Ricevo oggi questa importante notizia:
Oggi, 18 marzo 2015, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in udienza privata Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Angelo Amato, S.D.B., Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Nel corso dell’udienza il Santo Padre ha autorizzato la Congregazione a promulgare i decreti riguardanti:
- un miracolo, attribuito all'intercessione dei Beati coniugi Lodovico Martin, Laico e Padre di famiglia; nato a Bordeaux (Francia) il 22 agosto 1823 e morto ad Arnières (Francia) il 29 luglio 1894, e Maria Zelia Guérin in Martin, Laica e Madre di famiglia; nata a Saint-Denis-Sarthon (Francia) il 23 dicembre 1831 e morta ad Alençon (Francia) il 28 agosto 1877-
Sono rimasta perplessa, quando ho letto che il nome del padre di S. Teresa del Bambino Gesù è indicato come Lodovico. Tutti noi lo conosciamo come Luis Martin. Allora da dove salta fuori questo nome? Ho fatto una ricerca, ed eccolo svelato: solo che ho creduto si trattasse del primo nome con cui fu battezzato e che nella vita portasse quello più breve di Louis. Non è così!
Lodovico, o Ludovico, risulta essere il suo terzo nome.
Lodovico, o Ludovico, risulta essere il suo terzo nome.
Luigi Martin
(mi chiedo perché non venga mantenuto il suo nome in francese)
Ma a parte queste mie considerazioni, approfitto dell'occasione per pubblicare qualcosa che li riguarda da vicino, così che possiate conoscere questi straordinari genitori di Santa Teresa del Bambino Gesù)
Luigi
Giuseppe Ludovico Stanislao nacque a Bordeaux il 22 agosto 1823 da
Pietro-Francesco Martin, capitano dell’esercito francese, e da Maria Anna
Fanny Boureau.
La sua prima formazione è legata alla vita militare di suo padre: dai tre anni
e mezzo fino ai sette anni fece parte, a Strasburgo, degli Enfants de Troupe.
Nel 1831, poiché la sua famiglia si trasferì ad Alençon, frequentò gli studi
presso i Fratelli delle Scuole cristiane.
Negato per la vita militare, si orientò verso il mestiere di orologiaio e si
recò a Rennes, in Bretagna, per compiere il suo apprendistato.
A 22 anni, nel 1845, pensò di entrare nel monastero del Gran San Bernardo, per
dedicarsi alla vita contemplativa e per aiutare i viaggiatori in difficoltà e
in pericolo, ma non fu accolto perché non conosceva il latino.
Dopo un anno di tentativi, per imparare questa lingua, vi rinunciò e continuò a
completare la sua formazione di orologiaio a Parigi. Una lettera di Zélie,
inviata il 1 gennaio 1863 al fratello Isidoro, testimonia le trappole e i
pericoli che dovette superare in questa città per essere fedele al
Signore. «Luigi conosce Parigi… e mi racconta quello che ha passato lui
stesso e quanto coraggio gli occorse per uscire vittorioso da tutti quei
combattimenti. Se tu sapessi per quali prove è passato!».
Nel 1850 si stabilì ad Alençon aprendo un’orologeria-bigiotteria.
Luigi alimentava la sua fede con la celebrazione eucaristica, quasi quotidia-na,
e con l’adorazione notturna; la testimoniava esercitando la carità (per questo
si era iscritto alla conferenza di S. Vincenzo de’ Paoli), rispettando il
riposo domenicale – atteggiamento questo che lo danneggerà economica-mente – e
partecipando ai pellegrinaggi; l’approfondiva con la lettura, la meditazione e
il silenzio: per questo acquistò il Pavillon, una torre esagonale a tre livelli
costruita in un giardino.
Il 13 luglio 1858 sposa Zélie, presentatagli dalla madre che mal sopportava il
suo stato celibatario.
Legato profondamente alla moglie, amante delle sue figlie, visse alla luce
della fede le diverse situazioni: la morte dei suoi quattro bambini e quella
della moglie stessa.
Dopo questo triste evento si trasferì con le figlie a Lisieux, sistemandosi
nel-la casa trovata dal cognato Isidoro: les Buissonets.
Da qui, dopo un periodo di serenità, quattro figlie, una dopo l’altra, lo
la-sciarono per entrare in convento.
Nel 1888, dopo la partenza di Teresa, da lui amata in modo particolare, iniziò
per Luigi il tempo del dolore: ricoverato prima all’Ospizio del Buon Salvatore
a Caen e poi, colpito da paralisi, riportato a casa, fu amorevolmente assistito
da Celina. Morì il 29 luglio 1894 all’età di 71 anni.
Zélie Guerin
Azélie-Maria
(o semplicemente Zélie), nata il 23 dicembre 1831 a Gandelain da Isidoro Guerin
e da Luisa-Giovanna Macé, fu battezzata il giorno dopo nella chiesa di
Saint-Denis sur Sarthon.
Dopo gli studi presso il convento dell’Adorazione Perpetua, Zélie sente in sé
il desiderio della vita religiosa. Ricevuto, però, il diniego dalla superiora,
Zélie si dedicò all’arte del «punto d’Alençon», un tipo di ricamo assai
apprezzato, ma molto difficile.
Affermatasi nel settore, aprì in proprio, in via Saint-Blaise n. 36, un
laboratorio, coinvolgendo nella sua gestione lo stesso marito.
Con il personale riuscì a stabilire un rapporto familiare.
Animata dalla carità lottò contro ogni forma di ingiustizia - riuscì a
smascherare, non senza paura, due falsi religiosi che disturbavano una bambina
di otto anni - e si prodigò a favore dei bisognosi.
Amò i suoi figli - «Io amo i bambini alla follia, ero nata per averne» (lettera
alla cognata, 15 dicembre 1872) - e per loro desiderava che fossero santi.
Anche per lei desiderava la santità: «Vorrei farmi santa, ma non so da
che parte incominciare; c’è tanto da fare che mi limito ad desiderio» (lettera
alla figlia Paolina, 26 febbraio 1876).
Zélie non fu mai abbandonata dalla sofferenza.
«La mia infanzia, la mia giovinezza sono state tristi come un sudario perché
se la mamma ti viziava, con me, invece, tu lo sai, era troppo severa;
quantunque tanto buona, non mi sapeva prendere e così il mio cuore ha molto
sofferto» (lettera a Isidoro, 7 novembre 1865).
«Spesso penso alle madri che hanno la gioia di nutrire esse stesse i loro
bambini, mentre io devo vederli morire tutti, uno dopo l’altro» (lettera
al fratello, 1 marzo 1873).
«Se il buon Dio mi vuole guarire, sarò molto contenta, perché in fondo
desidero vivere; mi costa lasciare mio marito e le mie figlie. Ma nello stesso
tempo mi dico: se non guarirò è forse perché per loro sarà più utile che io me
ne vada» (lettera alla cognata, 20 febbraio 1877).
Il 28 agosto 1877 muore all’età di 46 anni.
Un'aureola per due
Ancora una
volta la Chiesa ha scritto nel Libro dei Beati una Coppia di sposi. Giovanni
Paolo II ha voluto che il processo canonico di Louis Martin e Azélie Guerin
fosse unico come insieme, il 26 marzo 1994, li dichiarò “venerabili”.
Proclamati beati, il 19 ottobre 2008 a Lisieux, sono proposti come modello alle
famiglie cristiane.
I coniugi Martin sono stati beatificati non perché hanno messo al mondo una
grande santa, ma per aver aspirato alla santità come coppia.
Ognuno di loro aveva pensato di consacrarsi al Signore nella vita religiosa, ma
Dio aveva su di loro altri progetti e lì, sul Ponte san Leonardo, li ha fatti
incontrare perché insieme, come sposi, potessero camminare nella via della
santità dando un esempio luminoso di vita coniugale vissuta nella adesione alla
volontà del Signore, nell’accoglienza e nell’educazione dei figli, nella
realizzazione delle virtù umane e cristiane.
Come coppia, la loro gioia: vivere insieme e condividere tutto. Con
la loro vita hanno annunciato a tutti la buona novella dell’amore in Cristo: un
amore semplice, rinnovato quotidianamente, capace di effusioni e di tenerezze,
pronto al sacrificio. A Zélie che scriveva: «Ti amo più della mia
vita», «Ti stringo con tutto l’amore che ho per te», «Ti seguo con il mio
pensiero tutto il giorno», «Mi sarebbe impossibile vivere lontana da te» Luigi
rispondeva: «Tuo marito e vero amico che ti ama per la vita».
Il loro reciproco amore era noto a tutti. Le lettere di Zélie al fratello o
alla cognata ne sono una testimonianza. «Mio marito è un sant’uomo. Ne
auguro uno simile a tutte le donne. Io sono sempre felicissima con lui: mi
rende la vita molto serena» (lettera a Isidoro, 1 gennaio 1863); «Egli
mi comprendeva e mi consolava. … I nostri sentimenti sono stati sempre
all’unisono ed egli è stato per me un consolatore ed un sostegno» (lettera alla
figlia Paolina, 4 marzo 1877).
Come sposi trovavano nella fedeltà al Signore la loro forza. A Zélie che era
solita ripetere: «Dio è il Maestro e fa ciò che vuole», Luigi
rispondeva: «Messer Dio primo servito».
«Mio padre e mia madre andavano ogni mattina a messa. Si comunicavano il più
sovente che potessero. In Quaresima digiunavano e si astenevano dalle carni» (Celina,
Procès de Béatification et canonisation de Thérèse, 335v).
Come genitori – loro che all’inizio della loro vita coniugale avevano deciso di
vivere in continenza – accolsero con gioia nove bambini. La morte di quattro di
loro non li scoraggiò, ma intensificò la loro fiducia e abbandono nel Signore.
Sebbene entrambi lavoratori, hanno conciliato le esigenze delle attività commerciali
con quelli della famiglia non delegando ad alcuno l’educazione dei loro figli.
«Non vivevamo più che per i figli. Questi erano la nostra felicità e non
l’abbiamo mai trovata se non in loro. Tutto ci riusciva facilissimo. Per me era
il grande compenso, perciò desideravo di averne molti per allevarli per il
Cielo» (lettera a Paoline, 4 marzo 1877). «Nostro padre amava
molto i suoi figli. Egli aveva per noi una tenerezza tutta materna» (Celina,
Procès.. 336r).
La casa Martin era una “piccola chiesa”: Luigi e Zélia educarono con le parole
e l’esempio i figli alla fede – preghiera comune, partecipazione comune alle
celebrazioni – e alle virtù – collaborazione vicendevole, comprensione,
rispetto e correzione fraterna – favorendo la vocazione di ciascuno.
La religiosità dei coniugi Martin si esplicitava nella carità. Pur avendo una
famiglia numerosa, non ricusavano di aiutare chi era nel bisogno. «Se
in famiglia vigeva la legge della parsimonia, con i poveri si era generosi. Si
an-dava alla loro ricerca, si invitavano a casa e dopo averli rifocillati,
vestiti, si esortavano al bene. … Ancora vedo mia madre premurosa con un povero
vecchio. Avevo 7 anni. Eravamo in campagna, quando incontrammo un povero
vecchio. Mia madre manda Teresa a dare qualche spicciolo, ma lei iniziò a
conversare con lui. Allora mia madre lo invitò a seguirci e lo condusse a casa
nostra. Gli preparò un buon pranzo, gli diede dei vestiti e un paio di scarpe..
Alla fine lo pregò di ritornare a casa nostra ogni volta che avrebbe avuto di bisogno.
Mio padre, invece, si impegnava o a trovare loro un lavoro o a farli
ricoverare. I poveri ogni lunedì mattina venivano ai Buissonets per cercare
l’elemosina. Si donava loro soldi o cibo. Sovente era Teresa a svolgere questo
compito. Un giorno, all’uscita della chiesa, incontriamo un povero. Mio padre
lo invita a venire a casa con noi: gli offre da mangiare e gli dona tutto ciò
di cui aveva bisogno. Alla fine, prima che andasse via, egli lo invita a darci
la sua benedizione. Mio padre, io e Teresa ci inginocchiamo, lui ci benedice e
poi va via» (Celina, Procès..).
Louis e Zélie Martin con la loro vita sono stati il terreno fertile in cui sono
germogliati nove “Gigli” e che hanno vissuto in modo eroico la loro fedeltà al
vangelo divenendo “sale della terra e luce del mondo” (Mt 5,13-14).
Essi hanno reso eroico il quotidiano e il quotidiano eroico.
“Tutto è grazia!”
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