FIGLIOL PRODIGO – FRATELLO MAGGIORE
Guercino - Il ritorno del figliol prodigo
Il
fratello maggiore recita il confiteor alla rovescia: «Da tanti anni ti
servo, senza aver mai trasgredito un solo tuo ordine». Evidentemente
appartiene alla stessa razza del fariseo: «Dio, ti ringrazio, che non sono
come il resto degli uomini: rapaci, ingiusti, adulteri (…). Io digiuno due
volte la settimana, pago la decima di tutto ciò che acquisto» (Luca 18,
11-12).
Invece
dovrebbe confessare innanzitutto di essere:
1 –
Dilapidatore di sogni
«…
Codesto tuo figlio che ha dilapidato i suoi beni...».
E non si
accorge che il primo “dilapidatore” è stato proprio lui.
Ha
dissipato sogni, ideali arditi, il gusto dell'avventura. Ha accorciato
accuratamente tutti gli oriz-zonti troppo alti. Si è creato un mondo su misura
della propria meschinità e mediocrità.
Ha messo
le pantofole, si è trasformato in un uomo d'ordine, è invecchiato precocemente.
Anzi non
è mai stato giovane. Ha dilapidato la speranza, la freschezza della giovinezza
con i suoi slanci e le sue irrequietezze; ha lasciato appassire i sogni più
audaci.
2 – Troppo
onesto
Lui non
conosce la suprema libertà che consiste nell'ammettere: ho sbagliato.
Ha il
torto di essere onesto. Troppo onesto. Ed è stata probabilmente la sua onestà
fredda e legalistica a decidere il fratello minore a scavalcare il muro di
cinta.
«Vi sono colpe
felici, come vi sono onestà insulse ed ingombranti». Il Maggiore ce
ne dà un esempio con un'onestà che si distacca e si oppone.
«Il mondo
è pieno di barriere: barriere di razza, di nazione, di censo, di professione.
Perché non aggiun-gervi anche quella del bene? I buoni ci tengono a far
casa da sé: il club della gente onesta!»
«Non è il bene che eleva la barriera e fa da impedimento, la è la strettezza
d'animo di chi fa il bene... Il bene è l'unico ponte che si può gettare ogni
momento attraverso le fosse scavate di nostri egoismi. Invece il bene del
Maggiore è un abuso di distinzione, un titolo da opporre, la tessera che
separa» (Mazzolari).
Il
prodigo si è staccato dalla casa paterna perché il fratello, per primo, si è
comportato come un separato. Le virtù del Maggiore, meglio il suo modo
di essere virtuoso, aveva innalzato la barriera.
Ci sono
comportamenti virtuosi, freddi, acidi, legalistici, gretti, che attirano quasi
irresistibilmente verso il peccato.
3– Dose
massiccia di moralina.
È lecito
supporre che il Maggiore non abbia risparmiato predicozzi e consigli al
fratellino irrequieto e scapato. Gli avrà persino dipinto, a tinte forche, la
bruttezza del peccato, le sue conseguenze nefaste.
E il prodigo aveva cominciato a sospettare che il
peccato non fosse poi così brutto... tra l'altro era inco-raggiato nella sua
supposizione addirittura dal racconto biblico del primo peccato: «La donna vide
che l'albero era buono da mangiare, che
era una delizia per gli occhi, e che quell'albero era attraente» (Gen.,
3, 6).
Non possiamo accontentarci di parlare della bruttezza
del peccato. Nessuno commette il peccato solo per fare il male, ma perché
scopre un bene, una bellezza sua pure minuscola, sia pure parziale, nel
peccato.
Non si tratta tanto d'insistere sulla bruttezza del
peccato (cui pochi ci credono), quanto manifestare, con la vita, la bellezza
della grazia. Dimostrare con i fatti, con il nostro atteggiamento, che c'è più
gioia a fare il bene che a fare il peccato, che c'è più felicità a seguire le
beatitudini del Cristo che quelle del mondo. Che dà più gioia donarsi che
vivere per sé; che esistono valori più grandi e più degni di noi che non i
denaro, i piaceri, l'ambizione di far carriera.
«Grazia è provare più piacere a non peccare che a
peccare» (Santucci). Il Maggiore ha
il torto di non aver saputo dimostrare concretamente tutto ciò. Aveva l'aria di
un becchino della gioia. Perciò è riuscito a fare il vuoto intorno a sé. E
l'altro se n'è andato a cercarla, la gioia, “in un paese lontano”.
Probabilmente ha sottoposto il fratello minore – secondo
l'espressione di Mouneri – a iniezioni mas-sicce di moralina. Ha ridotto
l'appartenenza nella casa del padre ad una questione di regolamento, di doveri e
di divieti. Gli ha imbottito il cervello con ciò che doveva fare, senza
dirgli mai ciò che era. E il prodigo si è trovato la strada irta di
cartelli di divieto, si sensi vietati. Per questo ha preteso di fare la
propria strada, alla ricerca di se stesso.
«Per la verità, si trova
più spesso di quanto convenga, sotto il nome di cristianesimo, un codice di
condotta morale e religiosa la cui preoccupazione principale sembra quella di
scoraggiare gli slanci, di colmare gli abissi, di schivare l'audacia, di svuotare
la sofferenza, di ricondurre ad una conversazione domestica di richiami
all'infinito, ad addomesticare le angosce del nostro stato» (Mounier).
* Forse il
peccato capitale di certe educazioni cristiane è proprio questo: abbiamo
insegnato agli uomini ciò che dovevano fare e ci siamo dimenticati di dire ciò
che erano. Ci siamo preoccupati in maniera quasi ossessiva della strada
(abbiamo steso un codice minuziosissimo di circolazione); e abbiamo perso di
vista l'uomo che la doveva percorrere.
Abbiamo
scelto la soluzione più comoda, perché è più facile dire ad un individuo: fai
questo, non far quello, guai se ti comporti così. Difficile, invece, rivelargli
la sa identità, aiutarlo a scoprire la propria dignità, libertà,
responsabilità.
«Dimmi ciò che sono, il posto che occupo nella Casa.
Raccontami l'Amore del Padre», poteva grida-re il Prodigo verso il Maggiore.
Non ha ricevuto risposta. La solita solfa, insopportabile. E allora ha deciso
di fare da sé. È partito; senza voltarsi indietro. Perché, poi? Avrebbe
incrociato quel volto accigliato, quella disgustosa caricatura del volto
paterno.
I nemici
peggiori della religione non sono quelli che la combattono apertamente. Sono le
schiere compatte dei “figli maggiori” che la immeschiniscono, la deformano, la
riducono ad acido e gretto moralismo.
Il Padre visto come un ragioniere
Pensava
che, per essere a posto nella casa del Padre, fosse sufficiente rispettare
scrupolosamente il regolamento («Non ho mai trasgredito un solo tuo ordine»).
Considerava
i propri rapporti con il Padre come una partita di meriti da registrare
con pignoleria conta-bile: nella sua aritmetica pedante i conti tornavano
esattamente.
A dire il vero, c'era un piccolo avanzo sotto la voce “avere”: «un capretto
per far festa con gli amici». Il Padre gli doveva un capretto. Soltanto così il
bilancio “pareggiava”. Non se ne dimenticasse il vecchio; altrimenti
avrebbe provveduto lui a ricordarglielo, a rinfacciarglielo, non appena se ne
fosse presentata l'occasione.
Questo figlio maggiore, questo lavoratore infaticabile,
quest'uomo d'ordine, questo buon cristiano, ha il torto di declassare il Padre
al ruolo di ragioniere. Ha il torto di pretendere che i conti tornino
sempre. E rimane scandalizzato al ritorno del prodigo, costatando che la sua
aritmetica è andata a rotoli, che il Padre ha fatto una gran confusione sui
libri contabili. Ricompare all'orizzonte
quella canaglia di fratello. «Presto, tirate fuori l'abito più bello e
rivestitelo, mettetegli al dito l'anello e i sandali ai piedi,
menate qui il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa». Il
Padre, all'improvviso ha buttato sul libro dei conti il peso del proprio cuore.
Succede il finimondo. Le cifre si ingarbugliano. Le voci dare ed avere
s'invertono; le operazioni non tornano. Non ci si raccapezza più. Il cuore
combina di questi pasticci. C'è incompatibilità tra cuore e cifre.
– E il Maggiore indaga, piagnucola, s'indispettisce,
gagnola, protesta. “Non è giusto!”
* «Questi uomini han lavorato un'ora soltanto e tu li
tratti come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata ed il caldo» (Mt
20, 12). Non è giusto!
* «Zaccheo, scendi in fretta, perché oggi devo fermarmi
in casa tua!».
Con tante
case di persone perbene, guarda un po' dove si va a cacciare!
* «Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore che si
pente che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di penitenza» (Lc
15,7). Non è giusto!
* «Neppure io ti condanno: va', e d'ora in avanti non
peccare più!» (Gv 8, 11).
È troppo.
Una pacchia, per i peccatori, cavarsela così a buon mercato.
* «I tuoi peccati, i tuoi molti peccati le sono
perdonati perché ha dimostrato molto amore» (Lc. 7, 47). – Dove andiamo a finire di
questo passo?
* «Conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli
zoppi» (Lc 14, 21).
Una bella
compagnia, davvero!
Il Maggiore si scandalizza del Vangelo, perché gli manda
all'aria la sua contabilità. Mugghia: “Non è giusto, è troppo, dove andiamo a
finire di questo passo...”.
Scopre,
con stupore e dispetto, che il centro della Casa non è il regolamento ma il
cuore del Padre. E non si rassegna ai comportamenti imprevedibili di quel
cuore, alle bizzarrie di quell'amore.
Una formazione religiosa articolata sulla legge, sul regolamento, sforna
dei “praticanti”. Non dei Figli, non degli
innamorati, non dei cristiani!
Chi
rimane nella Casa senza amore è un disertore.
Colpevole di essere rimasto
Che cosa
ha fatto il Maggiore per impedire la partenza del prodigo? Nulla.
Nel
segreto, anzi, avrà tirato un sospiro di sollievo. Con la partenza di quello
scapestrato, finalmente nella Casa tornava l'ordine. Tutto a posto. Nessuna
inquietudine, nessuna crisi, nessun'angoscia. E poi, i rami secchi è meglio
tagliarli senza pietà.
Lui ha il
torto di essere rimasto nella Casa; mentre
il fratello era lontano, e il cuore del Padre lo stavo inseguendo “in un paese
lontano”. La Casa era vuota perché il cuore
del Padre era di là del muro di cinta.
Avrebbe
dovuto partire anche lui, andare alla ricerca del fratello. Gli si offriva
l'occasione di essere lui a ricondurlo nella Casa paterna. «Ci si salva
insieme». E se l'è lasciata sfuggire. («Sono forse io il guardiano di mio
fratello?»).
* Essere cristiano vuol dire darsi da fare per
aumentare l'inenarrabile festa di Dio. Il rimanere al sicuro, in certi casi,
può essere una colpa.
§ «Codesto tuo
figlio che h dilapidato i suoi beni con le male-femmine...». Il brontolio del Maggiore tradisce il suo complesso
d'inferiorità nei confronti del peccato. In fondo al cuore è
convinto che il fratello se la sia spassata veramente; abbia goduto le
felicità..., mentre lui, per esigenza di regolamento...
-
Non ha capito la tragica confessione uscita dalla bocca
del prodigo: «Io qui, muoio di fame!»
-
Non ha verificato l'impossibilità di spremere dalle
creature la felicità.
- Non ha capito che il cuore
dell'uomo trabocca oltre le cose; ha bisogno di qualcos'altro. I nutri-menti
terrestri non gli bastano; lo fanno morire di fame. Non sa che il male ha già
la sua punizio-ne. Non è troppo sicuro che fare il bene reca maggior gioia che
non fare il male.
Tanti cristiani soffrono dello stesso
complesso d'inferiorità nei confronti del peccato.
-
Il Maggiore qualche scappatella sarebbe disposto a farla
pure lui, se non temesse di essere di dilapidare i suoi beni; se non fosse
condizionato dl giudizio degli altri.
-
Il Maggiore evita il peccato, non perché teme di
offendere mortalmente un'altra esistenza, o di insudiciare in se stesso
l'immagine del Padre, ma solo perché ha paura di macchiare la propria fedina
spirituale.
- Non gli interessa tanto il
proprio rapporto personale con Dio, quanto la propria buona coscienza.
Non c'è più religione! Gli viene voglia di gridare, come
certe persone di mia conoscenza.
Esatto.
Non c'è più religione. Senza amore.
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