Un’anima altamente eucaristica,
ELENA
ROCCA,
nel ricordo del fratello PEPPINO
...........................................
Confesso che nel leggere la prima
parte
di questa lunga lettera di Giuseppe
Rocca
a Don Giuseppe Mazzanti (1879-1954)
stesa a 32 anni di distanza dalla
morte della sorella
mi è sembrato di rivedere Teresa e
Rodrigo
nella loro casa di Avila,
intenti ai loro giochi di ispirazione
religiosa.
E soprattutto ho pianto
quando racconta gli estremi istanti
della sorella...
Ho avuto la netta sensazione
che ella venisse risucchiata
nel fulgore eterno!
....................................
CICLO SULLE TOMBE DELLA FAMIGLIA ROCCA
AL PIRATELLO DI IMOLA
LA TOMBA DI ELENA ROCCA (1893-1919)
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LA FOTO DI ELENA
LA TOMBA DEL FRATELLO GIUSEPPE ROCCA
(1891-1985)
LA FOTO DEL FRATELLO GIUSEPPE
TESTIMONIANZA DI GIUSEPPE ROCCA SULLA SORELLA ELENA
LA LETTERA INDIRIZZATA A DON GIUSEPPE
MAZZANTI
Carissimo Don Peppino,
spero avrà ricevuto a suo tempo la mia
lettera in risposta alla sua gentilissima in data 21-8-51 nella quale mi faceva
un dovere di scrivere le mie testimonianze sulla cara sorella Elena.
Solo ora, e
chiedo umilmente scusa del ritardo, adempio la promessa fattale unendo alla
presente sette fogli commerciali scritti di mio pugno che mia sorella Maria le
consegnerà personalmente.
Favorisca
guardare se va bene quanto scritto e quando può, mi tenga informato. Invio a
Lei e Sorella cordialissimi saluti e ossequi.
Giuseppe Rocca
P. S. Lei mi parlò una volta di una profezia che l’Elena
aveva fatto su di me: si è poi avverata?
Io Rocca Giuseppe figlio di Giuseppe e di
Musconi Caterina nato a Imola (Balìa) il 19 maggio 1891, di professione
insegnante tecnico pratico domiciliato a Verona in Via S. Paolo, a chi mi ha
fatto un dovere di scrivere sulla mia cara sorella Elena posso dire quanto
segue:
L’Elena aveva due anni meno di me e perciò non posso
ricordare i particolari della sua nascita. Mi risulta tuttavia che fu portata
al Fonte Battesimale dalla sorella Teresa, ora Suor Colomba. Fu lei, l’Elena, a
rinnovare in Fonte Battesimale dopo la consacrazione del Sabato Santo. Madrina,
presente alla cerimonia, fu la Contessa Elena Recamadoro di Bologna.
L’Elena era di temperamento delicato e gentile. Da
piccola pareva un poco permalosa, ma la colpa era di noi fratelli e sorelle che
eravamo un po’ gelosi delle tenerezze della Nonna per lei e qualche volta
passando vicini all’Elena le facevamo delle smorfie poco piacevoli. Prendeva
parte ai giochi dell’infanzia, ma non tollerava atti sgarbati.
I nostri genitori erano piccoli proprietari di case e di
campi che lavoravano essi stessi, con l’aiuto dei figli. Il Papà commerciava
anche. Essi si servivano di noi bimbi per porgere la carità ai molti poveri che
bussavano alla nostra porta e ricordo che l’Elena compiva questo ufficio con
grande gentilezza.
VERSO LA PRIMA COMUNIONE
Abbiamo frequentato insieme la scuola
elementare di Fornace Guerrini e posso affermare che l’Elena ne traeva molto
profitto e che sia in classe che fuori tenne sempre ottima condotta. Quando ci
stavamo preparando alla Prima Comunione facevama a gara a chi imparava prima e meglio
la Dottrina Cristiana, ella però era sempre più brava di me. A quei tempi si
andava alla Prima Comunione all’età di 12 anni (io infatti ne avevo 12), ma
l’Elena vi fu ammessa ugualmente pur avendone soli 10. Questa eccezione alla
regola ritengo fosse dovuta più che all’opportunità di fare una sola festa in
famiglia, al fatto della precoce maturità spirituale di Elena.
Quando nel 1906 il fratello sacerdote Don Rocco fu
nominato, e prese possesso, in qualità di Canonico Parroco della Chiesa Cattedrale
d’Imola, chiamò con sé la famiglia. L’Elena giunta in città fu mandata come
alunna alla scuola di lavoro presso le Ancelle del S. Cuore dove si meritò la
stima e l’affetto delle Suore e delle compagne che spesso venivano a trovarla
anche a casa nostra.
LA STRANA MALATTIA
All’età di 14 anni l’Elena fu colpita da una misteriosa
malattia che tanto doveva farla soffrire fisicamente e moralmente. Dopo i pasti
era presa da sonnolenza e si assopiva profondamente. Fu prima curata in casa
dal medico di famiglia Dottor Angelo Mondini, poi fu messa sotto la cura del
Prof. Masetti, direttore dell’Ospedale Civile d’Imola, il quale la tenne una
ventina di giorni. Visto che invece di migliorare, peggiorava, la rimandò in
famiglia. I famigliari quando l’Elena ritornò dall’Ospedale Civile, la rimisero
sotto la cura del medico di famiglia Dott. Mondini. Intanto le condizioni
dell’Elena si era aggravate.
Il sonno da cui era presa dopo i pasti durava più a lungo
e quando si svegliava, non poteva né aprire la bocca, né articolare parola. Per
toglierla da questo stato si doveva ricorrere alla corrente elettrica, così
poteva mangiare; ma poi era ripresa dal sonno e si ripetevano i fenomeni di
prima e cioè la bocca rimaneva ermeticamente chiusa e la lingua rattrappita. Durante
questi periodi si vedeva che l’Elena soffriva molto; non ricordo di averla mai
vista compiere però o gesti incontrollati o fare del male ad alcuno. Il Dott.
Mondini che era in servizio presso l’Ospedale Luigi Scolli non poteva
continuare a rimanere a disposizione della nostra famiglia per fare in casa la
cura elettrica all’Elena. Propose egli allora di fare ricoverare l’ammalata
nell’ospedale dove lui prestava la sua opera, al fine di far meglio e con più
tranquillità la cura elettrica.
L’APPARIZIONE DI S.
ANTONIO DI PADOVA
I famigliari erano tutti contrare a mettere la loro Elena
in cura in un ospedale per malati di mente perché essi non avevano mai
riscontrato in lei alcun sintomo di alienazione mentale. Avendo però essi la
massima stima e fiducia nel loro medico curante non ritennero in coscienza di
poter negare il loro consenso alla proposta del Dott. Mondini. Anche l’Elena,
pur avendo piena coscienza del del luogo e dell’ambiente in cui si sarebbe
venuta a trovare, aderì al desiderio del medico e a piedi, accompagnata dalla
sorella Maria, si recò all’ospedale Luigi Lolli. Questo avenne il 5 dicembre
1907.
Purtroppo anche questa cura non diede i risultati
sperati, il male anzi si andò sempre più aggravando. Le sofferenze fisiche e
morali dell’Elena aumentarono a dismisura. Vista inutile tutta la scienza
umana, tutti di famiglia ricorsero con ancor più fiducia, umiltà ed insistenza
alla Scienza Divina.
Pregarono e fecero pregare interponendo l’intercessione
della Vergine SS. e dei Santi. Il Signore che “atterra e suscita”, che “affanna
e che consola” pose termine con una guarigione miracolosa ed istantanea
alle sofferenze dell’Elena e dei famigliari suoi. Seppi poi dall’Elena che le
era apparso S. Antonio, da lei particolarmente invocato, con in braccio il
Santo Bambino Gesù, che le aveva detto: “Alzati
che sei guarita; vatti a casa che hai finito di penare”. Era il 23 gennaio
1908.
LA GAIEZZA
D’UN TEMPO
Sì, Elena infatti tornò subito in famiglia e da quel
giorno non sofferse più del male di prima, né si ammalò più per molti anni cioè
fino alla breve malattia che la portò poi alla tomba.
Dopo la miracolosa guarigione l’Elena riprese la gaiezza
del suo carattere, il suo sorriso dolce ed ingenuo, la grande voglia di
lavorare in casa e fuori casa, di dedicarsi ad opere di pietà, d’apostolato, di
carità verso i poveri, gli ammalati, di fare del bene ai piccoli sia con la
parola che con l’esempio. Ma soprattutto la vidi animata da una grandissima
pietà eucaristica. Dopo d’aver ricevuto la S. Comunione, alla quale si
accostava ogni giorno, e d’avere fatto il ringraziamento, ella rimaneva
lungamente inginocchiata nel suo banco, con le mani giunte e lo sguardo fisso
all’altare dove c’era il Taberacolo, immobile, quasi rapita in estasi. Più
volte l’ho vista in questo atteggiamento nella Cripta sotterranea di S.
Cassiano, e l’ho presente come se tuttora la vedessi.
QUEL FORTE
GRIDO DI DOLORE
Erano già passati alcuni anni dalla miracolosa guarigione
dell’Elena. Mi pare che fossimo nel periodo della Settimana Santa, ma non ne
sono certo. Avevamo appena finito di pranzare e tutti di famiglia eravamo
ancora a tavola. Solo l’Elena ed io eravamo già in piedi e si rideva e
scherzava. Ad un certo momento posai scherzando una mano sulla sua testa, ma
senza forza. L’Elena emise un forte grido di dolore e dal suo volto trasparve
l’espressione di un’acuta sofferenza. Si ritrasse in disparte piangendo. Mio
fratello Don Rocco mi sgridò severamente, e così pure la Mamma. Io rimasi
fortemente sorpreso perché non riuscivo a spiegarmi come mai una mano posata
così scherzando sulla testa di mia sorella Elena avesse potuto provocare ad
essa tanta sofferenza. Ricordo benissimo che la mia mano non aveva avvertito
nulla sulla testa di mia sorella all’infuori della normale sensazione dei
capelli.
Io allora non sapevo niente dei fatti straordinari
attribuiti all’Elena e cioè della crocetta incastonata sul petto, della croce
di spine, delle Stimmate ecc. Io consideravo allora mia sorella una buonissima
e bravissima ragazza, ma ero ben lungi dal pensare a queste cose. Solo più
tardi, a morte avvenuta, appresi queste cose e riandando col pensiero al fatto
su ricordato, pensai che l’Elena in quel giorno avesse in testa una invisibile
Corona di Spine. Solo così potevo spiegarmi il perché del dolore acuto provato
dall’Elena in quel giorno, al contatto della mia mano sul suo capo.
LA “SPAGNOLA”
Il giorno 27 dicembre 1918 Elena si mise in letto con
febbre. Il Dott. Mondini constatò poi trattarsi di polmonite. Aveva contratto
l’infezione del morbo terribile, la cosiddetta “Febbre Spagnola”, mentre
animata da un grande spirito di carità si recava, noncurante del pericolo, a
visitare gli ammalati per curarne il corpo e lo spirito. Dopo qualche giorno si
mise in letto anche il fratello Don Rocco colpito dallo stesso male, il quale
doveva poi a distanza di otto giorni seguire Elena nella tomba.
I genitori, la sorella Suor Colomba, il fratello Luigi
oggi sacerdote Salesiano, ed io ci alternammo al capezzale dei due cari infermi
per prestare loro le cure del caso e per confortarli. Intanto le condizioni di
Elena si andavano aggravando. Solo, vicino al al suo letto, l’assistevo. Ad un
certo momento ella allargò le braccia a forma di croce e rimase ferma, con le
gambe tese e gli occhi chiusi, per qualche tempo. Io che ero seduto alla
testata del letto posai le mie dita sul polso della sua mano destra per
seguirne l’andamento del cuore. In principio il cuore, anzi il polso batteva
regolarmente, poi man mano gradatamente diminuì d’intensità fin quasi a
fermarsi. Io seguivo con apprensione quanto stava accadendo e comprendevo
benissimo che la vita d’Elena stava spegnendosi, che avrei dovuto muovermi,
chiamare i parenti, il medico ed il Sacerdote; ma una forza superiore alla mia
volontà mi obbligava all’inazione.
“MI LASCI MORIRE SENZA
SACERDOTE?”
Ad un tratto l’Elena si scosse, aprì gli occhi, voltò di
scatto il capo verso di me e mi rimproverò con le parole seguenti: “Mi lasci dunque morire senza Sacerdote?”. Io
avvertii subito i parenti del desiderio di Elena, poi tornai vicino al suo
letto. Poco dopo, a voce bassa, quasi parlasse a se sola, soggiunse: “Se non faccio una confessione generale, non
muoio”
Di lì a poco il confessore arrivò, accolto con molta
gioia da Elena, ed io mi ritirai.
Un altro giorno mi trovavo
pure solo nella camera di mia sorella. Le sue condizioni si erano aggravate
ancora e si vedeva che l’Elena soffriva molto. Col cuore pieno di angoscia
cercavo tuttavia di confortarla e d’incoraggiarla. Ella lottava con grande
forza d’animo: solo di tanto in tanto pareva aveese dei momenti di angoscia e
di lotta.
“SONO
VISSUTA MORTA, SONO MORTA VIVA”
Ad un tratto mi fece cenno di avvicinarmi. “Ricordati bene, mi disse, che sulla lapide della mia tomba voglio
siano poste le parole seguenti: SONO VISSUTA MORTA, SONO MORTA VIVA”. Io le dissi di sì per tranquillizzarla e
cercai di cambiare discorso dicendole che non sarebbe morta.; ma ella volle che
subito ed in sua presenza prendessi nota per iscritto della frase da lei dettatami.
Dopo di che si mise più calma.
A TU PER
TU CON DON ROCCO
Il giorno 1° gennaio Elena espresse il desiderio di
vedere e di parlare a Don Rocco. Gli fu osservato che era in letto con febbre e
che non era bene che si muovesse. Ella insistette. Don Rocco saputo del
desiderio della sorelle andò su da lei. Quando ritornò in camera sua e si fu
messo a letto mi disse di andare nella camera dell’Elena a prendere una
cassettina chiusa a chiave che si trovava nel cassetto del suo comò, e mi
indicò il posto dove avrei trovato la chiave. Io andai su a prendere la detta
cassettina e la chiave e portai tutto nella camera di Don Rocco.
Questi mi fece aprire la cassetta in sua presenza e mi
pregò di bruciare tutti gli incartamenti che vi si trovavano dentro. Io ero
restio ad obbedire, ma egli insistette ed allora io buttai alcune di quelle
carte sul fuoco del caminetto che ardeva in camera. In quel mentre entrò nella
camera di mio fratello un sacerdote di cui ora non ricordo il nome, venuto a
far visita all’infermo. Egli mi chiese che cosa stessi facendo ed io risposi
che stavo bruciando documenti che riguardavano l’Elena. Egli si mostrò molto
sorpreso di quanto stavo facendo e mi pregò di smettere. Don Rocco non si
oppose ed io rimisi tutto dentro la cassetta e la chiusi a chiave. Io non lessi
allora, né dopo; nessuna di quelle carte perché mi sarebbe sembrata una
profanazione. L’Elena era restia a rendere pubbliche cose che la riguardavano
ed io non mi permisi di andare contro la sua volontà. Così non so di preciso di
che cosa si trattasse.
Il medico curante Dott. Mondini che seguiva da vicino e
con grande cura la malattia dell’Elena era preoccupato per l’aggravarsi del
male. Propose un consulto medico per tentare tutte le vie di salvezza, ma dopo
d’aver visitata l’ammalata, i medici dichiararono che non c’era più niente da
fare. Quanta pena provai in quei
terribili momenti! Era immensamente doloroso assistere impotenti al
disfacimento del corpo dell’amatissima sorella ed alle sue gravi sofferenze.
L’Elena che era conscia del suo male non si faceva illusioni e diceva
chiaramente che sarebbe morta. Io invece osavo ancora sperare.
LA LOTTA
CONTRO UN ESSERE INVISIBILE
Verso sera le sue
condizioni precipitarono. Si manifestarono poi dei fenomeni strani; Elena era
inquieta e pareva lottasse con un essere invisibile; diceva di essere stata
cattiva, d’avere finto. Tentava di sollevarsi sul letto a sedere, forse per
respirare meglio ed io cercavo di reggerle la testa e le spalle. Suor Colomba
le asciugava il sudore, le prestava ogni cura e la Mamma era lì presente che
assisteva col cuore sanguinante a tutte le sofferenze fisiche e morali della
sua creatura. Don Peppino Mazzanti l’assisteva spiritualmente con grande amore,
le faceva coraggio, le parlava della bontà di Gesù, del suo perdono. L’Elena
chiese di confessarsi e i famigliari uscirono dalla stanza. Quando ritornammo
dall’Elena, la trovammo quieta e tranquilla. Don Peppino stava recitando la
preghiera degli agonizzanti in italiano e si vedeva che l’ammalata era presente
a se stessa e capiva il significato delle preghiere.
SERENAMENTE IN CIELO
La morte però stava avvicinandosi. Di lì a poco infatti
vidi chiaramente salire lentamente, che dall’esofago della sorella una specie
di palla, forse catarro che le strozzava la gola e le tolse il respiro. L’anima
dell’Elena volò serenamente in Cielo. Erano le ore 2.15 del 2 gennaio 1919.
Suor Colomba ed io portammo via la Mamma che l’Elena
aveva poco prima abbracciata affettuosamente e cercavamo di consolarla e di farle
coraggio. Ritornato subito dopo nella camera della defunta, rimasi molto
consolato nel vedere il suo volto atteggiato ad un soavissimo sorriso. Non
sembrava morta ma che dormisse e sognasse il Paradiso. All’angoscia dell’agonia
e della morte subentrò allora nell‘animo mio e dei miei cari una grande calma e
rassegnazione.
LA RESSA
PER VEDERE LA SALMA
Intanto in città si era sparsa la notizia della morte di
Elena. Le amiche ed una grande quantità di persone facevano ressa nel corridoio
dell’entrata e nella strada e insistentemente chiedevano di vedere la cara
salma. Ora erano incuranti del pericolo di contrarre la “Spagnuola”; pericolo
che nei giorni precedenti avevano tenute lontane le amiche. I famigliari
avrebbero voluto accontentarle, ma temevano che il rumore delle molte persone
che avrebbero dovuto salire e scendere le scale avesse a commuovere troppo il
caro Don Rocco che stava male.
La gente intanto cresceva ed insisteva. Andai allora a
chiedere al fratello Don Rocco se dovevo lasciare salire tutta quella
moltitudine. Egli mi disse di sì. In silenzio e quasi con venerazione la gente
sfilava in fila indiana attorno al feretro dell’Elena, che vestita con la
divisa di “Figlia di Maria” con una corona di fiori bianchi in testa ed il
volto sorridente, sembrava una Santa. Le visite alla salma continuarono poi per
tutto il tempo che rimase in casa. Poi seguirono i funerali che per la grande
moltitudine di gente accorsa riuscirono un trionfo ed una grande manifestazione
di affetto e di cordoglio. Le virtù dell’Elena venivano così esaltate.
Dopo la morte dell’Elena le condizioni di Don Rocco si
andarono sempre più aggravando nonostante le cure amorose dei medici e dei
famigliari e il giorno 9 gennaio l’anima sua volò in Cielo a ricongiungersi con
quella dell’amata sorella Elena. Così, alla distanza di soli otto giorni, due
grandissimi lutti funestarono la nostra famiglia. Il Signore ci aveva duramente
provati, ma ci aveva anche elargito tanta rassegnazione e tanta forza d’animo
da essere noi, quasi a consolare quelli, parenti ed amici, che venivano a
presentarci le loro condoglianze.
Racconterò ora un fatto accaduto a me stesso.
Dopo la morte della sorella e del fratello
ritornai alla mia occupazione e cioè al lavoro di tornitore meccanico presso le
Officine Meccaniche Bruno Astorri e C. d‘Imola. Mi era allora stato affidato
dai dirigenti l’alesatura del foro di un grosso volano in ghisa del peso di
alcuni quintali. Il volano era in posizione verticale ed io di tanto in tanto
lo facevo rotolare sul pavimento dell’officina per meglio procedere nel lavoro
di finitura a mano del foro. Durante uno di questi movimenti il volano, forse
per un dislivello del pavimento, perdette l’equilibrio e minacciò di
ribaltarsi. Io tentai di oppormi alla sua caduta , ma il peso del volano era
assai superiore alle mie forze e in questo tentativo mi esposi al pericolo di
rimanere schiacciato dal volano.
Ebbi allora la sensazione della gravità della mia
situazione e ricorsi con fiducia all’aiuto divino. Ebbi l’ispirazione e vi
riuscii non so come di spingermi più sotto il volano e di cercare di infilare
la testa e le spalle nello spazio vuoto compreso tra due razze consecutive e la
corona e il mozzo del volano stesso. Questo cadde pesantemente sul pavimento
lasciandomi completamente illeso. Io rimasi sorpreso, sbalordito di vedermi
sano e salvo, e quasi non credevo ai miei occhi. In quel momento, e lo ricordo
come fosse or ora, ebbi la percezione chiara e precisa che dovevo la mia salvezza alle preghiere ed all’intercessione della
cara sorella Elena che dal Cielo mi aveva protetto e salvato da un grave
pericolo.
Anche in altri momenti critici della mia
vita ho esperimentato il suo aiuto e la sua protezione.
Verona Ottobre 1951
Giuseppe Rocca
Ciclo su Elena Rocca (1893-1919): A
SUOR IMELDE (20-3-1910)
L’ULTIMA FOTO DI ELENA ROCCA
Elena, non credevo di vederti
con una chioma tanto affascinante.
Sembri davver la Sposa dell’Agnello,
pronta ad andargli incontro con fulgore!
(Ferrara 24-4-2016), Padre Nicola Galeno
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