Sento il dovere di divulgare quanto afferma questa scrittrice. Condivido il suo pensiero, perché il mio timore è lo stesso suo. Portare a credere che tutti i musulmani siano dei possibili assassini, e che il rischio di pensarla così, crei divisione e cancelli la convivenza pacifica tra le diverse religioni e popoli.
Facciamo un piccolo excursus culturale
Perché i kamikaze li chiamiamo assassini?
La lingua italiana è ricca di parole la cui etimologia deriva dall'arabo. Questa sorta di "infiltrazione" linguistica è dovuta, sostanzialmente, a quattro fattori fondamentali: le Crociate; la presenza degli arabi in Sicilia, (dove hanno governato dall'827 al 1091); il ruolo strategico giocato dai paesi arabi, che si affacciano sul mar Mediterraneo, nei rapporti commerciali tra Occidente e Oriente, dal medioevo fino all'epoca moderna e le numerose traduzioni dall'arabo al latino o nell'italiano volgare di opere religiose, filosofiche, letterarie e tecnico-scientifiche.
Assassino: questa parola deriva dall'arabo hashashiyuun, ovvero i fumatori di hashish. Loro erano i seguaci del gruppo ismaelita dei Nizariti di Alamut in Persia, e avevano costituito una sorta di organizzazione terroristica attraverso cui compivano azioni violente e assassini politici nei vari paesi del Vicino Oriente. Si dice che questi hashashiyuun, prima di una missione, s'inebriassero fumando grandi quantità di hashish. Col tempo il termine è stato esteso ad indicare l'omicida, nel vero senso della parola.
Il lavaggio mentale che viene sistematicamente adottato, per creare attentatori, inneggiando ad Allah akbar, in parte è sicuramente dovuto all'assunzione di droghe. Io non credo che un Dio, adorato da qualunque religione, possa essere un Dio che vuole far assassinare le proprie creature. Un Dio creatore non vuole che i suoi figli,ovvero le sue creature, si ammazzino tra loro. Non ama le guerre fratricide. E anche i islamici lo sanno. Quindi, in nome di quel dio si compiono e si fanno compiere azioni che sono solo generate dalla mente umana. Consiglio di leggere il seguente articolo, scritto da una giornalista e scrittrice musulmana.
Qui sotto, il link di Internazionale, da cui ho estrapolato l'articolo di Igiaba Scego, scrittrice http://www.internazionale.it/14
· NOV 2015 14.55
Igiaba Scego, scrittrice
Posso dare un consiglio a tutti? Lasciate perdere
gli sciacalli populisti nostrani e i loro tweet. Abbiamo cose più serie a cui
pensare.#Parigi#Beirut#Siria
Questo
è uno dei tweet che ho lanciato ieri sera dopo gli attacchi di Parigi. Non mi
va più di perdere tempo con chi odia. E secondo me non dovreste perdere tempo
nemmeno voi. Il tempo è prezioso. Non possiamo disperderlo inseguendo inutili
polemiche da pollaio italiano.
Per
una volta il titolo di Libero (”Bastardi islamici”) o le farneticazioni di odio
del fascista di turno non mi toccano. Certo non fanno bene alla nostra
democrazia, al nostro futuro, alla nostra digestione. Ma gli sciacalli che
pensano al voto locale mi sembrano così inutili e piccoli davanti a un evento
che cambierà il ventunesimo secolo.
Stanno
attaccando il nostro modo di vivere. Stanno attaccando la convivenza tra
musulmani, ebrei, cristiani e atei. Stanno attaccando la pace.
Non
ho tempo da perdere con chi fa calcoli da bottegaia (e mi scuseranno i
bottegai) per il voto di primavera. Non voglio disperdere energie con chi
definisce persone come me, musulmane e afrodiscendenti, complici della barbarie
che ha colpito Parigi. Io passo oltre. Li supero.
E lo dovrebbero fare
pure i mezzi d’informazione mainstream. Questo è il tempo della responsabilità.
Mi chiedo se la nostra informazione (dai talk show ai telegiornali) saprà
gestire questo delicato periodo con intelligenza. O se invece ci riempirà lo
schermo con i vari e noti professionisti dell’odio. Quelli che smaniano già di
aprire (malamente, direi) bocca. Quelli che “i musulmani tutti al rogo” o “i
rifugiati era meglio se annegavano”, per intenderci.
Se fossi il
direttore di un telegiornale, comincerei da una bella mappa. Sì, avete sentito
bene: una mappa
Mi
piacerebbe per una volta che da quel piccolo schermo – spesso brutto, sporco e
cattivo – uscissero notizie, approfondimenti, interviste dotate di un senso
logico. Non abbiamo bisogno del bla bla che ci assorda e ci stressa ancora di
più. Siamo tutti sull’orlo di un baratro, tutti sull’orlo di una crisi di
nervi. Ci serve una zattera in questo mare in burrasca, non altra acqua che ci
fa affondare.
Se
fossi il direttore di un telegiornale, comincerei da una bella mappa. Sì, avete
sentito bene: una mappa.
Spesso
– me ne sono accorta quando facevo l’assistente all’università e dovevo
interrogare i ragazzi – le persone non sanno collocare i paesi e le città in
una mappa. Il tg sciorina nomi: Siria, Libano, Arabia Saudita, Iran. Ma non
sono in molti a sapere dove stanno esattamente questi paesi. La situazione poi
peggiora quando si parla di Eritrea, Somalia, Sudan o Yemen.
Viviamo
in un’epoca globalizzata dove con un clic si può teoricamente conoscere tutto.
Ma in realtà nessuno conosce niente. E così il terrore diventa ancora più
terrore. Perché ti senti attaccato dagli alieni. Non capisci bene come si è
arrivati a questo punto. Ti sei perso le puntate precedenti. Ti sei perso
Beirut che era solo due giorni fa, Beirut dove 43 persone hanno perso la vita.
Ti sei perso l’intervento russo in Siria. L’attentato ad Ankara alla vigilia
del voto. I massacri in Sudan. Gli attacchi agli hotel a Mogadiscio. Non
capisci dove ti trovi. In che epoca stai vivendo. E il populismo di bassa lega
non ti aiuta. Anzi ti getta in un baratro ancora più profondo. La tua paura
aumenta. E la tua angoscia pure.
Certo,
una mappa non toglie la paura. Ma può rendere una persona consapevole di quello
che sta succedendo almeno. Come lo può fare una vera informazione, del resto.
Solo unendo i punti
del mondo si arriva a capire che siamo sotto attacco da un bel po’ e non da
ieri.
Quando ho visto le
immagini di Parigi ho pensato subito a Mogadiscio
Sono
di origine somala e purtroppo ho una certa dimestichezza con gli attacchi
kamikaze, e gli attacchi in genere. Sono anni che vedo il gruppo terroristico
somalo Al Shabaab colpire i luoghi della quotidianità, gli hotel soprattutto.
Quando ieri ho visto le immagini di Parigi ho pensato subito a Mogadiscio. La
città dei miei genitori, la città in cui si sono innamorati e sposati, ha
vissuto una delle guerre civili più devastanti di questo millennio. Ora,
lentamente, sta cercando di uscire da un incubo che sembrava interminabile, e
non a caso ha cominciato a ricostruire il suo scheletro a partire dai luoghi di
ritrovo.
L’hotel
a Mogadiscio è una struttura multitasking. Non serve solo per dormire o fare la
prima colazione. Ed è proprio lì che un paese intero sta cercando di
ricostruire, almeno in parte, se stesso. Lì si incontrano i politici, ma anche
la diaspora. Lì avvengono le celebrazioni e a volte, come quest’anno, si
organizzano fiere del libro. L’hotel è il nucleo di qualcosa che non c’è, una
vita normale che ci potrebbe essere. Di fatto è l’essenza di una quotidianità
possibile.
Ed
è lì nella nostra quotidianità, a Mogadiscio come a Parigi, che il terrorismo
colpisce. Mi ricordo ancora quando più di cento studenti in attesa del loro
diploma sono stati uccisi a Mogadiscio nel 2011. O come solo la settimana
scorsa una ragazza si è buttata dalla finestra dell’hotel Sahafi per scampare a
un attacco di Al Shabaab.
Vivere nell’angoscia
Viviamo tempi duri. Tempi in cui quello che è sempre sembrato normale è messo
in discussione. E non è la partita di calcio a cui i populisti vorrebbero
ridurre la faccenda. Non è musulmani cattivi contro il resto del mondo buono.
Siamo davanti a persone pericolose che hanno un piano preciso, un piano di
guerra, e sono contro tutti. Sono terroristi che sono contro la vita. Sono
contro i musulmani che considerano “finti” perché non violenti come loro e
quindi più infedeli degli infedeli. Sono contro gli altri perché rei di non
partecipare alla loro ideologia di morte.
Il
loro scopo è chiaro, quasi lampante, vogliono la nostra disgregazione, vogliono
suscitare paura, vogliono farci vivere nell’angoscia.Vogliono che ci guardiamo
in cagnesco, che cominciamo a odiarci, a darci mille e più coltellate. Quindi
capite che seguire un pensiero populista, fare di tutta un’erba un fascio,
odiare il prossimo, significa solo fare il gioco dei terroristi? Diventare
complici di chi vuole annientarci?
Ma
io, al contrario di chi predica il populismo, non voglio avere paura.
Voglio
che il prossimo resti mio fratello.
Come dice un
proverbio spagnolo, “Vivir con miedo es como vivir
a medias”, vivere con la paura è come vivere a metà. E farci vivere
a metà è quello che vogliono i terroristi. Sta a noi non permetterlo.
·
PARIGI
·
FRANCIA
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