Centrafrica: violenze, 5mila profughi in parrocchia al confine col Ciad
La parrocchia di Markounda ospita
soprattutto donne e bambini fuggiti da villaggi bruciati: nella zona Msf
denuncia scontri tra Movimento nazionale per la liberazione e combattenti di
Rivoluzione e giustizia.
Giada Aquilino - Città del Vaticano
Nella parrocchia di Markounda, nella parte nord
occidentale del Centrafrica, “ci sono da quasi una settimana 5 mila profughi”.
A riferirlo da Bangui è padre Federico Trinchero, carmelitano
scalzo che opera al Convento di Nostra Signora del Monte Carmelo. Si tratta,
spiega il missionario, soprattutto di “donne e bambini fuggiti dai villaggi” al
confine col Ciad.
La denuncia di Msf
Non lontano, nella zona di Paoua, secondo una
denuncia di Medici Senza Frontiere, nuovi scontri armati tra Movimento
nazionale per la liberazione della Repubblica Centrafricana e combattenti di
Rivoluzione e giustizia hanno costretto alla fuga circa 30 mila persone. Si
parla “addirittura di 100 morti e centinaia di case bruciate”, riferisce padre
Trinchero: “so di un seminarista la cui famiglia è fuggita nella savana, perché
le case del villaggio d’origine sono state bruciate”.
Ciascun gruppo ribelle opera per conto proprio
Dopo il conflitto scoppiato tra fine 2012 e inizio
2013, con sanguinosi scontri tra milizie Seleka e gruppi anti-Balaka, crescono
dunque i timori tra la popolazione. “Anche per noi sul posto è difficile capire
chi sono e cosa vogliono” i miliziani entrati in azione negli ultimi giorni.
“La guerra cominciata nel 2012 – 2013 era nata dalla coalizione Seleka: gruppi
di bande armate che - ricorda il carmelitano - si unirono con l’obiettivo di
ottenere il potere. Dopo 4 anni, la Seleka è venuta meno in quanto tale”, ma
ciascun gruppo ora – aggiunge – opera per conto proprio, “ognuno col suo capo,
col suo generale”. E non solo a Paoua: “ci sono focolai pure nella zona di
Bangassou, Bambari, Bossangoa”, con uomini armati che “seminano paura, uccidono
gente, bruciano villaggi”.
La lotta per il controllo del territorio
Dietro tali violenze, un obiettivo. “Vogliono
controllare - prosegue padre Trinchero - quelle zone. Il Paese è molto grande e
la presenza dello Stato si vede un po’ in capitale. Quindi tutte le aree
lontane da Bangui sono delle terre di nessuno. Secondo un dato di qualche mese
fa, l’80% del Paese è in mano a questi gruppi di ribelli”. I locali sperano che
la situazione non degeneri come in passato, anche grazie alla presenza della
Minusca, “la missione dell’Onu che almeno in capitale riesce a impedire
l’ingresso” dei miliziani.
Il viaggio del Papa e l’impegno della Chiesa
In questo quadro, a oltre due anni dal viaggio
di Papa Francesco nel Paese africano per
l’apertura della Porta Santa alla cattedrale di Bangui, la Chiesa “continua ad
essere in prima linea” al fianco dei centrafricani, “perché ogni volta che ci
sono questi scontri - aggiunge padre Trinchero - la gente trova sempre rifugio
nelle parrocchie, nelle case dei religiosi, nei seminari”. Proprio in questi
giorni “è in corso a Bangui la conferenza dei vescovi centrafricani: alla fine
del loro incontro - conclude il carmelitano - lanceranno un messaggio” di pace,
perché tra l’altro “alcuni di loro sono proprio delle zone colpite, Bangassou,
Bambari, Bossangoa”.
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