lunedì 29 giugno 2020
sabato 27 giugno 2020
IN SIRIA MORIAMO DI FAME - Lettera diFra Ibrahim Alsabagh, ofm Parroco di Aleppo
Molti anni fa siamo stati in Siria, anche ad Aleppo quando ancora non era scoppiata la guerra civile. Siamo stati accolti dalla gente del luogo con gentilezza e questa loro accoglienza non la possiamo e dobbiamo dimenticare. Allora sento il bisogno di diffondere quanto scrive in una lettera il Parroco di Aleppo, Fra Ibrahim Alsabagh, ofm. E' un Frate Francescano legato alla Terra Santa, e anche se noi siamo carmelitani, innanzi tutto siamo cristiani e la condivisione dei bisogni altrui è di primaria importanza. Qui sotto il testo completo di quanto ricevuto, più sotto riporto quello della lettera del Parroco.
Ci sono diversi modi per dare un concreto aiuto anche a questo popolo che tanto è stato ferito. O donando il 5 per mille alla Terra Santa, che poi provvederà ai bisogni della Siria o, aprendo il link qui sotto, fare una donazione personale attraverso i metodi indicati.
AIUIAMO LE FAMIGLIE DI ALEPPO!
Cari amici,
la situazione in Siria sta peggiorando drasticamente: abbiamo passato tante crisi e davanti a ognuna diciamo che siamo davanti alla “peggiore”, ma quando arriva la crisi seguente ci accorgiamo che stiamo passando da un male minore a uno maggiore.
Crollo della lira siriana e le sue conseguenze
Il paese si trova alle soglie di un crollo economico, dovuto principalmente all’embargo che colpisce la gente povera rimasta nel paese. Ci aspettiamo il peggio con le restrizioni del decreto “Cesare” che entreranno in vigore fra pochi giorni.
Oggi non ci sono più i missili che cadono su di noi in ogni momento, ma soffriamo la fame: la lira siriana sta calando senza freni ogni ora, senza nessun limite e senza fondo. Non si riesce più a comprare un chilo di cetrioli o di pomodori, le verdure di stagione che dovrebbero essere a buon mercato, lo stipendio non riesce a coprire se non una minima parte del cibo per la famiglia. Rischiamo una vera carestia, che causerà un caos senza misura. La situazione è gravissima.
I commercianti chiudono i loro negozi e i depositi perché oggi vendono la loro merce a un prezzo, ma quando vanno a comprare c’è un prezzo molto più alto che gli fa perdere tutto il capitale che hanno. Oggi non c’è più legno, né corrente elettrica e ferro.
La terra trema sotto i piedi della gente e i cuori sono come i chicchi di mais che scoppiano saltando nella pentola, e i prezzi continuano ad aumentare. Ho appena sentito che sono sempre di più le persone che vendono i reni per comprarsi da mangiare e i casi di suicidio sono in aumento.
Necessità sanitarie
Anche sul fronte sanitario, tutti gli ospedali statali sono riservati per uno scoppio possibile di Covid, e la gente che ha bisogno di subire interventi chirurgici deve necessariamente cercare le cliniche private, senza alcun tipo di assicurazione, e anche in questo caso le tariffe sanitarie hanno raggiunto livelli esorbitanti.
Solo ieri le persone hanno scoperto che nelle farmacie non ci sono più medicine, da quelle più semplici come per il mal di testa fino a quelle per i problemi cardiaci.
Noi della comunità cristiana ad Aleppo, che siamo 32mila in città, siamo una minoranza, e non abbiamo altro se non l’influenza della carità. In questi anni ci siamo donati totalmente per l’aiuto umanitario. Non abbiamo nessun potere decisionale per smuovere la politica nazionale e internazionale, ma non siamo solo noi cristiani i “deboli”: tutto il paese è sempre più debole e governato da poteri più grandi di noi.
Quanto sta accadendo è sempre al di là delle nostre forze e delle nostre possibilità. Siamo l’anello debole della catena sotto ogni aspetto, rischiamo troppo dentro qualsiasi cambiamento che potrà significare per noi un vero e proprio sterminio. La nostra presenza è debole e minacciata, non c’è un minimo di sicurezza né per il presente né per il futuro. Questo ci fa sentire sempre appesi al buio e al vuoto, e senza la certezza della Presenza divina che ci assiste e ci accompagna, avremmo perso anche il senno della ragione.
Ho tanta preoccupazione per la gente, per tutti gli abitanti del paese, non solo quelli della città e non solo quelli cristiani. Ho tanto dolore nel cuore, lo offro al Signore come sacrificio a Lui gradito, come supplica per l’arrivo del Regno dei cieli e per la salvezza delle anime.
Il Covid, la sua influenza sulla vita della fede e la nostra risposta
Riguardo alla nostra “convivenza” con il Corona Virus, ci sono dei nuovi casi ogni giorno. Nonostante il numero sia ancora limitato, ci aspettiamo un’onda di diffusione molto alta e grave. Che il Signore venga in nostro aiuto.
Il tempo del Covid 19, quello della “fase 1”, è stato un periodo che abbiamo cercato di sfruttare al meglio, rafforzando per esempio la Messa quotidiana trasmessa sulla pagina Facebook con un’omelia, che ha raggiunto circa 4000 persone ogni giorno. Alcuni di loro erano aleppini, membri di varie associazioni e fraternità della parrocchia, ma anche ex-parrocchiani che sono emigrati e sentono il bisogno di vivere quell’esperienza di fede che vivevano già nella nostra chiesa o nelle altre chiese di Aleppo. Questa “strada nel deserto” che il Signore ha voluto aprire per l’annuncio della Parola e per il nutrimento di migliaia di cristiani che parlano arabo continua a funzionare anche ora nella “fase 2”, dopo aver aperto di nuovo le nostre chiese alle celebrazioni con concorso di popolo.
Dall’altra parte però non possiamo negare che questa pandemia abbia creato un certo disorientamento e paralisi riguardo alla frequenza di associazioni e fraternità. C’è confusione tra la gente: tanti sono indecisi circa il ritorno alla vita normale delle riunioni… In questa fase, ci siamo movendo per ridare vita ai vari gruppi della chiesa per riabilitare tutto.
Non possiamo negare inoltre che la crisi economica nel paese, di cui il Covid ha aumentato la durezza, influenza il modo di pensare e di manifestare la fede. Su questo punto lavoriamo molto come Chiesa, per mantenere il contatto vivo con la nostra gente, e cercando persino di fare alcuni incontri con loro tramite internet nonostante la connessione molto limitata e debole. Per esempio, in questa fase di “timida apertura” delle riunioni e dei vari raduni, cerchiamo di incoraggiare la gente a rivedersi, anche in piccoli gruppi, e dato che quest’anno, per l’estate, non abbiamo ancora avuto nessun segnale positivo dal Governo per i campeggi estivi, abbiamo già deciso di sostituirli con degli incontri saltuari per dare una possibilità di sfogo nei nostri spazi aperti nella città, anche nei giardini dei vari conventi. D’altronde, anche la situazione economica non ci permetterebbe di eseguire le altre attività.
Oratorio estivo quest’estate?
Abbiamo riflettuto tanto, ma poi siamo rimasti incoraggiati dall’apertura dei giardini del Vaticano per i bambini per quest’estate, e siamo nella fase preparativa di un campeggio estivo, di catechismo, sport, e attività manuali per i bambini, divisi in piccoli gruppi in modo che ogni bambino possa godere di almeno due giorni di frequenza alla settimana. Abbiamo deciso di continuare vari corsi di lingua inglese, di musica, di altri corsi di matematica, in modo da rafforzare la qualità scolastica, sempre in calo, anche a causa della paralisi che ha fatto perdere ai bambini una buona parte del programma scolastico di quest’anno.
Tanta fede e speranza, tanta dedizione al servizio umanitario e spirituale
La cosa più difficile è il senso di instabilità davanti a tanti cambiamenti, una cosa che rischia di togliere la pace dai cuori della gente; lo stesso senso di instabilità quando la terra continua a tremare sotto i piedi, e quando, a causa di un’infezione nelle orecchie, si sentono le vertigini in ogni istante…
Senso di grande impotenza e di grande sofferenza: ecco cosa c’è oggi nel cuore di un parroco in una città che da nove anni non ha mai visto pace, serenità, lavoro stabile e prosperità. Ma questo non ci guida verso la disperazione e non ci fa perdere la fede, anzi, rafforza la convinzione che la soluzione verrà dall’Alto, e queste amarezze e sfide ci aiutano ad “alzare gli occhi verso i monti, da dove ci verrà l’aiuto”.
La nostra risposta a questa crisi attuale, a questa nuova via crucis, è tanta fede e tanta speranza. Questa risposta viene tradotta nell’aumento della preghiera, di sobrietà, di comunione con la nostra gente, la Parola nutriente data, ma senza dimenticare il servizio della carità, il “cor unum”, rafforzando in tutti i modi possibili l’aiuto alla gente, specialmente quello che riguarda gli alimentari, l’aiuto nelle spese mediche e chirurgiche, e l’aiuto scolastico per i bambini, senza dimenticare gli altri particolari come i pannolini e il latte ai neo-nati, e tutte quelle cose che sono fondamentali per continuare a vivere.
Che la Santissima Trinità venga in nostro aiuto. Amen.
Fra Ibrahim Alsabagh, ofm
Parroco di Aleppo
Parroco di Aleppo
martedì 23 giugno 2020
POCHE ARMI E TANTA FEDE. BANCUI SI PREPARA PER UNA NUOVA BATTAGLIA di Padre Federico Trinchero
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In macchina, mentre ci rechiamo a scuola come ogni mattina, la radio spiega le ragioni della lenta diffusione in Africa del virus Covid-19, che ha invece rapidamente raggiunto gli altri continenti. Alte temperature e bassa età media sono le ragioni principali addotte dal giornalista. Difficile non dargli ragione. In Centrafrica, dove vivo da ormai undici anni, la temperatura supera spesso i 30° e il 70% della popolazione ha meno di trent’anni. Ma i miei confratelli, che pure fanno orgogliosamente parte di quell’immenso 70%, non sono per nulla convinti e categorici dichiarano: “Il virus non ci ucciderà, perché gli africani hanno fede e pregano!”.
Fede e preghiera non rientrano purtroppo nei parametri da prendere in considerazione da parte del giornalista di Radio France Internationale. E anche il presidente della Repubblica, pur consapevole della sincera devozione dei suoi cittadini, decide ugualmente di prendere alcune misure di precauzione per arginare la diffusione dell’epidemia: luoghi di culto, scuole, aeroporto, ristoranti, bar e discoteche sono quindi chiusi.
E così, se quando l’ebola era alle porte, ero stato costretto a non mangiar più pipistrelli, ora mi sono rassegnato a non andare più in discoteca. Per fortuna sono comunque possibili le celebrazioni fino ad un numero massimo di quindici persone. La vita conventuale, quindi, procede serena, nella preghiera e nel lavoro, in un silenzio cui non eravamo sinceramente abituati e in una situazione ben diversa rispetto a quando, durante la guerra, eravamo sì chiusi in casa per paura delle bombe, ma con diecimila profughi con noi. Ci mancano ovviamente i nostri fedeli e i bambini e i ragazzi che costantemente scorrazzano attorno al convento. Ma ci auguriamo che questo digiuno non duri troppo a lungo.
L’arrivo del Coronavirus in Centrafrica non si è fatto comunque attendere. Mentre vi scrivo sono stati comunicati ufficialmente i primi casi, tutti circoscritti nella capitale. Occorre tuttavia tenere conto che nel paese esiste un solo laboratorio in grado di effettuare i test e quindi i casi, in realtà, sono sicuramente di più. In Camerun ad esempio, il paese confinante con il quale il Centrafrica ha più scambi economici, si trova in una situazione molto più grave quanto a contagi e decessi. Non ci facciamo quindi grandi illusioni, anche se i miei confratelli manifestano ancora un certo ottimismo, pregano con fervore e hanno stranamente una grande voglia di tornare a scuola.
Se il virus dovesse diffondersi da queste parti, nelle stesse proporzioni con cui si è diffuso in altre zone del pianeta, sarebbe infatti una catastrofe. Il Centrafrica non ha un sistema sanitario in grado di affrontare una tale emergenza. Grande due volte l’Italia e con una popolazione di circa 5.000.000 di abitanti, il paese dispone di soli tre respiratori. Quando l’ho saputo, confesso che è stata per me una bella notizia. Pensavo che non ce ne fossero proprio.
Quanto poi al mantenere le distanze, si tratta della misura più difficile da rispettare. Le aule scolastiche possono spesso contenere anche più di cento allievi, le celebrazioni domenicali nelle chiese sono affollatissime, i colorati e frequentatissimi mercati nei quartieri sono luoghi dove il contatto fisico – anche con persone sconosciute – è inevitabile e i passeggeri in sovrannumero su moto, taxi, piccoli bus e grandi camion sono purtroppo la pittoresca normalità di quasi ogni città africana. Ovviamente da alcune settimane sono state lanciate campagne per sensibilizzare la popolazione a osservare alcune semplici norme d’igiene e una certa distanza per scongiurare un’eccessiva propagazione del virus.
Anche se il contagio dovesse svilupparsi in modo leggero – ed è ciò che tutti ci auguriamo – gli effetti della pandemia si faranno sicuramente sentire e in una certa misura già si avvertono. Se a Bangui non ci sono treni o metropolitane e le fabbriche e i supermercati si contano sulle dita delle mani, si può già constatare un aumento dei prezzi dei beni di prima necessità. Tale aumento toccherà in modo particolare le fasce più povere della popolazione. Ma, purtroppo e paradossalmente, il Centrafrica, dopo anni di guerra, è più pronto di altri paesi più sviluppati ad affrontare situazioni di emergenza e a vivere anche in condizioni estreme. Già è successo, ad esempio, di non avere la scuola per mesi se non anni, di essere costretti a non uscire di casa per settimane, di allestire ospedali da campo, di rinunciare a viaggi o eventi e di organizzare il proprio ridottissimo budget mensile senza farsi troppo influenzare dall’andamento della borsa di Wall Street.
In Africa poi, non lo dimentichiamo, ogni anno muoiono di malaria quasi 400.000 persone. Migliaia sono poi le vittime di altre malattie come la tubercolosi e il morbillo. E i bambini sono le principali vittime di questa silenziosa ecatombe che non trova molto spazio tra i notiziari che abitualmente ci raggiungono. Forse queste cifre, ora che ogni giorno restiamo impressionati dal numero crescente delle vittime del Covid-19, dovrebbero interrogarci di più e ridimensionare pretese e reazioni davanti all’evento che stiamo tutti vivendo.
Il Centrafrica ha poche armi per una battaglia contro il Coronavirus. Ma non si arrende. E come sempre si affida a Dio.
Da più settimane conviviamo con la morte e, soprattutto, con la paura di morire. Necessario, perché è proprio in quest’avvenimento, che abbiamo vissuto tante volte in modo distratto e scontato, che come cristiani celebriamo la sconfitta della morte e la liberazione da ogni paura. E probabilmente questo virus, che ormai occupa ossessivamente i nostri pensieri, le nostre parole e le nostre preghiere, ha scombussolato o risvegliato la nostra fede e ci ha sorpresi più impreparati di quanto lo fossero i nostri ospedali o i nostri governi.
Se il Coronavirus dovesse farci scoprire il poco che siamo davanti alla grandezza dell’Unico che può liberarci dalla paura e salvarci dalla morte, sarebbe un non trascurabile effetto collaterale.
Un grande grazie a chi, in questo momento difficile per tutti e con grande sorpresa da parte nostra, si è comunque ricordato di noi, anche solo con un messaggio, e in modo discreto ha voluto manifestarci la sua amicizia e prossimità.
Padre Federico Trinchero
sabato 20 giugno 2020
venerdì 19 giugno 2020
mercoledì 17 giugno 2020
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Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi