3 TAPPE:
1° Elena Rocca legge
la traduzione italiana della “STORIA DI UN’ANIMA”.
2° Don Giuseppe
Mazzanti solo dopo la morte di Elena scopre Sr. Teresa
3° Beatificazione della Piccola Teresa di Lisieux nell’aprile
del 1923
.......................
Nell’analizzare la marea di documenti stesi e conservati
da Don Giuseppe Mazzanti ho fatto una gioiosa scoperta.
Alla vigilia della Beatificazione della cara Consorella di
Lisieux
fu colpito dall’esauriente articolo del giornalista Enrico
Pucci
sul quotidiano cattolico di allora, ritagliandolo per un
sicuro utilizzo
nella predicazione. A 95 anni dalla sua stesura
quell’articolo
per me conserva tanta vivezza ed attualità. La carta
ingiallita
non mi ha consentito alcuna scansione. Me lo sono dovuto
trascrivere
tutto parola per parola e questo ha costituito un ulteriore
arricchimento personale.
(L’Avvenire d’Italia, 29-4-1923)
LA SECONDA TERESA
Iddio stesso la
fece con le sue mani, le aprì ogni pensiero, le suggerì ogni parola, la volle
in mezzo a noi perché vivesse con noi l’età nostra faticosa ed illuminasse le
tenebre nostre con la luce che traspare da ogni accento e da ogni gesto suo,
Pio XI giustamente
ripeterà per Lei il verso di Dante: “pare che sia cosa venuta di ciel in terra
a miracol mostrare”; e più tardi sviluppò e completò il pensiero del Poeta,
dicendola “venuta dal cielo sulla terra per meravigliare e il cielo e la
terra”.
Ventiquattro
anni soli, e trascorsi tutti prima nel silenzio raccolto della pia casa
paterna, poi in quello più grave e pieno del Carmelo di Lisieux. Ma bastano per
mettere questa anima in cima a quell’ideale cammino di perfezione che è il
sospiro dell’anima cristiana e di fare la madre ed autrice di squisita santità
e di inesausto apostolato.
Poi scorrono
appena altri 25 anni dalla morte di lei e il mondo è pieno della nostra
“piccola Teresa”, del “piccolo Fiore” e
da quel nome mille cuori in ogni parte della terra hanno palpito nuovo della
divina carità.
Tale è l’ultimo
miracolo della santità cristiana che domani stesso il Capo della Chiesa si
accinge a consacrare nella gloria della Basilica vaticana. La biografia di Suor
Teresa del Bambin Gesù e del Volto Santo non è nè lunga nè complicata, è la
vita semplice di una vergine tutta piena dell’amore di Dio e del prossimo,
tutta nascosta nella consacrazione più completa che una vita umana possa fare
di se stessa a Dio.
Iddio stesso la
fece nascere ad Alençon in una famiglia piissima nella quale il padre non fa a
malincuore, ma con trasporto di gioia il sacrificio di cinque figliuole che a
Dio si consacrano nella vita religiosa, quattro al Carmelo ed una alla
Visitazione; e rimpiange la morte di due figlioletti rapiti sull’alba della
vita, soltanto perché non ha potuto vederli in età da consacrarsi anche essi a
Dio nel sacerdozio. Con tanta cura Iddio aveva preparato il terreno, nutrite le
radici dalle quali doveva sorgere e trarre alimento sì splendido fiore.
Il mistero di una vocazione
Ma più che ogni parola nostra, è
la parola stessa di Teresa che ci può aprire i tesori dell’anima sua, quella
parola che ella scrisse nella “Storia di un’anima”, la sua propria storia
narrata a richiesta della Priora del Monastero, “Madre sua venerata”.
Quell’autobiografia ella scrisse con semplicità pari all’umiltà. Prima
di accingersi a scriverla, Essa apre il Vangelo per trarne ispirazione e
l’occhio le cade sul versetto: “Gesù, salito sopra un monte, chiamò a sé quei
che volle”! E le basta; in quelle parole trova la spiegazione di quello che
essa è, e di quello che essa fa.
“Ecco il mistero della mia vocazione, della
intera mia vita, e soprattutto il mistero della preferenza di Gesù per l’anima
mia. Dio ha pietà di chi vuole, e fa misericordia a chi vuol far misericordia –
come dice S. Paolo – non è dunque opera di colui che corre, ma di Dio che fa
misericordia”.
Così
giustificata di dover parlare di se stessa, Teresa ci apre con soave candore
tutta l’anima sua. “Quell’anima la
vediamo dalle prime naturali e spontanee inclinazioni alla pietà passare ad una
comprensione sempre più alta e piena della bontà di Dio e insieme a questa
comprensione vediamo crescere in lei senza lotta e senza sforzo e con gaudio
ogni giorno maggiore, la corrispondenza di un abbandono totale alla volontà del
Maestro che la chiamava con tanta dolcezza.
Quell’anima ha
una sensibilità squisita per tutte le bellezze della natura e degli affetti ed
un tocco d’artista nel cogliere i fiori più belli e profumati del suo passato! Aveva appena cinque anni, la madre le era
morta, il padre la conduceva con sé alla pesca. “Qualche volta – ella scrive –
mi provavo anche io a pescare con la mia piccola lenza, ma generalmente
preferivo sedermi in disparte sull’erba fiorita. I miei pensieri si facevano
allora molto intensi e, pur ignorando ciò che volesse dir meditare, l’anima si profondeva
in una vera e proprio orazione mentale.
Ascoltavo i
lontani rumori e il mormorio del vento. Talvolta alcune note indecise che la
musica militare faceva giungere a me dalla vicina città, adagiavano in una
soave mestizia il mio cuore. La terra non mi pareva più che il luogo di esilio
, ed io non sognavo che il Cielo!”.
A sette anni è
ancora attraverso lo spettacolo superbo della natura che Iddio le parla: “La
sera di quel giorno (in quel giorno aveva veduto il mare per la prima volta)
nell’ora nella quale il sole pare tuffarsi nell’immensità delle onde lasciando sovra
esse un grandissimo solco luminoso, andai a sedermi con la mia Paolina (la
sorella che le faceva da madre) sopra uno scoglio deserto. Contemplai
lungamente quel solco d’oro che ella mi diceva essere l’immagine della grazia
che illumina quaggiù il cammino delle anime fedeli e in mezzo a quel solco
immaginai di vedere il mio cuore. Risolvetti allora di non mai allontanarlo
dallo sguardo di Gesù perché rapido e tranquillo potesse vogare verso le rive
del cielo”.
Quando la felicità del Cielo scende in cuore
Poi è l’educandato, la prima Comunione,
la Cresima. Al momento della prima Comunione, Teresa ha il volto inondato di
lacrime. Le compagne si domandavano: perché avrà pianto? Avrà avuto qualche
cosa che inquietava la sua coscienza, avrà pianto perché non aveva vicino la
mamma morta e la sorella carmelitana. “E nessuno capiva – lei aggiungeva – che
quando tutta la felicità del cielo scende in un cuore, questo cuore esiliato, debole
e mortale, non la può sopportare senza lacrime”.
A quattordici
anni e mezzo la vocazione è matura, e Teresa ha deciso di entrare nel Carmelo,
là dove già l’hanno preceduta due sorelle. Ecco la pagina nella quale essa
narra la dolce e dolorosa confidenza fatta al padre suo: “Il babbo era seduto
in giardino e con le mani giunte contemplava le bellezze della natura.
Il bel volto di lui aveva una
espressione tutta celeste, ed io sentii che il suo cuore doveva essere
inondato di pace. Senza dire una parola, andai a sedermi al suo fianco con gli
occhi già bagnati di lacrime. Egli mi guardò con tenerezza invincibile, e, attirando
la mia testa sopra il suo cuore, mi disse: “Che hai, piccola Regina mia?
Confidamelo”.
Poi, alzandosi, come per dissimulare la
propria commozione, incominciò a camminare lentamente, stringendomi sempre al
suo cuore. Gli parlai tra le lacrime del Carmelo e del mio desiderio di
entrarvi presto e allora anche egli pianse, ma pure non mi disse niente per
dissuadermi della mia vocazione...
Continuammo un
pezzo a passeggiare insieme; io avevo il cuore sollevato ed il babbo non
piangeva più. Mi parlò come un santo ed avvicinandosi a un piccolo muro mi
mostrò dei fiorellini bianchi simili a gigli in miniatura, e cogliendone uno me
lo dette, spiegandomi con quanta cura il Signore lo avesse fatto nascere e lo
avesse conservato fino a quel giorno.
Credevo proprio di udire la mia
storia, tanto era viva la somiglianza tra il piccolo fiore e la piccola Teresa.
Ricevei quel fiorellino come una reliquia e vidi che nel coglierlo, il babbo ne
aveva svelte le radici senza romperle.
Pareva
destinato a vivere ancora in altro terreno più fertile, e il mio caro babbo
aveva fatto allora propriamente lo stesso riguardo a me, permettendomi di
cambiare con la montagna del Carmelo la dolce valle testimone dei miei primi
passi nella vita. Ingommai il mio fiorellino bianco sopra una immagine di
Nostra Signora della Vittoria, e lo conservo ancora.
Pare che la
santa Vergine mi sorrida e che Gesù Bambino lo tenga in mano; ma lo stelo si è
spezzato accanto alla radice e Dio certamente vuol dirmi così che spezzerà
presto i lacci del suo piccolo fiore, e non lo lascerà appassire quaggiù...”
Infatti quando Teresa così scriveva mancavano soltanto pochi mesi alla sua
morte.
L’INGRESSO AL CARMELO
L’ingresso al Carmelo è però conteso alla
piccola Teresa dalla giovanissima età. La vita austera delle figlie della
grande Teresa sembra troppo grave per i suoi anni così pochi. E tutti
intervengono, il superiore del monastero, il vicario generale, il vescovo per
esaminare, giudicare, ed alla fine affrettare che le porte dell’asilo sospirato
si aprano per lei.
Tutti, perfino
Leone XIII, al quale la semplice fanciulla trova l’ardire di parlare nell’udienza
del pellegrinaggio francese col quale era venuta a Roma per il grande giubileo
di quel Pontefice. “Beatissimo Padre – essa gli dice - in onore del Vostro giubileo permettetemi di
entrare al Carmelo a 15 anni – “Bambina mia, risponde il papa, fate ciò che i
superiori decideranno. – Oh! Se voi diceste di sì, tutti lo vorrebbero – Andiamo,
andiamo, conclude il Pontefice, vi entrerete se il buon Dio lo vuole”. E mentre gli altri pellegrini si succedono ad
uno ad uno davanti al papa, Leone XIII accompagna a lungo con lo sguardo la
dolce figura dell’implorante.
Ed infatti
Teresa entra al Carmelo sei mesi dopo, a quindici anni appena per concessione
singolare. E’ il 9 aprile 1888. E da quel giorno fino al 30 settembre 1897 arde
la sua fiamma nell’asilo sacro e silenzioso e ogni giorno il calore è più
acceso, la luce più vivida. Subito dopo la professione religiosa, la destinano
ad aiutare la maestra per le novizie e diventa consigliera ed educatrice
finissima delle tenere anime che lo Sposo si è scelto.
Ci sono con lei
le sue sorelle, una di queste è la sua superiora e sembra che nel sacrificio
essa abbia dovuto trovare anche la soddisfazione più completa alle tendenze pie
del cuore. Ma non è così. Come tutti i santi, ella è assetata non solo di
amore, ma anche di dolore. Lo ha chiesto al suo Dio. “Son pronta a tutto,
datemi l’amore, datemi il dolore, come volete: o piuttosto datemi l’uno e
l’altro. Ed è così che alle gioie delle emozioni purissime si alternano
nell’anima sua le aridità e i dubbi e le tentazioni.
E frattanto il suo corpo fragile
e innocente è tribolato da dolori e malattie. Mai però è fiaccata la sua fibra
o il suo cuore. Essa ha acceso nell’anima la fiamma dell’apostolato. Dal
segreto del chiostro lontano di Lisieux unisce le sue preghiere, i suoi dolori,
i suoi sospiri, ai missionari che faticano per le terre selvagge e pagane.
LA BRAMA APOSTOLICA
Fin da bambina le era divampato questo fuoco
apostolico nel cuore: “Una domenica, un’immagine del Crocefisso sporse un po’
più dal chiuso libro delle preghiere, lasciandomi vedere solamente una delle mani
ferite e sanguinanti del Redentore. Il mio cuore parve spezzarsi dal dolore
alla vista di quel sangue prezioso che cadeva per terra senza che nessuno si
desse premura di raccoglierlo e feci il proposito di starmene continuamente
a piè della Croce per raccogliere quella
divina rugiada di salute per spargerla poi nelle anime”.
Fu infatti il
pensiero, il desiderio cocente di tutta la sua vita. Sugli ultimi giorni suoi
ad una sorella che la vedeva camminare a gran fatica e la consigliava di
posarsi rispondeva: “Sa chi mi dà la forza? Cammino per un missionario, penso
che laggiù lontano uno di loro si è forse esaurito nei suoi viaggi apostolici
ed io offro le mie fatiche al buon Dio per diminuire le sue”.
La brama
apostolica va perfino oltre la tomba. Perché non altro è il sublime testamento
di Lei: “Non conto di starmene inoperosa in Cielo: il mio desiderio è di
lavorarvi ancora per la Chiesa e per le anime. Non ho mai dato a Dio che amore,
Egli mi renderà l’amore. Dopo la mia morte farà cadere una pioggia di rose”.
Una delle pagine più belle di
tutta questa storia è quella nella quale Teresa ci narra il primo annunzio
della morte, l’annunzio non temuto, ma sospirato con desiderio insaziabile. “La sera del giovedì (il giovedì santo del
1896) non avendo ottenuto il permesso di vegliare tutta la notte presso il
Santo Sepolcro tornai a mezzanotte in cella; ma appena appoggiato il capo sul
guanciale sentii come un fiotto salirmi gorgogliante alle labbra. Credei di
morire ed il mio cuore parve spezzarsi dalla gioia. Avendo però spento già il
lume, mortificai la mia curiosità fino al mattino dopo e mi addormentai
tranquillamente.
Alle cinque
dato il segno della sveglia, pensai subito che sarei venuta a sapere qualche
cosa di lieto e avvicinandomi alla finestra me ne persuasi, vedendo il
fazzoletto tutto pieno di sangue. Madre mia, che speranza! Era intimamente
persuasa che il mio Diletto nel giorno anniversario della sua morte mi facesse
udire una prima chiamata come un lontano e dolce mormorio che mi annunziasse il
Suo arrivo felice”.
Era così
infatti. Teresa lo sentiva ogni giorno più e meglio. Nulla è più espressivo del
contrasto fra il suo desiderio del Cielo e la sete di fare del bene sulla
terra: “Sento che la mia missione sta per cominciare, la mia missione di fare
amare Iddio come io l’amo, di additare alle anime la mia piccola via.
Io voglio
passare il mio Paradiso nel far del bene quaggiù sulla terra. E ciò non è
impossibile perché nel seno stesso della visione beatifica gli angeli vegliano
sopra di noi. No, non potrò mai riposarmi fino alla fine del mondo!
Ma quando
l’angelo del Signore avrà detto: Il tempo non è più! Allora mi riposerò e potrò
godere, perché il numero degli eletti sarà completo”.
Lo Sposo era
sempre più vicino. Il curato le chiedeva: E’ rassegnata a morire? e Teresa
rispondeva: - Padre mio, trovo che non c’è bisogno di rassegnazione se non per
vivere; per morire non provo che gioia. E quindici giorni prima della morte
scriveva: “Sono un fiore primaverile che il padrone del giardino coglie per suo
diletto. Tutti siamo fiori piantati su questa terra e che Dio coglie a suo
tempo, quale più presto e quale più tardi. Ma, io piccola effimera, me ne vado
la prima!”
Se ne andò il 30 settembre 1897:
- Madre mia – diceva quella mattina alla priora – il calice è pieno fino
all’orlo. Non avrei mai creduto che fosse possibile soffrir tanto... Ma tutto
ciò che ho scritto circa il mio desiderio di patimenti, è verissimo. Non mi
pento di esser mi consacrata all’amore. E più tardi: - Ma è questa l’agonia? Non
sto per morire. E alla risposta affermativa: - Ebbene, andiamo, andiamo: “oh!
No, non vorrei soffrir meno! Poi fissando lo sguardo sul Crocefisso: Oh, io
l’amo! O mio Signore, io vi amo! E fu la parola che chiuse per sempre le labbra
mortali.
Fiori del Carmelo ambedue: lei, la
Piccola Teresa di Lisieux e la sua grande madre di quattro secoli fa, Teresa
d’Avila. E per loro il nome di Teresa significa ormai la pienezza dell’amore
tanto nella via inaccessibile dell’estasi e del rapimento, quanto nell’altra
semplice e piana dell’abbandono infantile, cieco alle mani sicure e forti del
Padre dei Cieli.
La grande Madre
è il genio del pensiero e dell’azione che nel sasso terrestre scava per Iddio
una nuova fonte di santità e di dottrina, è l’acqua che affissa gli occhi nel
sole e riflette sulla terra il lume immortale. La figliola, la seconda Teresa,
non osa avere i voli e gli ardimenti dell’aquila. Le grandi opere mi sono
vietate. Io non posso predicare il Vangelo né versare il sangue. I miei
fratelli lavorano per me, mentre io, povera fanciulla, me ne sto vicinissima al
Trono reale ed amo per coloro che combattono”.
Ebbene la
Piccola fanciulla saprà spargere dei fiori, imbalsamerà dei loro profumi il
trono divino, canterà con la sua voce argentina il cantico dell’amore. “Non un
solo fiore io troverò senza sfogliarlo per il mio diletto. E poi canterò,
canterò sempre, anche se debbo cogliere le mie rose in mezzo alle spine. Il mio
canto sarà tanto più melodioso quanto più queste spine saranno lunghe e
pungenti”.
E ancora: “Per Te – io lo so, o
mio diletto – i santi hanno commesso follie ed operato cose grandi perché erano
aquile. Ma io sono troppo piccina per farne e la mia follia consiste nello
sperare che il Tuo amore voglia accettarmi quale vittima: la mia follia
consiste nel contare sugli angeli e sui santi per volare fino a Te con le Tue
medesime ali, o mia aquila adorata! Me ne starò quanto vorrai con l’occhio
fisso a Te poiché voglio essere affascinata dal Tuo sguardo Divino e fatta
preda del Tuo amore. Un giorno, lo spero, Tu piomberai sopra di me,
trasportandomi nel focolare dell’amore, mi immergerai finalmente in quella
ardente voragine per rendermi vittima fortunata in eterno!”.
Così questo
piccolo fiore dei nostri giorni raggiunge le cime più alte di quella tradizione
mistica che in tutti i tempi fu uno dei segni caratteristici della Chiesa di
Dio. La fioritura del Carmelo sbocciata superba con Teresa d’Avila e Giovanni
della croce si accresce con Lei di nuovo splendore e di nuovo profumo. E per
tutte le anime è aperto un nuovo solco luminoso, il solco della “piccola via”
della seconda Teresa.
Ed in questa
giornata mentre a S. Pietro il Papa si inginocchia davanti all’immagine della
povera carmelitana e per venerarla con lui si stringono intorno all’altare del
pescatore fedeli romani e pellegrini francesi e forestieri di ogni nazione, il
pensiero corre al lontano Carmelo di Lisieux, dove le sorelle della Beata,
sorelle nella famiglia della carne e nella famiglia dello spirito, esultano e
piangono e pregano...
ENRICO PUCCI
ooOoo
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