LE SANTE QUARANTORE
Non amo assorbire abitudini, culti, credo o tradizioni, senza aver prima fatto un’accurata ricerca storica, teologica, o semplicemente un’analisi personale di quanto vado a compiere. Per spiegarmi meglio, intendo dire che non partecipo ad un momento particolare che mi viene proposto, se non ne conosco il reale valore e significato. Devo capire, devo arrivare preparata ad un evento che mi porta davanti al Santissimo, altrimenti vi partecipa la mia persona visibile, ma non la mia mente, e soprattutto non il mio cuore e la mia anima. Sarei presente ad un rituale che non mi coinvolge emotivamente, e che non mi conduce al Signore. Per questo posso sembrarvi un po’ noiosa, quando vi propongo la ricerca che ho fatto per me stessa. Resto persuasa, però, che anche chi mi legge ha piacere di conoscere un po’ di storia della tradizione con la quale la Chiesa ha deciso di inserire l’Adorazione Eucaristica nel ciclo liturgico annuale, sotto forma delle Quarantore.
Ma prima di raccontarvi come è nata questa tradizione, e chi l’ha istituita, vorrei esprimere un pensiero che sempre più intensamente prende forza dentro di me: al Signore del Cielo e della Terra bisognerebbe far visita ogni giorno, ogni momento della nostra vita, non solo durante quel breve tempo delle Quarantore. E far visita al Signore significa averlo sempre davanti nel nostro cammino quotidiano, Egli ci fa strada, e noi lo seguiamo, certi che dove ci condurrà è alla gioia del tempo senza più tramonto, alla Luce che ci illuminerà eternamente! Alla presenza di un Signore così generoso, dobbiamo inchinarci, adorarlo. Egli, che si è fatto Pane Spezzato, sta in mezzo a noi nell’Ostia consacrata. E’ presente, vivo, e ci aspetta, attende che andiamo a fargli visita. In Chiesa, sì certo, ma anche dentro la nostra anima, dove Egli inabita.
Se siamo convinti di questo fatto grandioso, e lo siamo, altrimenti non saremmo cristiani, allora non avrebbe neppure tanta importanza conoscere come è nata la tradizione delle Quarantore, perché passa decisamente in secondo piano. Ho però anticipato che ne avrei scritto, quindi completo queste mie povere righe (povere, perché le righe che contengono tutta la ricchezza sono quelle che si leggono nel Vangelo, le sole, perché portano la Lieta Novella) con quanto promesso.
Le Quarantore sono un tempo di grazia che ci offre l’opportunità di raccoglierci davanti al Signore Gesù per essere più consapevolmente partecipi del mistero di Salvezza che Egli ha affidato alla Chiesa tutta. Ringraziamo pertanto il Signore per il dono che riversa in noi con la Sua Presenza Eucaristica. Un’adorazione comunitaria del SS. Sacramento in esposizione ostensoriale solenne, con momenti di intimo colloquio spirituale. Pia pratica eucaristica per onorare Gesù Cristo durante le quaranta ore in cui giacque morto nel sepolcro, attraverso il gesto liturgico di deportare l’Ostia consacrata nascosta in apposito altare sotto forma di sepolcro. Sembra che come tale, venisse già praticata con il titolo “ Oratio quadraginta horarum” prima del 1216 dai Battuti di Zara nella Chiesa di S. Silvestro durante gli ultimi giorni della Settimana Santa.
Fu poi ereditata nella stessa città fin dal 1439 dai terziari francescani e anche dalla Confraternita in “Coena Domini”. E’ ancora aperta la questione se nella forma che ha poi preso e che ancora conserva, di esposizione solenne e pubblica (in forma visibile e solenne) in sempre più sontuosi apparati per quaranta ore distribuite in tre giorni, sia stata avviata da S. Antonio Maria Zaccaria, fondatore dei Barnabiti (1502-1539), o dal padre cappuccino Giuseppe Piantanida da Ferno, vero iniziatore della pia pratica a Milano. Comunque, Sant’Antonio Maria Zaccaria, quando raggiunse Milano dalla nativa Cremona, agli inizi del XVI secolo, entrò in rapporto con un gruppo di religiosi chiamati “dell’Eterna Sapienza”. Una delle pratiche che loro svolgevano era l’adorazione privata eucaristica nella Settimana Santa, per la durata di quaranta ore. Il Santo, rimasto favorevolmente colpito da tale pratica, volle che le Quarantore diventassero pubbliche e solenni, così che tutta la popolazione potesse parteciparvi.
Questa, in sintesi, la storia. E mi chiedo: perché cerchiamo miracoli eclatanti, quando abbiamo ogni giorno il Miracolo più grande di tutta la storia della cristianità, ovvero la transustanziazione? Gesù che diventa il nostro nutrimento spirituale, che si fa pane e vino per noi? Andiamo a ricevere l’Ostia, facciamo quindi la Comunione con Dio e tra noi fratelli, ma ci rendiamo davvero conto con Chi abbiamo questo meraviglioso incontro?
Tra poco festeggeremo Tutti i Santi e ricorderemo i nostri cari defunti. Trovo un nesso profondo tra l’Eucaristia e la santità, quella di coloro che hanno dimostrato di amare Dio sopra ogni cosa, nella loro vita, ed elevati agli onori degli altari, e la nostra. Noi santi? Certamente! Ce lo propone anche il nostro Cardinale Dionigi con la sua lettera pastorale per l’anno 2010-2011, titolata “Santi per vocazione – sull’esempio di San Carlo Borromeo”. “La santità, per la grazia dello Spirito Santo, è l’ingresso nella vita di Dio. Questa è la verità stupenda e commovente che siamo chiamati a vivere con timore e gioia….siate santi, perché Io sono Santo, dice il Signore (Levitico 11,44”.
Di conseguenza, coloro che ci precedono alla Casa del Padre, sono uniti in Lui e con Lui, perciò non mi stanco di ripetere che non amo definire “morti” coloro che non sono più tra noi, ma piuttosto che “sono tornati alla Casa del Padre”. Lì vivono, non piangiamoli come persi per sempre, sono in Cielo e nei nostri cuori, che continuano ad amarli come quando ci erano accanto, e loro ci amano dal Cielo. Lo sa bene Santa Teresina, che “voleva passare il suo Cielo in terra, per continuare la sua attività di missionaria dell’amore”. Anche i nostri cari intercedono per noi, presso Dio. Preghiamo per loro, preghiamo per i Santi, e ringraziamo ogni giorno il Signore per averci donato Sé stesso, offrendosi vittima sulla Croce, e il Suo Corpo nell’Eucaristia. Cosa c’è di più grande dell’incontro con il Signore, così vicino a noi tanto da poterlo accogliere sulle nostre labbra o nelle nostre mani, per nutrircene?
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