Vasilij Kandinskij, Il cavaliere azzurro, 1903. Olio su tela.
La volontà di Dio
Antica leggenda orientale
C’era una volta, un antico villaggio arroccato su un'altura. Il suo territorio era dolce e armonioso e il saliscendi delle verdi colline si stendeva tutt’intorno, specchiandosi nei corsi d’acqua che cantavano al cielo le loro canzoni.
Nei campi, i contadini raccoglievano a piene mani il frutto del loro lavoro, mentre mucche e pecore pascolavano tranquille nei prati.
A quel tempo, un nobile signore viveva solo in uno splendido palazzo di tufo e mattoni, arredato dai più lussuosi mobili del tempo.
Spesso il nobiluomo si sedeva alla finestra a osservare il paesaggio che amava tanto: lo sfondo del cielo azzurro sulle colline, le mura della città e le case dei suoi vicini.
La servitù che sfaccendava su e giù per gli ampi scaloni, non contribuiva, però, a mitigare la sua solitudine e il suo carattere diventava di giorno in giorno più aspro. Allora le sue urla risuonavano da una stanza all’altra e tutti, compreso il maggiordomo, fuggivano a nascondersi nelle stalle.
Egli aveva, però, un devoto consigliere, Battista, che lo seguiva dappertutto cercando di ispirarlo a compiere il bene e che concludeva sempre i suoi avvertimenti e l’analisi dei fatti dicendo:
-É la volontà di Dio. -
Il padrone aveva tollerato quei commenti senza dar loro molto peso fino a quando, un giorno, si era ferito a un dito con il coltello.
Allora, l’usuale risposta -É la volontà di Dio - era suonata come un’offesa alla sua persona per cui, incollerito, aveva fatto sbattere il consigliere nelle segrete del palazzo a pane e acqua.
Bisogna sapere che, di solito, Carlo, così si chiamava il signore, quando il tempo era buono, soleva andare a caccia a cavallo, seguito da molti altri nobili e servitori. Così, un bel giorno di primavera, l’intera compagnia era partita dirigendosi verso i fitti boschi che non mancavano appena fuori le mura della città.
Gli alberi alti lasciavano filtrare solo a tratti qualche lama di sole, il profumo dei fiori era così intenso da far girare la testa, l’acqua scorreva tra i sassi cantando sottili ritornelli e il nobiluomo, trascinato dalla malia dei luoghi, aveva gettato il suo cavallo, il migliore, al galoppo, mentre le frasche si spostavano ossequianti al suo passaggio e il sole tardava a tramontare per prolungare il suo momento di fiaba.
Cavalcando cavalcando, Carlo aveva lasciato indietro il suo seguito ed era rimasto solo, fino a quando non aveva scorto in lontananza le torri e le mura di una città sconosciuta.
- Bene! - aveva pensato - laggiù mi potrò riposare! -
Ma, appena giunto, intento ancora ad ammirare la bellezza dei palazzi costruiti in una pietra dal delicato colore di rosa, era rimasto colpito dalla tristezza dipinta sui visi delle persone.
Nonostante ciò, era stato accolto con grande onore, accompagnato al castello dove, accudito da attraenti fanciulle, era stato lavato, profumato, abbigliato elegantemente, nutrito e condotto alla presenza del Signore della città, mentre i volti dei cittadini erano diventati improvvisamente allegri.
Non dovete ignorare, cari lettori, che, in quella città, c’era stata una terribile epidemia.
Né medici né stregoni erano riusciti a farla cessare: la popolazione si era dimezzata e tutti ormai vivevano nella disperazione e nel terrore.
Un mago, però, aveva predetto che la malattia sarebbe finita con il sacrificio di un nobile forestiero che giungesse da molto lontano.
Da parecchi giorni, tutti attendevano che un forestiero varcasse le porte dell’abitato!
Ecco perché Carlo era stato preparato con cura: il mago stava per esaminarlo e decretare la sua morte, mentre l’epidemia, che già aveva mietuto molte vite, sarebbe cessata.
- Miei cari cittadini, - aveva, però, concluso il mago con la sua voce tonante - quest’uomo non è adatto per il sacrificio perché ha una ferita al dito. Solo esseri integri possono liberare la città dal suo cattivo destino. -
A quelle parole, la tristezza era tornata sui volti di tutti ma non di Carlo che, lieto di averla scampata, aveva ripreso il suo cavallo ed era ripartito al galoppo.
Tornato a casa, Carlo aveva fatto liberare Battista.
- Ho capito che Dio ha voluto che mi tagliassi il dito per salvarmi la vita. Ma dimmi, - gli aveva chiesto - perché Dio ha permesso che ti facessi rinchiudere nelle segrete del palazzo?
- Nobile Carlo - aveva risposto il consigliere - come tu sai, io ti seguivo fedelmente ovunque. Se fossi venuto a caccia con te, non ti avrei lasciato solo e avrei raggiunto, insieme a te, la città del sacrificio. Accertato che tu non eri adatto, avrebbero ucciso me che non avevo ferite! Ecco perché mi trovavo prigioniero: la mia vita è cara a Dio. -
Da quel giorno, Carlo divenne più ragionevole e si impegnò a seguire i consigli di chi voleva il suo bene.
Renata Rusca Zargar
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