P. Agostino Okumura (Ichirou,
1923-2014)
RICORDANDO IL PRIMO CARMELITANO
GIAPPONESE
Pochi giorni
fa, scrivendo ad un confratello di Kanazawa (Giappone nord occidentale) dicevo
di aver sognato a lungo due confratelli tuttora viventi, precisandone il nome:
segno che qualcuno di mia conoscenza si apprestava a fare i bagagli per il
Cielo... Io recito subito tanti Requiem, anche se a volte debbo attendere
giorni e settimane prima della conferma. Questa invece mi è giunta trenta ore
dopo: si trattava del primo giapponese ad aver rivestito l’abito carmelitano.
Lo
vidi per la prima volta agli inizi degli anni Sessanta, quando ero giovane
studente di filosofia a Piacenza. Con altri aveva fatto la Transiberiana ed era
visibilmente stanco: mi sembrò comunque un vero asiatico a giudicare dalle
caratteristiche somatiche. Me lo ritrovai poi ad Uji nell’autunno del ’71 e
ricordo di essermi da lui confessato in francese, lingua che lui parlava correntemente,
essendosi fatto frate in Francia.
Di
lui conoscevo pochissimo, ma subito capii che l’essere uscito dalla Todai
(l’Università di Tokyo) rappresentava un alone, che lo avrebbe accompagnato per
tutta la vita. Quando rientrai in Giappone nell’85, lui faceva il Maestro degli
Studenti nel nostro conventino di Tokyo Kaminoge e quindi la domenica mi
toccava ascoltare anche le sue prediche: confesso di non aver mai afferrato
niente, anche se mi avvinceva la musicalità della sua parlata. Quando cominciai
a leggere anche qualche suo scritto, mi convinsi che per seguirlo bisognava
avere una padronanza letteraria della lingua giapponese, che raramente noi
stranieri, soprattutto missionari, possediamo. Lo ebbi poi anche come Delegato
Generale per diversi trienni ed è a questi periodi che risalgono i fatterelli
che sto per raccontare.
Per
me era sempre stato un dramma affrontare un viaggio in aereo: nella valigia non
ci stava mai tutto e continuavo a disfarla ed a rifarla. Una volta andai ad
accoglierlo all’aeroporto intercontineale di Tokyo Narita: mi meravigliai che
venisse solo con una borsetta a tracolla ed una valigetta in mano. Mi spiegò
che era il sistema più sicuro per evitare le snervanti attese per il ritiro dei
bagagli, in quanto lui portava tutto con sé sull’aereo.
Nei
primi anni ‘90 mi trovavo in Italia per assistere più da vicino la Mamma, che
aveva il morbo di Alzheimer. Lui doveva andare a Roma per partecipare ad una
riunione del Segretariato per i non credenti. Per risparmiare aveva trovato un
volo conveniente dell’Aeroflot di Mosca con scalo a Milano e prosecuzione per
Roma dopo qualche giorno. Mi pregava pertanto di farmi trovare all’aeroporto
per portarlo poi al Convento di Legnano, dove si trovava il nostro caro F.
Domenico, da tempo ammalato. Io non avevo la macchina a disposizione e pertanto
pregai un caro amico di farci da... tassista! Andammo a Linate, ma questo
benedetto volo dell’Aeroflot non arrivava in base agli estremi da lui
segnalati. Veniamo poi a sapere che quegli aerei, essendo troppo grossi, non potevano
atterrare a Linate, ma solo alla Malpensa. Fu allora che vidi per la prima
volta il tachimetro toccare i 140 all’ora (a quei tempi non c’erano limiti, ma
non guidavo io comunque!) per arrivare in tempo alla Malpensa: per nostra
fortuna l’autostrada non era intasata. Non vi dico l’esultanza di F. Domenico
nel vedersi comparire davanti l’inatteso Delegato Generale del Giappone.
All’indomani, potendo finalmente disporre di una macchina, lo
accompagnai a Biella dai miei Genitori: voleva a tutti i costi far visita alla
Mamma inferma alla quale bastava vedere il mio abito da frate per atteggiare un
sorriso che le ricordava qualcosa di veramente piacevole un tempo. Naturalmente
mio Papà fu fiero di regalargli un paio di sandali da lui fatti a mano, non senza
avergli prima fatto assaggiare l’immancabile carne cruda di cavallo a pranzo.
Lui
era disposto a pagarmi il biglietto aereo da Milano a Roma, perché poi non era
pratico sul come raggiungere da Fiumicino la nostra Casa Generalizia di Roma. Sapendo
che il conto era salato, mi accordai che l’avrei atteso allo scalo romano
partendo da Milano in treno il giorno prima. E così avvenne. Al momento del
rientro in Giappone mi strapagò tutte le spese affrontate, dicendo che le lire
non gli servivano più: effettivamente in Giappone la nostra liretta era
considerata carta straccia e potevi cambiarla solo in aeroporto, rimettendoci
parecchio.
Conosceva bene italiano, francese ed inglese e pertanto potevo
permettermi di fare con lui disquisizioni filologiche impossibili con altri
confratelli. Era comunque molto distratto: quando si immedesimava in un
argomento, perdeva facilmente l’idea del tempo. Una volta nel nostro Noviziato
di Uji vicino a Kyoto mi ricordai che in refettorio aveva accennato ad una
conferenza che avrebbe dovuto tenere a Nagoya nel tardo pomeriggio.
Nell’incontrarlo casualmente per i corridoi gli ricordo: “Ma, Padre, non
dovrebbe essere già a Nagoya per la conferenza?”. Si mette una mano sulla
fronte, scappa in cella per prendere l’indispensabile, salta sull’auto del
confratello per la stazione di Rokujizou donde prendere il treno per Kyoto e
salire poi sul primo Shinkansen (TAV) per Nagoya (ce ne sono ogni quarto d’ora).
In
refettorio gli si poteva mettere davanti qualsiasi cosa e la mangiava senza far
storie. Quella sera in un nostro Monastero, dove eravamo entrambi ospiti, la
priora pensò bene di farci assaggiare del sashimi (pesce crudo) molto quotato.
Io vedo che lui lo mette in bocca senza fare smorfie. Faccio per addentarlo e
mi accorgo che era ancora... congelato! Naturalmente non l’ho assaggiato per
niente...
Un
giorno mi regalò un suo libretto sulla Preghiera, tradotto in italiano credo da
un Missionario del Pime. Dopo averlo letto gli dissi: “Però io lo vorrei
gustare nella lingua originale!”. Subito me ne procurò una copia. Comincia
l’ardua lettura tenendo affiancati i due testi, ma capii subito che si
discostavano notevolmente. Per tradurre fedelmente P. Okumura bisognava essere
un altro... Okumura! Basti quest’esempio. Un giorno mi pregò di tradurgli in
italiano un suo intervento scritto in francese da presentare a quella
Commissione vaticana. Potrebbe sembrare una cosa sciocca, ma anche un letterato
agguerrito come lui, quando era costretto ad esprimersi in una lingua straniera,
poteva addirittura sembrare puerile...
Fui
presente al funerale del suo anziano Papà, andando anche per la prima volta al
forno crematorio di Uji, e mi fu molto grato per le fotografie scattare durante
la cerimonia funebre: i parenti sarebbero stati contenti di riceverle. Ma non
posso tralasciare quest’ultimo episodio che fa risaltare quanto fossi acerbo
nella comprensione della psicologia giapponese.
Io da buon
italiano nelle mie reazioni non avevo ancora adottato né il freno a mano né
quello a pedali, di cui sono superdotati i giapponesi. Non avevo minimamente capito
che ostacolare i desideri di una persona era segno di somma rudezza. Era stato
rieletto Delegato Generale e doveva nominare i suoi 4 Consiglieri. Passai
anch’io per l’ascolto e sento stranamente fare il mio nome. La cosa non mi
lusingò nemmeno per un istante, non essendo mai stato affetto da superiorite
acuta, e palesai la mia perplessità nell’accettare l’incarico, adducendo come
scusa l’effettiva insufficienza linguistica. Comunque non dormii tutta la
notte. All’indomani, quando presentò la lista dei futuri ministri del suo
Governo, non c’era naturalmente il mio nome. Se fossi stato zitto, avrei preso
sicuramente l’ultimo seggio vacante. Ma ringrazio il Signore: per me il
pernottare fuori casa è un sommo tormento, in quanto questa povera schiena
conosce solo l’angolatura del suo letto ed in caso di lunghe trasferte sa già
di passare almeno tre notti insonni. Spendere per divertirsi lo capisco, ma per
soffrire... no!
Un’ultima
annotazione: le cartoline di Capodanno! Qualcuno potrebbe arricciare il naso:
ma che c’entra tutto questo? Ed invece esse sono un fenomeno unico nel mondo e
farebbero rabbrividire queste lumacosissime poste nostrane. Mi spiego meglio.
Per
Cadodanno un giapponese normale scrive almeno una cinquantina di cartoline
augurali, abbinate ad una rinomata Lotteria nazionale. Esse riportano una
numerazione ed il 15 gennaio si fa l’estrazione con ricchissimi premi. Bisogna
abitualmente imbucarle entro il 23 dicembre e le Poste giapponesi si incaricano
di recapitarle con un giro di parecchie distribuzioni il giorno stesso di
Capdoanno, ingaggiando numerosissimi studenti, perché non basterebbero i
postini normali. Per loro gli auguri hanno senso soltanto se vengono recapitati
in quel giorno!
Nei
primi giorni di quell’anno che cosa vedo? P. Okumura con un’aria afflitta:
aveva in mano un malloppo di almeno 450 cartoline augurali ricevute. “Il guaio
è che poi – mi disse – entro la fine del mese dovrò rispondere a tutte!”. Io
per fortuna, essendo quasi del tutto ignoto, ne ricevevo al massimo una
quindicina, anche perché non ne scrivevo... nessuna!
E
per rimanere in argomento, il 14 febbraio, giorno di S. Valentino, noi frati
potevamo misurare il quoziente di gradimento tra le nostre fedeli dal numero di
cioccolatini ricevuti: io facevo sempre una magra figura rispetto alla mole...
okumuriana!
Appena una
cara terziaria di Uji mi ha tempestivamente comunicato la sua scomparsa, ho
cominciato subito gli scavi archeologici nel mio fornitissimo archivio
fotografico degli ultimi vent’anni alla ricerca disperata di qualche sua
fotografia. Non ne ho trovate tante, perché il caro confratello era sovente
assente per conferenze... Quando lo chiamavano al telefono ed io non riuscivo a
rintracciarlo, non potevo rispondere che, non trovandosi in cella, era
sicuramente su qualche treno od... aviogetto!
Biella 1990: sul balcone di casa con Mamma
Concetta e Papà Salvatore.
Nagoya 8-12-2001: 50° della Missione di
Hibino.
P. Okumura è il primo a sinistra.
Idem: P. Okumura tra P. Nakagawa e F.
Ambrogio Basso.
Uji, Capitolo del 2005: P.
Okumura e P. Sakoguchi
idem
Uji 11-4-2005: P. Okumura è il terzo da sinistra.
Idem: da notare che il Signore nel giro di dieci giorni
ha chiamato a sé rispettivamente il primo (P. Redento)
ed
il terzo (P. Okumura
Cartolina augurale nell’Anno del Topo secondo il calendario cinese
Uji: Ossario dove riposano le ceneri di tutti i
Missionari morti in Giappone.
Apprendo adesso da una cara terziaria di Uji che oggi è mancato P. Agostino
Okumura Ichirou, già Delegato Generale del Giappone, alle 14.52 del fuso orario
giapponese, da noi alle 7.52 del 4 giugno. La veglia funebre sarà il 6 giugno
alle 18 ed il funerale sabato 7 alle 10.30 nella nostra Chiesa di Kaminoge a
Tokyo. PN
奥村一郎神父様が 今日(4日) 14時52分 ご帰天になりました。
通夜 6日 18時
葬儀 7日 10時30分 上野毛教会
天国は、日本で働いて下さった神父様が3人も行かれて にぎやかになりましたね。
國分美子
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(Parma 6-6-2014), Padre Nicola Galeno
gent sig ra
RispondiEliminasono Gianni Marini,leggendo il suo articolo sul primo padre giapponese ho visto nella foto Uji 11-4-2005 la presenza di mio zio padre Costanzo Adamini (il primo in piedi a dx).
In questi giorni siamo venuti a conoscenza tramite P Cipriano che versa in gravi condizione di salute.Abbiamo molte difficoltà a sapere notizie .Il favore che vorremmo chiederle, visto la sua conoscenza di Uji e delle persone che li operano, è se potesse avere qualche notizia e farcela avere.Imi indirizzo di posta è
giomarini54@virgilio.it
Spero di non crearle grosso disturbo grazie
cordiali saluti
gianni