Isidore D'Silva Padre Generale dell'ORDINE CARMELITANI SCALZI, ha inviato al nostro Padre Provinciale p. Attilio Viganò, la seguente missiva:
Ogg: Lettera circolare su Fra Lorenzo della Risurrezione
Reverendo P. Provinciale,
nell'allegato le invio una lettera circolare del P. Generale, con la preghiera di volerla inviare a tutte le Comunità di frati, monache, OCDS e famiglia carmelitana della sua Provincia.
Grazie... e saluti.
Isidore D'Silva
La nostra Presidente Provinciale ocds ce l'ha gentilmente girata, con questa email.
Carissimi, vi inoltro quanto inviato dal P. Generale per i quarto centenario della nascita di Fra Lorenzo della Resurrezione che tanti di noi conoscono, ma che siamo invitati a riscoprire. Leggiamolo in Comunità e nei Consigli di Comunità e imitiamone l’esempio. Divulgatelo ai fratelli/sorelle ammalati e anziani.
Un caro saluto. Rosa Maria Pellegrino.
Ringraziando per il sollecito invio, eccovi il documento del Padre Generale.
FRA LORENZO DELLA
RESURREZIONE (1614-1691)
Quarto centenario della sua nascita
Cari fratelli e sorelle,
in occasione del Capitolo Generale tenutosi ad Avila nel
2009, i frati chiesero che nell’anno 2014 e sulla soglia del quinto centenario della nascita della
nostra Madre Teresa di Gesù, noi commemorassimo il quarto centenario della nascita di uno dei suoi figli spirituali,
nato nel 1614. Un umile frate carmelitano non-sacerdote, umile ma amatissimo da
molti cristiani nel mondo intero e persino dai non-cristiani: fra Lorenzo della Resurrezione. I suoi
scritti semplici ma pertinenti e luminosi, sono stati tradotti e rieditati fino
ad oggi in molte lingue.
Nel 1991, in occasione del terzo centenario della sua morte, il nostro P. Camilo Maccise,
allora Preposito Generale, scrisse una lettera di grande valore sulla
spiritualità e la missione di fra Lorenzo (cf. Acta OCD, 1991-1992, pp.
451-458). Anch’io vorrei parlarvi brevemente di questo figlio del Carmelo a
partire dalle due grandi tappe della sua vita, entrambe significative.
Dapprima, il “giovane laico” Nicolas Herman – tale era il suo nome
civile – quindi “il fratello laico OCD”
Lorenzo della Resurrezione.
I. NICOLAS
HERMAN, GIOVANE LAICO
Già dal punto di vista semplicemente umano e cristiano, questo
primo periodo della sua vita è stimolante per noi che camminiamo alla luce di
Cristo e del Carmelo, sia nella vita laicale, sia come religiosi o religiose.
Nel 1614 – in data sconosciuta – Nicolas viene battezzato
nell’umile chiesa del piccolo villaggio di Hériménil nella Lorena, attualmente
regione francese ma all’epoca Granducato indipendente. Non sappiamo quasi nulla
della sua famiglia e della sua educazione in quest’ambiente rurale. Ma un
avvenimento lo segna per tutta la vita. A diciotto anni, durante l’inverno,
contemplando un albero spoglio e pensando al risveglio cosmico che riaccade nella
natura ad ogni primavera, Nicolas è afferrato da un’intuizione profonda della
Presenza e della Provvidenza divina, fonte di Vita che non cessa mai di
manifestarsi. La sua intelligenza è invasa da una luce completamente nuova, da
una fede ridestata. Dio si fa vicino, presente in tutte le cose.
Quest’esperienza del Dio vivente s’imprimerà profondamente nella sua anima.
Ma la vita è dura nella Lorena di quel tempo, coinvolta
nella terribile “guerra dei Trent’Anni” così distruttiva, omicida, immorale.
Nicolas è arruolato nell’esercito del Granduca. In questo periodo tormentato,
la sua anima perderà la bella visione dei suoi diciotto anni; più tardi si
lamenterà dei peccati commessi (ma non
sappiamo esattamente a che cosa si riferisca). Più volte si trova a faccia a
faccia con la morte. Nel 1635 è gravemente ferito durante l’assedio della città
di Rambervillers, che il Granduca di Lorena cerca di riconquistare. Nicolas è
ricondotto al suo villaggio natale. E mentre il suo corpo si ristabilisce, pian
piano guarisce anche la sua anima.
Qualche tempo dopo, entra in contatto con un gentiluomo
eremita e decide di condividere la sua vita solitaria. Ma non è la sua strada. Intuisce
certamente il valore di Dio, ma la fonte della preghiera non fluisce così come se
l’immaginava. Emigra a Parigi, dove lo ritroviamo a servizio di un notabile. Ma
nemmeno questo è il posto dove Dio lo vuole.
Soffermiamoci ancora un attimo presso Nicolas giovane laico. In circostanze dure ha
imparato a “conoscere la vita” e a “conoscere il mondo”. Nel “combattimento per
la vita”, ha vissuto lo sconvolgimento di una lunga e terribile guerra,
l’irritazione e lo sgomento di tante situazioni angosciose, l’esperienza della
povertà e della carestia. Ha scoperto anche la debolezza della propria natura
umana, dei suoi “peccati” di cui conserverà per tutta la vita l’umile
consapevolezza, come l’aveva fatto prima di lui la sua madre spirituale, santa
Teresa di Gesù.
Ma l’amore vincerà. Nicolas non meriterà il biasimo
dell’Angelo dell’Apocalisse: “Ho da rimproverarti di avere abbandonato il tuo
primo amore” (Ap 2,4). Soldato, ferito, emigrante, operaio, il giovane laico
ritrova la fiamma della luminosa divina Presenza dei suoi diciott’anni. Nel
cuore del mondo e in piena lotta, lentamente si sviluppa in lui quest’anima
cristiana e carmelitana che si apre senza limiti a Dio, alla sua grazia, ai
suoi desideri concreti.
Nicolas resta un esempio di risveglio spirituale, di lenta
resurrezione: egli è per noi tutti un silenzioso appello, un dolce invito.
II. FRA LORENZO DELLA RESURREZIONE
A Parigi, Nicolas Herman entra in relazione col convento
San Giuseppe dei Carmelitani Scalzi in rue de Vaugirard, una grande e fervente
comunità. Nel giugno 1640, all’età di 26 anni, vi entra come “fratello
converso” (“frater donatus”, dicono
le Costituzioni) e due mesi dopo riceve l’abito (che a quel tempo era
abbastanza diverso da quello dei frati chierici, poiché non aveva cappuccio né
mantello bianco; i frati conversi occupavano allora gli ultimi posti in refettorio
e in coro). D’ora innanzi porterà il nome di “fra Lorenzo della Resurrezione”.
Dopo due mesi di postulandato e due anni di noviziato, il
14 agosto 1642 – vigilia della festa dell’Assunzione della Santa Vergine –
Lorenzo (che ha ormai 28 anni) pronuncia i suoi voti perpetui come “frate
converso”. Le Costituzioni dell’Ordine dichiaravano che questi frati “non
chierici” devono essere “devoti, semplici, fedeli e dediti al lavoro, poiché
sono chiamati al lavoro”; non hanno voce nel capitolo conventuale, non
partecipano alla recita dell’Ufficio corale e quando non possono presenziare all’orazione
mentale a motivo dei loro impegni domestici, devono pregare in altri momenti stabiliti
dal Superiore, spesso la sera o durante la notte (cfr. Const. – ed. 1631, parte II, cap. 4).
Su di loro ricade perciò molto lavoro manuale; ritroveremo
fra Lorenzo come cuoco della grande comunità, poi come ciabattino, spesso come
aiutante in chiesa (per esempio per servire le numerose Messe dei fratelli
sacerdoti, dato che a quel tempo non esisteva la concelebrazione) ma anche per
via, per le commissioni necessarie e talvolta per la questua, nonché in viaggio
fino in Borgogna e nell’Auvergne a far provviste.
Un inizio difficile, poi la grande gioia
Ecco dunque Nicolas Herman catapultato in un nuovo
ambiente: un cambiamento incisivo come quelli che ognuno di noi può sperimentare
nella propria esistenza, sia secolare che religiosa: un trasloco, un nuovo
impiego, una nuova situazione di lavoro, di abitazione, d’inserimento nella
vita comunitaria, familiare, sociale… Entrando in una nuova vita con nuove
sfide, nuovi compagni e nuovi doveri, fra Lorenzo non si tuffa alla cieca. Sa
che il Dio della grazia lo attende e lui vuole realmente donarsi a Dio senz’alcun
limite. A una religiosa che conosce bene, egli scrive (parlando alla terza
persona): “Voi saprete che la sua cura principale, in più di quarant’anni
dacché si trova nella vita religiosa, è stata quella di essere sempre con Dio,
di non fare nulla, di non dire nulla e di non pensare nulla che possa
dispiacergli, senz’altro scopo che quello del suo puro amore”.
Ma a un religioso sacerdote, probabilmente il suo
confessore (“pienamente istruito” sulle sue “grandi miserie” come anche sulle
“grandi grazie” di cui Dio favorisce la sua anima) – in ogni caso un
consigliere spirituale –, egli ricorda un altro aspetto:
Quando entrai in religione presi la risoluzione di darmi
tutto a Dio in riparazione dei miei peccati e di rinunciare per amor suo a
tutto ciò che non era Lui. Durante i primi anni, nelle mie preghiere mi
dedicavo ordinariamente ai pensieri sulla morte, sul giudizio, sull’inferno,
sul paradiso e sui miei peccati. Ho continuato in questo modo per qualche anno,
applicandomi con cura durante il resto del giorno e anche durante il mio lavoro
alla presenza di Dio, che consideravo sempre presso di me, spesso anche nel
fondo del mio cuore. Ciò mi diede una così alta stima di Dio, che su questo
punto solo la fede poteva soddisfarmi. Feci insensibilmente la stessa cosa
durante le mie preghiere, e questo mi procurava grandi dolcezze e grandi
consolazioni. Ecco da dove ho iniziato.
Ma ecco il rovescio, doloroso, della sua esperienza
spirituale :
Le dirò tuttavia che durante i primi dieci anni ho
sofferto molto. La causa di tutti i miei mali erano l’inquietudine che avevo di
non appartenere a Dio come l’avrei desiderato, i miei peccati passati sempre
presenti ai miei occhi e le grandi grazie che Dio mi concedeva. Durante tutto
questo tempo cadevo spesso ma mi rialzavo subito. Mi sembrava che le creature e
Dio stesso fossero contro di me e che soltanto la fede fosse a mio favore. Ero
talvolta turbato dal pensiero che ciò era solo un effetto della mia
presunzione, che pretendevo di essere subito là dove gli altri non arrivano che
a prezzo di fatica; altre volte pensavo che ero bell’e dannato, che non c’era
alcuna salvezza per me. Quando ormai ero rassegnato a terminare i miei giorni
in tali turbamenti e inquietudini – che non hanno affatto diminuito la fiducia
che avevo nel mio Dio e che non sono serviti che ad aumentare la mia fede –, mi
ritrovai improvvisamente cambiato e la mia anima, che fino ad allora era stata
sempre turbata, si sentì in una profonda pace interiore, come nel suo centro e
in un luogo di riposo.
Da questa lettera si può facilmente dedurre che fra
Lorenzo – che si trova “in religione da oltre quarant’anni” – ha attraversato
un’intensa notte dell’anima durante i “primi dieci anni” della sua vita
religiosa, e che in seguito “vi sono trent’anni” di “grandi gioie interiori”,
come dice lui stesso nella lettera alla religiosa che abbiamo già citato, nella
quale c’informa maggiormente sulla sua “pratica” costante della Presenza di Dio
e sugli effetti positivi che ne trae:
Attualmente si è così abituato a questa divina presenza,
che ne riceve continui soccorsi in ogni occasione. Sono circa trent’anni che la
sua anima gode di gioie interiori così continue e così grandi, da poterle
moderare a mala pena. Se talvolta si assenta un po’ troppo da questa divina
presenza, Dio si fa subito sentire nella sua anima per richiamarlo; ciò gli
accade spesso quando è più impegnato nelle sue occupazioni esteriori. Risponde
con grande fedeltà a queste attrattive interiori: con un’elevazione verso Dio o
con uno sguardo dolce e amoroso, oppure con qualche parola che l’amore produce
in questi incontri. […] L’esperienza di queste cose lo rende così certo che Dio
è sempre nel fondo della sua anima, che non può concepirne alcun dubbio,
qualunque cosa faccia e gli accada.
Lo spirito
del Carmelo
Sottolineiamo il fatto che, entrando al
Carmelo, fra Lorenzo ha trovato una comunità fervente nella quale lo spirito
della Riforma teresiana era ben vivo. Proprio a Parigi i confratelli di Lorenzo
hanno tradotto le opere della santa madre Teresa e di Giovanni della Croce. Nel
corso di prediche e conferenze, oppure nei consigli dei suoi superiori e
confessori, al nostro cuoco è certamente accaduto spesso d’intendere le parole
della nostra santa madre Teresa che ci ricorda che non bisogna affatto
affliggersi “quando l’obbedienza vi chiede di applicarvi a cose esteriori: vi
mettesse pure in cucina, siate persuase che il Signore è in mezzo alle pentole
e verrebbe ad aiutarvi, interiormente ed esteriormente, […] tanto più che il
vero amante non cessa mai d’amare e pensa sempre all’amato! […] Però è
necessario che nelle nostre opere, anche se non agissimo che per obbedienza e
carità, cerchiamo sempre di non distrarci e di volgerci interiormente verso
Dio” (Fondazioni, cap. 5)
Per quanto
riguarda l’armoniosa e fruttuosa unione di contemplazione e azione, il nostro
fra Lorenzo – anch’egli intensamente attivo e profondamente contemplativo –
offre dei suggerimenti pertinenti ai sacerdoti e agli studenti carmelitani, ma
anche alle nostre sorelle contemplative e ad ogni cristiano laico o religioso, quando
ci accade di essere chiamati agli impegni quotidiani e al servizio apostolico,
umile e nascosto oppure glorioso e riconosciuto.
L’uomo e
la guida
Per conoscere fra Lorenzo, la cosa
migliore da fare è leggere le sue “Massime spirituali” e le “Lettere”, il cui
testo autentico è stato recentemente ritrovato in modo provvidenziale. Si
scopre in fra Lorenzo un uomo intelligente, assolutamente onesto; ha lo spirito
limpido e va all’essenziale; la sua dottrina è fondata sia sulla fede che su
una profonda esperienza di Dio; la sua parola è semplice ma convincente; ciò
che dice è sempre ricco e dotato di senso; consulta talvolta dei “libri”, come
dice lui stesso, perché non trascura la sua nutriente lettura spirituale; si
sente che ha un cuore aperto e una natura retta; ha un buon senso dell’umorismo
e non mena il can per l’aia.
Ha degli amici celebri che lo stimano molto. Il futuro
biografo di Lorenzo, Joseph de Beaufort, vicario generale di Mons. Antoine de
Noailles (vescovo di Châlons-sur-Marne e più tardi cardinale di Parigi, nuovamente
con il de Beaufort come vicario generale), è venuto spesso a consultare il
frate e racconta che il nostro cuoco mistico gli disse in occasione del loro
primo colloquio: “Dio illumina coloro che hanno il vero desiderio di essere
suoi; se ero mosso da questo intento, potevo chiedere di lui ogni volta lo
volessi, senza temere d’importunarlo; in caso contrario, che mi astenessi dal
venire a trovarlo…”.
Alcuni testimoni dicono che Lorenzo era rozzo, non nel
senso di maleducato ma di diretto, di campagnolo, di semplice operaio, insomma di
uno che non perde tempo con i complimenti e le belle formule… Beaufort
abbozzerà così il ritratto del suo buon ‘staretz’: “La virtù di fra Lorenzo non
lo rendeva affatto selvatico. Aveva un’accoglienza aperta, che suscitava
fiducia e faceva intuire immediatamente che si poteva rivelargli tutto e che in
lui si aveva trovato un buon amico. Da parte sua, quando conosceva coloro con i
quali aveva a che fare, parlava con libertà e mostrava una grande bontà. Quel
che diceva era semplice, ma sempre adatto e pieno di senso. Attraverso
un’esteriorità rozza, si scopriva una singolare saggezza, una libertà superiore
alle capacità ordinarie di un povero frate converso, una penetrazione che superava
tutto ciò che ci si sarebbe aspettato da lui”. Ancora: egli aveva “il cuore più
buono del mondo. La sua gradevole fisionomia, il suo aspetto umano e affabile,
il suo tratto semplice e modesto gli guadagnavano rapidamente la stima e la
benevolenza di tutti coloro che lo vedevano. Più lo si frequentava, più si
scopriva in lui un fondo di rettitudine e di pietà che non s’incontra quasi in
nessun altro. […] Lui, che non era di quelle persone che non si piegano mai e
che considerano la santità incompatibile con dei modi di fare genuini, lui che
non ostentava nulla, si umanizzava
con tutti e agiva con bontà verso i suoi fratelli e amici, senza pretendere di
distinguersene”.
Il grande Fénelon, altro ammiratore del nostro cuoco
mistico, lo ha conosciuto personalmente e testimonia: “Le parole proprie dei
santi sono ben diverse dai discorsi di coloro che hanno voluto dipingerli.
Santa Caterina da Genova è un prodigio d’amore. Fra Lorenzo è rozzo per natura e
delicato per grazia. Io l’ho visto ed ho avuto con lui un’eccellente
conversazione sulla morte, mentre era molto malato e… molto allegro”. E rivolgendosi a Bossuet nel corso delle loro
sottili dispute sulla vera mistica, scriverà: “Si può apprendere tutti i giorni
studiando le vie di Dio negli ignoranti esperimentati. Non si sarebbe potuto
imparare praticamente, conversando per esempio col buon fra Lorenzo?”.
Alcune idee-guida del suo insegnamento
Senza dilungarci sulla sua vita teologale, intessuta di fede
desta, di fiducia incrollabile, di carità incondizionata, ascoltiamo fra
Lorenzo che ci comunica le sue forti e mature convinzioni, così come le
troviamo nelle sue “Lettere” e “Massime spirituali”.
* Una lunga
esperienza personale ha convinto il nostro fratello che la pratica della
Presenza di Dio è un mezzo eccellente per intensificare l’unione con Dio. Alla
sua guida spirituale ha spiegato – lo abbiamo già letto sopra – in qual modo sia
passato progressivamente da un’“orazione” più meditativa a un contatto
affettuoso col Signore, presente “nel fondo del mio cuore”, continuando ad
agire nella stessa maniera durante il “resto della giornata e perfino durante
il mio lavoro”. Prosegue:
Non percepisco alcuna fatica né dubbio sul mio stato,
poiché non ho altra volontà che quella di Dio, che cerco di compiere in tutte
le cose e alla quale sono così sottomesso che non vorrei sollevare da terra un
filo di paglia contro il suo ordine, né per altro motivo che non sia il suo
puro amore. Ho abbandonato tutte le mie devozioni e le preghiere non
obbligatorie e mi dedico solo a mantenermi sempre alla Sua santa presenza,
nella quale rimango con una semplice attenzione e uno sguardo generale e
amoroso in Dio, che potrei chiamare presenza attuale di Dio, o meglio ancora un
colloquio muto e segreto dell’anima con Dio, che non si interrompe quasi più e
che mi provoca talvolta degli appagamenti e delle gioie interiori, e spesso
anche esteriori, così grandi che fatico a moderarli.
* Lorenzo diventa quindi un autentico profeta e apostolo della via della Presenza di Dio. Scrive
a una religiosa:
Se fossi un predicatore, non predicherei nient’altro che
la pratica della presenza di Dio ; e se fossi direttore, la consiglierei a
tutti, tanto la ritengo utile e necessaria. Secondo me, tutta la vita
spirituale consiste in questo e mi sembra che, praticandola come si deve, si
diventa spirituali in poco tempo.
* Ma senza sforzo non si ottiene molto. Già al momento di
entrare al Carmelo, Lorenzo era convinto che bisogna “dare tutto per il Tutto”.
Per imparare a vivere “die ac
nocte”, notte e giorno, nella Volontà e nella Presenza di Dio, come ci
invita a fare la Regola del Carmelo, ci vuole quella “determinada determinación” di cui parlava santa Teresa di Gesù. Il
carmelitano Lorenzo, figlio spirituale di Teresa di Gesù e di Giovanni della
Croce, la pensa allo stesso modo. Nella lettera già citata, scrive:
So che per questo bisogna che il cuore sia vuoto di tutte
le altre cose, poiché Dio solo vuole possederlo; e poiché Egli non può possederlo
esclusivamente senza svuotarlo di tutto ciò che non è Lui, così non può agirvi
né fare ciò che vorrebbe, se noi non gli abbandoniamo interamente il cuore affinché
ne possa fare quel che desidera.
Ma, prosegue Lorenzo, l’unione con Dio ricercata per “amore
puro” diventerà sorgente di grande felicità:
Non c’è al mondo modo di vita più dolce o delizioso che
la conversazione continua con Dio; soltanto coloro che la praticano e la
gustano possono comprenderlo.
* Questa pratica della Presenza bisogna dunque apprenderla, magari riapprenderla tutta la
vita. Lorenzo confessa che anche lui, all’inizio, ha dovuto faticare:
In quest’esercizio feci non poca fatica, ma perseveravo nonostante tutte le
difficoltà che vi incontravo, senza spaventarmi né inquietarmi quando mi
distraevo involontariamente. Non mi occupavo meno del mio Dio durante la
giornata che durante le mie preghiere, […] perfino quand’ero immerso nel mio
lavoro. […] Ecco la mia pratica ordinaria da quando sono entrato in religione.
Benché non l’abbia praticata che con molta codardia e imperfettamente, ne ho
ricavato tuttavia grandi vantaggi. […] Infine, a forza di ripetere tali atti, essi
ci diventano più familiari e la presenza di Dio diviene come naturale.
* L’apprendimento di questa pratica della Presenza sarà
dunque progressivo, ma costante.
Ecco ciò che Lorenzo, da buon pedagogo, consiglia a una signora con tatto e
lungimiranza:
Questo Dio di bontà non ci chiede molto: un piccolo
ricordo ogni tanto, una piccola adorazione, talvolta domandargli la sua grazia,
qualche volta offrirgli le vostre fatiche, prendervi la vostra consolazione con
lui; durante i pasti e le vostre conversazioni, elevate qualche volta verso di
lui il vostro cuore: il minimo ricordo gli sarà sempre graditissimo. Per far questo
non bisogna gridare forte: è più vicino a noi di quanto pensiamo. Non è
necessario essere sempre in chiesa per essere con Dio; possiamo fare del nostro
cuore un oratorio nel quale possiamo ritirarci ogni tanto per intrattenerci con
lui, umilmente e amorosamente. Chiunque è capace di questi colloqui familiari
con Dio, gli uni più, gli altri meno. Egli sa che cosa possiamo fare.
* A poco a poco si formeranno in noi la volontà e l’abitudine di volgerci frequentemente verso il Dio
presente. Lorenzo ci raccomanda:
una grande fedeltà alla pratica di questa presenza e allo
sguardo interiore di Dio in sé, che bisogna fare sempre con dolcezza, umilmente
e amorosamente. […] Bisogna curare particolarmente che questo sguardo interiore preceda anche d’un
solo attimo le vostre azioni esteriori, che ogni tanto le accompagni e che
sempre le concluda. Poiché ci vuol tempo e molto lavoro per acquisire tale
pratica, non bisogna perciò scoraggiarsi quando vi si manca, poiché l’abitudine
non si forma che con fatica; ma quando essa sarà formata, si farà tutto con
piacere.
* Fra Lorenzo vuole condurci alla profonda unione con Dio; all’anima
fedele, egli apre degli orizzonti bellissimi e gioiosi:
Questa presenza di Dio, un po’ faticosa all’inizio, se
praticata con fedeltà produce segretamente nell’anima degli effetti
meravigliosi, vi attira in abbondanza le grazie del Signore e la conduce
insensibilmente a questo semplice sguardo, a quest’amorosa percezione di Dio
presente ovunque, che è la più santa, la più solida, la più facile e la più
efficace maniera di pregare. Tramite la presenza di Dio e questo sguardo
interiore, l’anima si familiarizza con Dio a tal punto che essa trascorre pressoché
tutta la vita in atti continui di amore, d’adorazione, di contrizione, di
fiducia, di rendimento di grazie, di offerta, di domanda e di tutte le più
eccellenti virtù. E talvolta essa può diventare un solo atto che non finisce
più, perché l’anima è sempre nell’esercizio ininterrotto di questa divina
presenza.
Tre mesi
prima di morire, il nostro fratello scrive:
Ciò che mi consola in questa vita è che
vedo Dio attraverso la fede. E lo vedo in un modo che potrebbe farmi dire
talvolta: ‘Non credo più ma piuttosto vedo, esperimento ciò che la fede ci
insegna’. E con questa certezza e questa pratica della fede, vivrò e morirò con
lui. [E ancora, parlando della “fiducia”:] Non ne avremo mai abbastanza verso un
amico così buono e fedele che non ci abbandonerà mai, né in questo mondo né
nell’altro.
* Dopo aver evocato un orizzonte così
luminoso, Lorenzo rivolge a tutti quest’ultimo
incoraggiamento, col quale terminiamo la nostra piccola antologia:
So che si trovano poche persone che arrivano
a questo livello: è una grazia di cui Dio favorisce soltanto alcune anime
elette, perché in fin dei conti questo semplice sguardo è un dono della sua
mano munifica. Tuttavia, per consolare coloro che intendono abbracciare questa
santa pratica, dirò che egli la dona ordinariamente
alle anime che vi si dispongono. E se non la dona, si può almeno – con l’aiuto
delle sue grazie ordinarie – acquisire tramite la pratica della presenza di Dio
un modo e uno stato di preghiera che si
avvicinano molto a questo semplice sguardo.
Una scoperta
provvidenziale
Fino ad oggi non disponevamo che di un solo testo stampato degli scritti di Lorenzo, edito dal sacerdote de Beufort
nel 1691 e dal quale dipendevano tutti i lettori e gli scrittori. Ora, in modo
assolutamente provvidenziale è stato scoperto un manoscritto del 1745
contenente la trascrizione delle opere di alcuni autori religiosi del diciassettesimo
secolo, alla fine delle quali si trovano… anche le Lettere e le Massime
spirituali di fra Lorenzo della Resurrezione.
Su questa base verrà
condotta una nuova edizione critica dei testi di fra Lorenzo. Il nostro
fratello ne uscirà ancor più vero, libero, “teresiano”, dato che sono stati messi
in evidenza alcuni tratti stilistici agiografici del de Beaufort, propri della
sua epoca. Ciò non diminuisce affatto la nostra immensa gratitudine nei
confronti di Joseph de Beaufort: senza di lui, i posteri non avrebbero
conosciuto questo semplice fratello laico. Egli ha subito intuito la ricchezza
spirituale del cuoco mistico da lui frequentato per un quarto di secolo, così
come ha compreso l’importanza della sua dottrina e l’irraggiamento apostolico
che i suoi scritti e il suo esempio avrebbero potuto avere. Lorenzo è un
profeta del Sole di Dio che illumina la nostra vita, a condizione che noi
stessi non preferiamo restare nell’ombra.
La missione di fra Lorenzo continua
Fra Lorenzo occupa un posto privilegiato nel cuore di
molti cercatori di Dio nel mondo intero, anche presso i nostri fratelli
protestanti, anglicani e ortodossi. Molti cristiani lo amano, lo ascoltano e lo
venerano come una guida luminosa e un vero santo. Con la sua vita esposta al
Sole di Dio e la sua testimonianza radiosa, fra Lorenzo della Resurrezione,
vero figlio del Carmelo, prosegue oggi la sua benefica missione. Egli ci conduce
a Dio, presente in tutta la vita, con la semplicità e l’amore. Non esistiamo a
frequentarlo…
Festa dell’Esaltazione della Croce
Roma, 14 settembre 2014
P. Saverio Cannistrà, O.C.D.
Preposito Generale
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