Il sacerdozio, il mio sogno!
Omelia tenuta dal P. Provinciale
in occasione del funerale di P. Filippo Calabrese
Padre Filippo Calabrese |
Chiesa S. Maria del Monte
Carmelo, Bari
Carissimi Confratelli,
Sacerdoti, Religiose e amici tutti qui presenti, ci onorate con la vostra presenza
e con la vostra preghiera; ci sostenete con la vostra compagnia Ìn questo
momento delicato della nostra vita. Grazie a tutti e a ognuno di voi.
Con P. Filippo se ne va un pezzo della nostra
storia, un anello di quella trasmissione della vita che è fatta di persone, di
situazioni, di luoghi e aneddoti; e lui, senza dubbio, è stato un ottimo
trasmettitore di quel tessuto della tradizione della nostra Provincia. Educava
narrando, facendo emergere quell'umanità buona incontrata in tanti confratelli,
con i quali aveva condiviso un pezzo, più o meno lungo della sua esistenza.
Quando raccontava la sua vita da frate, sembrava
che - almeno per un istante - il tempo si contraesse, quel momento tornasse a
vivere e attraverso quello, potessimo entrare anche noi.
P. Filippo era felice di essere frate. Era felice
di essere sacerdote. Da questa attitudine veniva tutta quella felicità che
traspariva dalla sua ilarità, dalla battuta sempre pronta, dalla sua
cordialità.
Da ragazzo, quando era chierichetto, insieme a P.
Bemardino Lieto, percorreva le strade sterrate di questa parrocchia per le
benedizioni delle case o per accompagnare un defunto. Parlava ancora quasi solo
in barese, quando P. Egidio Imperatore o P. Eusebio Mariani lo invitavano a
salire in convento e gli sembrava di vedere una bellezza mai conosciuta prima;
gli sembrava di essere parte deIl’immensità del mondo; gli sembrava di aver
intravisto qualcosa di quella gioia che riempie l'universo e contiene tutte le
creature e gli uomini quando sanno vedere.
Così, partì per Maddaloni con le sue valigie di
cartone e il materasso arrotolato, accompagnato da Fr. Isidoro Palumbo. Era
l'anno 1951. Nei suoi appunti ha annotato: "Sono
andato via dalla casa patema (papà Domenico, la mamma Anna Sforza, le sorelle Anna
e Giovina e il fratello Gaetano) per continuare gli studi superiori nel
Collegio Apostolico dei PP. Camelitani Scalzi in Maddaloni (CE), come aspirante
alla Vita religiosa e in preparazione al Sacerdozio ... si rafforzava in me la convinzione
che era questa la scelta di vita che il Signore mi ispirava”.
L’11 ottobre 1957 - “anno di grazia”- emise la sua prima professione religiosa. Rimase
sempre grato al suo maestro di noviziato, P. Andrea De Conno.
Compì i suoi studi di teologia tra Napoli e Caprarola
(VT). L’8 agosto 1965 fu ordinato sacerdote. P. Filippo ricorda questo momento
scrivendo: “Dal 1962 al 1965 ho frequentato
il corso di teologia per raggiungere il Sacerdozio, il mio sogno”.
Ciò che P. Filippo cercava, quella bellezza che
aveva intravisto nella vita buona di tanti Padri Carmelitani Scalzi conosciuti
stava nel suo essere sacerdote
e religioso. Quello che prima era un "sogno"
da ragazzo, adesso era realtà: quella bellezza gii avrebbe riempito la vita.
Ecco, era questo che voleva.
Nel 1966 tornò a Napoli e frequentò l'anno di
pastorale in Diocesi: "Così inizio il
mio compito di Sacerdote-religioso OCD". Descrive quei primi anni di
sacerdozio con entusiasmo, ricordando l'esperienza come confessore ai carcerati
di Poggio Reale, in Napoli. "Prime
esperienze pastorali e tanta commozione”. (Quando ha scritto questo, credo che una lacrima abbia
bagnato il foglio).
Con altrettanto entusiasmo, scrive: "Nel 1970, ho finalmente il permesso di
andare a Scuolaguida. Divento, con grande soddisfazione, autista. E’ bello
guidare la macchina!”.
P. Filippo era sempre rimasto quel ragazzo vivace
che metteva scompiglio in casa, che sognava di comprarsi un paio di scarpe da
ginnastica per giocare a calcio, l'altra sua grande passione.
Per molti anni risedette a Maddaloni dove rivestì
diversi incarichi, come vicerettore, rettore, economo, vicesuperiore e infine
superiore. Una "carriera a Maddaloni”,
come scherzosamente annota. Amò molto stare
"tutti i pomeriggi con i ragazzi che fanno i loro compiti...".
Dopo un breve passaggio a Bari (1980-1983), dal
1983 al 1989 svolse il suo ufficio di superiore a Montechiaro (casa di
noviziato). A Piano di Sorrento intraprende
quell'apostolato semplice fatto di relazioni e cordialità.
Con altrettanto zelo e umanità, per dieci anni
permase a Brindisi – Jaddico, dove -scrive- «Ci
si ubriaca di confessioni... ascolti la mattina, ascolti nel pomeriggio, fino a
sera tardi”. Di quella conventualita ricorda un evento, per lui unico: il
viaggio -gratis- in Terra Santa, nei
luoghi di Gesù; "... E che gioia quando mi portarono sul Monte Carmelo! Ho visto la culla del nostro Ordine! Una
bella Chiesa con la statua deìla Madonna del Carmine e un grande
convento".
La sua calda umanità e la sua gioia mi spinsero -
allora Provinciale- a portarlo a Bari, nominandolo Maestro degli studenti. Era l’anno
1999. A tutti resta nel cuore la giovialità del suo servizio e la paternità del
suo tratto. Nei suoi appunti dice; "Mi
trovo qui a Bari, in parrocchia, invecchiando (?), ma sereno e gioioso, con una
numerosa famiglia parrocchiale di giovani e anziani a lodare il Signore.
Alleluja!”. Lui ha amato questa comunità, perché era la sua famiglia.
Carissimi ho voluto solo pennellare un frammento
dell'umanità serena e cordiale di P. Filippo, evidenziando la freschezza di
vita, l'ilarità che non Io faceva invecchiare, la sua memoria grata e
riconoscente all'Ordine, alla Chiesa, alla sua famiglia; la sua capacità di
essere uomo di relazioni, sebbene timido; il suo essere religioso-sacerdote
felice della vocazione e missione ricevute.
Mi piace ricordare ancora due aspetti della vita di
questo nostro caro fratello: la sua testimonianza vocazionale e la stagione
della malattia.
La prima testimonianza la narro per i ministranti e
poi per tutti voi, perché la vocazione di P. Filippo è nata in questa chiesa.
Nella sua vita di religioso-sacerdote, P. Filippo aveva compreso che c'è una
meravigliosa bellezza nel poter amare gli altri, perché è l'amore di Dio che si
mostra agli uomini attraverso la propria persona.
P. Filippo è stato come un flauto attraverso cui Dio
ha potuto suonare la Sua bellezza, il Suo bene per gli uomini. È stato uno
strumento della Sua voce e lui, fin da ragazzo, con la sua cotta e le scarpe da
ginnastica nuove, non ha avuto bisogno
di nient'altro: gli è bastato credere di poter amare e decidere di volerlo fare
per gli altri.
Credo che per questa ragione amasse il vangelo
della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Forse lui si sentiva come quel
ragazzo che aveva solo "cinque pani d'orzo
e due pesci” (Gv. 6, 9-13), ma Gesù lo aveva preso sul serio quel bambino e
per questo aveva moltipllcato quel poco in molto, per tutti. Nessuno abbia timore
di osare, di mettere a disposizione di Gesù il poco che possiede. Non aver
paura! Gesù fa felici!
La seconda testimonianza passa attraverso la sua
malattia, tra la consapevolezza di farcela e la resa credente. Mi ha stupito,
fin dall'inizio della sua malattia, la fedeltà alla preghiera e agli atti
comuni. Non si è mai lamentato, sebbene i dolori e i disagi fossero crescenti.
Restavo sempre stupito, nel mutuo riservo, nel vedere l'amore e l'attaccamento
alla vita, ma quando ha compreso che il tempo si era fatto breve, non ha
sciupato nulla. Ha
saputo
offrire in maniera silente e discreta, con quella dignità che ti lascia "nudo"
come Cristo sulla croce, scheletrito eppure con un'autorevolezza che è fatta
solo di presenza, di sguardi, di un sorriso, di una mano tesa e di un corpo abbandonato.
Credo che P. Filippo avesse compreso che la vita
etema non era lontana, anzi si era fatta estremamente vicina. Uno dei suoi
ultimi interventi come superiore è stato sulla misericordia, sulla capacità che
dobbiamo avere nel vedere le tante cose buone che Dio compie nella vita di ogni
persona. E come se avesse avuto chiaro che se solo fosse riuscito a prendere
qualcuno e lo avesse avvicinato ed amato (Mt. 25, 34-40), come dice il Signore,
allora la grandezza di Dio si sarebbe già schiusa ai suoi occhi; la pace
avrebbe già colmato la sua anima e sarebbe stata l'eternità ad entrare, già
ora, nella sua vita. Perché è
nell’umanità
la nostra bellezza. È qui la nostra salvezza: sta già qui. È l'amore l’etemita,
la bellezza che cerchiamo, come mendicanti, per tutta la vita. Oltre all'amore
non resta altro, non c'è altro (1 Cor. 13, 8-13).
A
mezzogiorno del 16 luglio, durante la Supplica alla Madre nostra del Carmelo,
piacque a Colui al quale aveva dedicato la vita portarlo via con sé. P. Filippo
ci ha lasciati così: mentre eravamo tutti dinanzi a Maria, sotto il manto di
Lei "Fior del Carmelo, Vite fiorita,
Splendore del cielo, Stella del mare, Madre mite ed intemerata",
mentre celebravamo “l'ossequio"
di Gesù Cristo.
Non
posso chiudere senza dire il mio sentito e cordiale grazie alia comunità religiosa
di Bari, ai PP. Carlo, Pietro, Luigi Borriello e Fr. Maurizio. Una gratitudine particolare
sento di doverla esprimere a P. Carlo, per la dedizione e l’attenzione che ha
riservato in tanti momenti della malattia di P. Filippo. Certo, è più quello
che abbiamo ricevuto che quello che abbiamo dato, ma ci ha fatto tanto bene.
Altrettanta
gratitudine riservo alle Signore Giovanna e Maria Pia , al Dott. Restini e al
Dott. Costanza. Grazie ai religiosi della Provincia e ai tanti sacerdoti che ci
onorano con la loro presenza, grazie alle religiose e al’OCDS, ai tanti amici
che non hanno mai fatto mancare l'affetto e l'attenzione, in particolare a
quelli provenienti da Piano di Sorrento. Grazie a tutti voi qui convenuti, che ci
accompagnate nella preghiera e con tanta fraternità. Un saluto speciale riservo
alla sorella Giovina, alla cognata e ai nipoti di P. Filippo: vi ha portati nel
suo cuore di frate e sacerdote, sempre.
Bari, 17 luglio 2013 P. Luigi Gaetani, OCD, Provinciale
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