Vatican insider(la stampa)
Centrafrica, paura
nella città di Bouar
I gruppi di autodifesa hanno attaccato
l’aeroporto. Ora si teme la risposta delle milizie Seleka. La popolazione è
fuggita in foresta o ha cercato rifugio nella cattedrale
DAVIDE DE MICHELIS
ROMA
ROMA
Una giornata di ordinaria paura, ieri, in Centrafrica.
L’ennesima. Il teatro degli eventi questa volta è la città di Bouar, nel
nord ovest. Suor Giulia Mazzon, gestisce l’ospedale della missione di Maigaro,
a dieci chilometri dal centro: “Viviamo nella paura. Questa notte, all’una,
abbiamo sentito sparare, due uomini sono stati uccisi. Poi tanta gente è
passata davanti alla missione. C’erano dei militari ma anche molta gente dei
villaggi, che si protegge con medicine tradizionali e attacca con armi
tradizionali e frecce. Li chiamano i gruppi di autodifesa. Noi non capiamo
troppo che cosa sta succedendo, ma certamente è in atto un tentativo di porre
fine a tante sofferenze e angherie, magari provocandone altre”.
Dalle 8 alle 10 si è combattuto nei dintorni di Bouar. I
gruppi di autodifesa hanno conquistato e occupato la zona dell’aeroporto (il
secondo del Paese, dopo quello della capitale). Si sono scontrati con le
milizie di ex Seleka, che hanno spinto al potere nel marzo scorso l’attuale
presidente, Michel Djotodja, con un colpo di Stato. Il presidente,
ufficialmente, ha sciolto Seleka, ma questi soldati (in gran parte arrivati
dall’estero, soprattutto dal Ciad e dal Sudan) continuano a seminare il
terrore.
Presa dal panico, la gente è fuggita in foresta. Circa
cinquemila persone però hanno cercato rifugio intorno alla cattedrale, si sono
accampate nella sede della diocesi, fra i saloni dei centri parrocchiali. Il
vicario generale è un sacerdote polacco, Mirek Gukwa: “Ho chiesto l’aiuto del
Programma alimentare delle Nazioni Unite, ma per il momento non verrà nessuno,
non ci sono le condizioni di sicurezza. Dobbiamo arrangiarci per garantire un
pasto a tutte queste persone”.
Bouar è presidiata da duecento uomini della Fomac, la Forza
multinazionale di interposizione che dovrebbe garantire la pace nel Paese. “In
realtà non si sa che cosa facciano. Sono qui da due settimane ma non hanno
disarmato nessuno”, protesta padre Aurelio Gazzera. Intanto bisogna gestire
l’emergenza: “Le parrocchie sono stracolme di sfollati, è il panico! Ma non
basta: ci risulta che un convoglio di soldati della Seleka con armi pesanti sia
partito oggi stesso (ieri, ndr), alle 13, da Bangui”.
L’attacco all’aeroporto è una novità: “I gruppi di
autodifesa di solito difendono il loro villaggio e non sono organizzati né
preparati per missioni di assalto, le milizie Seleka poi hanno armi
sofisticate. Chi c’è dietro a questa azione, chi li ha spinti e promettendo che
cosa?”, si chiede padre Beniamino Gusmeroli, che vive in Centrafrica da anni.
L’ospedale di Maigaro è uno dei punti di riferimento di
questa zona, in virtù del servizio che garantisce e delle attrezzature di cui
dispone. E’ difficile però continuare a lavorare, quando in ogni momento si
potrebbe finire sotto attacco. Suor Giulia non usa mezzi termini: “Noi abbiamo
paura perché essendo stato ucciso un miliziano, i suoi compagni potrebbero
tornare a vendicarsi. La gente dei villaggi è scappata in foresta, lasciando
case e villaggi vuoti. Anche il personale dell’ospedale, è fuggito. Hanno
paura, li capisco. Non so come faremo a portare avanti il lavoro”
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