AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

domenica 26 maggio 2024

LE FRONTIERE MIGRANTI DI ABDOU BOUBACAR di Padre MAURO ARMANINO

 

            Le frontiere migranti

 di Abdou Boubacar

Quelle esistenti tra il Niger dei colonnelli e il Benin di Patrice Talon, re del cotone indiscusso e presidente del Paese, sono vergognosamente chiuse. A causa delle sanzioni applicate in risposta al golpe militare di fine luglio dell’anno scorso, centinaia di camion e container sono bloccati dall’altra parte del ponte.  Adesso è pure l’innocua piroga, che permetteva ai passeggeri di attraversare il fiume Niger, ad aver ricevuto l’ordine di arresto. Ciò significa che, come in un lontano passato, le frontiere tra i due Paesi confinanti sono completamente chiuse o quasi. In effetti c’è il disputato oleodotto che trasporta petrolio ‘cinese’ dal Niger alla costa atlantica del Benin che mantiene ‘in vita’ una frontiera che altrimenti sarebbe del tutto invalicabile. Il libero movimento di persone e beni nello spazio dei Paesi dell’Africa Occidentale, in breve la tanto contestata CEDEAO, si allontana dalla realtà una volta di più.

Non affatto è il caso di Abdou Boubacar, uscito dall’ultima frontiera che lo ha imprigionato per quattordici mesi a causa di un reato mai commesso nella città di Dosso, non lontano dalla capitale Niamey. Dice di essere nato in Costa d’Avorio ma nel foglio di uscita del carcere c’è scritto Monrovia, la capitale della Liberia. Dice di aver studiato in Liberia dove si parla inglese ma il suo francese è quasi perfetto. Afferma che, essendo sua madre avoriana, passava le vacanze da lei e questo spiegherebbe tutto. Adolescente segue ii fratello maggiore fino in Mauritania per poi tornare in una patria a scelta del momento e delle circostanze. Abdou, secondo il foglio di rilascio, è nato nel 2003 circa e avrebbe dunque la bellezza di 23 anni e lo stesso numero di frontiere sedotte, se non di più. Decide di attraversare il mare e per questo parte dalla Liberia, passa la Guinea, il Mali e, navigato il deserto del Sahara, approda in Algeria 

Lavora per qualche mese ad Algeri nei cantieri edili come piastrellista, manovale e imbianchino. Il tempo necessario di andare in Libia e tentare finalmente il sogno del Mediterraneo per raggiungere l’Italia. Dopo un breve soggiorno a Tripoli paga 1700 E al ‘passeur’ per l’ultimo posto disponibile nel battello. Assicura che c’erano 113 passeggeri di tutte le nazionalità dell’Africa e altrove, comprese donne e bambini. Partiti all’imbrunire sono stati fermati dalla guardia costiera libica ad appena un centinaio di metri dalla costa. Messo a lavorare per qualche mese gratuitamente da qualche capo, torna in Algeria dove, stavolta, le guardie e i militari lo arrestano e deportano sino al confine col Niger. Passa, con altri come lui, la frontiera invisibile tra i due Paesi di notte per raggiungere una cittadina abitata soprattutto da migranti espulsi chiamata Assamaka. Dopo un breve soggiorno, coi soldi nascosti nelle parti intime del suo corpo, raggiunge Arlit, Agadez e, nella cittadina di Dosso, passa la porta della prigione civile.  

Esibisce il foglio di uscita del carcere come l’unico trofeo guadagnato in questi anni di trasgressioni delle frontiere. Quattordici mesi inutili di carcere per un giovane di poco più di vent’anni non sono pochi. Abdou si sorprende, affamato e sperduto, a contare il numero di frontiere che l’hanno attraversato da quando è nato non si sa dove, quando e perché. Forse tornerà dove era partito per tentare ancora la pazienza del deserto e l’incertezza del mare. Abdou chiederà la meta del suo viaggio alle frontiere che, finora, non l’hanno mai tradito.


                        Mauro Armanino, Niamey, maggio 2024


lunedì 20 maggio 2024

ERA IN GIORNO DELLA CRESIMA...

 


Era il giorno della Cresima. I cresimandi erano allineati nella navata centrale della chiesa. Il vescovo si sedette e, come spesso succede, cominciò a dialogare con i ragazzi.

         Chiamò una bambina che si avvicinò. «Come ti chiami?» domandò il vescovo. «Angela», rispose la bambina, molto emozionata. «Dimmi, Angela, cosa diciamo facendo il segno della croce?». «.. .»

       «Diciamo», l'aiutò il vescovo, sorridendo: «Nel nome del Padre, del Figlio e...». «... e della Mamma!» concluse la bambina.

È una bellissima definizione dello Spirito Santo.

Del resto Gesù lo chiama Consolatore e Paraclito (avvocato, difensore)

cioè Colui che è sempre presente per prendere la difesa dei suoi

discepoli e trarli d'impaccio.

Colui che guida, ricorda, guarisce e incoraggia…


"Oh, come ho compassione delle anime che si perdono!

E' così facile smarrirsi nei sentieri fioriti di questo mondo."

(S. Teresa di Lisieux)

Tratto dal sito Carmelitano dell'ordine secolare degli scalzi. 


NATASHA E IL GIORNO DELLA NASCITA di PADRE MAURO ARMANINO


 Le esequie di Natasha 

     Natasha e il giorno della nascita


Natasha sarebbe diventata un diamante diverso dagli altri nel suo Paese. Natasha sarebbe diventata la principessa di un regno che non c’è. Natasha si sarebbe sposata un sabato mattina e il viaggio di nozze cominciava il giorno dopo per una destinazione sconosciuta. Natasha avrebbe avuto almeno due figli come sua madre Rose che ha ventidue anni. Natasha è nata l’anno scorso a Freetown, la città libera e capitale della Sierra Leone. Natasha ha un fratello maggiore chiamato ‘l’unto’e non ha mai visto suo padre. Natasha ha viaggiato con sua madre e altra gente che non conosceva prima del viaggio. Natasha è arrivata a Niamey passando dal Mali e, senza saperlo, si è accampata con la madre accanto alla sede di una nota compagnia di trasporti della città. Natasha avrebbe voluto tornare al suo Paese perché lì c’è il mare che guarda lontano.
Natasha è stata sepolta ieri nella sabbia del cimitero cristiano di Niamey. Natasha è morta per mancanza di cibo accanto alla strada che separa la compagnia di trasporti dall’ufficio dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, OIM. Natasha non poteva sapere che quella sarebbe stata la prima e unica migrazione della sua vita. Natasha, nome che significa ‘giorno della nascita’, è stata posta in un piccolo feretro e deposta tra le braccia della sabbia del cimitero nella zona riservata ai bambini. Natasha è stata accompagnata da sua madre, dal fratello e da uno zio di poco maggiore di lei. Natasha è partita senza salutare perché aveva fretta di arrivare dove anche sua madre, un giorno, la raggiungerà. Natasha andrà incontro a sua madre e, con un po' di fortuna, anche di suo padre che non ha conosciuto.
Natasha ha sentito l’acqua benedetta scorrere attorno a lei come per il giorno del battesimo. Natasha era sorpresa di sentire la sabbia cadere e coprire la piccola casa che la custodiva. Natasha non sapeva che anche sua madre avrebbe avuto la forza di buttare un pugno di sabbia per coprirla. Natasha si trova circondata da tante altre piccole tombe che sembrano colline di un villaggio senza nome. Natasha si è commossa quando a visto sua madre salutarla con la mano prima che tutto fosse ricoperto di sabbia. Natasha si è accorta dopo del ramoscello verde piantato sulla sua tomba. Natasha sa bene che per la prossima stagione delle piogge un albero col suo nome germoglierà una domenica mattina.

              Mauro Armanino, Niamey, maggio 2024

giovedì 16 maggio 2024

Padre Mauro Armanino, rientrato in diocesi dopo 3 anni, racconta il Niger

CONVEGNO A GENOVA - DOMANDE E RISPOSTE con Padre MAURO ARMANINO


dal blog Villaggio del Ragazzo


convegno a Genova - domande e risposte

1.Nelle tue testimonianze e corrispondenze dal Niger hai descritto spesso questo paese e la più generale condizione africana attraverso la metafora della sabbia, sempre presente e sempre sfuggente. Qual è la situazione politica e sociale nigerina, oggi? Cosa la insabbia? Quanta sabbia offusca i nostri sguardi occidentali? Quali sono gli aspetti positivi che portano futuro al paese soffiando via la sabbia e promuovendo giustizia e sviluppo sociale?  

Proprio ieri, domenica 12 maggio, c’è stata a Niamey una tempesta di sabbia. Dunque dalla sabbia escono anche le tempeste che oscurano la luce del sole che per qualche minuto sembra perdente. Viene poi il color rosso di fuoco e la polvere che tutto ricopre … La sabbia è una metafora interessante soprattutto per la sua pervasività, capacità di adattamento e per così dire, ‘eternità’. Mi è sembrata fin dall’inizio una metafora della situazione ‘friabile’ della società, delle cose e financo di Dio… Allo stesso tempo come simbolo di resistenza sulla durata, qualcosa con cui diventa inevitabile fare i conti. Regimi, imperi, presidenti democraticamente eletti o frutto di arrangiamenti da repubbliche bananiere … tutto passa ma il popolo permane e giudica, calpestato ma sopravvive, messo ai margini ma presente e vero. La sabbia dice la verità sulla nostra condizione umana. Siamo polvere e alla polvere torniamo, dittatori e autori di colpo di stato compresi. Dal 26 luglio dell’anno scorso il Paese è (non) guidato da una giunta militare e pochi potrebbero dire dove il Niger si sta dirigendo. Velleità di sovranismo esacerbato, cacciata dei militari francesi e americani, arrivo di istruttori, aiuti e militari russi. La creazione dell’Alleanza degli Stati del Sahel, nel frattempo, le carestie, l’endemica mancanza di lavoro, la disillusione di un progetto di cambiamento mal nato e peggio ancora orientato. Anche la giustizia, come la politica, è di sabbia!

2. Come Nazioni Unite ci siamo dati 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e un’Agenda per realizzarli entro il 2030. La scadenza si avvicina e gli indicatori non sono tutti raggiunti né forse raggiungibili. L’eradicazione della fame e della sete, lo sviluppo scolastico ed educativo nel mondo, l’accesso universale alle cure sanitarie, lo sviluppo armonico di città inclusive, la transizione energetica tra paesi dallo sviluppo difforme… Come si guarda a questi Obiettivi dal vostro punto di osservazione, che spesso hai definito in questi anni come “la parte giusta da cui capire il mondo”? 

Ciò che le Nazioni Unite decidono a noi non interessa affatto, tutto è così lontano dai tempi, ritmi e cicli che viviamo da questa parte del mondo. L’Occidente, di cui gli obiettivi citati sono una delle espressioni ha i suoi progetti e visioni. Immagina che il mondo dovrebbe adeguarsi come è stato fatto nel passato coi programmi di aggiustamento strutturale o i piani di sviluppo per adeguarsi all’altro mondo, quello ‘sviluppato’. Oggi tutto ciò sta crollando perché l’Africa, a fatica, ha la sua agenda, ritmi, tempi e priorità. Quanto accaduto nel Sahel in questi ultimi anni è significativo perché indica l’insofferenza rispetto a un immaginario che non è più percepito come rilevante per molti africani, giovani in particolare. ‘Sguardare’ il mondo da questa parte significa anzitutto vedere come il mondo funziona, i rapporti di potere e i meccanismi di dominazione che perpetuano l’abisso di cui parla la parabola che il vangelo di Luca riporta, Tra il ‘ricco senza nome’ e il povero Lazzaro c’è un abisso che si è ulteriormente approfondito. Saranno i poveri, il ‘popolo di sabbia’a trovare il modo per trasformare il mondo…. Beati i perdenti perché saranno coloro che trasformeranno il mondo!

3. Niger, crocevia migratorio ma anche terra di migranti di ritorno. Papa Francesco e la Chiesa italiana ci hanno ricordato che ogni uomo dovrebbe essere libero di partire, tornare, restare. Cosa serve e cosa manca alla nostra cooperazione internazionale per concorrere al rispetto di tali diritti? Quali sono i bisogni su cui lavorare insieme come enti di Terzo settore, qui nelle nostre città e con i paesi di partenza? 

Il rispetto prima di tutto! Il rispetto di una scelta talvolta ‘scellerata’ e quasi sempre ‘avventurosa’ o semplicemente improbabile… il rispetto di una vita e di una storia che spesso facciamo fatica a cogliere nella sua drammaticità e precarietà. Tutto non è solo economico, funzionale al successo o alla posizione sociale…ci sono sogni, attese, ferite, tradimenti o semplicemente voglia di scoprire mondi altri. Il rispetto e poi l’ascolto! L’ascolto del mondo, della storia, del cammino, delle speranze che ogni migrante scrive sulla sabbia. I migranti arrivano per salvarci dal triplice naufragio di cui parlava in uno dei miei ultimi articoli….Il naufragio di crederci ancora il centro del mondo, e quindi  il naufragio dello sguardo. Poi, appunto, l’incapacità di ascoltare dove batte il cuore del mondo e infine il più grande dei naufragi, la mutilazione della dimensione spirituale della vita. Quest’ultimo naufragio è il peggiore perché appiattisce la realtà ad una sola dimensione: il consumo senza limiti e territori. I migranti arrivano con un polmone di spiritualità che abbiamo estromesso dal nostro lessico sociale e politico. Essi ci salveranno, forse malgrado noi!
         
            Mauro Armanino, Niamey, maggio 2024

domenica 12 maggio 2024

IL POPOLO INTROVABILE E LA DEMOCRAZIA DI SABBIA di Padre MAURO ARMANINO

 

Il popolo introvabile e la democrazia di sabbia

Dov’è passato il popolo nei Paesi del Sahel? Si tratta dei bambini, i giovani e gli adulti che hanno riempito lo stadio un paio di volte dopo il golpe di fine luglio dell’anno scorso? Oppure dei gruppi di vigilanza nelle rotonde della capitale? O allora delle migliaia di cittadini che hanno ottenuto la partenza incondizionata dei militari francesi prima e americani poi nella piazza battezzata della ‘Resistenza’? Parliamo di qualche decina di militanti delle organizzazioni della società civile che hanno ‘sposato ‘ e ‘orientato’ la causa della giunta? C’è popolo e popolo, come dappertutto in giro per il mondo, beninteso. Coloro che ne accaparrano i vizi e le virtù e coloro che, diciamo così, non ne faranno mai parte. Ad esempio, i bambini e adulti che a centinaia mendicano sulle strade della capitale o che sono ‘esportati’ nei Paesi confinanti per esercitare il mestiere di salvare le anime dei peccatori. In effetti, anche grazie a loro i fedeli potranno praticare la virtù dell’elemosina e sperare nella misericordia divina. Nella zona ‘grigia’ tra il popolo e il non popolo ci sono le moltitudini di contadini, di allevatori di bestiame e la folla immensa di giovani che sopravvivono del lavoro informale per il cibo quotidiano. A meno che non si chiami ‘popolo’ solo chi sta dalla parte’ giusta’.

C’è il popolo dei commercianti, i grandi che vanno a Dubai o altrove, i medi che si industriano per riemergere dalla crisi, i piccoli delle frontiere e i minimi che vendono i sacchetti d’acqua di un’improbabile sorgente del Sahel, pura e minerale per tutti i gusti. Ci si ricorda del popolo dei politici del passato, in situazione di stallo con la sospensione delle attività dei partiti politici o per via dei compromessi con l’antico regime presidenziale del Rinascimento. Il popolo dei funzionari statali, gli insegnanti, gli impiegati nelle Ong locali, i superstiti delle cooperazioni bilaterali e l’indefinita lista di chi cerca lavoro e colleziona domande di assunzione per concorsi che non arrivano mai a tempo. Si dovrebbe aggiungere il popolo degli imprenditori religiosi che organizzano la vita religiosa del popolo dei credenti a sua volta suddiviso tra stranieri e autoctoni. Poi c’è il popolo dei migranti, dei rifugiati, degli sfollati espropriati delle terre, le case e il futuro che immaginavano diverso. Il popolo dei militari fa storia a sé soprattutto se si prendono in considerazione i gradi, le affinità, le conoscenze e l’attuale posto nell’amministrazione politica del Paese. Anche le donne formano, a modo loro, un popolo a parte speciale coi suoi riti, attese, prerogative e poteri sul quotidiano dei figli e quello, meno evidente, sui mariti.

Il popolo è dunque un’idea nata da qualche parte tra il concetto di nazione e quello di stato. Oppure non si tratta che di un’invenzione che solo la scelta di nominarlo permette di farlo esistere.’ In nome del popolo sovrano’ suona quasi come un proclama assoluto dal sapore divino. La giustizia, la legge e la carta costituzionale si fondano sul popolo e così la sovranità che gli appartiene per natura.  Sono i cittadini riconosciuti come tali che sembrano costituire il popolo in base all’appartenenza storica, geografica, culturale e politica ad un ordinamento accettato e riconosciuto. C’è poi, infine, il popolo di sabbia o meglio il popolo che della sabbia è una creatura a parte. Spazzato via dal vento e dai pulitori di strade, ai margini delle corsie transitabili dai veicoli oppure allontanato dagli orientamenti strategici del Paese, venduto e occasionalmente ostaggio delle nuove bandiere sistemate nelle rotonde della capitale. Fanno bella mostra quelle dei Paesi dell’Alleanza del Sahel assieme a quella della Russia. Forse il popolo introvabile si trova, nascosto, nella polvere che il vento porta lontano.

            Mauro Armanino, Niamey, maggio 2024


domenica 5 maggio 2024

VOCI DAL SOTTOSUOLO di P. MAURO ARMANINO


Padre Mauro Armanino con i suoi bimbi del catechismo

Voci dal sottosuolo

Parla poco o nulla l’inglese ed è nullo in francese. Mohammed si presenta una mattina col foglio plastificato dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati rilasciatogli dall’ufficio di Niamey. Da allora passa ogni due settimane per salutare e ottenere di che sopravvivere qualche giorno in più. Invece di continuare ad alloggiarsi in strada, presso l’ufficio delle Nazioni Unite, tra polvere, vento e pioggia quando sarà la stagione, ha trovato un posto presso la ‘Casa del Togo’. I responsabili delle Casa accolgono anche migranti o rifugiati originari di altre nazionalità e offrono l’alloggio, i servizi igienici e un minimo di decenza per il riposo. Per ragioni comprensibili non sono in grado di nutrire gli ospiti che, in qualche modo, devono darsi da fare in un contesto complicato per tutti e in particolare per uno straniero che incapace di comunicare.

Le segnalazioni all’Ufficio, per vari motivi, non hanno prodotto nessun risultato apprezzabile. Mohammed possiede un documento delle Nazioni Unite e un altro dell’Ufficio Nazionale di Eleggibilità che lo riconosce, per ora, come richiedente asilo. Dopo un anno circa, fatte le debite indagini, detto ufficio deciderà se Mohammed potrà essere riconosciuto come rifugiato a pieno titolo. Nel frattempo, Mohammed non esiste per nessuno. Non ha una casa, un minimo di aiuto finanziario e neppure un futuro che vada oltre l’infinita e temibile attesa quotidiana del cibo. Mohammed, è stato battezzato in Egitto col nome di Gabriele o Jibril. Passa talvolta la domenica mattina per la preghiera presso la piccola comunità di credenti cattolici nel quartiere di Niamey chiamato ‘Francofonia’, a causa dei giochi omonimi celebrati nel lontano 2005.

Nella lettera che recapita stamane, debitamente tradotta in lingua francese, si intravvede meglio il tipo di avventura che l’ha condotto fino a Niamey l’anno scorso. Nato a Sabha al sud di Tripoli in Libia, ivi ha vissuto con la famiglia composta dai genitori, una sorella minore e due fratelli maggiori. Trasferitosi a Tripoli coi genitori torna in seguito a Sabha per completare gli studi universitari e nel 2009, all’età di 19 anni, unico della famiglia, si converte al cristianesimo. La famiglia, musulmana, accetta la scelta del figlio e il padre gli consiglia di conservare la discrezione sul fattore religioso. Quando può parte in Tunisia per unirsi a comunità cristiane più o meno clandestine finché il padre lo manda in India per una tesi e un master in economia. Fine 2013 torna in Libia per la morte della sorella a causa di una malattia.

Nel frattempo, alcuni membri della famiglia paterna ‘scoprono’ la sua nuova affiliazione religiosa e lo tacciano di ‘Kafir’, non credente o infedele. Ciò lo porta ad essere imprigionato e violentato. La sua famiglia non può visitarlo ed è solo grazie ad un conflitto tra milizie che può evadere dalla prigione. Suo padre lo spinge a lasciare il Paese e a rifugiarsi in Egitto dove Jibril conosce le Chiese copte ed è battezzato. Apprende la morte del padre e dei fratelli, uccisi in prigione. Nel 2018 si trova in Turchia e torna in Tunisia nel 2022 per qualche mese prima di entrare in Algeria e chiedere assistenza presso l’Ufficio per i Rifugiati di Algeri. L’anno seguente è informato della morte di sua madre e nel mese di settembre i militari, malgrado il documento che lo riconosce come rifugiato, lo deportano e, con altri come lui, lo abbandonano nel deserto.

Da allora Mohammed Jibril si trova a Niamey tra timori, ansietà e incertezze di un futuro che non offre, per ora, gli orizzonti sperati. Tornare in Libia sarebbe la sua morte. Termina la lettera con i ricordi di violenze carnali subite in carcere che non passano mai e dice di immaginare ciò che significhi quando qualcuno, dietro voi vi dice che siete suo. Jibril ringrazia e sorride prima di partire a rinnovare il documento di richiedente asilo per altri tre mesi. Malgrado la vita sia difficile ringrazia il Niger per l’accoglienza.

              Mauro Armanino, Niamey, maggio 2024


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Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi