AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

domenica 17 novembre 2024

1 ORIENTAMENTI PER IL CULTO DELLA VERGINE - Prima conferenza per l'Avvento di Padre CLAUDIO TRUZZI OCD


 

– 1 –
"ORIENTAMENTI PER IL CULTO DELLA VERGINE"
Maria occupa un posto fondamentale nel Cristianesimo, sia riguardo a Dio che nel suo rapporto con i fedeli. La devozione verso di Lei ha seguito lo scandire dei secoli. Il Concilio ha riproposto la Sua figura ed il culto verso Maria nel modo dovuto. Sembra strano, ma ancora ai nostri giorni talvolta si manifesta in forme ed atteggiamenti non sempre adeguati e sani. 
Papa Paolo VI nella Esortazione Apostolica "Culto Mariano" (Marialis cultus), ci offre alcuni orienta-menti di base per il culto a Maria, che renderanno la nostra devozione a Maria, sana, vera, "mariana". 
Il culto a Maria oggi
«La devozione verso la Vergine Maria – scrive il Papa – (...) è elemento qualificante della genuina pietà della Chiesa. Per intima necessità, infatti, essa rispecchia nella prassi cultuale il piano redentivo di Dio, per cui, al posto singolare che in esso ha avuto Maria, corrisponde un culto singolare per lei; come pure, ad ogni sviluppo autentico del culto cristiano consegue necessariamente un corretto incremento della venerazione alla Madre di Dio...
Nel nostro tempo, i mutamenti prodottisi nel costume sociale, nella sensibilità dei popoli, nei modi di espressione della letteratura e delle arti, nelle forme di comunicazione sociale, hanno influito anche sulle manifestazioni del sentimento religioso. Certe pratiche cultuali – che un tempo non lontano apparivano atte ad esprimere il sentimento religioso dei singoli e delle comunità cristiane – sembrano oggi insufficienti o inadatte, perché legate a schemi socio-culturali del passato, mentre da più parti si cercano nuove forme espressive dell'immutabile rapporto delle creature con il loro Creatore, dei figli con il loro Padre.
Ciò può produrre in alcuni un momentaneo disorientamento...». 
Tre orientamenti per il culto della Vergine
* Biblico – «La necessità di un'impronta biblica in ogni forma di culto è oggi avvertita come un postulato generale della pietà cristiana. ... Il culto alla Vergine non può essere sottratto a questo indirizzo generale della pietà cristiana, anzi ad esso si deve ispirare per acquistare nuovo vigore e sicuro giovamento. La Bibbia, proponendo in modo mirabile il disegno di Dio per la salvezza degli uomini, è tutta impregnata del mistero del Salvatore e contiene anche, dalla Genesi all'Apocalisse, non indubbi riferimenti a colei che del Salvatore fu madre e cooperatrice. (...)
L'impronta biblica esige, soprattutto, che il culto della Vergine sia permeato dei grandi temi del messaggio cristiano, affinché, mentre i fedeli venerano colei che è "sede della Sapienza", siano essi stessi illuminati dalla luce della divina Parola ed indotti ad agire secondo i dettami della Sapienza incarnata».
* Liturgico – «... La norma della costituzione Sacrosanctum Concilium (La sacra liturgia), mentre racco-manda vivamente i pii esercizi del popolo cristiano, aggiunge: “Bisogna però che tali esercizi, (...), siano ordinati in modo da essere in armonia con la sacra liturgia, da essa traggano ispirazione, e ad essa, data la sua natura di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano.
... Due atteggiamenti potrebbero render vana nella prassi pastorale la norma del Concilio Vaticano II:
– innanzi tutto, l'atteggiamento di alcuni che si occupano di cura d'anime, i quali disprezzando a priori i pii esercizi – che pure, nelle debite forme, sono raccomandati dal Magistero – li tralasciano e creano un vuoto che non provvedono a colmare; essi dimenticano che il Concilio ha detto di armonizzare i pii esercizi con la liturgia, non di sopprimerli.\
– In secondo luogo, l'atteggiamento di altri che, al di fuori di un sano criterio liturgico e pastorale, uniscono un insieme di pii esercizi e atti liturgici in celebrazioni ibride. Avviene talora che nella stessa celebrazione del sacrificio eucaristico vengano inseriti elementi propri di novene o altre pie pratiche, con il pericolo che il Memoriale del Signore non costituisca il momento culminante dell'incontro della comunità cristiana, ma quasi occasione per qualche pratica devozionale.
A quanti agiscono così vorremmo ricordare che la norma conciliare prescrive di armonizzare i pii esercizi con la liturgia, non di confonderli con essa.
* Antropologico. «Nel culto alla Vergine si devono tenere in attenta considerazione anche le acquisizioni sicure e comprovate delle scienze umane… Si osserva, infatti, che è difficile inquadrare l'immagine della Vergine, quale risulta da certa letteratura devozionale, nelle condizioni di vita della società contemporanea e, in particolare, di quelle della donna nell'ambiente domestico [dove le leggi e l'evoluzione del costume tendono ... a riconoscerle l'uguaglianza e la corresponsabilità con l'uomo nella direzione della vita familiare]; sia nel campo politico, ...; sia nel campo sociale, ...; sia nel campo culturale ....
Ne consegue presso taluni una certa disaffezione verso il culto alla Vergine e una certa difficoltà a prendere Maria di Nazareth come modello, perché gli orizzonti della sua vita – si afferma – risultano ristretti in confronto alle vaste zone di attività in cui l'uomo contemporaneo è chiamato ad agire.
A questo proposito, ..., ci sembra utile offrire, noi pure, alcune osservazioni.
– Innanzi tutto Maria è sempre stata proposta dalla Chiesa all’imitazione dei fedeli non ... per il suo tipo di vita e, tanto meno, per l'ambiente socio-culturale in cui essa si svolse – oggi dovunque superato –; ma perché ella aderì totalmente e responsabilmente alla volontà di Dio; perché ne accolse la parola e la mise in pratica; perché la sua azione fu animata dalla carità e dallo spirito di servizio; perché, insomma, fu la prima e la più perfetta seguace di Cristo: il che ha un valore esemplare, universale e permanente.
– In secondo luogo, vorremmo notare che le differenze sopra accennate sono in stretta connessione con alcuni connotati dell'immagine popolare e letteraria di Maria, non con la sua immagine evangelica, né i dati dottrinali precisati nel lento e serio lavoro di esplicitazione della parola rivelata. (...)
La Chiesa, quando considera la storia della pietà mariana, si rallegra costatando la continuità del fatto, ma non si lega agli schemi rappresentativi delle varie epoche culturali, né alle particolari concezioni antropologiche che stanno alla loro base, e comprende come talune espressioni di culto, perfettamente valide in se stesse, siano adatte a uomini che appartengono a epoche e civiltà diverse».               
Per un "sano culto"....
Dopo aver offerto queste direttive, ordinate a favorire lo sviluppo armonico del culto della Madre del Signore, il Papa ritiene opportuno richiamare l'attenzione su alcuni atteggiamenti cultuali erronei.
«Il Concilio Vaticano II ha già autorevolmente denunciato 
– sia l'esagerazione di contenuti o di forme che giunge a falsare la dottrina, 
– sia la grettezza di mente che oscura la figura e la missione di Maria;
– nonché alcune deviazioni cultuali:
° la vana credulità, che al serio impegno sostituisce il facile affidamento a pratiche solo esteriori; 
° lo sterile moto del sentimento, così alieno dal Vangelo che esige opera perseverante e concreta». (...)
«La vigile difesa da questi errori e deviazioni renderà il culto alla Vergine più vigoroso e genuino:
– solido nel suo fondamento, per cui in esso lo studio delle fonti rivelate e l'attenzione ai documenti del  Magistero prevarrà sulla ricerca esagerata di novità o di fatti straordinari; 
– obiettivo, nell'inquadramento storico, per cui si elimina ciò che è manifestamente leggendario o falso; 
– adeguato al contenuto dottrinale, per evitare presentazioni unilaterali di Maria, le quali, insistendo più  del dovuto su un elemento, compromettono l'insieme dell'immagine evangelica; 
– limpido nelle sue motivazioni, per cui con diligente cura sarà tenuto lontano ogni meschino interesse. 
Infine, ... vorremmo ribadire che lo scopo ultimo del culto alla beata Vergine è di glorificare Iddio e di impegnare i cristiani ad una vita del tutto conforme alla sua volontà». Papa Paolo VI  2-2-1974

1 – “AVE MARIA”, NELLA STORIA
«Il popolo cristiano ha fatto dell'Ave Maria il grido dei peccatori e dei bisognosi», è stato affermato. E chiunque sia stato pellegrino nel santuario di Lourdes, ha di certo ben presente nella memoria la fiaccolata serale in onore della Vergine, accompagnata dal possente canto dell'Ave Maria. 
Gli studiosi sono ormai unanimi nel ricondurre il nucleo di tale invocazione alla Madonna ai primordi dell'esperienza cristiana. L'archeologo francescano Bellarmino Bagatti (1905-1990) ha, infatti, scoperto su un muro, proprio sotto l'attuale basilica dell'Annunciazione a Nazareth, un'incisione risalente al primo seco-lo, con le parole Kàire Maria (Ave Maria). Così, grazie a quel graffito di un devoto mariano di duemila anni fa, si è potuto affermare che «la richiesta d’intercessione a Maria nasce praticamente con il cristianesimo stesso e il cattolico che recita le sue Ave Maria si riallaccia a una catena iniziata a Nazareth».
Il testo liturgico ufficiale è in latino: Ave Maria, gratia piena, Dominus tecum; benedicta tu in mulieribus, et benedictus fructus ventris tui, Jesus. Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatori-bus, nunc et in hora mortis nostrae. Amen. 
L’odierna traduzione italiana fu approvata dalla Congregazione per il culto divino l'11 aprile 1971: «Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te; tu sei benedetta fra le donne, e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte. Amen». 
L'evoluzione di tale struttura, fino alla sua definitiva ufficializzazione con l'inserimento nel Breviario romano emanato nel 1568 da papa Pio V, non è stata però fra le più lineari e rapide. L’Ave Maria porta il segno di tanti secoli e di tante mani che la composero un poco alla volta. Questa orazione, infatti, nella sua forma iniziale fu tra le prime utilizzate nella Chiesa, mentre nella sua forma completa fu tra le ultime grandi preghiere mariane, essendo stata composta nel secolo XV e ultimata nel XVI».
La più grande preghiera mariana
• La prima parte dell’Ave ha una spiccata derivazione biblica, richiamando i saluti che, nel vangelo di Luca, dapprima l'angelo Gabriele e successivamente la cugina Elisabetta porgono alla Vergine. 
• La seconda parte (“Santa Maria”) è più costruita in relazione al mistero di Maria, alla sua santità e alla maternità divina. Alle parole della prima frase, infatti, – tratte dal vangelo e utilizzate sin dai primi secoli – sono state gradualmente aggiunte quelle della vera e propria orazione, a partire dal "Sancta Maria, Mater Dei" presente dal XIII secolo nel Breviario dei Certosini. 
Secondo il biblista Giuseppe Ricciotti, il nome Maria (in ebraico Miym, pronunciato Miry’am) 
«ai tempi di Cristo era molto diffuso tra le ebree. Inoltre, non era nuovo nello stesso popolo ebraico: lo troviamo impiegato circa tredici secoli prima di Cristo per la sorella di colui che fu l'organizzatore e il legislatore del popolo ebraico, Mosè. Sembra, è vero, che nei secoli posteriori fosse caduto quasi in disuso: ma è certo che ai tempi del Nuovo Testamento era comunissimo, forse per influenza della famiglia degli Erodi, allora regnante, nella quale ci furono delle celebri Marie».
Le più autorevoli proposte relative al suo significato sarebbero due.
• La prima, risale agli anni Trenta, e si segnala una provenienza egiziana: «Molti nomi propri, conservatici dai geroglifici, sono formati da due parti: di queste, la prima è myr, che significa “amato”; la seconda è rappresentata dal nome di qualche divinità nilotica. Nel caso di Miiydm, la ydm finale sarebbe un'abbreviazione del nome di Dio presso gli ebrei». Dunque, è stato sottolineato da Messori, «dalle sabbie dell'Egitto e dalle sponde del Nilo ci verrebbe una Maria come "amata da Dio", intendendo proprio lo Jahvè d'Israele». 
• Più recente è invece la pista scaturita dagli scavi nell'antica città fenicia di Ugarit (nell'attuale Siria). Scrive ancora Messori: «La voce Miym, presente anche nell'ugaritico, è equivalente al termine ebraico maròm, che significa "altezza". Dunque, Mirya'm sarebbe da intendere come "l'Eccelsa"».
Mille anni per un’Avemaria
Esposto in questo modo, sembrerebbe che la formazione di questa bellissima preghiera sia avvenuta quasi spontaneamente. Non è stato, però, così. Ci volle precisamente un millennio per fondere questi tre saluti: un millennio che va dal secolo VI fino al secolo XVI. Sembra una favola, ma è la verità.
Come succede abitualmente con le preghiere più popolari, tutto inizia come il sussurro di un semplice rigagnolo. A poco a poco si aggiungono acque di diverse sorgenti; il rumore cresce e, in alcune occasioni, si converte in un fiume dalle acque abbondanti che sbocca nell’oceano della preghiera ufficiale della Chiesa.
La fusione del saluto dell’Angelo con quello di Elisabetta è testimoniata in una liturgia battesimale della Chiesa siriaca nel secolo VI. 
Si attribuisce in concreto a Severo d’Antiochia (+ 538). Su un coccio trovato a Luxor (Egitto) e datato nel secolo VII si legge la seguente preghiera: «Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te; 
benedetta sei tu fra tutte le donne e benedetto è il frutto del ventre tuo,
perché concepisti Cristo, Figlio di Dio e Redentore delle nostre anime». (Thurson H. Dict. de Spirit. 1.162)
Nella chiesa di Santa Maria Vetere, a Roma, esiste un’iscrizione mutila del 650, che riproduce anche i due saluti dell’“Ave Maria” in caratteri greci. Poco prima, al tempo di s. Gregorio Magno (590-604) ritornano ad apparire questi due versetti di Luca uniti come antifona della domenica quarta d’Avvento. Da questo momento l’“Ave Maria” inizia ad imporsi in ogni paese ed è commentata in sermoni, come quelli di s. Giovanni Damasceno, s. Bernardo, ed altri.
La recita quotidiana
L’“Ave Maria” passa dalla liturgia alla devozione popolare.
– Sorgono e si diffondono in ogni dove leggende relative alla forza misteriosa che emana dal fatto di reci-tare, una dopo l’altra, avemarie. L’“Ave Maria” appare su monete, timbri, vasi, candelabri. 
– La prima parte – i due saluti fusi in uno – s’inizia a recitarla come giaculatoria; e già verso il 1090 si sa che Ida, contessa tedesca, diffonde la devozione della sua recita per 60 volte al giorno. E verso il 1140, un santo monaco Alberto sostiene la pratica di recitarla ben 150 volte al giorno a ricordo dei 150 salmi.
••   Riguardo a questa prima parte dell’“Ave Maria”, soffermiamoci su altre “due parole” che, pur non apparendo nei testi evangelici, figurano però in questa preghiera. Ci riferiamo al nome di Maria, all’inizio, e a quello di Gesù, al termine. L’Angelo aveva salutato Maria, ma non l’aveva chiamata per nome. Tuttavia, quando i cristiani iniziano ad utilizzare le parole del saluto angelico, si vedono forzati a menzionare il suo nome, e lo introducono, quasi fin dai primi anni. Il nome di Gesù fu, invece, introdotto molto dopo, da papa Urbano IV, soltanto nel 1263.  ••
– In molte parti si associa questa preghiera a determinate penitenze, come espressione del culto mariano. Così la venerabile Ida di Lovanio (+ 1310) arrivò a compiere 1100 genuflessioni quotidiane, unite alle corrispondenti avemarie. E un’altra venerabile – Maria Maddalena di Martinengo – cappuccina, le recitava cento volte al giorno, accompagnate da altrettante prostrazioni, e consigliava le sue novizie ad imitarla. Intorno al Duecento, alcuni vescovi imposero la recita quotidiana dell'Ave Maria: ad es. il concilio di Treviri del 1237 ne stabilì la ripetizione 7 volte ogni giorno, insieme con altrettanti Pater noster e due Credo. 
A quel secolo risale una delle più antiche devozioni relative all'Ave Maria, originata dalla richiesta fatta dalla Vergine alla mistica benedettina s. Matilde di Hackeborn – durante una delle visioni narrate poi nel Liber specialis gratiae: la garanzia della sua assistenza quando si sarebbe trovata in punto di morte. Maria, le assicurò la propria amorevole presenza, chiedendole in cambio la recita ogni giorno tre Ave Maria. 
Poi le spiegò: «La prima Ave per onorare Dio Padre, che per la magnificenza della sua onnipotenza esaltò con tanto onore l'anima mia. La seconda per onorare il Figlio di Dio, che nella grandezza della sua inscrutabile sapienza mi adornò e riempì di tali doni di scienza ed intelletto che io godo di una visione della beatissima Trinità maggiore di quella di tutti i santi, e mi ha circonfusa di tanto splendore. La terza per onorare lo Spirito Santo che ha infuso in me la pienezza della soavità del suo amore, e mi fece così buona e benigna che, dopo Dio, io sono la più dolce e misericordiosa». Le illustrò quindi in dettaglio la sua promessa: «Nell'ora della morte io sarò presente, confortandoti e allontanando da te ogni forza diabolica. T’infonderò lume di fede e cognizione affinché la tua fede non sia tentata per ignoranza o errore. Ti assisterò nell'ora del tuo trapasso infondendo nell'anima tua la soavità del divin amore, affinché tanto prevalga in te che ogni pena e amarezza della morte si tramuti, per l'amore, in sentimento soave». 
Da allora, questa semplice devozione si diffuse in tutte il mondo, anche come sostegno contro le tentazioni di peccato. Lo ha in particolare suggerito sant'Alfonso Maria de' Liguori, il quale giungeva l'invocazione: «Per la tua pura ed immacolata concezione, e Maria, fa' puro il corpo e santa l'anima mia». 
Papa Leone XIII concesse indulgenze e permise la recita delle tre Ave Maria al termine di ogni messa [un'usanza durata sino alla riforma liturgica poste conciliare].
Un'altra devozione Mariana fu attuata nel Quattrocento dalla clarissa santa Caterina da Bologna (1413 e il 1463), che la recitava per mille volte di seguito durante la notte di Natale. Il 25 dicembre 1445, mentre era in preghiera nella cappella, le apparve la Madonna e le depose in braccio Gesù Bambino per una decina di minuti. Del prodigio fanno tuttora memoria le monache clarisse bolognesi, le quali nella veglia di Natale ripetono le mille Ave Maria. Più facilmente, la devozione può essere praticata recitando la preghiera alla Vergine ogni giorno per 40 volte nell'arco di 25 giorni: tradizionalmente si com¬pie nel periodo dal 29 novembre al 23 dicembre inclusi; ma in sostanza qualunque momento dell'anno va altrettanto bene.
Dalla pietà spontanea alle norme della Chiesa
Effettivamente, com’è successo con frequenza lungo la storia della Chiesa, quest’ultima interviene per mezzo della gerarchia per porre argini alla “focosità” dei devoti dell’“Ave Maria”. Nel corso dei secoli è talvolta emerso il rischio che a livello popolare l'Ave Maria venisse considerata una formula magica da recitare secondo regole fisse quando si richiedevano interventi soprannaturali a santi taumaturghi. 
Le limitazioni della Chiesa non significano repressioni, ma, al contrario, un’orientazione ed un appoggio. Così, nel Sinodo del 1198, il vescovo di Parigi, equipara l’“Ave Maria” al “Padre nostro” e al “Credo”, prescrivendo la sua recita con identico obbligo. La medesima cosa avviene in molti altri sinodi dell’Occidente: (Coventry, in Inghilterra (1237) e già prima a Trier (Germania, 1227), Valenza (Spagna, 1255).
A partire dal 1221 appaiono norme tra i monaci cistercensi, camaldolesi, ecc., che regolamentano, imponendone l’obbligo, la recita di tale preghiera. Nel 1266 i Domenicani la prescrivono anche per i religiosi Fratelli.
Nell'Ottocento però, essa diventa più nettamente l’invocazione che si rivolge alla Madonna nelle preghiere del mattino e della sera, nella recita quotidiana dell'Angelus e in quella del Rosario. 
Inserita in coroncine devozionali ai santi, essa vuole essere come il coinvolgimento della Madre di Dio, affinché, insieme ai santi esplicitamente invocati, si faccia interceditrice presso il suo Divin Figlio. 
•  Nella stessa linea della richiesta alla Madonna di aiuto spirituale e materiale si pone quella che è considerata la più antica supplica mariana, nata nell'Egitto del III secolo, tradizionalmente conosciuta come Sub tuum praesidium e che nella traduzione italiana recita: «Sotto la tua protezione ci rifugiamo, santa Madre di Dio: non disprezzare le nostre suppliche per le nostre necessità, ma liberaci sempre da tutti i pericoli, o Vergine gloriosa e benedetta». Tuttora il Manuale delle indulgenze attribuisce un'indulgenza parziale a chi la recita.
I mariologi hanno però fatto notare che la versione latina – e di conseguenza quella italiana – peccano d’imprecisione nel trasporre l'originale greco, utilizzato nell'antichissima liturgia della Chiesa copta, che si legge su un papiro rinvenuto nel 1917 nel deserto egiziano. Traducono infatti: «Sotto la protezione della tua misericordia ci rifugiamo». Un termine che è stato notato è lo stesso con cui il vangelo indica la commozione "sino alle viscere" di Gesù dinanzi alla folla senza pastore e l'emozione del padre che riabbraccia il figliol prodigo, e che dunque in questa preghiera intende esplicitare quanto la Vergine s’intenerisca in favore di coloro che la invocano con fiducia.
Saverio Gaeta VITA PASTORALE N. 2/2005 – 85
“SANTA MARIA”
La seconda parte dell’“Ave Maria” corrisponde – come dicemmo – alle parole non evangeliche, ma aggiunte, possiamo dire, dalla Chiesa.
La sua formulazione passò per distinte espressioni fino a giungere a quella che oggi conosciamo: 
Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.
In un breviario certosino del secolo XIII appare semplicemente come “Santa Maria, prega per noi”. 
In un altro breviario del medesimo Ordine – di un secolo posteriore –, già si aggiunge la parola “peccatori”. Sembra sia stato san Bernardino a spingere alla sua inserzione definitiva. In uno dei suoi sermoni commenta: «Nessuno può impedirmi di aggiungere: “Santa Maria, prega per noi, peccatori”». Dato il suo influsso, il popolo l’accetta e il concilio di Narbona lo assume definitivamente nel 1551.
In fine, le ultime parole: “Adesso e nell’ora della nostra morte”, appaiono in un breviario certosino del 1350. Le fanno proprie, in seguito, i Trinitari e i Camaldolesi, finché nel 1535, trovano accoglienza in tutti i catechismi.
Pio V, in occasione della famosa riforma liturgica del 1568, fissò la formula che oggi utilizziamo. Prescrive la sua recita in silenzio, unita al “Padre nostro”. Tale obbligo cessò con la nuova riforma di Pio XII, ma il costume di unire il “Padre nostro” e l’“Ave Maria” aveva ormai preso piede per sempre.
•• Data l’armonia che traspare da questa preghiera, Ave Maria, si potrebbe credere che è opera di un contemplativo. È una sorpresa conoscere che, invece, la sua evoluzione è risultata lenta e laboriosa; che sono stati necessari secoli di amor filiale per farla sbocciare. In questo senso, l’“Ave Maria” è, senza dubbio, frutto di contemplazione; frutto dello sguardo di milioni di figli in questa Donna, che appresero ed insegnarono ad invocare come Madre di Dio e madre propria. Solo da uno sguardo posato con la calma dei secoli e con tenerezza filiale nella figura di Maria, poterono sbocciare parole tanto bibliche, tanto semplici, tanto belle e tanto affettuose.
•  Ecco il breve resoconto di come si fusero i tre saluti per formarne uno solo, e di come abbia ottenuto d’interpretarlo a tre voci il coro di tutte le generazioni. 
Ora a noi non resta che … 
pregare per commentarlo meglio, 
o commentarlo per pregarlo meglio

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