Francesco:
don Milani, testimone di Cristo e innamorato della Chiesa
Don Lorenzo
Milani è stato un testimone di Cristo, sempre dalla parte degli ultimi e
innamorato della Chiesa, anche se per le sue posizioni difficili da comprendere
al suo tempo ha avuto qualche attrito con le autorità ecclesiastiche: così il
Papa ricorda in un videomessaggio il priore di
Barbiana, insegnante e scrittore, cui la Fiera del Libro dell’editoria italiana
a Milano ha dedicato ieri pomeriggio un evento a 50 anni dalla morte. Il
servizio di Sergio Centofanti:
Papa
Francesco tratteggia la figura di don Lorenzo Milani, sacerdote toscano morto
nel 1967 a soli 44 anni, priore a Barbiana, piccola frazione di montagna nel
Mugello, dove avviò una scuola per i più poveri:
“Come
educatore ed insegnante egli ha indubbiamente praticato percorsi originali,
talvolta, forse, troppo avanzati e, quindi, difficili da comprendere e da
accogliere nell’immediato. La sua educazione familiare, proveniva da genitori
non credenti e anticlericali, lo aveva abituato ad una dialettica intellettuale
e ad una schiettezza che talvolta potevano sembrare troppo ruvide, quando non
segnate dalla ribellione”.
Don Milani
si era convertito a 20 anni, ma mantenne sempre, anche da prete, le
caratteristiche acquisite in famiglia, e questo gli causò - osserva il Papa -
“qualche attrito e qualche scintilla, come pure qualche incomprensione con le
strutture ecclesiastiche e civili, a causa della sua proposta educativa, della
sua predilezione per i poveri e della difesa dell’obiezione di coscienza. La
storia si ripete sempre”:
“Mi
piacerebbe che lo ricordassimo soprattutto come credente, innamorato della
Chiesa anche se ferito, ed educatore appassionato con una visione della scuola
che mi sembra risposta alla esigenza del cuore e dell’intelligenza dei nostri
ragazzi e dei giovani”.
Papa
Francesco ricorda che don Milani sognava una scuola che aprisse “la mente e il
cuore alla realtà”, una scuola in cui gli studenti imparassero ad imparare. Era
un uomo inquieto:
“La sua
inquietudine, però, non era frutto di ribellione ma di amore e di tenerezza per
i suoi ragazzi, per quello che era il suo gregge, per il quale
soffriva e combatteva, per donargli la dignità che, talvolta, veniva negata. La
sua era un’inquietudine spirituale, alimentata dall’amore per Cristo, per il
Vangelo, per la Chiesa, per la società e per la scuola che sognava sempre più
come ‘un ospedale da campo’ per soccorrere i feriti, per recuperare gli
emarginati e gli scartati”.
L’ombra
della croce – sottolinea il Papa - si è allungata spesso sulla vita di don
Milani, ma lui “si sentiva sempre partecipe del Mistero Pasquale di Cristo, e
della Chiesa, tanto da manifestare, al suo padre spirituale, il desiderio che i
suoi cari vedessero come muore un prete cristiano”:
“La
sofferenza, le ferite subite, la Croce, non hanno mai offuscato in lui la luce
pasquale del Cristo Risorto, perché la sua preoccupazione era
una sola, che i suoi ragazzi crescessero con la mente aperta e con il cuore
accogliente e pieno di compassione, pronti a chinarsi sui più deboli e a
soccorrere i bisognosi, come insegna Gesù (cf Lc 10, 29-37), senza guardare al
colore della loro pelle, alla lingua, alla cultura, all’appartenenza
religiosa”.
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