Vangelo, tutti ce l'hanno, ma solo uno su dieci lo legge
Il 70% degli italiani ne possiede una copia, ma la maggioranza non lo sfoglia. Più interesse tra i giovani –
Possedere non è conoscere. E neppure possedere basta a credere.
Se è vero che Dio in principio era il Logos, cioè la Parola, gli italiani dimostrano poca dime-stichezza proprio con il libro che contiene il Verbo incarnato, il Vangelo, e che invece dovrebbe essere il cardine dell'essere cristiani. Questo è quanto risulta da una ricerca del Censis promossa da Utet Grandi Opere, e che può essere riassunta in pochi dati: se il 70% degli italiani ha in casa una copia del Vangelo, il 52% dichiara di non leggerlo mai, il 37% di sfogliarlo soltanto di rado.
La non, o poca, frequentazione che sfiora il 90% del campione, ha come logica conseguenza una sorta di «devota incompetenza»: il 44% degli intervistati non sa quanti siano i Vangeli, anche se l'86% conosce, e per fortuna, almeno il nome di un evangelista; solo il 21% ricorda una frase del Vangelo ed è incredibile che la più citata sia: «Beati i poveri di spirito» (15%), e non la scontatissima «Ama il tuo prossimo come te stesso» (11%). In compenso, quasi l'80% del campione è convinto (erroneamente) che l'Ave Maria sia contenuta in uno dei quattro libri canonici. E così sia!
A scorrere il rapporto Censis, « “Gli italiani e i Vangeli”: nel cuore più che nella testa», si chiarisce ancora meglio il panorama di una religiosità che sopravvive quasi per tradizione, come i santini custoditi nel portafoglio «perché non si sa mai...!». E non a caso, il 50% considera i Vangeli parte integrante del patrimonio dell'Occidente, oltre il 90% che i Vangeli, la filosofia greca, la cultura romana, insieme, costituiscano la vera essenza della nostra civiltà. E mentre solo il 7% si riconosce nell'Illuminismo, più del 60% – in barba ad ogni tentazione multi-culturalista –, crede che i valori del Vangelo siano fondamentali per tutti, in modo universale, perfino per i non credenti o per i fedeli di altre religioni.
Se in generale i vecchi sembrano avere una maggior consuetudine con i testi sacri, la ricerca mostra che i gio-vani hanno con questo libro maggior confidenza delle persone di mezza età, e un livello di attenzione che si avvicina a quello delle persone anziane: il 70% ne possiede una copia, contro il 65% della generazione di mezzo, ma la vera differenza generazionale e che fa immaginare un ritorno di interesse «informato», è che quasi il 50% dei giovani che ne possiedono una copia ammette di leggerlo contro il 43% dei 30/50enni.
A fronte di una scarsa conoscenza dei testi, vi è una invece forte memoriaper le immagini, patrimonio iconografico millenario inestinguibile: il 63% afferma di ricordare almeno un'immagine evangelica che non sia la crocifissione: l'Ultima Cena è quella memorabile per il 35%. Se volessimo impartire una nuova educazione cristiana, come nel Medioevo, varrebbe la pena ricominciare dalle icone. «Non possiamo non dirci cristiani» sosteneva Benedetto Croce guardando soprattutto ai capolavori dell'arte: dalle Catacombe di Priscilla del III secolo passando per Giotto, Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Grünewald, Rembrandt, tutti i grandi si sono misurati con i Vangeli».
CODICI lungo i secoli
• Su che cosa si fonda il testo che leggiamo nelle nostre Bibbie?
• Abbiamo il testo originale dei Vangeli o del Nuovo Testamento?
Sono domande che si pongono spesso, ed importanti.
** In realtà, noi – praticamente – non possediamo i testi profani originali dell'antichità.
Uno dei rari esempi è la lettera di Simon bar Kosba, capo della rivolta giudaica del 135. Possediamo solo delle copie.
– Di tutti i testi dell'antichità – eccetto quelli a carattere amministrativo e legislativo fissati sulla pietra o in tavolette di terracotta o nei papiri conservati nelle sabbie dei deserti – noi non possediamo gli originali. Possediamo solo delle riproduzioni che sono giunte a noi attraverso l'opera paziente e benemerita di copisti.
– Questo vale pure per la Bibbia ed il Vangelo. Bisogna, però, notare la posizione privilegiata dei Van-geli: nessun'opera classica può vantare un manoscritto così vicino all'originale come un frammento del Vangelo di Giovanni, risalente al 120-125 d.C., quindi a soli 30 anni dalla pubblicazione del IV Vangelo! I più antichi manoscritti delle opere del poeta latino Virgilio, per esempio, risalgono a 400 anni dopo di lui; per Giulio Cesare altrettanto; tredici secoli separano Platone dai manoscritti della sua opera e dobbiamo attendere sedici secoli per il poeta greco Euripide, e per Omero circa 20 secoli!!
• Per ogni grande autore dell'antichità:
come quantità di codici che rimangono, si va da 1 (Tacito) ad un massimo di 250 (Orazio)
come distanza di tempo tra autografo e codici (copie), da 400 anni e 2000 circa.
Eppure nessuno ragionevolmente dubita della loro autenticità!
• Per il Nuovo Testamento, invece, siamo molto più fortunati. Possediamo ben 4680 codici, dei quali 53 contengono tutto il N. Test., e gli altri, una parte più o meno considerevole; senza contare le traduzioni e i codici o copie delle traduzioni, che si calcolano a quasi 30.000!
Da tutto questo immenso materiale balza una constatazione che ha dello straordinario: cioè la concordanza tra le tante migliaia di codici, traduzioni e relative copie, distanti fra loro nel tempo e nello spazio.
• Tali manoscritti sono su papiro (fibra di pianta) o su pergamena (pelle di pecora, capra o vacca). Possono essere in rotolo o, più spesso, in codice (fogli cuciti insieme, come i nostri libri moderni).
• Fino al IX secolo sono scritti in lettere maiuscole (o "onciali"), senza separazione tra le lettere; poi si scrivono scritti anche in lettere minuscole.
Elenchiamo – in breve – alcune tappe importanti della trasmissione del Nuovo Testamento.
a – Fino al IV secolo
1 Già alla fine del II secolo si manifestano inquietudini per le divergenze tra i manoscritti. Ad Ales-sandria d'Egitto viene fatta una recensione: a partire dai diversi manoscritti, si cerca di stabilire un testo il più vicino possibile a quello che doveva essere l'originale. Tale "recensione alessandrina" si diffuse in tutto l'Impero romano.
2 Il testo greco è tradotto in latino (Vetus latina o "itala" nel 160-180) e anche in siriaco e in copto.
Risale a questo periodo il Papyrus Rylands (verso il 150 d.C.). è il più antico testo del Nuovo Testamento che si abbia. Da notare che, poiché Giovanni scrisse il suo Vangelo verso il 95-100, questo frammento che riproduce Gv. 18, 31-33 2 37-38, attesta che poco dopo la sua composizione questo vangelo era già diffuso fino in Egitto.
– In Egitto troviamo il Papyrus Bodner II (vs il 250), che comprende 14 cap. di Giovanni (scritto alla fine del 1° secolo).
b – Dal 300 al 500 dopo Cristo
• A quest'epoca risalgono i grandi manoscritti del Nuovo Testamento su pergamena: Vaticanus (IV sec.) – Sinaiticus (IV sec.) – Alessandrinus (V sec.) – Codex Efrem (V sec.) – Codex Bezae (V sec.) [che ha solo i Vangeli e gli Atti] – Codex Freeer (V sec.) [che ha solo i Vangeli].
• All'inizio del V secolo si fa una nuova recensione a Bisanzio. È questa quella che si è imposta come "versione comune" in tutte le chiese di lingua greca.
• Si unifica il testo delle versioni: Nel 382 San Gerolamo inizia a redigere la Vulgata (in latino). La Peschita (in siriaco) e la versione aramaica risalgono al V secolo.
c – Dal secolo 500 al Rinascimento (1350-1400): Vengono fatte numerose copie nei monasteri.
d – Rinascimento; 1400-1500 secolo. I manoscritti greci affluiscono in occidente dopo la presa di Costantinopoli da parte dei Turchi (1453). Iniziata nel 1502, la Poliglotta di Alcalà o del cardinal Jimenez, lavoro di coscienziosi eruditi, è pubblicata nel 1522.
Per anticiparla (la concorrenza c'era anche a quel tempo!), Erasmo pubblica, nel 1516, un testo stabilito in sei mesi sulla base di 6 soli manoscritti. L'editore Robert Estienne revisiona Erasmo a partire dalla poliglotta di Alcalà. Teo-doro di Beza riprende la quarta edizione di Estienne: è il “Textus receptus”, che viene usato fino alla fine dell' 800.
e – Dopo il XIX secolo.
Nel 1859 Tischendorf scopre il Sinaiticus e pubblica il Vaticanus. Sono i due manoscritti che servono come base al testo attuale delle nostre Bibbie.
°°° Che ne è delle 250.000 varianti della Bibbia (se il copista è distratto...)?
Tutto chiaro, tutto a posto, ormai, e fine della discussione? Neppure per sogno!
Scrive un lettore della rivista “Jesus” in proposito.
“Gradirei che portaste a conoscenza di tutti il criterio usato nel redigere il testo greco: come ad esempio la scelta della punteggiatura, dei segni d'interpunzione, delle omissioni, delle aggiunte, delle varianti (dicono 250.000). Chi cura la redazione del testo greco non dovrebbe, a mio avviso, ispirarsi a nessuna delle tradizioni [cattolica, protestante o delle nuove sètte], ma operare con criterio scientifico, quasi, se non del tutto simile a quello delle scienze esatte. Nel riportare queste versioni si dovrebbe indicare anche quelle cose delle quali si è omessa l'attenzione, perché giudicate secondarie”.
Il lettore – attraverso questa serie di domande per le quali si attende una risposta esauriente –, forse non sapeva di toccare una delle questioni più scottanti dello studio dei Vangeli: la questione della critica del testo. Cercherò di racchiudere in alcuni punti un'informazione il più possibile semplificata.
1 – Di tutti i testi dell'antichità – eccettuati quelli a carattere amministrativo e legislativo fissati sulla pietra o in tavolette di terracotta o nei papiri conservati nelle sabbie dei deserti – noi non possediamo gli originali. Possediamo soltanto delle riproduzioni che sono giunte a noi attraverso l'opera paziente e benemerita di copisti.
Questo vale pure per la Bibbia ed il Vangelo. Bisogna, però, notare la posizione privilegiata dei Vangeli: nessun'opera classica può vantare un manoscritto così vicino all'originale come un frammento del Vangelo di Giovanni, risalente al 120-125 d.C., cioè a soli 30 anni dalla pubblicazione del IV Vangelo (di Giovanni)!
2 – L'opera dei copisti ci ha fatto pervenire una miniera di manoscritti greci del Nuovo Testamento: oltre 80 papiri, 268 codici in scrittura maiuscola, 2.792 in minuscola e 2.193 lezionari (con i soli testi per l'uso liturgico). Gran parte dei manoscritti contiene solamente frammenti, come quasi tutti i papiri. Tra i codici più importanti soltanto il Sinaitico contiene tutto il NT, mentre il Vaticano arriva fino alla Lettera agli Ebrei (9,1 4a) e l'Alessandrino ha parecchie lacune (manca gran parte del Vangelo di Matteo).
3 – Da una simile quantità di manoscritti gli studiosi si sforzano di ricostruire, nella forma più atten-dibile, il testo greco del NT (quella chiamata edizione critica, risultante dal confronto e dall'emen-dazione dei vari manoscritti). Si tratta, infatti, di muoversi tra un numero incalcolabile di varianti (= le differenze tra i vari testi, che qualcuno conta fino a 250.000), dovute non tanto a motivi dottrinali, quanto piuttosto ad errori di trascrizione e di trasmissione del testo. E siccome nessuno dei manoscritti in nostro possesso riporta tutti i 27 libri del NT o anche uno soltanto di essi senza varianti, gli specialisti devono ricorrere a uno studio attento e preciso per restituire ai lettori il testo, così come è uscito dalla penna del primo autore (gli evangelisti appunto, perché Gesù non ha lasciato nulla di scritto).
4 - Nel redigere il testo critico del NT, gli specialisti devono decidere con criteri rigorosi di scienti-ficità come valutare le numerose varianti che, con l'andare del tempo, sono state introdotte o aggiunte nel testo originario. Particolare attenzione essi pongono nell'emendare le varianti dovute agli errori di copisti non all'altezza del compito e alle correzioni intenzionali che copisti più colti (specialmente dal II sec.) si permettevano di fare al testo sacro.
• Gli errori più comuni sono dovuti alla pronuncia del greco (itacismo ed etacismo).
• Ci sono poi gli errori di vista (specialmente l'homeotèleuton, che consiste nel passare dalla prima alla seconda di due parole identiche poste a breve distanza, con la conseguente omissione di una parte del testo).
• Sono presenti anche errori di memoria (il copista credeva di ricordare bene i testi e li scriveva non alla lettera, ma a memoria).
• Infine ci sono gli errori dovuti a correzioni intenzionali e le correzioni dogmatiche [specialmente presso l'eretico Marcione], per le quali è necessaria maggiore attenzione. Un esempio di regola da tutti accettata in questo lavoro di emendazione è che «la lettura più difficile è la più probabile».
Le edizioni critiche oggi disponibili (ad es. Nestle, Merk, Aland) tengono presente tutto ciò, spiegano i criteri delle loro scelte e riportano a piè di pagina il cosiddetto apparato critico, dal quale anche il lettore può rendersi conto dello stato di trasmissione del testo, delle varianti e delle differenze tra i manoscritti più importanti. Un aiuto altamente qualificato nella ricostruzione del testo "originale" è offerto oggi dall'istituto per lo studio del testo neotestamentario, che ha sede a Mùnster e si avvale di tecniche d'avanguardia molto sofisticate.
5 - Gli antichi manoscritti erano scritti di seguito, su una o due colonne, senza punteggiatura (alle volte il ricostruirla fa problema. Nello scrivere, i copisti sceglievano tra la sticometria (= lo stico era la lunghezza di una riga, composta di circa 16 sillabe) e la colometria (= scrittura che basava la lunghezza sul senso di un testo).
L'attuale divisione in capitoli risale a Stefano Langton (vescovo di Canterbury, morto nel 1228), mentre la suddi-visione in versetti venne introdotta per la prima volta dallo stampatore parigino Roberto Estienne nella 4° edizione del NT, stampata a Ginevra nel 1551.
Sia protestanti che cattolici si muovono secondo criteri di massima scientificità come dimostrano le Bibbie interconfessionali ed ecumeniche. Assolutamente inattendibili – perché prive di apparato critico-scientifico –, sono le versioni delle Sètte, per esempio quella dei Testimoni di Geova.
QUINDI Le divergenze tra i manoscritti riguardano solo dei dettagli. Senza avere l'originale dei testi possiamo, però, avere ragionevole fiducia nelle copie che ci sono pervenute.
••• Interpretazione della Scrittura
Nella Sacra Scrittura, Dio parla all'uomo alla maniera umana. Per una retta interpretazione della Scrittura, bisogna dunque ricercare con attenzione che cosa gli agiografi hanno veramente voluto affermare e che cosa è piaciuto a Dio manifestare con le parole.
Per comprendere l'intenzione degli autori sacri, si deve tener conto delle condizioni del loro tempo e della loro cultura, dei “generi letterari” allora in uso, dei modi di intendere, di esprimersi, di raccontare, consueti nella loro epoca...
Però, essendo la Sacra Scrittura ispirata, c'e' un altro principio di retta interpretazione. La Scrittura deve "essere letta e interpretata con l'aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta".
La Chiesa indica tre criteri per un'interpretazione retta della Scrittura conforme allo Spirito:
1. Prestare grande attenzione "al contenuto e all'unità di tutta la Scrittura". Infatti, per quanto siano differenti i libri che la compongono, la Scrittura è una, in forza dell'unità del disegno di Dio, del quale Cristo Gesù è il centro e il cuore...
2. Leggere la Scrittura nella "Tradizione vivente di tutta la Chiesa"... Infatti la Chiesa porta nella sua Tradizione la memoria via della Parola di Dio ed è lo Spirito Santo che le dona l'interpretazione di essa secondo il senso spirituale.
3. Essere attenti "all'analogia della fede". Per "analogia della fede" intendiamo la coesione delle verità della fede tra loro e nella totalità del progetto della rivelazione.
“È compito degli esegeti contribuire, secondo queste regole, alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso della Sacra Scrittura, affinché, con studi in qualche modo preparatori, si maturi il giudizio della Chiesa. Tutto questo, infatti, che concerne il modo di interpretare la Scrittura, è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di interpretare la Parola di Dio”.
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