NOI IN CAMEROUN...
«Alcuni giorni fa. Padre Claudio, direttore di «II Carmelo Oggi» e responsabile delle nostre missioni, mi ha fatto queste richieste: «Prima di ripartire per il Cameroun, presenta per i nostri lettori il volto attuale della Missione:il numero dei Padri e degli studenti, le vostre attività..., quali sono i vostri progetti..., che cosa «fa» un missionario quando viene in «licenza» ...
E così, quantunque già con un piede sull'aereo che mi riporterà in Cameroun, cercherò in breve di accontentarlo.
La nostra Comunità è composta da cinque Padri tutti italiani, inviati in Cameroun per diffondere la Buona Novella del Cristo per mezzo della vita carmelitana.
Tra noi vi è Padre Giorgio Peruzzotti: superiore della casa, delegato del Provinciale per il Cameroun e parroco di Nkoabamg. E' il grande capo della missione, inviato in Cameroun dopo 14 anni di Madagascar. Lavoratore infaticabile, da sempre ha fatto suo il motto del Papa: «La fede si rafforza donandola». E lui si dona fino a rompersi le ossa. L'anno scorso è stato operato di due ernie al disco che l'hanno un po' frenato nella sua attività, ma non nel suo desiderio di donarsi ai fratelli a cui è stato mandato. Ama ripetere: o Africa o morte!
P. Roberto Lanzone è il Vicario dell'apostolato parrocchiale in Nkoabang. E' pure il sovrintendente della nostra non più piccola casa. Ha seguito per un po' di tempo le monache di Etoudi e la fraternità carmelitana.
P. Antonio Sangalli è stato il primo ad essere inviato in Cameroun. Ha preparato il terreno e il monastero delle Monache. E' «l'architetto» della missione: a lui si devono i lavori di ampliamento della nostra casa; ma è pure il Direttore spirituale del seminario maggiore di Yaoundé. Il sabato e la domenica svolge le funzioni di cappellano delle monache e segue l'Ordine secolare carmelitano.
P. Giuseppe Sabbatin, della provincia religiosa veneta: dopo 16 anni di Madagascar ci ha raggiunti in Cameroun. L'arcivescovo gli ha affidato alla periferia della città una parrocchia che è in continua crescita e con non pochi problemi per le differenti etnie che la compongono. E' pure confessore delle monache ed economo della casa.
Infine, P. Gabriele Mattavelli. Egli continua sempre nel suo apostolato alle carceri; si occupa del problema degli «handicappati» e segue l'attività religiosa di una cappella nella brousse (savana).
Ma ciò che richiede maggior impegno è la formazione dei giovani che chiedono di diventare carmelitani, di cui sono il responsabile. Questi giovani sono cinque (Emmanuel, Gilbert, Hilaire, Brunot, Thomas), e dal prossimo settembre dovrebbero essere otto.
I primi cinque vivono in convento con noi e ogni giorno vanno in seminario per i corsi di filosofia. Dovremo comperare un «minibus» per il loro trasporto. Uno degli scopi del Padre Generale mandandoci in Cameroun era quello di impiantare l'Ordine Carmelitano. Queste sono le prime vocazioni. Speriamo che giungano a maturazione per un Carmelo teresiano camerunese.
Ai lettori de «II Carmelo oggi» chiedo la loro preghiera, la loro simpatia e anche il loro aiuto per la nostra missione. Se qualcuno volesse «adottare» uno studente carmelitano durante il periodo degli studi si faccia avanti: il Signore gli darà la ricompensa del missionario che quest'anno celebrava i 400 anni della morte del suo Patrono, S. Luigi Gonzaga. Nella Messa solenne il pensiero andava al dono della fede ricevuta e cresciuta in quella comunità parrocchiale. Là venivano alla mente le parole del Papa nell'Enciclica sulla Missione: «Quando la fede è forte ed entusiasta la comunità parrocchiale è missionaria».
Dopo la famiglia naturale, quella adottiva:
Legnano. Qui, dove per più di 15 anni ho vissuto e lavorato prima di partire per l'Africa. Legnano è il campo base, è la mia casa conventuale, dove è difficile trovare un giorno per te. Gli amici sono tanti: allora... gli incontri, le visite alle famiglie, ai giovani, agli ammalati sono il pane quotidiano, è la condivisione nella fede di quello che hai ricevuto per il bene di tutti.
E non poteva mancare la visita ai conventi e ai monasteri della provincia che vanno da Aosta fino a Ferrara, per portare i saluti e le notizie dei padri e soprattutto delle monache di clausura di Yaoundé, che non hanno certo la possibilità di venire in «licenza».
E non è ancora finito: qualche giorno di predicazione missionaria a Barzio (Valsassina) - un tuo bei «regalo»! -, e una settimana di incontri spirituali-teologici a Notre Dame de la Vie nel sud della Francia.
Come vedi i 55 giorni di congedo in Italia sono stati ben riempiti.
Mia sorella all'inizio della vacanza mi aveva proposto di passare 15 giorni di riposo in montagna. Avevo accettato ben volentieri. Poi vedendo come andavano le cose, una sera le dissi: «Senti, 15 giorni sono troppi, facciamo otto giorni». Intanto i giorni passavano e lei mi ricordava la promessa fatta. Io tergiversavo..., finché le dissi: «Credevo di poter fare almeno tre giorni con te, ma vedo che mi è impossibile». Al che lei sbottò: «Ecco, trovi il tempo per tutti, fuorché per te e la tua famiglia!».
Mi chiedo se un missionario può ancora riservare spazi per sé. Venendo in «licenza» si approfitta per «revisionare la carrozzeria umana: occhi, bocca, stomaco…» e si approfitta anche per fare il pieno per i bisogni della missione che sono sempre più grandi. Certo, tutto questo va fatto per il Cristo e con il Cristo, altrimenti sarebbe tutto vano.
Mi viene alla mente quello che diceva S. Teresa d'Avita, la nostra Madre riformatrice: «Teresa da sola non può niente. Teresa e qualche soldo meno che niente: Teresa, il Cristo e qualche soldo può tutto». Vorrei che sia così anche per me.
La missione nasce dalla gioia profonda di un dono gratuitamente ricevuto (la Fede), che tutto hanno il diritto di conoscere e di ricevere.
Infine, mi chiedi quali sono i nostri progetti in missione.
Il primo è quello di far vivere la nostra comunità che è diventata casa di formazione e di preghiera. Il padre Provinciale nelle sue visite fraterne ci ha incoraggiati a camminare in questa direzione; a noi ora l'impegno della realizzazione.
Poi un secondo progetto, molto più ambizioso e che supera le nostre possibilità. Sia il Nunzio Apostolico, sia l'Arcivescovo hanno offerto altre case a Yaoundé: un santuario mariano o un centro di spiritualità. Forse ci hanno stimato un po' troppo, visto le nostre modeste possibilità.
La richiesta è stata girata al Padre Generale e attendiamo una sua visita tra noi.
Questo per dirvi che i progetti non mancano, la buona volontà anche, la voglia di lavorare c'è in tutti, le speranze sono grandi.
Quello che il Papa dice della missione della Chiesa in generale, mi piacerebbe che diventasse realtà anche nella nostra missione particolare: «Vedo albeggiare una nuova epoca missionaria, che diventerà giorno radioso e ricco di frutti se tutti i cristiani risponderanno con generosità e santità alla sfida del nostro tempo».
Che questa visione ottimistica e piena di speranza del Papa, sia anche in tutti noi: è l'ottimismo della fede.
P. Gabriele Mattavelli Legnano, 1° agosto 1991
§§§§§
P. Gabriele da Nkoabang (Da Il Carmelo Oggi, n°1, 1988)
Carissimi, l'invito di S. Paolo «soyez toujours dans la joie» è pure il mio augurio per il prossimo Natale.
Sì, nonostante tutte le difficoltà, noi dobbiamo essere nella gioia perché crediamo all'amore di Dio per noi. La nostra gioia è per sempre perché è radicata in Cristo, sorgente perenne della nostra gioia, e che da senso al nostro vivere e che ci guida con la sua luce.
Sono passati alcuni mesi dall'ultima «lettera comunitaria» e tante cose sono accadute. Ho ricevuto parecchie lettere da amici, che ringrazio di tutto cuore, e mi scuso di non poter rispondere a tutti personalmente. Lo faccio con questa, augurandomi che la nostra comunione in Cristo cresca sempre più per testimoniare la Sua gioia - la vera gioia del Natale - tra i fratelli con cui viviamo.
La nostra vita missionaria qui in Cameroun sta entrando sempre più nell'alveo carmelitano, che è quello richiestoci dai nostri superiori e dall'Arcivescovo di Yaoundè. Quello cioè di portare, attraverso la nostra vita religiosa, un supplemento di spiritualità in questo nostro mondo sempre più materializzato.
La riapertura del Monastero di Etoudi a Yaoundè, con dieci Monache Carmelitane italiane risponde a questo desiderio. L'accoglienza di giovani che vogliono verificare la loro vocazione, nella nostra casa di Nkoabang, è anche questo un segno in quella direzione.
Tutto ciò ci impegna a diventare sempre più autentici, a spogliarci di tante cose che sono solo la sovrastruttura del Vangelo e a seguire più da vicino il Maestro, che, a chi desiderava seguirlo, rispondeva: «Vieni e vedi».
P. Gabriele con una piccola lebbrosa
All'apertura dell'anno scolastico, gli ottocento ragazzi della scuola della Missione hanno trovato due aule nuove, spaziose, ben illuminate -dalla luce del sole, naturalmente! - costruite grazie anche ai vostri aiuti. Il prossimo anno vorremmo continuare a costruire le altre otto aule: fiduciosi come siamo nel vostro aiuto! In gennaio scaveremo il pozzo per dare acqua a tutti i quei ragazzi.
Abbiamo pure ricominciato la piccola scuola per sordomuti: non è facile, ma credo che il sorriso sulle labbra di quei ragazzi, contenti di aver compreso tante belle cose e di poterle esprimere a loro modo, valga la pena di ogni nostro sforzo!
Vi sono poi le altre attività di catechesi, di predicazione, di ritiri a Suore e Preti e - dulcis in fundo - la preoccupazione quotidiana dei fratelli prigionieri.
Mi spiace il dover ritornare sempre su questo argomento, ma è molta parte della mia vita qui. In breve, ecco alcuni fatti significativi della prigione:
1) un desiderio grande, in un numero sempre maggiore di prigionieri, di seguire Cristo in un cammino che potrei chiamare catecumenale nella scoperta o riscoperta - per chi è già battezzato - del battesimo e della vita di fede.
2) La visita dell'Arcivescovo di Yaoundè alla prigione dopo più di otto anni di assenza, dovuta al rifiuto dei capi. È stata una visita tormentata, ma fortemente voluta, nonostante il persistere del divieto dei capi. Abbiamo sfidato questo ingiusto divieto, che va contro la legge dello Stato, per portare la Parola di perdono, di Amore e di Pace del Padre Celeste. Certo, io ho rischiato di essere non solo espulso dalla prigione, ma anche dal Cameroun. Ma che importa? Purché la Parola sia annunciata con coraggio nella sua integrità.
3) Infine, le malversazioni là dentro. Dopo una visita d'ispezione del ministro, è stato proibito ai prigionieri di poter fare dei «beignets», specie di frittelle fatte di manioca o di farina: era un po' di cibo sano, che almeno un certo numero di prigionieri poteva mangiare. No! Tutti devono mangiare la porcheria che passa lo Stato - vi assicuro che anche i porci fanno fatica a mangiare quella roba -; e siccome questa è talmente poca, la fame, con tutto quello che si porta dietro, aumenta sempre più.
Inoltre, i 124 condannati a morte da più di un mese sono incatenati con una grossa catena saldata alle caviglie. Così oltre ad avere tutti i piedi piagati, non possono levarsi né pantaloni né slip. Immaginate le conseguenze in un posto dove scarseggia l'acqua. Questa punizione è la conseguenza del tentativo di fuga da parte di due detenuti. Uno di questi è riuscito nel suo intento, mentre l'altro è stato ucciso sul muro che stava scalando.
Quando sono entrato nel quartiere dei condannati a morte per celebrare la Messa, trovandomi davanti tutti quei giovani incatenati, di primo acchito mi sono sentito male e mi sembrava impossibile celebrare la Messa in quelle condizioni. Ma poi, dietro insistenza di alcuni prigionieri abbiamo iniziato l'Eucarestia, che credo sia stata una delle più consapevoli di ciò che si stava compiendo. Al «confiteor», con quale forza e partecipazione si è chiesto al Cristo di spezzare tutte le catene del corpo e dell'anima!
All'omelia, un prigioniero della fraternità «Massimiliano Kolbe» ha portato questa testimonianza. «Accettiamo questa aggiunta di pena con fede e coraggio in Cristo. Le catene che portiamo ai piedi non ci tolgono la fede in Cristo; è la giustizia degli uomini questa. Gesù nel Vangelo ci ha detto di dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.
Noi portiamo le catene in nome di Cesare, ma la nostra anima è riservata a Dio». Per questo il gruppo ha deciso di pregare assieme tre volte al giorno invece di due, «per rafforzare la nostra fede in Cristo che è morto per noi, per liberarci da tutte le catene». Veramente la grazia del Signore sovrabbonda nelle sofferenze.
In unione di preghiera, augurandovi la vera gioia del Natale, vi saluto tutti fraternamente».
P. Gabriele Mattavelli
VÉRONIQUE: UNA LEBBROSA COLMA DI GRATITUDINE
P. Gabriele ci scrive dalla missione. Quando una persona si trova di fronte ad esperienze forti, che lo toccano personalmente, è normale che non possa far a meno di parlarne e di farne partecipi gli altri. E' per questo che P. Gabriele ritorna a parlarci dei suoi carcerati e lebbrosi: la loro fede, in situazioni disumane, ci può essere indubbiamente salutare.
“Carissimo P. Claudio, in questo tempo di quaresima, la Chiesa ci fa pregare con più insistenza le parole del Salmo: «Rendimi la gioia di essere salvato». Sì, o Signore, in noi, attorno a noi e nel mondo intero ci sono tanti limiti e tanto male; per questo ti ridiciamo: «rendici la gioia della salvezza che è la tua da sempre e che hai donato a noi nel giorno di Pasqua».
Ringrazio sempre tutti coloro che m'hanno scritto, che si ricordano ancora di me e che soprattutto mi ricordano al Signore nella loro preghiera. E' là, in quel rapporto a tu per tu con il Signore, che anch'io mi ricordo con gioia di tutti voi e gli chiedo di compiere le sue meraviglie in voi.
La vostra generosità fa miracoli. Siamo riusciti a scavare il pozzo alla scuola della Missione: manca ancora la pompa per attingervi acqua. Speriamo di installarla al più presto. Ma i tempi qui in Africa sono un po' diversi che da voi. Anche per la Scuola della missione, dopo le due aule già costruite l'anno scorso, vogliamo riprendere i lavori al più presto, visto il generoso contributo di Papà Ildebrando, l'amico dei lebbrosi di Gallarate.
«Perdonati dal Padre...per perdonare»
Le vostre offerte di questo periodo mi sono servite soprattutto per i fratelli che sono in carcere. Nell'ultima lettera vi avevo già descritto la miserabile situazione in cui vivono quei poveretti. Pensavo che si fosse toccato il fondo ed invece...
Basti dirvi che in questi mesi quasi ogni giorno ci sono stati morti per fame e per mancanza di qualsiasi medicina. Io continuo a portare sardine, latte in polvere e sapone, e tutto questo ha contribuito a strappare molti prigionieri, specie i più giovani, da morte sicura.
C'è la crisi, si dice, ed i primi a pagare sono sempre i più poveri. C'è il male nella nostra società, e allora occorrono dei capri espiatori che paghino per tutti. Mi sembra di essere come il profeta che grida nel deserto. Anche se sono certo che le nostre grida, inascoltate dagli uomini di questo mondo, sono ascoltate ed esaudite dal Signore.
Un solo esempio. Domenica 7 febbraio entro in prigione per la Messa e mi trovo davanti quattro giovani stesi per terra, completamente nudi, in coma. Morranno poco dopo.
Durante la celebrazione della Messa sentiamo delle grida e quando alla fine mi avvio nel cortile da dove provenivano quelle urla, mi trovo davanti ad uno spettacolo terrificante. Una ventina di condannati a morte sono bastonati selvaggiamente. Il sangue cola da tutto il corpo. Quando mi vedono, uno di loro incomincia ad intonare l'Alleluia e le grida si trasformano in canto religioso, mentre i loro carnefici continuano, sghignazzando, la loro carneficina. Era la punizione per aver tentato di spezzare le catene che hanno ai piedi.
Il giorno seguente le catene sono state rimesse di nuovo e la saldatura è stata fatta sulla nuda pelle senza alcuna protezione. Immaginate quelle gambe bruciacchiate e gonfiate col pericolo della cancrena; a qualcuno dovrà essere amputata la gamba. In un incontro di catechesi - una settimana dopo la carneficina - un giovane ha chiesto: «Ma perché non ci ammazzano tutti e subito, così avremo finito di soffrire. Tanto, a che serve tutta questa sofferenza?».
Dopo attimi di silenzio imbarazzante, uno di loro ha risposto: «Forse nella nostra sofferenza noi osiamo credere di essere associati alla passione di Cristo crocifisso. Siamo stati perdonati dal Padre per imparare a perdonare a nostra volta: un perdono che passa nella sofferenza della nostra carne. ...Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno.»
La preghiera di una lebbrosa
In questi mesi, interessandomi, come sapete, anche di alcune comunità di lebbrosi, sono venuto a conoscenza di una preghiera che mi ha beneficamente «shoccato», e per questo voglio tradurla anche per voi. È di Véronique, una donna che ha pregato così nella sua vita:
«Signore, tu sei venuto, mi hai chiesto tutto
e io ti ho tutto donato.
Mi piaceva molto leggere e ora sono cieca.
Mi piaceva correre nei boschi
e ora le mie gambe sono paralizzate.
Mi piaceva cogliere i fiori al sole di primavera
e ora non ho più le mani.
Poiché sono donna, mi piaceva rimirare la bellezza dei miei capelli,
le mie dita sottili, la grazia del mio corpo:
ma ora sono quasi calva
e al posto delle mie belle mani,
non mi restano che dei rigidi moncherini.
Guarda, Signore, come il mio grazioso corpo
è ora straziato. Ma io non mi ribello.
Ti rendo grazie, o Signore.
Per tutta l'eternità ti ringrazierò.
Perché se io muoio questa notte,
so che la mia vita è stata
meravigliosamente ben riempita.
Vivendo l'Amore, sono stata colmata
ben oltre ciò che il mio cuore desiderava.
O mio Dio, come sei stato buono
con la tua piccola Véronique!
E questa sera, o mio Amore, ti voglio pregare
per i lebbrosi di tutto il mondo.
Ti prego soprattutto per quelli che la lebbra morale
abbatte, distrugge, degrada e stronca.
Quelli, soprattutto, li amo e mi offro in silenzio
per loro, perché sono miei fratelli e mie sorelle.
O mio Amore, ti offro la mia lebbra fisica
perché essi non conoscano il disgusto,
l'amarezza e il gelido della loro lebbra morale.
Io sono là tua piccola figlia, o mio Dio,
conducimi per mano, come una mamma conduce il suo bebè.
Stringimi al tuo cuore, come un Papà
stringe sul suo cuore il suo bambino.
Immergimi nell'abisso del tuo cuore
e che io vi resti con tutti quelli
che amo, per tutta l'eternità».
Non ho conosciuto direttamente Véronique, ma ho parlato con coloro che sono vissuti con Lei. La preghiera, mi dicevano, era la sua vita, come la vita era la sua preghiera. È vissuta più di 60 anni, di cui una cinquantina come lebbrosa e nella forma più dolorosa, la lepromatosi. Per amore di Cristo, da cui si è lasciata sedurre, è riuscita ad accettare la sua terribile prova e a trasformarla in dono gratuito ed in abbandono totale; e là ha compreso la sua vocazione personale.
Ha scritto:
«Ho compreso, nei miei lunghi anni di malattia,
che tu mi volevi per te solo,
Signore, unicamente per Te. E io ho accettato.
Ora il mio cuore è traboccante di Pace e di Gioia».
È la gioia della Pasqua di Cristo; è quella che auguro anche a ciascuno di voi, uniti co¬me sempre nella preghiera.
Fraternamente P. Gabriele Mattavelli
(Da Il Carmelo Oggi, n°5, 1988)
Ancora oggi Padre Gabriele ci parla e ci racconta la sua esperienza missionaria in Africa, attraverso le sue lettere.
E anche Padre Nicola Galeno, suo confratello nel Carmelo, lo ricorda così:
Il giorno 19 marzo dello scorso anno, San Giuseppe ha accolto in Paradiso il nostro caro Padre Gabriele. Lo porteremo nel ricordo e nel nostro cuore per sempre.
In questo periodo i cui la guerra sta colpendo l'Ucraina, ti chiediamo di intercedere presso il Padre, affinché illumini le menti dei governanti e porti la Pace nel mondo.
Caro Nicola, che ti ho visto senza barba il giorno della tua professione nsolenne col compianto p. Gabriele, anche se non letto tutti gli articoli del IL CARMELO OGGI, eccetto il primo, ho apprezzato il tuo ricordo poetico tanto sereno per il confratello che ci ha lasciato. Avevo dimenticato la data della sua morte, proprio il giorno del mio onomastico, che quest'anno ho celebrato solennemente in chiesa con due Messe e in sintonia con una consorella del Carmelo di Piacenza che oggi celebra il 60° di professione e in previsione del mio 60° do sacerdozio il prossimo 7 aprile. Purtroppo suor Giuseppina sta vivendo il suo Calvario, ma la priora madre Francesca è stata tanto gentile da farmi ascoltare la sua tremolante voce che ormai esprime troppo pochi ricordi della sua vita. Pur non potendo più viaggiare, neppure in treno, data la nostra esigua presenza per la chiesa, sono contento lo stesso, sperando per il prossimo 60.mo di trovare un autista che in mezza giornata mi porti a Piacenza dalla prima comunità di carmelitane da me frequentate nei lunghi anni passati in quel convento, prima di partire per l'Africa.
RispondiEliminaGrazie di tutto e a rileggerci ... p. giuseppe agosteo
Carissimo Padre Agosteo, inoltrerò senz'altro il suo commento a Padre Nicola, temo che lui non legga mai i commenti su questo Blog da me gestito. Mi manda i suoi articoli, le sue poesie che pubblico. Ma non so se si sofferma anche sulla lettura dei commenti, come non so se riesca a rispondere direttamente da qui. Inoltrando quanto gli ha scritto, sono certa che le risponderà con email.
RispondiEliminaUn caro saluto e auguri per il suo onomastico, che San Giuseppe, tanto caro alla nostra Santa Teresa d'Avila, la protegga ogni giorno! Danila
Grazie per l'intervento e per gli auguri. p. giuseppe
Elimina