Noto, 3 ottobre 2013 . Convegno diocesano 2013
“Esploratori della misericordia”, rinnovamento dell’atto catechistico,
“predicazione itinerante”, per comunità di parrocchie effettivamente
missionarie
Piste conclusive e pastoralmente prospettiche per un discernimento comunitario nella Diocesi di Noto
* “Sorgi Signore, vieni in nostro aiuto, salvaci per la tua misericordia” (Sal 43,27). Così sentiamo di pregare al termine del nostro Convegno pastorale, il terzo dedicato ad approfondire le urgenze pastorali della Prima Lettera pastorale, Misericordia io voglio. Dobbiamo riconoscerlo, come convocazione di credenti, come comunione di persone nella Chiesa: percepiamo la misericordia di Dio come accompagnamento nel nostro cammino di fede e di vita. Gesù stesso si accompagna a noi per le nostre strade, come a quei discepoli dagli “occhi chiusi”, in quei sette chilometri tra Gerusalemme ed Emmaus.
La pedagogia di Gesù che si accompagna, cammina con noi
* E’ misericordia poter essere accompagnati, avvicinati da chi ci vede, perché è “la luce del mondo”, da chi conosce i meandri più profondi del nostro cuore e sa interpretare le attese, condividere le sofferenze, discernere disagi ed afflizione e portare speranza. Andare alle Scritture e in esse capire qual è la volontà di Dio, quali sono gli orizzonti che si possono dischiudere davanti a noi per amare, impegnare la vita nella carità, offrire misericordia a tutti, guarire le ferite e scaldare i cuori: ecco il primo tratto della pedagogia di Gesù che si avvicina e si accompagna, cammina con noi. E’ Lui la spiegazione della volontà di Dio di salvare il mondo e noi siamo credenti per questo, perché non vogliamo avere altra misura di verità per capire e per amare se non Lui: in Gesù sono sicuro di Dio, in Gesù Dio è affidabile, per cui quello
Noto 3 Ottobre 2013
1 che Lui mi dice è la verità per me e per gli altri, è sicuramente una possibilità di umanizzazione della vita, perché in Gesù adoro il “vero Dio” e ammiro il “vero uomo” che devo diventare. Così, nel “convenire” della Chiesa viviamo la misericordia della sua presenza via: “dove due o tre sono riuniti nel mio nome, là io sono”. E noi, qui, siamo molto più di due o tre e siamo riuniti sicuramente nel Suo nome, per capire, per meditare, per ascoltare ciò che Lui vuole dalla nostra Chiesa.
Nell’ascolto obbediente di Papa Francesco
* “Misericordia io voglio”: oggi riascoltiamo questa dichiarazione nella concretezza di una vicinanza misericordia di Dio, come incarnata dalla nuova vivacità cattolica che papa Francesco sta “a poco a poco”, “pezzo dopo pezzo” riedificando, grazie al suo docile ascolto di quanto lo Spirito dice oggi alla Chiesa. Papa Francesco chiede “rivoluzione” e “cambiamento”. Non è volontarismo, ma l’esigenza di un nuovo possibile ascolto del Vangelo da parte di tutti: in primis i credenti e poi anche tutti gli altri, nessuno dei quali è “fuori” dal lavorio della grazia in ogni coscienza. La sua predicazione della misericordia sta di fatto raggiungendo anche le intelligenze culturalmente più ostili. E’ un dato di fatto. Potremo in futuro interpretarlo a nostro piacimento. Nel frattempo è un dato di fatto che va riconosciuto. La misericordia è per tutti, perché è la misericordia del Padre che “fa piovere su tutti”. Questo “vescovo di Roma” si affianca, si avvicina, telefona, risponde alle lettere, si intrattiene, relativizza le forme e le formalità, punta all’essenziale, punta alla misericordia e all’amore concreto, per una Chiesa più povera e dei poveri, “ospedale da campo” nel quale curare le ferite di quanti sono afflitti, disperati, disillusi, vilipesi, offesi nella loro umanità, nella loro dignità di essere umani.
Non solo sentinelle, ma anche esploratori della misericordia
* Questa metafora dell’ospedale da campo ben interpreta il servizio del buon samaritano che la Chiesa deve incarnare. E’ necessario però che venga interpretata nella “spinta missionaria” che Papa Francesco sta imprimendo a tutte le iniziative delle Chiese locali, donando anzitutto Lui stesso l’esempio. C’è chi potrebbe pensare che la Chiesa (e dunque noi credenti) debba interessarsi di tutti quelli che – feriti- giungono da noi a chiedere aiuto, quelli “che vengono e si rendono disponibili alla cura”. Non è di fatto solo così. In realtà il “campo” è il mondo e dunque è il mondo, in ogni suo aspetto, in ogni sua dimensione (territoriale ed esistenziale) che va considerato. Questo spinge alla missione che qui vogliamo concepire come “esplorazione” del disagio e delle povertà, da individuare, da stanare, da scoprire (qualora fossero mascherate). Perciò dicevo all’inizio della nostra convocazione che occorre dar forma concreta all’esploratore della misericordia. La nostra Chiesa locale si dovrà dunque dotare, oltre che di sentinelle, anche di esploratori. A partire da qui, occorre valorizzare ogni iniziativa di evangelizzazione e di carità che ci porti dal centro alle periferie, dal recinto ai pascoli. La cosa interessa sicuramente e prioritariamente i sacerdoti, i parroci, il Vescovo: se essi devono “odorare di pecora” – come urge il nostro Papa-, sarà opportuno che ci si spinga tutti al pascolo, per evitare di “far puzza” nel recinto. Le comunità di parrocchia sono state
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pastoralmente progettate per questo: per sviluppare sinergia e comunione pastorale, ma soprattutto spinta missionaria verso le periferie esistenziali che oggi – consapevolmente o inconsapevolmente- invocano la nostra presenza affettuosa e misericordiosa.
Catechisti, evangelizzatori della famiglia e per la famiglia
* Tutto questo comporta una sempre maggiore maturazione della fede. Abbiamo bisogno di cristiani adulti, formati, che siano capaci di assumersi responsabilità nella evangelizzazione, perché anzitutto vogliono convertirsi da maestri in testimoni. Mi chiedo sempre, come mai la parola del Papa, anche quella più scontata, venga accolta da tutti come fosse una “novità”: non è forse perché le vecchie parole assumono una nuova freschezza per il fatto stesso che è Lui a pronunciarle, cioè è la sua testimonianza a parlare? Non potremo far maturare i giovani se mancano gli adulti. Il problema dei giovani di oggi è proprio la scomparsa dell’adulto (ci è stato ripetuto come un refrain in questi gironi). E’ vero, l’educazione della fede avviene attraverso l’insegnamento della dottrina, ma non può fare a meno della testimonianza. Da qui l’urgenza che si avvii nella nostra Chiesa locale un cammino di rinnovamento dell’atto catechistico. Dico, “rinnovamento dell’atto catechistico” e non tanto della catechesi, perché necessita oggi promuovere iniziative concrete capaci di rimodulare le forme e le metodologie della comunicazione catechetica, del fare catechismo. Esiste o no il problema della comunicazione dell’esperienza di Dio ai bambini dai 0 a 5 anni? E chi potrebbe espletare questo compito così importante e delicato se non i genitori? La prima “cattedra di teologia” per i bambini sono gli occhi dei genitori, il primo approfondimento del volto di Dio è per il bimbo la relazione affettuosa dei genitori verso di Lui e dei genitori tra di loro. Il piccolo si imbeve di amore vedendo come si amano i genitori. Pertanto sono i genitori i primi catechisti: sono capaci di questo? Hanno bisogno di educazione e formazione? Sarebbero disponibili a lasciarsi formare nel caso la Chiesa locale volesse inventarsi dei “catechisti per adulti”, formatori dei genitori? Potremmo rinnovare l’atto catechistico più o meno così: i nostri fanciulli potrebbero ricevere la catechesi dell’iniziazione cristiana dai genitori che si organizzerebbero anche nelle zone di una città (che sono pure in quanto territorio umano, “parrocchia”). La parrocchia forma i catechisti per la famiglia e verifica quanto i genitori hanno fatto (mensilmente!) organizzando percorsi formativi nei quali stringere fortemente il legame tra insegnamento ricevuto e gesti testimoniali di carità e solidarietà, amicizia, fraternità, comunione. Si apra dunque il discernimento in tutta la Diocesi sul rinnovamento dell’atto catechistico, atteso il fatto che la catechizzazione sacramentale (per la prima comunione e per la cresima) purtroppo non crea una mentalità di fede (i risultati sono effettivamente quasi inesistenti, a giudicare con criteri sociologici, mentre resta la speranza teologale che la “grazia” ricevuta nei sacramenti e nell’attività formativa possa sempre portare a conversione, a cambiamento di vita nelle sfide che il mondo pone a tutti, mentre avanza la vita). Spinge a questo anche la necessità, da tutti insistita (sono stato nei giorni scorsi a Roma per partecipare al CoinCat = consiglio internazionale della catechesi, di cui sono membro, ma anche al convegno internazionale su “Catechesi e nuova
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evangelizzazione”) di una catechesi organica, unitaria, sistematica e “permanente” che non guardi solo all’età, ma alle situazioni della vita (si pensi al dolore, alla morte, alla nascita, ai fallimenti e crisi di lavoro, ma anche della gioia e al creato etc. etc.). Occorre organizzare la catechesi degli adulti nella forma del catecumenato, affinchè il catechista si converta da “maestro” ad “accompagnatore”. Così, potremmo immaginare che il catechista di una “classe” di fanciulli, ragazzi o giovani si “prenda in carico” nella trasmissione della fede non semplicemente i fanciulli, ma tutta la famiglia (cioè il fanciullo nella concretezza globale della sua situazione esistenziale). Questo richiede che il catechista ricalchi le orme del Maestro di Nazaret (unus magister) e diventi un evangelizzatore itinerante, capace di andare dal centro (di sé, della sua casa, della parrocchia) alla periferia (delle case degli altri, degli ambienti di vita, delle ferite esistenziali).
Strada facendo predicate il Vangelo
* Appartiene a questa figura adulta del credente - non più semplicemente “collaboratore” dei parroci, ma “corresponsabile” della evangelizzazione- il lasciarsi coinvolgere totalmente dalla “passione di Cristo” (dal suo pathos per la salvezza di tutti) da diventare discepolo del Vangelo, portando (cioè andando) la buona notizia, il Kerigma (=Dio è buono; Dio è affidabile; in Gesù Dio è solo amore e benedizione, Dio manda solo il bene e mai il male, Dio vuole che contrastiamo il male con il bene e l’amore, vincendo in noi ogni tentazione di odio e vendetta; Gesù il Figlio di Dio vuole la giustizia dei cristiani superi quella degli scribi e farisei, vuole operatori di pace, costruttori di relazioni amative di comunione etc etc.; il Dio buono vuole che noi uomini e donne diventiamo umani e realizziamo la promessa di felicità e di gioia che è inscritta nella nostra vita da quando veniamo al mondo). Perciò, abbiamo bisogno di adulti nella fede che mostrino al vivo (ecco il senso giusto della testimonianza) che questa buona notizia è vera e lo si vede in loro. Se i nostri occhi si aprono, ecco che la visione accade, una nuova umanità sorge dalle tenebre di certa immondizia disumana che oscura “ogni volta” la bellezza del volto umano di Dio in ogni uomo. Penso in questa direzione – e tutti voi vorrei convocare- in una sorta di predicazione itinerante. Capite subito, con il vostro intuito spirituale (quello che vince sul prurito sospettoso della lingua e dell’orecchio) che non si tratta di fare “discorsi” per le strade (magari anche, se riuscissimo a ben organizzarli, visto che le persone che vorremmo ritornare a guardare in faccia non vengono più in chiesa, specie i giovani). Si tratta piuttosto di portare il “segno bello” di una umanità rinnovata, di una pace interiore ritrovata, della gioia della riconciliazione di cui facciamo esperienza, per “le strade del mondo”. Hanno bisogno le nostre famiglie di comunicazione nuova? Tra le famiglie c’è bisogno di riconciliazione? Quanti sono i drammi che si consumano nella solitudine familiare? Che senso potrebbe dunque avere oggi il mandato di Gesù: “andate e strada facendo predicate”? Il nostro discernimento comunitario potrebbe a questo punto forse capire che appartiene a questo processo di “predicazione itinerante” quell’impegno ad individuare “gesti eucaristici” capaci di mobilitare la comunità cristiana intera “dopo” la celebrazione del’Eucarestia in Chiesa, perché l’Eucarestia si viva per le strade del mondo: “ite, missa est” = andate fuori delle
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chiese e fate messa per le strade (più o meno diritte o del tutto contorte) dell’esistenza umana, là dove la sordità dei morenti ancora invoca di ascoltare la Parola di Dio e solo la Parola di Dio nell’affollamento odierno di chiacchiere infinite.
Seguendo Papa Francesco: “apriamo i conventi chiusi alla solidarietà” a cominciare dal Seminario diocesano *Concludo: la vita scorre dentro i suoi ritmi. A noi tocca però saper accelerare i processi buoni e bloccare quelli cattivi.
Pensate al dramma di tante persone che giungono in questi giorni sulle nostre coste nella speranza di trovare qualcuno che non li rigetti in mare e li faccia morire. Pensate alle persone provenienti dall’Eritrea che l’altro ieri erano solo salme distese sulla spiaggia di San Pieri o alla tragedia che si sta consumando a Lampedusa proprio in queste ore (centinaia sono i morti e i dispersi). Che fare? E’ un interrogativo che dobbiamo porci come credenti in Cristo e dunque si formula così: che cosa Dio in Gesù ci chiede di fare? Vorremo allora con coraggio e profezia accogliere il monito del nostro amato Papa Francesco: “aprite i conventi chiusi” e testimoniate la solidarietà (è un modo di operare in controtendenza culturale, se è vero che la solidarietà è per molti una “parolaccia”, mentre per noi cristiani è “il nuovo nome della pace” , come ci disse il Beato Giovanni Paolo II). Sì, abbiamo il coraggio di “aprire i conventi chiusi”: chiedo a tutti questo grande coraggio. Dobbiamo prepararci – meglio di quanto fino ad ora abbiamo fatto- ad accogliere e comunicare, a testimoniare il vangelo come accoglienza della vita e fratellanza per la comune appartenenza alla specie umana.
“Sei mio fratello”, ecco il modo dire oggi a Dio, “Padre nostro” e in Gesù Abbà/papà mio. Ho chiesto pertanto ai miei più stretti collaboratori di adoperarsi per individuare sul nostro territorio diocesano “strutture di accoglienza” che appartengano alla Diocesi o alle famiglie private (ognuno di noi può essere un “convento da aprire” per qualcuno di loro), a cominciare dal Seminario diocesano di Noto che ha una grande ala ancora “chiusa e fatiscente”. Soprattutto però “attrezziamoci umanamente” per essere capaci di accoglienza fraterna, con amore e grande apertura di cuore, per dire a tutti e specialmente a questi nostri fratelli che Dio è Padre di Tutti, che in Gesù Dio è amore, solo amore.
* Incoraggio tutti a “camminare insieme”, testimoniando la gioia di essere cristiani, di aver incontrato Gesù che ci ha cambiato la vita, aprendo gli occhi della nostra esistenza ad una nuova visione, quella che solo può essere vissuta con il lume della fede. Lumen fidei dischiuda nuovi orizzonti di amore e di solidarietà ai passi della nostra vita. Vi benedico
+Antonio
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