Quando Cristo apparve sulla terra, venne a presentarci il “Dio di sempre”, in forma, però, “nuova”; una forma che, lentamente ha aiutato l’uomo a cambiare. E se oggi Gesù Cristo ritornasse sulla terra, lo farebbe per aiutare a far nascere un uomo nuovo che in qualche maniera fosse capace di cambiare la maniera di “immaginarci” Dio.
LE IMMAGINI DI DIO
Non è facile parlare di Dio, anche se è uno di quei personaggi che, volenti o nolenti, si convertono in punto di riferimento per capire noi stessi. Ripeto, non è facile, perché supera la nostra comprensione. Non per niente affermiamo che Dio è un mistero, qualcosa che trascende la nostra conoscenza.
Noi cristiani, figli pure noi di tempi e di spazi differenti, al momento di parlare di Dio ci esprimiamo con le categorie proprie delle culture in cui ci muoviamo. Per questo, di fronte all’immagine del Dio evangelico, andiamo forgiandoci nostre particolari immagini di Dio, che a volte finiscono, tuttavia, per sfumare l’immagine del Dio di Gesù. è sufficiente che ci soffermiamo sulla proliferazione dei nomi che utilizziamo per designare Dio, il “senza nome”: vita, luce, verità, bontà, misericordia, bellezza, sapienza, amore, santo, eterno, colui che è, signore dei signori, autore dei secoli, onnisciente, re dei re, anziano dei giorni, salvatore, giustizia, santificatore, redentore…
Lungo i secoli sono apparse distinte forme di comprendere Dio, forme che hanno avuto alterna fortuna e che, quantunque alcune persistano molto radicate nella coscienza della gente, in un’epoca si credevano imprescindibili per comprendere Dio, ma, col tempo e con nuove sensibilità religiose, hanno perso di significato e terminano per non esprimere o dirci più nulla.
Esistono persino immagini di Dio che portano al rifiuto stesso di Dio, questo sì. Dobbiamo precisare, in proposito, che non rigettano Dio in se stesso, ma un Dio, cui onestamente non si può creder. A volte, l’attaccamento ad una determinata formula di spiegare o definire Dio, diventa un’attitudine idolatrica, in quanto c’impedisce di scoprire il vero senso di Dio.
Ci piaccia o no, il cristiano giunge a scoprire il volto e l’amore di Dio soltanto in Cristo, così come c’insegna san Paolo, il quale riconosceva che dietro gli idoli degli ateniesi c’era un Dio sconosciuto e che «né morte, né vita, né angeli, né nessuna creatura ci potrà separare dall’amore di Dio che sta in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rom 8, 38).
Non è di secondaria importanza l’immagine di Dio che portiamo in noi: dietro ogni immagine di Dio si nasconde una forma di comportamento, d’intendere la vita, la religione, la nostra maniera di porci in relazione con Dio. Le immagini di Dio hanno un fine, quello di possedere un qualcosa in cui fissare l’immaginazione e la preghiera. Proprio così: frequentemente non ci siamo allontanati dal volto di Dio – come quello che appare nella vita e nel messaggio di Gesù – ma piuttosto da nozioni assunte dalla filosofia greca, predominante al tempo dell’elaborazione dell’immaginario cristiano, o dalle religioni esistenti nel mondo europeo precristiano, dove di fronte al “padre di misericordia”, al “signore di bontà”, ciò che predominava erano le nozioni di trascendenza, immutabilità, eternità e potenza.
Il Dio assoluto, onnipotente
Coloro che criticano quest’immagine di Dio, lo fanno rinfacciando a Dio – che ha creato tutto – di non assumersi la sua responsabilità di fronte ai disastri della propria creazione; e di non potergli chieder conto di ciò che ha fatto. Molti pensano, quindi, che, se l’essere umano vuole essere veramente libero, deve ribellarsi e rigettare l’onnipotenza divina.
– Il Cristianesimo afferma l’onnipotenza divina, però, non come qualcosa che si contrappone alla libertà umana, giacché, avendo Dio creato il mondo per un puro atto d’amore e di potenza, ha elargito all’uomo la libertà ed il senso di responsabilità. La libertà e la responsabilità, doni di Dio, sono le qualità che conferiscono all’uomo la dignità.
* Nell’immagine del Dio autoritario, l’obbedienza passa ad essere l’attitudine fondamentale nella relazione del credente con Dio e, soprattutto, con le mediazioni umane o con i rappresentanti di Dio in terra. Si esalta tanto l’obbedienza che questa passa ad essere il sacrificio per eccellenza, e la comunità credente, la Chiesa si converte in una mal-definita comunità, in cui “alcuni comandano e altri obbediscono”.
Storicamente, l’immagine di questo Dio assoluto si venne imponendo nella misura in cui si sviluppò la struttura gerarchica della Chiesa, che portò a che l’autorità si concentrasse sempre più in un potere monarchico: la persona del vescovo o del Papa. Per tutto ciò, non è strano che si creda che il Papa abbia un potere pieno, un potere senza limiti, cui si deve rispondere con un’obbedienza senza limiti. Un “potere senza limiti”, tuttavia è pura arbitrarietà ed un’obbedienza “senza limiti” alla pura arbitrarietà è negare valore ed esemplarità all’obbedienza di Gesù di fronte alle mediazioni divine del suo tempo. Egli fu critico contro i rappresentanti religiosi del tempo, quando preponevano le “tradizioni” alla legge di Dio. – Ciò non tocca il caso dell’infallibilità del Papa, quando, solennemente, a nome della Chiesa ed in materia di fede e di morale, indica la retta interpretazione del Vangelo –
In certi movimenti religiosi del passato – come fu il giansenismo (movimento religioso del ‘700/800) – partendo dall’affermazione dell’onnipotenza divina, si elaborò l’immagine del Dio terribile, prepotente, per nulla consolatore: un Dio freddo ed indifferente al comune mortale; un Dio che abita lassù, nei cieli lontani, un Dio “elitista” che restringe la salvezza ad un piccolo numero di scelti.
* Una simile visione di Dio – che ci rende troppo preoccupati di avere Dio dalla nostra parte, e del pensiero della salvezza o della dannazione – porta, necessariamente, al rigorismo sacramentale, ad allontanarsi dalla pratica sacramentale (e ciò non per freddezza, ma perché è convinto di non essere ben disposto per ricevere la grazia. Da qui la preoccupazione per la confessione (sino agli scrupoli) o la comunione sacrilega, affermando che è meglio allontanarsi dalla comunione (non ne siamo degni) e farla solo spiritualmente.
* D’altra parte, esso conduce alla proliferazione d’ogni tipo di penitenze fisiche, giacché la penitenza, si manifesta come segno d’esser stato scelto da Dio. Essa dà la sensazione che l’unica cosa che fa piacere a Dio è vedere come gli uomini si privano di tutto ciò che è piacevole nella vita per offrirlo a lui, e l’unica cosa che gli è gradita sono i sacrifici.
* Una simile visione di Dio conduce alla "ascetizzazione" della vita: è più importante rinunciare a tutto che render grazie a Dio per tutto ciò che la vita ci offre. Il piacere, la gioia, la vita stessa sono un pericolo e, per supposto, un ostacolo che ci allontana da Dio. Per ciò s’impone di fuggire da tutto ciò che la parola “mondo” racchiude e a non desiderare di cercare Dio nell’umano, nella creazione, in ciò che, uscito dalle mani di Dio, era buono e bello.
Una tale visione di Dio, dove il Dio della giustizia ha soppiantato il Dio della misericordia, conduce ad una visione triste della vita e ad un vivere tragico ed angosciato l’esperienza religiosa.
Il Dio indifferente
È il Dio lontano, cui si rinfaccia d’abbandonare il mondo, dopo averlo creato. Se ne disinteressa, allontanandosene. “Dio creò il mondo; gli diede un calcio per farlo partire, e poi lo lasciò al suo destino”.
In questa prospettiva Dio appare come il responsabile della creazione con i suoi difetti, giacché si guarda alla creazione come ad una realtà brutta, insopportabile e crudele.
Si accusa questo Dio indifferente d’essere la causa per la quale l’uomo ha perso il paradiso e si sente esiliato nel mondo. L’uomo è angustiato per aver perduto la salvezza, poiché questa è appannaggio di pochi, gli eletti. Si tratta, quindi, di un Dio ingiusto ed arbitrario. Lui sa tutto e non muove un dito affinché le cose cambino.
* Da simile visione di Dio, il mondo è sperimentato come una prigione in cui noi siamo castigati senza saperne il motivo, per colpe che non abbiamo commesso. Il mondo, questo mondo, si oppone ad uno “dell’al-di-là”, quello paradisiaco, e Dio è il carceriere di questo mondo.
* Causa tutto ciò, si afferma che un Dio simile, che dà la sensazione che l’unica cosa che gli aggrada siano i sacrifici e l’incenso, è inaccettabile alla pietà, giacché l’essere umano non può desiderare di amare un tale Dio, e tutto perché, nemmeno Lui, in fondo, ama gli uomini.
Il Dio crudele
Altra immagine di Dio – collegata a quella prima – è quella del Dio crudele, che si compiace della sofferenza, che è responsabile di aver creato volontariamente un mondo cattivo e colmo di sofferenza, che volontariamente e coscientemente nega all’essere umano la felicità, imponendogli prove sovrumane, sacrifici assurdi. Mosé deve sacrificare tutte le sue amicizie terrene, e Jefte, la figlia. è il Dio che esige dall’uomo “un incenso continuo intriso di lacrime”.
* Simile visione di Dio crudele trascina un personaggio del secolo XIX, il poeta Lamartine, dopo un viaggio in terra Santa, 1830, a perdere l’incanto per la fede cattolica, affermando che tutta la storia della Chiesa non è stato altro che una storia di persecuzione. è l’immagine che scaturisce da una religione basata sul castigo, sulla condanna, e che non dubita – se è necessario – a ricorrere a metodi violenti per mantenere la verità ufficiale.
è normalissimo che di fronte ad una forma simile d’immaginare e rappresentare Dio, sorga la ribellione del credente. Di fatto, il tema della ribellione di fronte a Dio è stato frequente nei secoli. Soprattutto, però nel sec. XIX nella generazione dei romantici.
Victor Hugo giunge ad affermare dinnanzi all’arbitrarietà di Dio che “se c’è un condannato, accettare la salvezza significa collocarsi tra i privilegiati ed accettare l’ingiustizia istituzionale”. La Conte de Lisle parla del Dio invidioso, che si deve abbandonare. Baudelaire, nel poema “Abele e Caino”, ci presenta Caino, che, sfinito per le sue disgrazie e volendo vendicarsi, trascina Dio sulla Terra come in precedenza Dio aveva scacciato Satana, gettandolo nell’abisso: “Razza di Caino, sali fino al cielo. E sbatti giù Dio sulla terra!”. Vigny arriva a parlare del giudizio che bisogna aprire contro Dio per i problemi che presenta: la sofferenza e la morte.
* Un’immagine tale di un Dio, che reclama sacrifici continui (incluso quello del proprio figlio), che giunge a riempire di croci la vita dei suoi fedeli, dove tutto è rinuncia…, ha causato gravi danni alla fede ed allontanato molta gente dal cristianesimo. Non si può avere fede in un Dio che sembra più un mostro che il padre di Nostro Signore. Un Dio simile non lascia crescere; non permette di convertirci in adulti.
* Dinanzi ad una nozione simile di Dio, che giustamente si respinge, si volge, allora, – come contrappo–sizione – lo sguardo a Gesù Cristo, che è rappresentato come il salvatore che non è indifferente, né ingiusto, né crudele, ma che offre la salvezza a tutti, facendosi vicino e solidale con i miserabili ed i peccatori. Gesù, quando soffre è vittima del Dio arbitrario ed indifferente; è il giusto dei giusti, la cui sofferenza è ancor maggiore: per questo la sua sofferenza è vista come la maggior ingiustizia della storia.
Il Dio puro amore
è l’immagine che soggiace alla preoccupazione di molta gente riguardo alla salvezza.
Già Origene, uno dei grandi teologi del sec. III, insegnava che la redenzione è un qualcosa che non raggiunge soltanto l’uomo, ma tocca tutta l’opera della creazione. In una delle sue opere “Sui principi” scrive che ci sarà la redenzione finale persino per il Diavolo: “Uno prima, altri poi, ritorneranno da lunghi e duri tormenti alle legioni angeliche, e si eleveranno più tardi ai gradi superiori e giungeranno alle regioni invisibili ed eterne”.
Questa visione di Dio conobbe successo nel mondo della letteratura, soprattutto dal sec. XVI, dove fu frequente il tema di Lucifero redento e la Salvezza di Satana: «Sei stato castigato nel tempo; hai sofferto molto perché eri l’angelo del male. Però, una volta amasti. Entra nella tua eternità. Il male non esiste più» (Alfredo Vigny, “Eloa”). Nel movimento romantico del sec. XIX scorre la preoccupazione per l’immagine di un Dio eccessivamente giustiziere, di fronte a cui si rivendica il Dio della clemenza e della pietà.
Abbiamo così un autore come Gustavo Benso Cavour che giunge ad affermare che “la misericordi di Dio è tanto grande che potrebbe persino liberare i condannati dall’inferno”; e Rosmini, nell’occasione della pubblicazione dell’opera del Cavour “Saggio sul destino dell’uomo” arriva ad affermare che “se i condannati non possono ormai più aver speranza di redenzione in un mediatore od inviato, non è necessariamente da accettare la conseguenza che a Dio sia impossibile trarre, per sua assoluta potenza e bontà, le anime dall’inferno”.
· Dietro a tale immagine soggiace l’idea che Dio (che è amore), non può rinnegare se stesso, e pertanto finirà per salvare anche ciò che è la sua stessa negazione, e che non può permettere che nessuna delle creature, che uscirono per amore dalle sue mani, finisca per perdersi.
Qualcosa di simile ci dice Giovanni Papini, nella sua opera “Il Diavolo”, quando al termine dell’opera afferma che “quelle anime credono realmente che il Padre non può torturare eternamente i suoi figli; pensano che un Dio tutto amore, come Cristo stesso l’ha presentato, non può negare eternamente il suo perdono, neppure ai suoi acerrimi ribelli. Alla fine dei tempi, cioè, del mondo attuale, la misericordia si sovrapporrà anche alla giustizia. Così non fosse, dovremmo pensare che neppure lo stesso padre di Cristo sia un perfetto cristiano… L’eterno amore, quando tutto sia compiuto ed espiato, non potrà rinnegare se stesso neppure dinanzi alla nera faccia del primo ribelle ed al più antico condannato”.
Il Dio degli eserciti
è un’immagine che troviamo nella Bibbia ed in quasi tutte le tradizioni religiose.
è il Dio sempre vittorioso e garante della forza; colui che si manifesta nella violenza, che distrugge i nemici e garantisce la vittoria.
è il Dio che soggiace alla pratica dei “giudizi di Dio” medievali, dove Dio e la ragione stanno dalla parte che vince e sconfigge l’avversario.
È il Dio che appare nel grido dei crociati “Dio lo vuole””, o colui di cui parlava alla fine della I Guerra mondiale Hermann Hess nella sua “Lettera ad un giovane tedesco”: “Il Dio nazionale dei nostri consigli e poeti di guerra, quel Dio che si appoggia degnamente sui cannoni ed i cui colori sono il nero, il bianco ed il rosso. Era un Dio, certamente, un Dio gigantesco, maggior che lo stesso Yahvé, e gli furono offerti in sacrificio centinaia di migliaia di vittime insanguinate ed in suo onore si aprirono centinaia di migliaia di ventri e bucarono centinaia di migliaia di polmoni; era più sanguinario e brutale di quanto non lo sia il più spaventoso idolo”.
Questa immagine di Dio è quella che sta a fondamento di una religione dell’ordine ed dell’autorità, dove si va a finire per confondere il servizio all’amore con l’odio verso il nemico; dove la prima cosa, non è la riconciliazione su cui costruire la convivenza, ma lo sterminio o il silenzio dei vinti, e dove la vittoria manifesta la volontà di Dio.
* È l’immagine che soggiace ad ogni posizione religiosa che si appella alla violenza per averla vinta su chi dissente, che bisogna zittire e, se è necessario, sterminare.
* È l’immagine di Dio che supporta i movimenti fondamentalistici, dove si ha l’impressione che ciò che predomina è l’idea di un Dio che viene a prendersi la rivalsa contro di chi, per supposizione, ha alterato l’ordine originale.
Con un’immagine di Dio siffatta, difficilmente si giunge a sperimentare verità profondamente cristiane: che, cioè, Dio vive in ciascuno di noi, che ogni pezzo di terra è la mia patria, perché la terra è la casa della grande famiglia umana, e non un campo cui affrontare l’altro. Anche se non la pensa come me, non per questo l'altro è mio nemico; o che qualsiasi essere umano, di là del colore della pelle, del suo credo religioso e della sua ideologia politica è un essere umano.
Il Dio adulatore (bastone e carota)
È l’immagine che ci presenta un Dio, in cui, il rigore e la misericordia si danno la mano.
Ci parla di un Dio che s’irrita sul serio, che si sdegna contro il peccato dell’uomo, ma che cambia attitudine, sempre e quando quest'ultimo è capace di far penitenza. Questo Dio sdegnato, è nello stesso tempo il Dio misericordioso che si commuove e perdona.
* Simile immagine è al fondo di molte pratiche devozionali di carattere riparatore, nate nel sec. XIX. Sant’Alfonso Maria de Liguori invitava a chiedere a Dio che «mi trattiate come padre di misericordia, e per questo desidero che castighiate i miei peccati in questo mondo, e così mi liberate del castigo eterno…».
Tutti noi conosciamo la devozione al Cuore di Gesù. Mons. Bougaud, uno dei propagatori di questa devozione – che lui presentava come simbolo di bontà e di misericordia divina (nella sua opera “La devozione al cuore di Gesù vinse le correnti glaciali dei tempi moderni e rianimò nella Chiesa l’amore divino), cercava nel campo pastorale di combattere l’immagine del Dio despota e tiranno, così come pure il rigore della giustizia divina, tanto radicata nella mente di molti fedeli e nella pratica ascetica del sec. XIX. «Ripetete – diceva – agli uomini quante volte volete, che Dio è crudele, che è un dèspota, che predestina arbitrariamente alla vita o alla morte, che manda alla perdizione e condanna chi vuole: l’uomo ci crederà. Dite, invece, agli uomini: che Dio li ama, che è morto per loro, che supplisce i nostri meriti…, e loro sorrideranno e dubiteranno. La grande lotta dell’uomo contro Dio è sempre stata e sempre sarà la storia della sua incredulità nell’amore infinito che Dio ha per loro”.
Eppure “nel cristianesimo, più concretamente nel cattolicesimo, – scriveva ancora mons. Bougaud, in un’altra opera (“Il cristianesimo nei tempi moderni”) –, si è presentato l’immagine del Dio che appare nella vita di Gesù: il Dio incarnato che dà e si dona senza misura, che viene fra noi per essere uno di noi, che “dondolò nella culla e che si lamentò di vivere nella privazione; che salì sulla croce dove versò, in un’orribile agonia, fino l’ultima goccia di sangue e che, non per questo, si sentì soddisfatto.
È il Dio che si nascose nella sacra Eucaristia, da dove scende nei nostri cuori, senza credere, ancora, che ciò sia sufficiente; il Dio magnifico e buono che attende impaziente l’eternità, per trattarci secondo la grandezza del suo amore”.
– Simile immagine ci presenta un Dio vicino, la cui prossimità si rende palpabile attraverso i segni sacramentali, ed invita a costruire la Chiesa come un rifugio, dove l’umanità, divisa e spezzata, trova uno stimolo per la moderazione contro l’eccesso, per l’amore all’essere umano ed il servizio a Dio.
Conclusione
Fino a qui: ecco alcune delle immagine usate dai fedeli, al momento di comprendere Dio.
Non vogliono terminare senza tralasciare tre modelli od immagini, che, anche non nuovi – giacché sono molto ben radicati nella tradizione spirituale – sono molto amate tanto dal mondo teologico, quanto dalla sensibilità religiosa del nostro tempo.
· La prima immagine è quella di Dio-madre. Essa rappresenta Dio creatore, colui che genera la vita e rimane accanto alla vita, custodendola ed aiutandola a crescere.
· Poi, il Dio-amico, che presenta l’aspetto di Dio come il sostentatore, come colui che si preoccupa di tutto (l’opera della creazione) e di tutti, specialmente dei piccoli.
· Infine il Dio-amante, raffigurante il Dio salvatore in quanto ci ama e soffre, ha un gran desiderio e passione verso l’essere amato, intendendo per “l’essere amato” il mondo, la creazione, l’umanità.
Per terminare, vorremmo ricordare che
– nessuna di queste immagini esaurisce il mistero di Dio,
– che in tutte si trova una parte di verità su Dio,
– e che dietro a tutte le immagini che noi fabbrichiamo di Dio, c'è un “Dio-non-riconosciuto”, che ci chiede soltanto
– di liberarci di queste immagini per giungere a comprenderlo nel messaggio di Gesù;
– e che siamo capaci di comprendere che Lui vive nel cuore umano, nel profondo della vita,
– e che è lì dove è nostro dovere cercarlo e parlare con Lui.
Se, noi ci fermiamo alle immagini – verità parziali su Dio – correremo il pericolo di cadere nell’idolatria, nel forgiarci un Dio a nostra misura, secondo il nostro gusto od inclinazione. Non possiamo dimenticare che la fede nel cristiano è un’accettazione di Dio come Dio è e come Lui ha voluto farsi conoscere.
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