francescano. A sedici, dopo essersi confessato da un frate Cappuccino venuto in paese a predicare, ricevette il chiaro invito di farsi frate. Avvertì subito la gioia e la bellezza della chiamata sentendosene però indegno, ma era evidente che la sua condotta si diversificava parecchio dai comuni comportamenti dei coetanei che lo burlavano spesso e volentieri abusando della sua pazienza. Sui vent'anni alcuni suoi conoscenti tentarono di iniziarlo "alla vita", lo trascinarono con un pretesto in un'osteria per farlo bere e coinvolgerlo in discorsi immorali, ma egli non ci mise molto a cogliere la situazione e a farsi largo con energiche gomitate verso la porta. Questo suo onesto e non occasionale stile di vita rivelò a tutti che la sua vocazione religiosa era ben fondata. Il 21 aprile 1908 il padre lo accompagnò dai Cappuccini di Bergamo, dopo l'anno di noviziato a Lovere, prova severa che egli visse con gioia fra preghiera, lavoro e in spirito di penitenza, emise la professione semplice il 2 agosto 1909. In quell'anno venne destinato prima al convento di Albino, poi a Cremona e infine fu mandato dai superiori al convento dei Cappuccini di Milano Monforte. Fra' Cecilio aveva allora ventiquattro anni e la Provvidenza dispose che sarebbe rimasto a Milano fino al 1984. Uscì dal convento solo per prestare il servizio militare durante la guerra del '15-'18 quando nel 1916 fu destinato al V Reggimento Alpini. Soffrì molto nel constatare il degrado morale di alcuni suoi compagni, inoltre la vita faticosissima, le marce, le corse, l'avanzare strisciando per terra lo abbatterono fisicamente perché il suo cuore reggeva a fatica questo addestramento, dovette essere congedato e riformato. Commilitoni e ufficiali lo ricordarono come un autentico esempio di bontà e di onestà nell'adempimento dei doveri militari, mai aveva rinunciato alla sua fede o era giunto a compromessi. Quando ritornò a Milano emise la professione solenne il 2 febbraio 1918 e in quella circostanza rinnovò il suo desiderio di seguire le orme di Cristo crocifisso e di spendersi tutto per Lui e per il prossimo.
Fra' Cecilio non immaginava che dopo la professione solenne del 2 febbraio 1918 sarebbe rimasto nel convento di viale Piave tutto il resto della sua vita, ad eccezione degli ultimi anni che trascorsero fra Milano e Bergamo, sede dell'infermeria dei Cappuccini. Fra i suoi primi compiti vi fu anche quello di aiuto sacrestano, un servizio che amava e che gli permetteva di trascorrere il tempo in adorazione davanti al tabernacolo che divenne, come scrisse nel Diario, il suo vero libro. Una meningite nel 1914 lo condusse alle soglie dell'altra vita, momento in cui visse una profonda esperienza di vita spirituale poiché sperimentò il giudizio benevolo di Dio in punto di morte; non morì, ma guarì per intercessione del beato Innocenzo da Berzo, un suo confratello. Di quella esperienza fra' Cecilio mantenne un ricordo vivissimo per tutta la vita, aveva ventinove anni e sarebbe morto quasi centenario. Nel 1921 ebbe l'incarico di portinaio e di questuante per i poveri, servizi che misero alla prova la sua umiltà; avrebbe desiderato partire per le missioni in Africa o in Brasile dove si trovava p. Daniele da Samarate che aveva contratto la lebbra a Tucunduba assistendo i lebbrosi. Quando l'eroico confratello morì fra' Cecilio chiese il permesso di partire per il lebbrosario, ma i superiori disposero diversamente. Descrivere quanto egli operò a Milano non è facile, divenne il punto di riferimento sicuro per una moltitudine di poveri il cui numero, in continua crescita, aumentò ulteriormente durante la seconda guerra mondiale. Del suo soccorso beneficiarono anche i perseguitati politici e gli ebrei. Fra' Cecilio non lasciò il convento nemmeno quando fu bombardato nel 1942 e nel 1943, ma lo difese con accortezza dalle perquisizioni dei tedeschi, molto sospettosi nei confronti dei frati. La sua giornata, con rare eccezioni, si fondava su concrete e faticose cose: sveglia verso le quattro del mattino, preghiera personale e comunitaria, servizio di preparazione e assistenza all'altare per i confratelli celebranti finché alle otto iniziava l'assistenza ai poveri. Pranzava raramente con i confratelli perché all'ora del pranzo una lunga fila di bisognosi passava a ritirare quanto aveva cucinato nella mattinata. Solo verso le quattordici e trenta poteva risalire in cella dove si dedicava alla preghiera. Seguivano poi gli impegni pomeridiani. Dopo cena, verso le ventuno, preparava le verdure e tutto il necessario per la mensa dei poveri del giorno dopo. Poi ancora spazio alla preghiera notturna seguito da poche ore di sonno. La sua carità era inesauribile, ma l'azione continua non spegneva la sua dimensione contemplativa e alle persone che desideravano incontrarlo parlava con semplicità della vita, della morte, della vera felicità, dei contenuti della fede con parole che si imprimevano nell'anima. Il suo sorriso e lo sguardo dei suoi occhi azzurri erano indimenticabili. Fra' Cecilio con la sua fede in Gesù e in Maria diffondeva pace, consolazione e grazie. Il 5 luglio 1922 mentre pregava nella cella una luce spirituale lo aveva avvolto e gli aveva mostrato in visione le coscienze umane di fronte al mistero della Redenzione, una visione dell'aldilà di cui fu consapevole per tutta la vita. Onorava riconoscente la passione di Cristo facendo spesso la Via Crucis portando sulle spalle, a mo' di croce, una pesante panca che è ancora in uso nel convento di viale Piave dove ora egli riposa. Nel 1959 ebbe la gioia di vedere sorgere una struttura che gli permise di migliorare il servizio a favore dei poveri che non avrebbero più atteso sotto il sole o la pioggia. Un benefattore generoso fece costruire in uno spazio del convento un ambiente efficiente e ben strutturato, l'attuale Opera San Francesco dove egli operò fino al 1979 servendo il Signore nei bisogni spirituali, morali e materiali dei più infelici, memore dell'affermazione di Gesù: "Quello che avrete fatto al più piccolo dei miei discepoli l'avrete fatto a me". Nel 1979 le sue condizioni di salute peggiorarono e non poté più spendersi nell'assistenza diretta ai poveri, ma non li abbandonò perché si dedicò alla carità spirituale ascoltando la gente che veniva a parlargli delle proprie tribolazioni. Nel 1982 fu portato nell'infermeria di Bergamo dove continuò ad accogliere molti fino alla fine. Pregava sempre, vero adoratore dell'Eucarestia. Il 10 aprile 1984 si spense con un sorriso pregando serenamente. Il suo Diario scritto su invito dei confessori rivela la bellezza della sua anima innocente.
Roberto Arioli
grazie fra cecilio per tutto quello che hai fatto e stai facendo ancora......
RispondiEliminaMi sarebbe tanto piaciuto conoscerlo, mi avrebbe senza dubbio arricchito spiritualmente.
RispondiEliminaUn caro ricordo e una Preghiera.