Da un po' di tempo sono costernata dall'atteggiamento di un Padre e sacerdote.
Ho riferito la cosa ad altro Padre, il quale mi ha detto di non badare a quel che dice, perché affetto da grandissima autostima. Gli ho risposto: "Da quando in qua si chiama autostima ciò che è semplicemente superbia?
Un Padre che caccia un fedele dal confessionale. (Se non si trattava di una vera confessione, poteva dagli appuntamento per un dialogo fraterno in altra sede, fuori dal confessionale). E lo racconta come si fosse trattato di un'azione lodevole. Un Padre che non lascia raccontare una testimonianza, o porre domande inerenti alla piccola conferenza tenuta ad un gruppo di persone. Un Padre cui piace ascoltarsi, (leggendo da libri, senza aver fatto la minima fatica di prepararsi un discorso ad hoc. Un padre che alla richiesta: "Posso fare una domanda?", risponde con un secco "NO", prende la porta e se ne va senza nemmeno salutare. Gli ho detto, mentre usciva: "Non mi piace come si comporta", e lui si è messo a ridere.
Dunque mi sono arrovellata, chiedendomi se fosse giusto che "giudicassi negativamente" questo suo comportamento. Oggi ho avuto la risposta, dal sito del Vaticano. Ho trovato un discorso di Papa Francesco, e l'ho fatto mio, perché corrisponde al mio pensiero. Quindi non ho sbagliato a pensare quel che mi ha fatto soffrire non poco. E non tanto per me, ma riguardo a tutti quelli che potrebbero essere trattati in questo modo da un uomo di Chiesa. Il discorso del Papa mi ha tranquillizzato.
Dopo questa sua presa di posizione, ovvero chiusa la porta dietro di sé, i presenti hanno detto: "Ma che si vada a confessare lui, che ha ostentato superbia e con il suo comportamento rischia di allontanare i credenti dalla Chiesa stessa!"
Penso che attualmente ci sia molta confusione tra i cattolici, ognuno ha le sue idee sull'essere cristiani, ognuno dice la sua, che sia laico o appartenente al clero.
E quindi mi sembra normale che i laici che hanno idee confuse, chiedano spiegazioni, o espongano il loro pensiero - apparisse anche eretico per chi lo ascolta - a chi ritengono sia in grado di dare risposte certe. Chi ha studiato teologia ne sa senz'altro di più di che ne è a digiuno.
Anche a me non piace l'indottrinamento, e l'ha detto anche Papa Francesco, che non è questo il modo di rapportarsi con la gente.
Se ho dubbi, mi rifaccio alla Parola di Cristo. Al Vangelo. E se quel che ascolto o i comportamenti che mi paiono esulare dagli insegnamenti di Gesù o non trovo scritti nei quattro Vangeli Canonici, semplicemente non li posso accettare.
Quel che mi aspetto da un sacerdote, oltre che la sua vita sia aderente alla sequela di Cristo, è che sappia dialogare con chi ha dei dubbi, anche con chi contesta i preti, i Vescovi e perfino il Papa.
Deve saper ascoltare, e con calma e un sorriso fraterno, dica al dubbioso:
"Siediti qui, che ne parliamo con calma". E poi si aiuti con qualche lettura del Vangelo o con il Catechismo della Chiesa Cattolica, per chiarire le idee confuse del suo interlocutore. Ma sempre con grande accoglienza, non cacciandolo dal confessionale e andare perfino fiero di un gesto tanto poco cristiano.
Altrimenti non si lamentino i signori sacerdoti, se le chiese si svuotano. Le chiese devono accogliere non cacciare!
Ed ecco il discorso del Papa sulle confessioni, avrei voluto tagliarlo perché piuttosto lungo - se ne è scusato Francesco stesso - ma ogni sua parola va letta con molta attenzione. Perché io sto con il Papa, non contro di lui.
Il Papa: il confessore non deve inquisire o far
vergognare chi si pente
Ai Missionari della Misericordia Francesco ricorda che «il figliol
prodigo non è dovuto passare per la dogana». La Siria, la depressione e
l’interrogativo sull’abbandono di Dio: «Il suo amore sconfigge ogni solitudine»
Pubblicato il 10/04/2018
Ultima modifica il 11/04/2018 alle ore
07:55
IACOPO SCARAMUZZI
CITTÀ DEL VATICANO
Non c’è bisogno di «far provare vergogna» a chi sa di avere
sbagliato, non è necessario «inquisire» là dove la
grazia del Padre è già intervenuta perché «non è permesso violare lo spazio sacro
di una persona nel suo relazionarsi con Dio». Papa Francesco
riceve i Missionari della Misericordia e
torna a spiegare il senso profondo del «sacramento della riconciliazione»
(confessione), indicando l’esempio di due grandi confessori di Buenos Aires e
di un cardinale del Vaticano «Parliamo tanto male della
Curia romana, ma qui dentro ci sono dei santi».
Il «figliol prodigo» della parabola
evangelica «non è dovuto passare per la dogana», ricorda Francesco,
insistendo sul fatto che la Chiesa non deve «creare
alcuna barriera o difficoltà che ostacoli l’accesso al perdono del Padre» o
magari trascurare «i passi che una persona sta facendo giorno dopo giorno» per
«difendere l’integrità dell’ideale evangelico». E di fronte ai drammi che
«fanno sorgere in molti l’interrogativo sull’abbandono di Dio», dalla situazione di questi giorni in Siria ai
problemi personali come la depressione, il Pontefice argentino sottolinea che
«la misericordia prende per mano, e infonde la certezza che l’amore con cui Dio
ama sconfigge ogni forma di solitudine e di abbandono».
I Missionari della Misericordia, riuniti in questi giorni presso il Pontificio Consiglio
per la Promozione della Nuova Evangelizzazione guidato da monsignor
Rino Fisichella, sono una figura di confessori che avrebbero dovuto svolgere il
loro compito in giro per il mondo nel solo periodo del Giubileo straordinario
della misericordia (8 dicembre 2015-20 novembre 2016). «Eppure», ha detto il
Papa a 550 di loro che ha dapprima ricevuto e con i quali ha poi celebrato
messa a San Pietro, «riflettendo sul grande servizio che avete
reso alla Chiesa, e su quanto bene avete fatto e offerto a tanti credenti con
la vostra predicazione e soprattutto con la celebrazione del sacramento della
Riconciliazione, ho ritenuto opportuno che ancora per un po’ di tempo il vostro
mandato potesse essere prolungato. Ho ricevuto molte
testimonianze di conversioni che si sono realizzate tramite il vostro servizio». (Quale testimonianza di conversione può dare un confessore che caccia dal confessionale il penitente?)
«Dobbiamo ribadire sempre, ma soprattutto riguardo al
sacramento della Riconciliazione, che la prima iniziativa è del Signore; è lui
che ci precede nell’amore, ma non in forma universale: caso per caso», ha
sottolineato Francesco che ha ricordato un neologismo spagnolo a lui caro,
quello di «primear», prevenire, «per esprimere proprio la dinamica del primo
atto con il quale Dio ci viene incontro». Per questo motivo, «quando si accosta
a noi un penitente, è importante e consolante riconoscere che abbiamo davanti a
noi il primo frutto dell’incontro già avvenuto con l’amore di Dio, che con la
sua grazia ha aperto il suo cuore e lo ha reso disponibile alla conversione»,
ha rimarcato il Papa. «Il nostro compito – e questo è un secondo passo –
consiste nel non rendere vana l’azione della grazia di
Dio, ma sostenerla e permettere che giunga a compimento. A volte, purtroppo, può capitare che un sacerdote, con il suo
comportamento, invece di avvicinare il penitente lo allontani. Ad
esempio – ha sottolineato Francesco – per difendere l’integrità dell’ideale
evangelico si trascurano i passi che una persona sta facendo giorno dopo
giorno. Non è così che si alimenta la grazia di Dio. Riconoscere
il pentimento del peccatore equivale ad accoglierlo a braccia spalancate,
per imitare il padre della parabola che accoglie il figlio quando ritorna a
casa, significa non fargli terminare neppure le parole».
Jorge Mario Bergoglio si è più volte soffermato, nel corso
di un discorso intercalato da molti passaggi a braccio, sulla parabola
evangelica del «figliol prodigo» accolto nonostante i suoi errori dal «padre
misericordioso». «Il figliol prodigo non è dovuto
passare per la dogana: è stato accolto dal Padre, senza ostacoli», ha
detto, invitando i Missionari della Misericordia a essere «segno concreto che
la Chiesa non può, non deve e non vuole creare alcuna barriera o difficoltà che
ostacoli l’accesso al perdono del Padre». Nella parabola, «il papà neppure gli
ha fatto terminare le parole, lo ha abbracciato. Lui aveva il discorso
preparato, ma (il padre) lo ha abbracciato. Significa non fargli terminare
neppure le parole che aveva preparato per scusarsi, perché il confessore ha già
compreso ogni cosa, forte della esperienza di essere lui pure un peccatore. Non
c’è bisogno – ha chiosato il Papa – di far provare vergogna a chi ha già
riconosciuto il suo peccato e sa di avere sbagliato, non
è necessario inquisire – quei confessori che domandano, domandano, dieci,
venti, trenta, quaranta minuti… “E come è stato fatto? E come?...” –, non è
necessario inquisire là dove la grazia del Padre è già intervenuta,
non è permesso violare lo spazio sacro di una persona nel suo relazionarsi con
Dio».
Al proposito il Papa latinoamericano ha fatto «un esempio
della Curia romana», che aveva già menzionato in passato: «Parliamo tanto male della Curia romana, ma qui dentro ci sono
dei santi. Un cardinale, prefetto di una Congregazione, ha l’abitudine di
andare a confessare a Santo Spirito in Sassia due, tre volte alla settimana –
ha il suo orario fisso – e lui un giorno, spiegando, disse: quando io mi
accorgo che una persona incomincia a fare fatica nel dire, e io ho compreso di
che cosa si tratta, dico: “Ho capito. Vai avanti”. E quella persona “respira”.
È un bel consiglio: quando si sa di che si tratta, “ho capito, vai
avanti”».
Bergoglio si è poi soffermato sulle conseguenze del perdono
nato dalla misericordia divina. «Dio libera dalla paura,
dall’angoscia, dalla vergogna, dalla violenza. Il perdono è
realmente una forma di liberazione per restituire la gioia e il senso della
vita», ha detto, e «la misericordia liberando restituisce la dignità. Il
penitente non indugia nel compatirsi per il peccato compiuto, e il sacerdote
non lo colpevolizza per il male di cui è pentito, piuttosto, lo incoraggia a
guardare al futuro con occhi nuovi, conducendolo “alle sorgenti dell’acqua”.
Ciò significa che il perdono e la misericordia permettono
di guardare di nuovo alla vita con fiducia e impegno», ha insistito
il Papa che, citando il fondatore dei gesuiti, sant’Ignazio di Loyola –
«permettetemi un po’ di pubblicità di famiglia» – ha ricordato il concetto di
«consolazione» interna che «scaccia ogni turbamento e attrae interamente
all’amore del Signore» che corre il rischio di perdere con una «spiritualità
delle lamentele».
Il peccato, ha rimarcato ancora il Papa, è «abbandonare Dio,
voltargli le spalle per guardare solo a sé stessi». Francesco ha ammesso: «Ci sono momenti in cui realmente si sente il silenzio e
l’abbandono di Dio. Non solo nelle grandi ore oscure dell’umanità di ogni
epoca, che fanno sorgere in molti l’interrogativo sull’abbandono di Dio. Penso
adesso alla Siria di oggi, per esempio. Avviene che anche nelle
vicende personali, persino in quelle dei santi, si possa fare l’esperienza
dell’abbandono. Che triste esperienza quella dell’abbandono! - ha detto - Essa
ha diversi gradi, fino al distacco definitivo per il sopraggiungere della
morte. Sentirsi abbandonati porta alla delusione, alla tristezza, a volte alla
disperazione, e alle diverse forme di depressione di cui oggi tanti soffrono.
Eppure, ogni forma di abbandono, per paradossale che possa sembrare, è inserita
all’interno dell’esperienza dell’amore.
Ricordando le parole di Gesù in croce, «Dio mio, Dio mio,
perché mi hai abbandonato?», il Papa ha ricordato che «le parole del Crocifisso
sembrano risuonare nel vuoto, perché questo silenzio del Padre per il Figlio è
il prezzo da pagare perché nessuno più si senta abbandonato da Dio. Il Dio che
ha amato il mondo al punto di dare il suo Figlio, al punto di abbandonarlo
sulla croce, non potrà mai abbandonare nessuno: il suo amore sarà sempre lì,
vicino, più grande e più fedele di ogni abbandono». «La misericordia prende per
mano, e infonde la certezza che l’amore con cui Dio ama sconfigge ogni forma di
solitudine e di abbandono».
«Di questa esperienza», ha detto ancora Francesco che si è
scusato per la lunghezza del suo discorso, «i Missionari della Misericordia
sono chiamati a essere interpreti e testimoni». Per questo li ha esortati
a non mettersi «sopra gli altri quasi fossero dei
giudici nei confronti dei fratelli peccatori», ad avere «uno stile
di vita coerente con la missione che abbiamo ricevuto», e a coloro che nel frattempo sono stati nominati vescovi si è
augurato che «non abbiano perso la capacità di “misericordiare”».
Prima di concludere il discorso, il Papa ha ricordato, a mo’
di esempio, due grandi confessori di cui ha già parlato in altri discorsi del
suo pontificato, Padre José Aristi, di cui «rubò» la croce
del Rosario, e padre Luis Dri che, colto dallo scrupolo di concedere troppe assoluzioni,
diceva davanti al crocifisso: «Signore, perdonami, oggi ho perdonato troppo.
Perdonami… Ma bada bene che sei stato tu a darmi il cattivo esempio!».
Non ho altro da aggiungere, ha detto tutto Papa Francesco
Danila Oppio
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