AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

venerdì 17 novembre 2023

5 – a – QUESTO È IL VOLTO DEL PADRE? - quinta conferenza di P. CLAUDIO TRUZZI OCD

 


5 – a – QUESTO È IL VOLTO DEL PADRE?

Che cosa pensi di Dio? È una domanda fondamentale, cui ogni cristiano dovrebbe rispondere con una certa frequenza. Ai giovani si usava predicare con molta insistenza, fino a qualche tempo fa, “la custodia dei sensi”. Ritengo sia molto più importante la custodia dell'immaginazione autentica di Dio. Quasi inavvertitamente, infatti, ci costruiamo un'immagine di Dio che ci somiglia non poco. Imprestiamo a Dio i nostri lineamenti, i nostri pensieri, le nostre vedute meschine, e nostri giudizi e atteggiamenti piccini. Arriviamo persino a mettergli in mano il metro della nostra giustizia.


COM’É DIO …

Un giorno l'angelo pittore, Michelangelo, decise di fare il ritratto di Dio.

Era consapevole che sarebbe stata l'opera d'arte più complicata della sua vita.

Dio è immenso: come si fa a farlo stare in un quadro?

Si decise a schizzare qualche bozza, senza aver bene idea di quel che avrebbe disegnato.

Cominciò, un foglio dopo l'altro, a tracciare qualcosa di Dio.

Lavorava freneticamente e ogni volta scopriva qualcosa di nuovo, guidato da una nuova idea.

Riempì milioni di fogli finché il suo studio straripò di carta.

Un giorno, cercando di mettere un po' d'ordine, dimenticò la finestra aperta.

Un vento birichino sparpagliò qualche milione di fogli fuori dalla finestra. 

«Che disastro, i miei disegni!». 

I disegni piovvero dappertutto, e in gran quantità finirono anche sulla Terra.

Trovandoli, gli uomini li guardarono e li studiarono, felici di scoprire finalmente come fosse Dio.

Poi cominciarono a interpretare i disegni. 

«Dio è come il sole». 

«No, Dio è forte come un toro!», diceva un altro.

«No, Dio è potente come un re!»

«No, Dio è giudice che premia e castiga!»

«No, Dio è un legislatore che indica che cosa fare!»

«No, Dio è forte come un toro!»

«No, Dio è creatore del mondo e degli uomini! Noi dobbiamo soltanto obbedirgli» …

Ciascuno era convinto di aver trovato l'unica 

vera immagine di Dio, e così cominciarono a litigare. 

Dio si rattristò molto per questo e decise di intervenire. 

«Andrò io stesso in mezzo a loro! Così mi potranno vedere, toccare, ascoltare!». 

Quello che decide, Dio lo fa. 

Nacque come un bambino in mezzo agli uomini e si chiamò Gesù. 

Così, oggi, è facile per tutti conoscere Dio.

Basta conoscere Gesù… e le sue Parabole sul Padre!

Conferenza su Gesù-Monza-20-12-17 

Fortunatamente, a chi sa leggere il Vangelo con coraggio, si presentano pagine che ci costringono a riconoscere: “Dio non è così!”. 

Rettifichiamo, allora, l'immagine che avevamo “rifinito” con tanta precisione di particolari, noi!

In fin dei conti, dobbiamo esser grati al Signore, che ci permette, oggi, anche con una certa durezza, di correggere gli errori. Meglio adesso, che sentirsi buttare in faccia, nell'ultimo giorno, un definitivo: “Non sono così”! Dio nessuno lo conosce, soltanto il Figlio lo può rivelare, Lui e coloro cui lo rivelò –.

Proviamo, allora, a far nostra la rivelazione dei Figlio!

––––––––––––––

1. «INVIDIOSO PERCHÈ SONO BUONO?»  (PADRONE DELLA VIGNA) 

«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: “Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono.

Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. 

Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?”. Gli risposero: – Perché nessuno ci ha presi a giornata –. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella mia vigna”. 

Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama gli operai e dà loro la paga, iniziando dagli ultimi fino ai primi”. 

Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 

Quando giunsero i primi, essi pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma pure loro ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. 

Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene, ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure sei invidioso perché io sono buono?”. 

Così gli ultimi saranno primi e i primi, gli ultimi». Matteo 20,1-6

La parabola, per essere compresa va inquadrata nel contesto delle vicende riferite dal Vangelo.

Poco prima, un giovane ricco aveva chiesto a Gesù che cosa egli dovesse fare per acquistare il Paradiso. Era un giovane serio ed osservante, tanto che Gesù ne apprezzò la sincerità e la buona intenzione. Ma di fronte alle osservazioni di Gesù – puntualizzazioni assai inquietanti sul pericolo dell'attacca-mento alle ricchezze – gli aveva voltato le spalle, e triste se n’era allontanato. Non se l’era sentito di lasciare i suoi beni. 

I discepoli che erano stati presenti alla scena, ne erano rimasti scossi, frastornati. Infatti, Pietro, a nome dei compagni, esige precise assicurazioni; e pone sul tappeto la questione delle ricompense: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa, dunque ci darai in cambio del nostro distacco?». 

Gesù lo rassicura: «Siederete anche voi sui dodici troni a giudicare le dodici tribù d'Israele». 

Gesù sbriga in fretta la questione del premio finale («e la vita eterna»). 

Ma tale risposta iperbolica ha tutta il tono di un amaro rimprovero: “E così avete la pretesa di farmi i conti in tasca? Temete che mi lasci vincere in generosità da voi? Avete timore di rimetterci nello scambio? Immaginate che Dio, per ricompensarvi, debba adottare i vostri criteri di giustizia e le vostre tariffe puntigliose”?

– Ecco: a questo punto s’inserisce la parabola degli “operai della vigna”. Essa apporta un chiari-mento decisivo al problema, e allo stesso tempo sposta la discussione su un altro piano.

•  Si tratta di una scena tipica dell'ambiente agricolo del tempo. C'è un padrone che esce all'alba per ingaggiare braccianti per la propria vigna. Ne raccoglie un gruppo, pattuisce con loro una cifra (un denaro al giorno) e li manda a sgobbare. Ripete l'operazione alle nove, a mezzogiorno, e poi alle tre del pomeriggio. Persino alle cinque del pomeriggio recluta qualcuno: «Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?». «Perché nessuno ci ha presi a giornata». «Andate anche voi nella vigna!».

Questi ultimi, ovviamente, faticheranno un'ora soltanto.

La sera, al momento della paga, sono proprio gli ultimi ad essere “liquidati” per primi e a ricevere un denaro pattuito. Fin qui nessuno a niente da ridire. Tanto più che i primi chiamati si fanno l'idea che, se quegli sfaticati hanno ricevuto un denaro per una sola ora di sudore, loro che hanno dovuto sfangarsi per tutta la giornata, ne dovrebbero ricevere in proporzione delle ore lavorate. Invece, si vedono rifilare un solo denaro, quello previsto dal contratto del mattino. 

A questo punto esplode la protesta. Si grida all'ingiustizia. Il padrone abborda uno dei più scalmanati e gli fa notare: «Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene, ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te».

La risposta del padrone – «Non posso fare delle mie cose quello che voglio?» – non è certo da inquadrare in un'ottica sindacale odierna. Figuriamoci! Ma...

Qui si cogliere il significato più profondo della parabola. Anzi, i diversi significati. 

Proviamo ad elencarli.

–  L'essere chiamati a servizio del Cristo [di Dio] è una grazia. Già il fatto di lavorare nella “vigna del Signore”, per il suo Regno, è dono, è ricompensa.

–  Non esiste un primato di “anzianità” (e relativi diritti) nella Chiesa. Gli ultimi arrivati possono essere considerati da Dio allo stesso modo dei primi, e persino meglio dei primi! Non è questione di “anni di servizio”, ma d'intensità, di disponibilità a rispondere all'appello quando questo si fa sentire.

[Dio non pretende che abbattiamo un albero con un’ascia, ma si aspetta di trovarci sempre con l’ascia in mano]

–  La questione non è tanto quella di procurare lavoro ai disoccupati o agli sfaccendati, ma di aprire la vigna a tutti. Dio è un padrone “insolito”, padrone della propria generosità.

Egli percorre le strade, ad ogni ora del giorno. A tutti ripete le proprie proposte. Non guarda troppo per il sottile. L'unica condizione è che dicano di sì. Non controlla neppure l'orologio. Per Lui è sempre “ora”.

Dio non bada alle “referenze”. Si direbbe anzi che abbia una spiccata preferenza per i ... poco raccomandabili: pubblicani, prostitute, ladri, gente da niente … possono essere operai “ideali” per la sua vigna.

–  Nei rapporti con Dio bisogna “fidarsi”. Quando uno mercanteggia, significa che pone al primo posto la propria opera. Mentre, in un corretto rapporto religioso, il primato è dato all'azione gratuita di Dio a favore dell'uomo, non all'azione dell'uomo per Dio.

•  Ci sono cristiani che credono che la religione consista in ciò che essi danno a Dio.  Essa, invece, consiste in ciò che Dio fa per noi. Non capiscono che è pericoloso esigere da Dio “ciò che è giusto” (che pretesa assurda chiedere dei conti a Dio! E se Lui, a sua volta chiedesse dei conti a noi, con estremo rigore ..., come ce la caveremmo?).

Il vero operaio, secondo il cuore del Signore, è quello che si disinteressa del salario; che trova la propria gioia nel poter lavorare per il Regno.

• Ma il punto centrale è in quel rilievo amaro: «Forse sei invidioso perché io sono buono?».

“Invidioso” si può tradurre, letteralmente con occhio cattivo. In fondo la parabola ci dice che possiamo essere ottimi lavoratori, ma essere al contempo, malati di “occhio cattivo”. E non sappiamo quindi stare come si deve nella vigna. Diciamo la verità. È più facile accettare la severità di Dio, che la sua misericordia. Eppure, la prova fondamentale cui è sottoposto il cristiano è questa: 

– Sei capace di accettare la bontà del Signore, di non mugugnare quando perdona, quando compatisce, quando dimentica le offe-se, quando è paziente, generoso verso chi ha sbagliato?

– Sei capace di perdonare a Dio la sua “ingiustizia”?

– Resisti alla tentazione d'insegnare a Dio il... mestiere di Dio?

Il nostro guaio è l'invidia, l'occhio cattivo: la meschinità. Scommetto che, se fossimo stati presenti sotto la croce, avremmo considerato “inammissibile” la pretesa del ladrone di entrare nel Regno di Cristo così a buon mercato. E avremmo trovato da ridire su questa canonizzazione immediata di un furfante che non aveva da esibire nulla delle nostre virtù “collaudate”, ma solo malefatte.

L'infinita misericordia di Dio ha un unico nemico: l'occhio cattivo. Ma chi ha l'occhio cattivo, e non intende guarire, è pure nemico di se stesso, perché rischia di guastarsi l’eternità.

Se non calpestiamo sotto i tacchi la mentalità da mercenari; se aspettiamo la vita eterna quale giusta ricompensa per i nostri meriti, ci precludiamo la possibilità di stupirci, come gli operai dell'undicesima ora, di fronte alla generosità del Padrone. Passeremo l'eternità a conteggiare i nostri meriti; a confrontarli con quella degli altri, a correggere le operazioni di Dio. Una dannazione…

----------------------

2.    DIO GRADISCE ESSERE IMPORTUNATO (GIUDICE INIQUO E LA VEDOVA). 

«C'era in una città un giudice che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. 

Nella stessa città c'era anche una vedova che andava da lui e gli chiedeva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po' di tempo il giudice non volle, ma alla fine disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non mi prendo cura degli uomini; tuttavia, le farò giustizia e così non verrà continuamente a seccarmi”». 

Il Signore soggiunse: “Avete udito ciò che dice il giudice ingiusto? E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che lo invocano giorno e notte? Tarderà ad aiutarli? Vi dico che farà loro giustizia prontamente.  Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Luca 18, 1-8

Ancora una parabola sconcertante, in cui il modello di una preghiera fiduciosa e costante è offerta da una povera vedova (e fin qui, va bene). Ma in cui l'intervento di Dio pare rassomigli a quello di un magistrato disonesto (e qui la faccenda si complica non poco!). 

Vediamo di non lasciarci impressionare ed esaminiamo i protagonisti della parabola.

– Il giudice, prima di tutto. È un tipaccio in cui nessuno vorrebbe mai incocciare. Insomma, un individuo murato nel proprio egoismo, che bada solo a se stesso, impenetrabile a ogni sentimento, insensibile a tutto ed a tutti. Le parole, le suppliche più accorate rimbalzano contro quell'armatura di durezza senza neppur scalfirla, senza provocare un sospetto di rimorso, una vaga intenzione di pietà.

–  Dall'altra parte una vedova. L'immagine della debolezza disarmata. Priva di appoggi, sprovvista di raccomandazioni. Non può certo pagarsi un avvocato che sostenga la sua causa.

Ella è vittima di due soprusi: prepotenza da una parte (l'avversario), sfacciata inerzia dall'altra (giudice). La battaglia sembra persa in partenza. La debolezza indifesa non ha nessuna possibilità di spuntarla sulla forza arrogante e sull'indifferenza impenetrabile. Eppure, la poveraccia non si arrende. Va dal giudice, una, dieci, venti volte. Lo abborda non appena gli capita a tiro, e non si stanca di fronte ai rifiuti. Quello alla fine, deve capitolare: non ne può più di quelle lagne. E decide di fare giustizia alla donna per togliersela finalmente dai piedi. 

a – Dunque: la debolezza ha prevalso sulla forza. La persona indifesa ha avuto ragione del potere arrogante.

È questa la prima lezione della parabola: non dobbiamo aver timore della nostra debolezza. 

Al contrario dobbiamo rallegrarcene. Non scoraggiamoci per la nostra impotenza. 

L'arma decisiva ce l'abbiamo in noi. È la nostra debolezza, la nostra povertà!

Con quella, e soltanto con quella, abbiamo, non dico la possibilità, ma la certezza di spuntarla.

Soltanto, non dobbiamo stancarci, se la risposta si fa attendere. 

Non perdiamoci d'animo se la nostra voce si arrochisce a forza di gridare. I ritardi, invece di affievolire la speranza, sono una ragione per alimentarla.

b – Tanto più che dall'altra parte – ed è qui che il secondo protagonista non è la copia, ma piuttosto l'immagine in negativo di Dio! – non ci sta là un giudice insensibile, ma un Padre che si lascia ferire dal grido dei suoi figli ed è impaziente di esaudirli.

No. Non si tratta della debolezza contro la forza. Ma è una debolezza (la nostra) contro un'altra debolezza (quella di Dio. Perché nessuno è più vulnerabile di un Dio che ama).

Inutile precisare che, a differenza del magistrato inerte, Dio non ci esaudisce per non essere più seccato. Lui, al contrario, ama la nostra insistenza fastidiosa. Gradisce le nostre richieste ribadite. Desidera essere importunato, purché tutto gli arrivi attraverso il canale della fede.

•• «Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». 

La parabola si chiude con questa domanda inquietante.

Già. I tempi di Dio non sono i nostri. Anche quando Dio ha fretta di esaudirci, può capitare che la nostra fede sia già spenta. La nostra stanchezza giunge prima dell'esaudimento amoroso del Padre.

Così, interrotto il canale-fede, tante risposte non giungano a destinazione.

E poi abbiamo anche il coraggio di lamentarci perché Dio è “sordo”, “non ci ascolta” ... 

Che ne diremmo se, il giorno in cui il giudice decide di accettare di accontentare la vedova, questa non si facesse vedere?

*  * *  * * *  * *  * *  * *  * *  * *  *


– TELEFONATE A DIO –   Quando ti rivolgi a Dio

–   Controlla che il prefisso sia giusto.

Non comporre il numero senza pensarci bene, per non rischiare una telefonata a vuoto.

–   Non irritarti se senti il segnale di “occupato”.

Attendi e riprova. Sei certo di avere composto il numero giusto?

–   Ricorda che telefonare a Dio non è un monologo.

Non parlare continuamente tu, ma ascolta che cosa ha da dirti Lui.

–   In caso di interruzione,

controlla se non sei stato tu ad interrompere il collegamento.

–   Non abituarti a chiamare Dio unicamente in casi d’emergenza,

scegliendo soltanto il numero del pronto intervento.

–   Non telefonare a Dio soltanto in ore a tariffa ridotta,

ossia prevalentemente di domenica.   

–   Anche nei giorni feriali

dovrebbe esserti possibile una breve chiamata a intervalli regolari.

–   Ricordati sempre che

le telefonate con Dio non hanno scatti.

Nessun commento:

Posta un commento

BENVENUTO|

Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi