AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

martedì 29 ottobre 2024

MILITARIZZAZIONI DI POLVERE NEL SAHEL di PADRE MAURO ARMANINO

Scorcio del cimitero di Niamey -Niger

Militarizzazioni di polvere nel Sahel

Le cronache quotidiane di attualità assomigliano in modo palese a bollettini di guerra. Per un fenomeno assai conosciuto di assuefazione ciò diventa come parte dello scenario decorativo delle notizie. Si scivola in ciò che c’è di più terribile nella vita e cioè la ‘normalizzazione’ della violenza armata come unico sistema di risoluzione dei conflitti tra cittadini, classi sociali, Paesi, religioni, culture e interessi. Ad ognuno la sua guerra verrebbe da dire. Uno dei segnali inequivocabili di questo fenomeno è rappresentato dalla crescita delle spese militari in tutti i Paesi che se lo possono permettere. Dopo una leggera contrazione delle spese in seguito alla fine della guerra fredda e la provvisoria scomparsa dell’Unione Sovietica, ci si è accorti che rimanere senza nemici era ancora più difficile che averne uno. La guerra globale al terrorismo, l’asse del male, gli stati canaglia e soprattutto la ri-militarizzazione giustificata da questa guerra infinita, hanno implicato l’ennesima corsa ad armarsi di più, meglio e soprattutto prima del nemico. Quest’ultimo, come noto, è ovunque e soprattutto là dove si desidera fabbricarlo. Armi, guerra e paura sono ottimi ingredienti per rilanciare l’economia, controllare i movimenti ‘pericolosi’ e giustificarsi al potere per decenni.

La guerra nel Nord del mondo, il civilissimo Occidente, la guerra infame del Medio Oriente, le guerre nel continente africano, talvolta lontane dagli sguardi indiscreti dei mezzi di comunicazione e la guerra nel Sahel che affonda le sue radici più prossime alla distruzione voluta della Libia, nel 2011. Da questo Paese, in quel momento con un sistema sanitario, educativo, agricolo ed economico tra i più apprezzati in Africa, sono state esportate armi, rabbia e gruppi armati ben formati da anni di addestramento. Altre cause furono concomitanti e però non slegabili da quanto accaduto prima in Irak, Afganistan, Siria e altrove. Gruppi armati finanziati da chi aveva interessi di farlo si sono gradualmente installati nella zona del lago Tchad et la parte occidentale del Sahel. Antiche rivendicazioni autonomiste, l’arrivo di gruppi formati da ideologie salafiste esportate dall’Arabia Saudita, il Katar e altre entità affiliate, malesseri locali e divisioni latenti, hanno creato una miscela che si è rivelata ‘esplosiva’. Anche perché interessi ideologici, religiosi, politici, commerciali e di potere hanno trovato un terreno propizio nell’assenza dello stato, la crisi economica e lo smantellamento delle strutture culturali di gestione dei conflitti. Il senso di frustrazione di gruppi etnici e di giovani hanno organizzato il resto. 

Sono nati così, strada facendo, l’operazione Serval della Francia poi sostituita dall’operazione Barkhane e fiancheggiata in seguito dalla Cedeao, le Nazioni Unite e l’Unione Europea. La conseguenza di questa saturazione di armi, soldi, militari, interessi divergenti sono stati la moltiplicazione dei gruppi armati e delle economie di guerra. Soldi e guerre vanno bene assieme. Nel mezzo di tutto ciò la gente, i civili, il popolo che, abituato a lottare per la propria quotidiana sopravvivenza, si è visto accerchiato, minacciato ed espropriato del futuro. E fu così che i militari, in considerazione del peso economico e politico accresciuto in questi ultimi anni, hanno avuto buon gioco nell’installarsi al potere. Non senza la promessa di proteggere i cittadini e liberare una volta per tutte i Paesi dalle forze oscure del male che affliggono la vita politica e sociale di tutti e gli interessi di ciò che contano. Non sappiamo il futuro ma il contesto porta a credere che questo processo non sarà così rapido ed efficace. La conseguenza più palpabile nella vita quotidiana nelle città è la presenza visibile, palpabile della militarizzazione della vita sociale. I manifesti, la retorica del linguaggio.

‘Parole come combattimento, liberazione, mobilitazione popolare cittadina, impegno patriottico, dignità, sovranità non negoziabile, indipendenza totale...la patria o la morte’... la presenza di militari armati e no, in ospedali, aeroporto, strade e controllo del traffico, hanno militarizzato la vita politica e civile della Regione. Per fortuna, con l’arrivo prossimo del vento del deserto chiamato ‘Harmattan’, anche la militarizzazione, come tutto del resto nel Sahel, è di polvere.                                                                  Mauro Armanino, Niamey, ottobre 2024                                                                                                               

giovedì 24 ottobre 2024

SCONFINAMENTI - intervista a Padre MAURO ARMANINO

                            Sconfinamenti




1) A partire dal suo piano esperienziale "sul campo" quali elementi rilevanti coglie del rapporto tra giustizia sociale e giustizia climatica?

Ho vissuto buona parte della mia vita In ciò che si chiama il ‘Sud’ del mondo e in particolare in Africa Occidentale. Costa d’Avorio, Liberia e Niger da 13 anni. In particolare, in quest’ultimo Paese, nel quale mi trovo attualmente, opero in ambito delle migrazioni internazionali. Le migrazioni sono un ‘punto di osservazione’ unico se vogliamo tentare di capire cosa significhi ‘giustizia sociale’. In effetti il fenomeno migratorio può essere visto come uno ‘specchio’ del nostro mondo. Il modo con cui sono interpretate, gestite e ‘’criminalizzate’ le migrazioni rivelano il tipo di mondo e società nel quale ci troviamo. Disuguaglianze economiche, esclusioni, immaginari sociali e incapacità degli stati a dare concrete offerte di futuro ai giovani sono forme di violenza. Le migrazioni rappresentano uno dei tentativi di risposta alla ‘sparizione’ programmata di migliaia di giovani. La risposta, in genere violenta, alla mobilità umana, dice molto sul tipo di sistema di esclusione che si perpetua nella società. La giustizia implica ‘dare a ciascuno ciò che gli spetta’ in quanto persona relazionale chiamata a realizzare in pienezza la propria esistenza. C’è il diritto di rimanere, di partire, di lasciare il proprio paese e tornarvi senza che questo processo si trasformi in un viaggio ‘verso la morte’ nel deserto, il mare o le frontiere diventate muri.

Quanto alla ‘giustizia climatica’ vedo più complicato definirne i contorni. Nel Sahel, dove mi trovo, i cambiamenti climatici non datano da oggi. Periodi di siccità, talvolta drammaticamente lunghi, sembrano alternarsi a pioggie la cui entità sembra inedita. Sono vari i fattori che interagiscono sulla ‘giustizia climatica’. Tra questi la demografia, la crisi economica, l’assenza marcata dello Stato, l’insicurezza alimentare e la violenza armata di vari gruppi di affiliazione islamica. Altri gruppi rilevano maggiormente del banditismo che canalizza a proprio beneficio le risorse minerarie, droga e armi. Ciò contribuisce a produrre massicci spostamenti di popolazioni, che accentua la crisi ecologica. Soprattutto l’aspetto relazionale sembra il settore maggiormente colpito dal fenomeno citato. Crescono le manipolazioni identitarie, populiste e sovraniste che corrodono la coesione sociale. Ogni tentativo di cambiamento è ‘minato’ dalle divisioni etniche, religiose e politiche.

2) Quali responsabilità abbiamo? Perché ci riguarda?

L’Occidente porta una grande responsabilità sul tipo di mondo che abitiamo e il sistema che lo regge. In effetti il neoliberalismo capitalista non è solo un sistema economico quanto un’interpretazione della realtà. Quando tutto e tutti diventano ‘mercanzia’, e cioè oggetto che ha un prezzo di vendita sul mercato, capiamo perché lo sfruttamento di beni e persone non ha limiti. Se il solo parametro è il profitto nel tempo più rapido, la conseguenza non può che essere una guerra permanente di tutti contro tutti. Proprio come nella giungla, la sola legge che vige è quella del più forte ed è così che il mondo è fondamentalmente governato da poche migliaia di persone che costituiscono l’élite finanziaria del pianeta terra. La stessa politica sarà asservita a questo tipo di progetto economico e societario. Saranno gli interessi della piccola classe dominante a prevalere sull’interesse comune. Il capitalismo è nato e prosperato in Occidente ed è stato ‘esportato’ dappertutto dalla conquista dell’America fino all’epoca delle colonizzazioni per passare dal fenomeno della tratta degli schiavi. La natura, le relazioni umani, il senso stesso della vita hanno sofferto una terribile divisione. Da un lato un progetto di vita, di comunione, di armonia e di ‘ buen vivir’ (vivere bene) e dall’altro un progetto di morte dovuto all’appiattimento delle persone e del destino ad una sola dimensione, quella del profitto. Ogni tentativo di risanare il mondo, l’ecologia, l’economia ‘green’, l’uguaglianza e la giustizia che non contemplino la messa in discussione radicale del sistema capitalista è destinato a fallire. Solo nuovi stili di vita e di economia, basati su una sana politica di ricerca del bene comune e la contestazione delle spese militari e delle guerre come ‘distruzione creativa’ potrà sperare di dare futuro al futuro.
 

3) Dal suo "punto di osservazione" che percezione ha delle consapevolezze (o meno) dell'Occidente?

Dall’osservatorio di ‘sabbia’ del Sahel, rilevo tre tipi di naufragio dell’Occidente. Il primo si trova nello ‘sguardo’. In effetti, malgrado le critiche, i lavori degli antropologi e i cambiamenti occorsi nell’interpretazione delle culture, lo sguardo dell’Occidente sulle Afriche, e più in genere sul ‘Sud’ del mondo, non riesce a liberarsi dal passato ‘coloniale’. Uno sguardo, quello occidentale, che continua a presumersi unico e dunque in grado di giudicare, dal ‘suo’ centro e punto di vista ogni differenza in fondo intesa come inferiorità rispetto al modello unico europeo. 
Forse non si è capito ancora che anche gli africani hanno smesso di parlare con la bocca degli altri e di guardare con gli occhi degli altri. Hanno scelto di usare la propria bocca e i propri occhi per raccontarsi. L’incapacità di mettersi all’ascolto dell’altro è proprio ciò che ha costituito il secondo naufragio dell’Occidente. L’arroganza del potere della tecnica, dell’economia e, non dimentichiamo, delle armi, ha creato la temibile malattia della sordità europea che parla di se stessa e a se stessa senza mai uscire da se stessa. In tutti questi anni di progetti di sviluppo, assistenze umanitarie e accordi bilaterali il grande assente è stato l’ascolto attento e umile di chi avrebbe potuto salvare l’Europa da se stessa.
Infine, alla radice dei naufragi giace il grande tradimento che avrebbe comportato lo smarrimento del pensiero e dell’etica ad esso conseguente. Si tratta della drammatica separazione della spiritualità dalla vita quotidiana, la mutilazione non casuale di ogni interiorità, la perdita del sacro, dell’anima e di quanto costituisce la dignità della persona. L’espropriazione di questa dimensione essenziale è stata l’opera fondamentale del capitalismo che il neoliberismo continua a completare. Le Afriche non accetteranno facilmente di essere svenduti alle ideologie dominanti nell’Occidente etico. Per chi ‘ogni giorno in più è una vita’ non è credibile che il cambiamento di sesso dei bimbi o le bandiere arcobaleno LGBT siano una priorità.
                        
                          Mauro Armanino, ottobre 2024

lunedì 21 ottobre 2024

GLI OSTAGGI DEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO

 


Gli ostaggi del Sahel

Pierluigi Maccalli, detenuto come ostaggio da gruppi di ispirazione salafista per oltre due anni, è tornato nel Niger, luogo del suo rapimento, per qualche giorno. Il ritorno al Paese è caduto alla stessa data d’inizio della prigionia nella savana del Burkina Faso prima e nell’immenso deserto del Sahara poi. L’inizio e la fine. Tra questi simbolici momenti, due anni di cattività in solitudine, con tanto di catene durante le lunghe notti stellate del deserto. Pierluigi è da allora molto attento agli sviluppi delle trattative per altri ostaggi come lui, detenuti nel Sahel e altrove. Le sue sono state catene di libertà perché lo hanno trasformato in ostaggio della pace, delle parole e delle mani disarmate. 

Accade però, per chi non ha avuto lo stesso drammatico privilegio dell’amico e confratello citato, che si viva come ostaggi senza saperlo o volerlo. Oppure può succedere che si preferisca vivere da ostaggi per non rischiare quanto di più pericoloso c’è nella vita e cioè la libertà. Pierluigi vedeva, sentiva, soffriva le catene ai piedi. Per circa un mese è stato incatenato notte e giorno ad una catena lunga un metro e venti centimetri. Solo i cani, forse, possono capire cosa ciò significhi per una persona abituata a muoversi, viaggiare e decidere dove andare. C’è chi non si accorge di essere incatenato, proprio come lo è stato Pierluigi, e si accontenta del cibo che gli viene elargito nel quotidiano.

Ci sono gli ostaggi della miseria, creata, riprodotta, accettata come ineluttabile e talvolta mantenuta perché così sembra funzionare il mondo da che è mondo. C’è chi nasce per vivere da schiavo, rassegnato al proprio destino scritto sul libro di sabbia e chi invece può permettersi di decidere il tipo di futuro che avrà lui e i suoi figli. Ostaggi del mondo umanitario che prospera proprio dove più forte risuona il grido degli ostaggi della malattia che uccide più della guerra, chiamata fame. Ostaggi ai quali, spesso, nessuno ha mai detto che quanto scritto sul libro del destino non è che sabbia che il vento disperde. Un altro mondo è possibile quando le catene invisibili sono riconosciute come tali.

Seguono, nel Sahel, questo spazio straordinario di storia, culture, tradizioni, confitti e avventure, gli ostaggi della paura. Paura per l’oggi, l’arrivo possibile dei gruppi armati che dettano legge e morte. Paura per il domani, la semina, i raccolti, i granai, le tasse da pagare per persona, le conversioni forzate, l’arruolamento nella nebulosa jihadista, che mercanteggia religione, oro, droga, armi e gli anni migliori dei giovani. Paura per la delazione che rende tutti sospettosi anche all’interno delle famiglie e dei villaggi nei quali per decenni si è convissuto in relativa armonia e accettazione delle diversità. Poi arrivano le identità fomentate e dunque escludenti, mortali e divisive.

E infine, gli ostaggi forse meno riconoscibili e forse anche per questo assai deleteri. Sono gli ostaggi della menzogna che impera tramite la retorica che svende i mezzi per giustificare il fine. Si associano, appoggiano, giustificano, difendono e si arruolano al pensiero dominante del momento. La politica non serve e i diritti umani sono merce di scambio ideologico perché ciò che conta è il bene del popolo così come un gruppo di ‘illuminati’, spesso armati, decide sia tale. Ostaggi che infiltrano ciò che rimane dei partiti, sindacati, mezzi di comunicazione e persino le medaglie al merito sul campo.

Aveva ragione l’amico Pierluigi. Diceva che possono incatenare i piedi ma non il cuore e lo spirito. Come ricordo del suo tempo di detenzione ha portato con sè un anello della catena. Per ricordare che solo chi ha portato le catene gioca la sua vita per la libertà degli altri.

             Mauro Armanino, Niamey, ottobre 2024 

lunedì 14 ottobre 2024

DOVE ABITA LA FELICITA' - BELLA LA STORIA DEI DUE SASSOLINI BLU!

Due sassolini, grossi si e no come una castagna, giacevano sul greto di un torrente. Stavano in mezzo a migliaia di altri sassi, grossi e piccoli, eppure si distinguevano da tutti gli altri. Perché erano di un intenso colore azzurro. Quando un raggio di sole li accarezzava, brillavano come due frammenti di cielo caduti nell’acqua.                

          Loro due sapevano benissimo di essere i più bei sassi del torrente e se ne vantavano dal mattino alla sera. Guardavano con commiserazione gli altri sassi che erano grigi, bianchi, striati, rossicci, chiazzati. "Noi siamo i figli del cielo!", strillavano, quando qualche sasso plebeo si avvicinava troppo. "State a debita distanza! Noi abbiamo il sangue blu. Non abbiamo niente a che fare con voi!". 

          Erano insomma due sassi boriosi e insopportabili. Passavano le giornate a pensare che cosa sarebbero diventati, non appena qualcuno li avesse scoperti. "Finiremo certamente incastonati in qualche collana insieme ad altre pietre preziose come noi". "Sul dito bianco e sottile di qualche gran dama". "Sulla corona della regina d’Olanda". "Sulla spilla della cravatta del Principe di Galles". "Ci aspetta una gran vita...". "Alberghi di lusso, crociere, balli, feste, ricevimenti... "Andremo fino a Caponord...".

           Un bel mattino, mentre i raggi del sole giocavano con le trine di spuma dei sassi più grandi, una mano d’uomo entrò nell’acqua e raccolse i due sassolini azzurri. "Evviva!", gridarono i due all’unisono. "Si parte!". Finirono in una scatola di cartone insieme ad altri sassi colorati. "Ci rimarremo ben poco!" dissero, sicuri della loro indiscussa bellezza. La cosa durò più del previsto. I due sassolini furono sballottati di qua e di là, cambiarono spesso scatola, furono spesso soppesati e palpati da mani ruvide.

          Rimasero ultimi nella scatola. Poi una mano li prese e li schiacciò di malagrazia contro il muro in mezzo ad altri sassolini, in un letto di cemento tremendamente appiccicoso. "Ehi! Fai piano! Siamo preziosi, noi!", gridavano i sassolini azzurri. Ma due sonore martellate li fecero affondare ancora di più, dentro ii cemento. Piansero, supplicarono, minacciarono. Non ci fu niente da fare. I due sassolini azzurri si ritrovarono inchiodati al muro. L’amarezza e la delusione li riempivano di riflessi viola.        

        "Razza di imbecilli, asini e incompetenti! Non hanno capito la nostra importanza! ". Il tempo ricominciò a scorrere, lentamente. I due sassolini azzurri erano sempre più arrabbiati e non pensavano che ad una cosa: fuggire. Ma non era facile eludere la morsa del cemento, che era inflessibile e incorruttibile. I due sassolini non si persero di coraggio. Fecero amicizia con un filo d’acqua, che scorreva ogni tanto su di loro.             

        Quando furono sicuri della lealtà dell’acqua, le chiesero il favore che stava loro tanto a cuore. "Infiltrati sotto di noi, per piacere. E staccaci da questo maledetto muro!" L’acqua non se lo fece ripetere due volte. Era la sua passione infiltrarsi nei muri e si divertiva molto ad allargare crepe e sbriciolare cemento. Fece del suo meglio e dopo qualche mese i sassolini già ballavano un po’ nella loro nicchia di cemento. Finalmente, una notte umida e fredda, Tac! Tac!: i due sassolini caddero per terra. "Siamo liberi!".           

        E mentre erano sul pavimento lanciarono un’occhiata verso quella che era stata la loro prigione. "Oooooh!" La luce della luna che entrava da una grande finestra illuminava uno splendido mosaico. Migliaia di sassolini colorati e dorati formavano la figura di Nostro Signore. Era il più bel Gesù che i due sassolini avessero mai visto.

          Ma il volto... il dolce volto del Signore, in effetti, aveva qualcosa di strano. Sembrava quello di un cieco. Ai suoi occhi mancavano le pupille! "Oh, no!". I due sassolini azzurri compresero. Loro erano le pupille di Gesù!

          Chissà come stavano bene, come brillavano, come erano ammirati, lassù. Rimpiansero amaramente la loro decisione. Quanto erano stati insensati! Al mattino, un sacrestano distratto inciampò nei due sassolini e, poiché nell’ombra e nella polvere tutti i sassi sono uguali, li raccolse e, brontolando, li buttò nel bidone della spazzatura.

 I due sassolini azzurri falliscono perché non sanno vedere. Nella loro presunzione si illudono sulle proprie qualità e su ciò che può renderli veramente felici. Per questo motivo scoprono troppo tardi la bellezza e la ricchezza della missione a cui erano stati chiamati.


"Ho imparato ad amare la vita solo da quando so per quale fine vivo"

S.Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein)

 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».

                                        (Vangelo secondo Giovanni 14.1-12) 

ELOQUENZA DEL SILENZIO di IVAN ILLICH - testo inviatomi da Padre MAURO ARMANINO

            Eloquenza del silenzio

                                                               di Ivan Illich

Biografia: Ivan Illich (Vienna, 4 settembre 1926 – Brema, 2 dicembre 2002) è stato uno scrittore, storico, pedagogista e filosofo austriaco.

Personaggio di vasta cultura, viene citato spesso come teologo (definizione da lui stesso rigettata), poliglotta e storico. Viene però più spesso ricordato come libero pensatore, capace di uscire da qualsiasi schema preconcetto e di anticipare riflessioni affini a quelle altermondiste. Estraneo a qualsiasi inquadramento precostituito, la sua visione è strettamente affine all'anarchismo cristiano. Vice rettore dell'Università di Porto Rico e fondatore in Messico del Centro Intercultural de Documentación (CIDOC), ha focalizzato gran parte della sua attività in America Latina.

Illich nacque a Vienna da Ivan Peter Illich, croato, e da Ellen Rose Regnstreif-Orfortiebi, ebrea sefardita. Sin da bambino si dimostrò estremamente versatile: conosceva l'italiano, il francese e il tedesco come un madrelingua e imparò in seguito il croato, il greco antico e in aggiunta lo spagnolo, il portoghese, lo hindi e altri idiomi. Nel 1941 con la madre e i fratelli andò a vivere a Firenze, completò le scuole secondarie al liceo scientifico Leonardo Da Vinci e iniziò l'università. Nel 1944 si iscrisse alla Pontificia Università Gregoriana di Roma con il progetto di diventare prete, e nel 1951 fu ordinato presbitero.

Prestò servizio come assistente parrocchiale a New York, nella diocesi retta dal cardinal Francis Joseph Spellman. Nel 1956 fu nominato vice-rettore della Pontificia Università Cattolica di Porto Rico, e nel 1961 fondò il Centro Intercultural de Documentación (CIDOC) a Cuernavaca, in Messico, che aveva il compito di preparare i preti e i volontari dell'Alleanza per il Progresso alle missioni nel continente americano.[2]

Dopo dieci anni l'attività di analisi critica del CIDOC, l'elaborazione del manifesto dei descolarizzatori e la pubblicazione dei primi cinque testi fortemente critici con le istituzioni moderne, si acuisce il conflitto con il Vaticano. In seguito a contrasti con i membri della Sacra Congregazione Pro Doctrina Fidei Illich subisce un interrogatorio durante il quale gli vengono fatte domande sulle attività condotte nei suoi centri di documentazione e sulle sue posizioni politiche e religiose. Successivamente gli viene chiesto di rispondere per iscritto alle domande, ma Illich si appella alla facoltà di non rispondere. Il suo processo non viene mai portato a termine, Illich decide di astenersi dal celebrare la messa pur mantenendo il celibato. Di fatto non viene mai scomunicato, restando un "monsignore atipico".

Nel 1976 Illich, apparentemente preoccupato per l'afflusso di accademici formali e per la crescente istituzionalizzazione del CIDOC nonché per le pregresse conflittualità, decise, con il consenso degli altri membri, di chiuderlo. Molti dei soci hanno poi proseguito la loro attività di scolarizzazione linguistica a Cuernavaca.

Nel 1977 insegnò alla Facoltà di Sociologia dell'Università di Trento dove tenne lezioni e organizzò seminari, diventando presto un riferimento per il movimento studentesco.

Dal 1980 Ivan Illich iniziò una lunga serie di viaggi, dividendo il proprio tempo tra gli Stati Uniti, il Messico e la Germania. Fu inoltre nominato Visiting Professor di Filosofia, Scienza, Tecnologia e Società presso la Penn State e insegnò anche all'Università di Brema.

Negli ultimi anni fu colpito da una crescita tumorale sul volto che, in conformità con la sua critica alla medicina ufficiale, tentò, senza successo, di curare con metodi tradizionali. Fumava regolarmente oppio per lenire il dolore. All'inizio della malattia, consultò un medico per valutare la possibilità di rimuovere il tumore, ma gli fu detto che con grande probabilità avrebbe perso la facoltà di parlare e così convisse come meglio poté con la malattia, da lui definita "la mia mortalità".

Il suo essenziale interesse fu rivolto all'analisi critica delle forme istituzionali in cui si esprime la società contemporanea, nei più diversi settori (dalla scuola all'economia e alla medicina), ispirandosi a criteri di umanizzazione e convivialità, derivati anche dalla fede cristiana, così da poter essere riconosciuto come uno dei maggiori sociologi dei nostri tempi.Le persone comunicano assai più profondamente con i silenzi che con le parole. Le parole e le frasi sono, infatti, composte anche da silenzi che hanno ancora più significato dei suoni stessi. Queste pause pregnanti che esistono tra i suoni e le espressioni diventano punti luminosi in un immenso vuoto. Il linguaggio è una corda di silenzio con alcuni nodi che sono i suoni...Confucio paragonava il linguaggio ad una ruota: sono i raggi che la uniscono al centro, ma sono gli spazi vuoti che fanno la ruota.

Per questo, se vogliamo capire un uomo, dobbiamo imparare a conoscere piuttosto i suoi silenzi che le sue parole, e, da parte nostra, non è tanto attraverso i suoni, che riusciamo a pronunciare, che trasmettiamo il significato, quanto piuttosto è attraverso le pause, che possiamo farci capire. Lo studio di una lingua si basa sull'apprendimento più dei suoi silenzi che delle sue parole. Soltanto i cristiani credono in una Parola che è, contemporaneamente, Silenzio. 

Imparare una lingua in modo umano e maturo, quindi, significa accettare la responsabilità dei silenzi e dei suoni di questa lingua. Il dono che un popolo ci fa quando ci insegna la sua lingua è più prezioso per il ritmo, il tono, le sottigliezze del suo sistema di silenzi, che per l'accordo dei suoni. E' un dono intimo e personale, per il quale dobbiamo essere riconoscenti a questo popolo che ci ha affidato la ricchezza della sua lingua. Una lingua di cui si conosca soltanto le parole e non le pause di silenzio è una continua offesa per chi l'ascolta, è una caricatura, come il negativo di una fotografia. 

Ci vuole più tempo, uno sforzo maggiore, una delicatezza più grande ad imparare il silenzio di un popolo che non le sue parole. Qualcuno ha un'attitudine particolare per questo, altri no. Questo forse spiega perché certi missionari, nonostante i loro sforzi, non giungono mai a parlare come si deve, a comunicare con delicatezza anche attraverso i silenzi. Anche se arrivano a parlare' con l'accento degli indigeni' rimangono sempre a mille miglia lontano. L'arte di imparare la grammatica del silenzio è assai più difficile di quella della grammatica dei suoni. Se le parole possono essere apprese col semplice ascolto, seguito da penosi sforzi di imitazione della parlata locale, i silenzi, invece, devono essere acquisiti con l'apertura del cuore. Proprio come per le parole vi è un'analogia tra il nostro silenzio con gli uomini e il nostro silenzio con Dio. Per imparare il pieno significato del primo, dobbiamo praticare ed approfondire il secondo.

Anche questo silenzio è minacciato, non solo dalla fretta e dalla profanazione della delicata molteplicità degli atti racchiusi in una parola, ma soprattutto dalla nostra abitudine ai discorsi verbosi ed alla fabbricazione in serie delle parole con criteri di produzione di massa che non possono perdersi dietro la delicatezza del linguaggio. La testimonianza silenziosa del missionario è, in ultima analisi, un dono, un dono di preghiera, appreso, cioè, nella preghiera da qualcuno che è infinitamente distante e infinitamente straniero, e sperimentato nell'amore per gli uomini che sono sempre più distanti e stranieri di quelli che conosce in patria. Ora, può avvenire che il missionario dimentichi che il suo silenzio è un dono nel suo significato più profondo, cioè qualcosa di dato gratuitamente, un dono concretamente fatto a noi da coloro che vogliono insegnarci la loro lingua. Colui che tenta di acquistare una lingua come si acquista un vestito, di conquistarla impadronendosi della grammatica, è qualcuno che in sostanza tenta di violentare la cultura nella quale è stato inviato. Fino a che si considera un missionario, dovrà riconoscere di essere frustrato, di essere stato, sì, mandato da qualcuno, ma di non essere arrivato da nessuna parte; ha lasciato la sua patria, ma non ha trovato nessun'altra terra, ha lasciato la sua casa, ma non ne ha più trovata un'altra. Continua a predicare ed è sempre più consapevole di non essere capito. Le sue parole sono la parodia di una lingua.

                     (Illich, I., Rivoluzionare le istituzioni, Mimesis)                                                                                                                                                               Mauro Armanino,Niamey

Ora, dopo una breve biografia ripresa da Internet, perché volevo conoscere questo personaggio a me sconosciuto, prima che mi inviasse il  ì testo Padre Armanino, posso riportarlo qui, così capiamo parte del loro immenso pensiero:

Eloquenza del silenzio
    di Ivan Illich

Le persone comunicano assai più profondamente con i silenzi che con le parole. Le parole e le frasi sono, infatti, composte anche da silenzi che hanno ancora più significato dei suoni stessi. Queste pause pregnanti che esistono tra i suoni e le espressioni diventano punti luminosi in un immenso vuoto. Il linguaggio è una corda di silenzio con alcuni nodi che sono i suoni...Confucio paragonava il linguaggio ad una ruota: sono i raggi che la uniscono al centro, ma sono gli spazi vuoti che fanno la ruota.

Per questo, se vogliamo capire un uomo, dobbiamo imparare a conoscere piuttosto i suoi silenzi che le sue parole, e, da parte nostra, non è tanto attraverso i suoni, che riusciamo a pronunciare, che trasmettiamo il significato, quanto piuttosto è attraverso le pause, che possiamo farci capire. Lo studio di una lingua si basa sull'apprendimento più dei suoi silenzi che delle sue parole. Soltanto i cristiani credono in una Parola che è, contemporaneamente, Silenzio. 

Imparare una lingua in modo umano e maturo, quindi, significa accettare la responsabilità dei silenzi e dei suoni di questa lingua. Il dono che un popolo ci fa quando ci insegna la sua lingua è più prezioso per il ritmo, il tono, le sottigliezze del suo sistema di silenzi, che per l'accordo dei suoni. E' un dono intimo e personale, per il quale dobbiamo essere riconoscenti a questo popolo che ci ha affidato la ricchezza della sua lingua. Una lingua di cui si conosca soltanto le parole e non le pause di silenzio è una continua offesa per chi l'ascolta, è una caricatura, come il negativo di una fotografia. 

Ci vuole più tempo, uno sforzo maggiore, una delicatezza più grande ad imparare il silenzio di un popolo che non le sue parole. Qualcuno ha un'attitudine particolare per questo, altri no. Questo forse spiega perché certi missionari, nonostante i loro sforzi, non giungono mai a parlare come si deve, a comunicare con delicatezza anche attraverso i silenzi. Anche se arrivano a parlare' con l'accento degli indigeni' rimangono sempre a mille miglia lontano. L'arte di imparare la grammatica del silenzio è assai più difficile di quella della grammatica dei suoni. Se le parole possono essere apprese col semplice ascolto, seguito da penosi sforzi di imitazione della parlata locale, i silenzi, invece, devono essere acquisiti con l'apertura del cuore. Proprio come per le parole vi è un'analogia tra il nostro silenzio con gli uomini e il nostro silenzio con Dio. Per imparare il pieno significato del primo, dobbiamo praticare ed approfondire il secondo.

Anche questo silenzio è minacciato, non solo dalla fretta e dalla profanazione della delicata molteplicità degli atti racchiusi in una parola, ma soprattutto dalla nostra abitudine ai discorsi verbosi ed alla fabbricazione in serie delle parole con criteri di produzione di massa che non possono perdersi dietro la delicatezza del linguaggio. La testimonianza silenziosa del missionario è, in ultima analisi, un dono, un dono di preghiera, appreso, cioè, nella preghiera da qualcuno che è infinitamente distante e infinitamente straniero, e sperimentato nell'amore per gli uomini che sono sempre più distanti e stranieri di quelli che conosce in patria. Ora, può avvenire che il missionario dimentichi che il suo silenzio è un dono nel suo significato più profondo, cioè qualcosa di dato gratuitamente, un dono concretamente fatto a noi da coloro che vogliono insegnarci la loro lingua. Colui che tenta di acquistare una lingua come si acquista un vestito, di conquistarla impadronendosi della grammatica, è qualcuno che in sostanza tenta di violentare la cultura nella quale è stato inviato. Fino a che si considera un missionario, dovrà riconoscere di essere frustrato, di essere stato, sì, mandato da qualcuno, ma di non essere arrivato da nessuna parte; ha lasciato la sua patria, ma non ha trovato nessun'altra terra, ha lasciato la sua casa, ma non ne ha più trovata un'altra. Continua a predicare ed è sempre più consapevole di non essere capito. Le sue parole sono la parodia di una lingua.
                     (Illich, I., Rivoluzionare le istituzioni, Mimesis)                                                                                                                         
                                        Mauro Armanino, Niamey

CHI E' IL CAPITANO MARCOS DELL'EZLN (informazioni ricevute da Padre Armanino)

Marcos ha spiegato in cosa consiste il tema La Tempesta e il Giorno Dopo, che sarà discusso negli Incontri Internazionali di Ribellione e Resistenza 2024-2025. Foto/archivio per camera oscura

11 ottobre 2024 23:59
Dopo aver chiesto fino a che punto o in che misura le tecnologie della modernità controllano già, o no, la creazione artistica e la ricerca scientifica?, il Capitano Marcos dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), ha affermato che “il sistema ha convinto al ' maggioranze" che senza di esso, senza capitalismo, l'umanità è impossibile."
In una dichiarazione rilasciata questo venerdì, si è anche chiesto: “Le arti e le scienze dipendono dalle tecnologie della modernità? Cioè se non ci sono internet, applicazioni, cellulari, tablet e computer, intelligenza artificiale, energia da combustibili fossili, ecc. È possibile l'arte drammatica? Il dipinto? La musica? Il ballo? La scultura? Letteratura? Il cinema? Le scienze?»
Le arti, ha aggiunto, «non sono nate con il sistema che ormai strangola l'intera umanità, ma forse è già un 'cambio di paradigma' (un alibi per eccellenza per la resa)».
Ha sottolineato che “non si tratta di reindirizzare, con l’esplosione di un ordigno nucleare, un asteroide affinché si schianti e distrugga il telescopio Hubble: né di incendiare o saccheggiare centri di ricerca scientifica (la criminalità organizzata e i governi si stanno già preoccupando di quello). e quelli che saltano dalla scienza alla politica). 
In quel caso, ha affermato, “sono sicuro che l’intera comunità scientifica si unirebbe se qualcuno tentasse anche solo di chiudere la struttura di ricerca; minacciare i suoi membri; sporgere denunce penali contro di loro; o agganciare la ricerca scientifica a un progetto politico di parte, giusto? (ah, il mio sarcasmo non è sottile?)
E aggiunge: “Mi riferisco, però, a una situazione estrema, dove queste risorse sono impossibili da ottenere, o ci sono molte difficoltà per accedervi. Cosa accadrà alle scienze e alle arti, nonché alle persone che in esse si impegnano?
Marcos ha spiegato in cosa consiste il tema La Tempesta e il Giorno Dopo, che sarà discusso negli Incontri Internazionali di Ribellione e Resistenza 2024-2025, convocati dalle Assemblee Collettive dei Governi Autonomi Zapatisti (Acegaz), dalle comunità zapatiste e l'EZLN.
Ora, ha proseguito, “si potrebbe pensare che questo scenario non sia nemmeno possibile, e che non sia altro che una brutta sceneggiatura per un brutto film di fantascienza – 'fantascienza': un ossimoro, come 'politico onesto'. Ok, ok, continua sul tuo palco, cavalletto, schermo 8k, piattaforma digitale, laboratorio, accademia.”
Ha sottolineato: “Sono sicuro che disponete di dati concreti - studi comprovati, modelli di simulazione, conteggio delle risorse non rinnovabili, tendenze di consumo e di sostituzione - che questo scenario è 'molto improbabile' - insieme al riscaldamento globale, al cambiamento climatico, alle guerre di riconquista, inquinamento ambientale, genocidi come quello attuale in Palestina; e che ha accesso a indagini del tutto attendibili che dimostrano che le persone sono soddisfatte del loro attuale tenore di vita (quindi è remota anche la possibile insorgenza di rivolte, rivolte, insurrezioni, proteste, saccheggi, rivolte)”. E ha concluso: “Ok, non ti contraddico. 
Tu hai fama e posizione nelle Arti e nelle Scienze, ed io sono solo un povero capitano di fanteria, ora addetto al settore 'Partecipazioni di Nozze, Battesimi, Prime Comunioni, Divorzi, Riunioni, XV anni e... Incontri'. " 


domenica 13 ottobre 2024

DIMENTICANZE, CENSURE E RESISTENZE NEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO

     Dimenticanze, censure e resistenze nel Sahel



Ci sono persone …. Che dicono ‘No’, quando la maggioranza annuisce con rassegnato disinteresse… 

Che alzano la fronte, quando la maggioranza la inclina… 

Che smettono di credere, quando il credo ufficiale si impone sulla maggioranza… (capitano Marcos)

Il tempo, lo sappiamo, fa il lavoro per il quale è stato inventato. Aiuta a ricordare, dimenticare e ricostruire il passato secondo l’interesse del presente. Qui a Niamey, la capitale del Niger, i primi giorni dagli arresti domiciliari del presidente riconosciuto dalla Comunità Internazionale, Mohammed Bazoum, erano tesi e concitati. Sembrava proprio, come molti hanno notato, il colpo di stato di troppo in questo Paese eppure avvezzo a questa maniera per riattivare la vita politica trovatasi in un’impasse. Nel passato era già accaduto che la guardia presidenziale, al servizio della sicurezza del presidente in carica, lo avesse invece liquidato in modo efferato. Accadde all’aeroporto militare di Niamey il 9 aprile del 1999 e sembra che lo stesso comandante della guardia fosse implicato. 

Abbiamo dunque fatto progressi. E’ bastato rinchiudere il presidente e la sua famiglia nella casa presidenziale perché il colpo di stato militare assuma forma e contenuti poi esplicitati. Chi si trovava nel Paese in quei giorni, ricorda il palpabile timore che le truppe della Comunità economica degli stati occidentali, Cedeao, intervengano per liberarlo. Il tempo, lo sappiamo, fa il lavoro per il quale è stato inventato. Ci si è in fetta dimenticati del presidente imprigionato per passare ad altre cose. Vero, in una recente tribuna, firmata da gente di prestigio, è stata chiesta invano la sua immediata liberazione. In generale si vive, nella capitale e fuori, come se l’illustre prigioniero, fosse scomparso, dimenticato. Con lui altre persone arrestate e detenute da allora per qualche legame reale o presunto con lui e affari attinenti alla sua persona. Scese, senza colpo ferire, la dimenticanza su questa vicenda che l’invisibilità mediatica facilita e amplifica. La dimenticanza ha poi contaminato la democrazia, la partecipazione del popolo e soprattutto la cancellazione dei poveri dall’agenda di chi detiene, al momento, il potere.

Ci sono persone ... Che hanno dei principi, quando la maggioranza inventa alibi… 

Che cercano la verità e la giustizia, mentre la maggioranza si perde. 

Che camminano per trovare, quando la maggioranza siede ad aspettare (capitano Marcos)

Figlia adottiva della dimenticanza è dunque la censura. Essa decide ciò, che personalmente, socialmente o politicamente, debba essere ancora ricordato oppure scomparire, inghiottito dal non accaduto. E’ il caso dell’autocensura nei mezzi di comunicazione, in buona parte degli intellettuali di spicco, nei capi religiosi in perpetua questua di potere, soldi e prestigio dovuto alla prossimità col regime. Ma la prima ad essere compita dalla censura è la giustizia che, funzionale ai detentori del potere, metterà in pratica il detto nel quale si afferma che è vero che ‘la giustizia è uguale per tutti’ ma è altrettanto vero che ‘non tutti sono uguali per la legge’. Lo scriveva opportunamente il novellista George Orwell nella sua metafora ‘la fattoria degli animali’. Accanto alla giustizia la censura contaminerà la politica, percepita come inutile, dannosa o quanto meno irrilevante quando c’è di mezzo l’agognata indipendenza e sovranità.

Ci sono persone... Che vegliano, anche se la maggior parte dormono… 

Che si sacrificano, mentre la maggior parte viene amministrata… 

Che si ribellano, quando la maggioranza obbedisce… (Capitano Marcos)

Il tempo, lo sappiamo, fa il lavoro per il quale è stato inventato. Si potrebbe affermare che è un ‘galantuomo’ perché seleziona ciò che si è in grado di ricordare, ciò che è degno di memoria e ciò che invece va posto nel magazzino sottochiave per la sua pericolosità. Ecco perché un autentico resistente riattiva la memoria ‘sovversiva’ di ciò che è stato e che continua ad essere destabilizzante per il sistema. Resistenti si nasce e si diventa allo stesso tempo. Può accadere per le circostanze o per scelta lungamente meditata e educata da anni di esilio dal pensiero dominante. I ‘resistenti’ si riconoscono, appunto, col tempo, solo garante in questo caso della serietà della resistenza. Uno sguardo differente sulla realtà, l’uso attento e oculato delle parole, la profonda libertà di pensiero e di credo quotidiano e, infine, il rifiuto alle lusinghe del potere che solo la prossimità coi poveri può garantire. Questo e altro offrono a questa insostituibile categoria di persone il diritto di parole e di silenzio. Il futuro del mondo passa tutto tra le le loro mani nude.

Ci sono persone... Che pensano in modo critico, mentre la maggior parte consulta il dogma di moda. 

Che lottano perché è il loro dovere, e non per essere parte della maggioranza… 

Che sono solo una crepa, quando la maggior parte si fanno muro. (capitano Marcos)

            Mauro Armanino, Niamey, ottobre 2024

 

CICLO SU CA' MAITINO DU SOTTO IL MONTE GIOVANNI XXIII (BG)

 CICLO SU CA' MAITINO DI SOTTO IL MONTE GIOVANNI XXIII (BG)

























martedì 8 ottobre 2024

RITORNO A CASA di Padre MACCALLI A NIAMEY SEI ANNI DOPO di Padre MAURO ARMANINO


Ritorno a casa. P. Maccalli a Niamey sei anni dopo

Dio non è serio ma fa le cose seriamente. Così diceva François, prete della diocesi di Niamey di origine togolese che da muratore si è messo a costruire cristiani. Proprio quello che l’amico e compagno di viaggio padre Pierluigi Maccalli ha cercato di fare come missionario in Costa d’Avorio prima e nel Niger poi. Rapito da elementi della nebulosa jihadista il 17 settembre del 2018 è tornato in terra nigerina, senza catene, la stessa data ma sei anni dopo. In una lettera di commento al suo soggiorno di dieci giorni a Niamey, ospite gradito e inatteso per la circostanza, scrive tra l’altro... ‘La popolazione locale (specie di Bomoanga) è presa tra due fuochi: da una parte le incursioni a carattere jihadista e dall’altra i militari che diffidano di tutti e rastrellano gente accusate di collaborazione. Tra di essi il mio catechista e suo fratello: sono da mesi in prigione con l’accusa gratuita di essere parenti alla lunga di un sospettato. La gioia del ritorno si è trasformata presto in amarezza e tutt’ora custodisco in cuore tanta tristezza. Confesso che l’incontrare tante persone care, dimagrite di peso e dal volto scavato dalla sofferenza, mi ha fatto tanta pena e mi ha molto rattristato’. 

Dio non è serio ma fa le cose seriamente. Così diceva François e l’abbiamo potuto constatare con l’amico Pierluigi. Proprio tra le zone più colpite dalla violenza religiosa, dove è stato rapito un prete, vandalizzata la nuova ‘Basilica dei poveri’, da dove la gente fugge perché minacciata...proprio di questa zona sono originari i due nuovi preti della diocesi. La loro ordinazione è stata il ‘pretesto’ per padre Maccalli per tornare, con le parole dell’ambasciatore italiano a Niamey, sul ...’luogo del delitto’! Tornato a casa piuttosto, faceva osservare Pierluigi che il ‘luogo del delitto’ lo ha vissuto come vittima innocente e inerme per oltre due anni. Ci si ricordava dei tre segni che ha portato con sé dalla prigionia nel deserto del Sahara: una piccola croce di legno, un rosario confezionato con stoffa di fortuna e un anello della catena che l’ha custodito ogni notte per il tempo passato in cattività. Ma c’è un quarto segno che Pierluigi non ha menzionato nel suo scritto post prigionia...’Catene di libertà’.

Dio non è serio ma fa le cose seriamente. Così diceva François, prete della diocesi di Niamey di origine togolese che da muratore si è messo a costruire cristiani. Ed è questo il quarto segno che Pierluigi ha portato a Niamey, dal 17 al 27 settembre scorso. Lui stesso, senza volerlo o saperlo è stato il quarto segno di libertà nel tornare a casa dalla gente che per lui ha sofferto, pregato, sperato e atteso. Il suo popolo rideva, ballava, piangeva e cantava come solo i poveri sanno fare quando fanno festa. Perché Pierluigi e il suo popolo erano tornati liberi e più nessuno potrà mettere in catene la speranza.

           Mauro Armanino, Niamey, ottobre 2024

Padre Pierluigi Maccalli è stato per due anni prigioniero di estremisti islamici nel Sahel, dal 17 settembre 2018 all'8 ottobre 2020. Il suo rapimento ha segnato il mondo missionario legato alla Società Missioni Africane, l'istituto al quale appartiene.



sabato 5 ottobre 2024

FRONTIERE, NAZIONI E SOLDATI NEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO

 


Frontiere, nazioni e soldati nel Sahel

Le frontiere esistono dapprima nelle nostre teste. Da lì passano a governare i confini dei territori delle nazioni. Linee, puntini, muri, fili spinati, campi minati, documenti, fiumi, mari e deserti arruolati da chi prevale nei rapporti di forza del momento. Provate a lasciare Niamey, la capitale, raggiungete Dosso e poi arrivate al confine con la Repubblica del Benin, la città di Gaya. Da più di un anno, cioè dall’atipico colpo di stato di luglio, il ponte che attraversa il fiume Niger è chiuso al traffico. Sono le vecchie, antiche e sempre attuali piroghe che permettono il passaggio di decine di passeggeri da ambo le parti. Per passare si sommano le tasse dei doganieri, marinai, gendarmi, militari, consiglieri e trasportatori di mercanzie che i viaggiatori sono tenuti a sborsare per accedere dall’altra parte della frontiera. Le frontiere sono invenzioni che, prese sul serio, possono delimitare la mobilità dei poveri.

Per Benedict Anderson, storico e politologo sino-irlandese, le nazioni non sono altro che delle comunità politiche ‘immaginate’, limitate e sovrane. Questo perché solo una parte delle persone della ‘nazione’ potrà conoscersi fisicamente. Perché la nazione esista, con maggiore o minore fortuna, bisognerà inventarsi un futuro comune di cui il passato sembra portare le premesse. Stesso territorio, ideali, lingua, cultura e soprattutto un destino comune, differente dagli altri. Ben delimitato e orchestrato da valori, ideali e uno spirito che si apparenta all’assoluto. La nazione ‘immaginata’ può inventarsi nel nazionalismo che fa del popolo come tale una quasi-religione. Per la nazione, la ‘Patria’ (dal latino ‘Pater’, padre) si può e deve dare la vita se necessario. I cimiteri e le guerre che li hanno confezionati nella storia umana ne sono una metafora e un monito perenne.

Le frontiere esistono dapprima nelle nostre teste, Poi si disegnano e nascono con gli stati che delle nazioni dovrebbe essere l’espressione. Naturalmente ciò è complicato perché la realtà è multiforme e difficilmente si lascia ingabbiare da concetti. Tra nazioni, stati e frontiere c’è connivenza. Uno dei frutti della loro unione sono le guerre che, come sottolineato sopra, costituiscono una delle dominanti dei nazionalismi che si avvalgono dello stato per armarsi, difendersi o creare effimeri imperi. Tutto ciò appare come un’invenzione occidentale esportata di forza o di diritto altrove dove comunque esistevano forme di struttura sociale, politica, economica e militare. Altrove, infatti, le frontiere esistevano ma forse interpretate altrimenti. Etniche, linguistiche, religiose o semplicemente di fatto e più permeabili perché i muri, così come i campi di concentramento e detenzione, sono dello stato nazionalista una delle manifestazioni più emblematiche e conseguenti.

Il nazionalismo sottolinea in particolare un’identità e un destino comune, sufficientemente inventati anch’essi, per arruolare quanta più gente al proprio progetto egemonico. Il consumo locale, la patria e la sua salvaguardia e soprattutto il sovranismo, entità poco definibile al di fuori delle frontiere tracciate dalle ideologie, diventano altrettante parole d’ordine per la gestione del Paese o dello spazio che le frontiere delimitano. I cittadini saranno col tempo selezionati tra obbedienti, recalcitranti, militanti o refrattari da rieducare. Nell’Unione Sovietica dell’epoca staliniana si utilizzarono gli ospedali psichiatrici per i dissidenti che non ‘aderivano al progetto rivoluzionario della lotta proletaria per il comunismo’. Dalle nostre parti non siamo ancora così sofisticati e sono sufficienti le sparizioni e le auto-censure di chi teme di pensare differentemente l’appartenenza ad un popolo.

Le frontiere esistono dapprima nelle nostre teste. Poi si organizzano all’esterno e all’interno della nazione e dello stato. Per classi sociali, per i figli che studiano nel Paese e altri che vanno all’estero, per chi si cura sul posto e chi ha i mezzi per cliniche private altrove, per chi avrà un futuro nel sistema e chi ne sarà per sempre estromesso. Da cittadini, depositari cioè di diritti e doveri riconosciuti si dovrebbe diventare, secondo le testuali parole della autorità del momento, poliziotti, gendarmi, guardie o, in una parola, soldati. Tutto ciò contribuirà a creare nuove e inedite frontiere nella Regione.

C’è chi sogna, tuttavia, che le frontiere diventino ponti e i ponti frontiere, cominciando da Gaya.

                  Mauro Armanino, Niamey, ottobre 2024


BENVENUTO|

Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi