AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

lunedì 27 giugno 2022

NOVENA ALLA MADONNA DEL CARMINE


 


NOVENA ALLA MADONNA DEL CARMINE

PRIMO GIORNO

L'abitino del Carmine dono di Maria

1. - Siamo venuti a te, o Maria, perché vogliamo chiederti la grazia di accende-re nel nostro cuore la fiamma del divino amore per cominciare bene questa Novena che intendiamo compiere in tuo onore, a tua gloria e per il nostro profitto spirituale.

Il dono dello Scapolare è un tuo gesto materno per guidarci nella via dell'osservanza dei grandi impegni che richiedono da tutti noi l'amore totale a Dio e al prossimo. Ave Maria.

2. - Tu, o Maria, sul Calvario hai offerto Gesù tuo Figlio, per la salvezza degli uomini, e noi, a te consacrati mediante lo Scapolare, che cosa offriremo al Padre se non sapremo imitarti nel sacrificio di un po’ di noi stessi per quanti son poveri, non amano, non godono, ma piangono e gemo-no a causa della povertà di spirito e del-la nudità del corpo? Salvaci, o Madre, per amore del tuo Figlio. Ave Maria.

3. - Non ci potremmo dire tuoi figli se non consacrassimo tutta la nostra vita per il trionfo dei diritti di Dio, che è nostro Padre, e se non facessimo ogni sforzo per superare i nostri meschini senti-menti di antipatia e di ripulsa che ci impediscono, non solo di essere generosi verso gli amici, ma di sapere amare an-che i nostri nemici come Cristo ha ama-to noi. Ave Maria.

 SECONDO GIORNO

L'abito del Carmine e i figli Prediletti di Maria

1. - Noi sappiamo bene, o Vergine Ma-ria del Carmelo, che è tanto grande il tuo amore per noi e per quanti portano il tuo Abito da chiamarci tuoi figli prediletti. Questa tua preferenza ci impegna seriamente a non venire mai meno ai particolari doveri che ne derivano. Ave Maria.

2. - Tu vuoi che il tuo Scapolare sia segno esterno di quell'abito interiore che è la Grazia, partecipazione reale della vita divina che è stata donata a noi con il santo Battesimo.

Ti preghiamo affinché non ci manchi mai il tuo patrocinio lungo il difficile svolgersi della vita e perché le avverse circostanze non ci allontanino dalla via che è Cristo. Ave Maria.

3. - Tu fa in modo che possiamo por-tare il tuo Abito ogni giorno senza macchia così da dimostrarti con una vita di virtù che vogliamo emergere su tutti gli uomini redenti da Gesù, tuo Figlio, non per vanità, ma per impegno di servizio con l'esempio e la santa emulazione. Ave Maria.

 TERZO GIORNO

Il titolo di «figli» ci obbliga ad amare Maria

1. - O Madre del santo amore, chi potrà mai ridire la tua benevolenza verso di noi per averci chiamati tuoi figli di-lettissimi? Noi non potremo mai ringraziarti abbastanza di questa tua predilezione; ma se volesti essere con noi tanto generosa, fa che il bel nome di figli ci impegni a corrispondere meglio al tuo amo-re di Madre. Ave Maria.

2. - Se tu, o Maria, ci hai beneficato tanto è nostro dovere innalzare a te l'in-no della nostra gratitudine e ricambia-re amore con amore. Ma siccome far questo come si conviene non è facile al nostro cuore, tu infiammalo tanto da poterti riamare almeno per quanto ci è possibile. Ave Maria.

3. - Il santo Abitino, o Maria, ci ricorda le tue premure materne e ci spinge a ricambiarle con amore tenero e filiale; noi vogliamo continuare l'amore che Gesù ebbe qui in terra per te; vogliamo essere veramente tuoi figli. Ave Maria.

QUARTO GIORNO

Il titolo di figli di Maria ci obbliga, ad imitarla

1. - O Maria, madre di Dio e madre nostra amabilissima, a te ci rivolgiamo con filiale fiducia, implorandoti di assistere noi e i nostri cari con il tener lontano il male e il maligno, e con l'aiutar-ci a sventare le insidie e a respingerlo. Ave Maria.

2. - Con tutto il cuore ti chiediamo di ricondurre tutti noi che confidiamo in te, ad una perfetta riconciliazione con il tuo divino Figlio Gesù; e di farci sperimentare la sua benevola provvidenza nelle difficoltà temporali e spirituali che ci preoccupano. Ave Maria.

3. - Vorremmo infine supplicarti di farci partecipi dell'amore di Gesù verso

di te e dell'amore che tu gli hai contraccambiato in terra e che continui ad esprimergli in cielo in nome nostro e di tutta la Chiesa. Ave Maria.

QUINTO GIORNO

L'Abitino del Carmine è difesa nei pericoli del corpo

l. - O Maria, tu sei veramente la più affettuosa fra tutte le mamme del mondo, perché anche attraverso il tuo santo Abitino ci hai ricolmato di favori e di grazie.

Non contenta di chiamarci alla tua sequela hai voluto anche impegnarti a di-fenderci dai mali che ci tormentano sul-la terra. Ave Maria.

2. - Questa verità ci conforta nelle nostre prove e ci rafforza nella certezza che il tuo Scapolare, o Maria, è realmente pegno della tua materna protezione e segno di salvezza nei pericoli del corpo. Ave Maria.

3. - Nessuno potrà comprendere abba-stanza le grazie e i prodigi operati per mezzo del santo Abitino a favore di quanti lo indossano con filiale devozione.

Il nostro cuore si riempie di gioia al pensiero di essere in ogni tempo sotto il tuo patrocinio, o Vergine del Carme-lo, nostra Madre e nostra avvocata. Ave Maria.

 SESTO GIORNO

L'Abitino del Carmine difesa dell'anima

1. - Il tuo Abitino, o Maria, è segno di salute, non solo del corpo, ma molto più dell'anima. O Vergine santa, la tua sollecitudine verso i nostri bisogni spirituali ci conferma che vuoi essere nostra madre e ci fa crescere la fiducia nella tua sicura protezione. Ave Maria.

2. - Sono molti e potenti i nemici che da ogni parte ci combattono; tutto in noi è tumulto e preoccupazione sì che la pace del cuore vien meno; eppure, fiduciosi noi rivolgiamo lo sguardo a te, stella propizia del Carmelo. Ave Maria.

3. - Sotto la tua protezione troviamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le nostre suppliche, ma guarda a noi che siamo nella prova e liberaci da ogni pericolo: Vergine gloriosa e bene-detta. Ave Maria.

SETTIMO GIORNO

L'Abitino del Carmine è nostro conforto nel momento estremo

1. - Vergine singolare, fiore purissimo del Carmelo, la tua materna intercessione presso il trono di Dio e il tuo amore per noi ci infondono piena fiducia che per tuo mezzo, le nostre preghiere sa-ranno esaudite da Gesù, tuo Figlio e nostro salvatore. Ave Maria.

2. - Siccome tu conosci, madre mite, le difficoltà del nostro spirito e le tante prove dell'umana esistenza, speriamo di essere da te sollevati, soprattutto per il santo Scapolare che fra le tue mani ci appare «vero specchio di umiltà e di castità, compendio di modestia e semplicità, eloquente memoriale di vita cristiana» e perché ci consacra a te Patrona, madre e sorella di tutti i devoti del Carmelo. Ave Maria.

3. - Concedi, o splendore del cielo, all'anima nostra, ferita dal peccato e re-denta dal sangue innocente di Gesù, l'abbondanza dei tuoi favori: Sui bisogni del-la Chiesa e del mondo, sulle nostre attuali necessità, su quelle di tutti i sofferenti, sulle anime del purgatorio e sulle aridità di ognuno, scenda la luce del tuo conforto e della tua tenerezza materna.

O stella del mare, assistici in tutte le avversità della vita finché non ci vedrai salvi con te per tutti i secoli dei secoli. Ave Maria.

OTTAVO GIORNO

L'Abitino del Carmine abbrevia le pene del Purgatorio

1. - Vergine generosissima, quanto superano la nostra capacità di conoscere

e perfino i nostri desideri le preferenze di affetto che tu hai verso i devoti del Carmine!

Non contenta d'assisterli e proteggerli continuamente in vita e in morte vuoi prenderti speciale cura di loro anche nel purgatorio. Ave Maria.

2. - Allorché passiamo da questo mondo la memoria di noi rimane nel cuore dei cari che lasciamo in terra, ma non sempre essi si ricordano di noi per sol-levarci dalle sofferenze del purgatorio; tu invece ci guardi con occhio amoroso e così, nella penosa attesa, potremo ricorrere sicuri a te per averne soccorso. Ave Maria.

3. - O Madre premurosa, se il ricordo dei debiti contratti con Dio porta con se un grande timore in un'anima cristiana che sa di doverli scontare nel purgatorio, possiamo rallegrarci noi devoti del Carmine, e confidare in te che mitigherai le pene e ci ricondurrai al più presto con te in cielo liberi e salvi per l'eternità. Sia benedetto il tuo Scapolare che ci rende figli di una madre così pietosa. Ave Maria.

 NONO GIORNO

L'Abitino del Carmine segno di Consacrazione a Maria

1. - O Maria, Madre e decoro del Car-melo, a te consacro oggi la mia vita, qua-le tributo di gratitudine per le grazie che, attraverso la tua intercessione, ho ricevuto da Dio.

Tu guardi con particolare benevolenza coloro che devotamente portano il tuo Scapolare: ti supplico perciò di sostenere la mia fragilità con le tue virtù, d'illuminare con la tua sapienza le tenebre della mia mente, e di ridestare in me la fede, la speranza e la carità, perché possa ogni giorno crescere nell'amore di Dio e nella devozione verso di te. Ave Maria.

2. - Il santo Scapolare richiami su di me lo sguardo tuo e la tua protezione nella lotta quotidiana, sì che possa rimanere fedele al Figlio tuo Gesù e a te, evitando il peccato e imitando le tue virtù. Desidero vivere in unione con il tuo spirito, offrire a Dio per le tue mani, tutto il bene che mi riuscirà di compiere con il tuo aiuto; e la tua bontà mi impetri il perdono dei peccati ed una più sicura fedeltà al Signore. Ave Maria.

3. - O Madre amabilissima, il tuo amo-re mi ottenga che un giorno sia concesso anche a me di mutare il tuo Scapolare con l'eterna veste nuziale e abitare con te e con i Santi del Carmelo nel regno beato del tuo Figlio. Ave Maria.


Verso la Solennità della Madonna del Carmine (16 luglio): Una lirica per ogni giorno della novena











 

SOLTANTO OSTAGGI di ENRICO EULI

 


soltanto ostaggi 

Il popolo ucraino, sempre meno entusiasta e sempre più devastato, scopre sempre più di essere soltanto un ostaggio.
E che il suo rappresentante politico più alto, Zelensky, sta ottenendo i suoi risultati politici e personali a discapito del suo popolo.
'Ci siamo meritati la candidatura in Europa!', esclama.
Il prezzo? Decine di migliaia di morti tra i suoi concittadini.
Ma la ragion di stato conta sempre più delle vite, umane e no, nella necropolitica. 
É qui, sulla pelle degli ostaggi ucraini, che le superpotenze giocano il loro dominio sul mondo, combattendosi tra loro, ma alleati contro la vita ed il pianeta.
L'Ucraina va verso la sconfitta militare, lentamente ma inesorabilmente.
Ma il cerchio si sta chiudendo non solo intorno alla gola di quei poveracci ai confini dell'impero.
Si sta chiudendo anche attorno alla nostra, ultimi privilegiati del mondo. 
Anche noi scopriamo di essere soltanto dei poveri ostaggi sotto ricatto.
Il ricatto energetico inizia a presentare il conto.
Le materie prime aumentano spropositatamente i loro costi, l'inflazione sale esponenzialmente e fuori controllo (e con essa, la povertà materiale di molti).
L'acqua procede a diventare un bene di lusso, e non più soltanto per i popoli del deserto.
I cambiamenti climatici accelerano e ne vediamo gli effetti sempre più evidenti ed inquietanti per il nostro comfort.
Energia, materie prime, acqua: da quanto diciamo che sono e saranno le cause di nuove, continue, terrificanti guerre?
Sta accadendo, ora, anche per noi: noi che avevamo (soli nel mondo) la possibilità di scegliere la decrescita, iniziamo a subirla per obbligo, ostaggi di noi stessi.
La risposta la conosciamo già, arriva automatica e l'abbiamo già sperimentata con la pandemia.
Stati d'emergenza permanenti, gestiti da esperti e politici che continuano ad esigere - col paternalismo o l'aperta repressione - di essere seguiti, obbediti, votati e magari anche ringraziati per le loro soluzioni e rassicurazioni.
Come veri banditi gentiluomini quali sono, si prendono cura di noi, mentre ci tengono in prigionia.
Siamo ostaggi e - anche se volessimo - non possiamo neppure offrire un riscatto per liberarci di chi ci ha rapito e ci ha tolto la libertà.
E se qualcuno si lamenta o - anche solo timidamente - protesta, è subito trasformato in ribelle fuori dal tempo o traditore della patria in armi.
Nessun minimo segno di ripensamento, nessun - neppur parziale o momentaneo - sprazzo di lungimiranza.
Non vogliamo finire di giocare questo gioco che ormai è giunto a coincidere con la nostra ed altrui vita. É un gioco che non sa come finire e che conosce come unica sua fine solo la fine di chi lo gioca.
Ecco perché, sino alla fine, non crederemo alla nostra fine.

Enrico Euli

Università degli Studi di Cagliari
Dipartimento di Lettere, Lingue e Beni Culturali
Ruolo Ricercatore universitario
Area scientifico disciplinare
Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche
M-PED/03 DIDATTICA E PEDAGOGIA SPECIALE
Emaileuli@unica.it

Mi ha trasmesso questo interessante articolo Padre Mauro Armanino, che ringrazio di tutto cuore.


venerdì 24 giugno 2022

UNA VITA COLORATA DI AVORIO di Padre MAURO ARMANINO

 


Una vita colorata di avorio

Yves è partito per tornare al suo paese di origine dopo 37 anni. Si tratta del numero esatto di anni che ha passato in carcere nel Togo, Paese confinato dall’Atlantico, oceano privilegiato per la tratta degli schiavi. La schiavitù reale e in piena terra ferma l’ha vissuta in parte nel famigerato carcere di Kaza ora chiuso, tra lavori forzati, sevizie e minacce. Yves trafficava avorio con l’Europa e, assieme a suo fratello, viaggiavano spesso ad Amburgo, in Germania, onde perfezionare il lauto commercio con blandi controlli, in quei tempi passati. Una soffiata e lui con suo fratello sono arrestati all’aeroporto di Lomé, capitale del Togo in provenienza, appunto, dalla Costa d’Avorio. Dal giorno della reclusione fino alla liberazione sono passati 37 anni e Yves non è mai passato da un tribunale per il processo. Dal Presidente padre al presidente figlio, l’attuale Foure Gnassimbé, è passata anche la visita del papa Giovanni Paolo secondo per il giubileo, a cui l’allora presidente aveva promesso una grazia presidenziale per i detenuti. La promessa non è stata mantenuta e, anzi, persino il fratello maggiore dell’attuale presidente si trova in carcere con l’accusa di tentativo di colpo di stato. La repressione seguita alle presidenziali dell’epoca ha fatto centinaia di morti.
Yves è di origine sudanese. Il suo paese era ancora uno quando lo ha forzatamente lasciato. Torna alla sua città di nascita, Juba, ormai capitale del nuovo stato chiamato appunto Sud Sudan. I giacimenti di petrolio del nuovo Paese, riconosciuto come indipendente nel 2011, hanno rappresentato la ben conosciuta ‘maledizione’ delle risorse. Il Sud Sudan è passato di guerra in guerra e Yves farà presumibilmente fatica a riconoscere la cittadina diventata nel frattempo capitale del nuovo stato. Torna con un un paio di occhiali usati, la bomboletta spray per l’asma e una scatola di pastiglie per controllare la pressione. Porta, in una delle due borse con le quali ha viaggiato dal Togo, un paio di pantaloni e la camicia di suo fratello Charles morto in carcere di malattia, per la famiglia dello scomparso. Lui stesso indossa camicia e pantaloni di un prete incontrato nel Burkina Faso mentre stava transitando e mendicando cibo e soldi per continuare il viaggio a ritroso. Custodisce, tra il foglio che conferma lo smarrimento del passaporto rubato e l’ultima prescrizione medica, un santino di don Bosco, offertogli da un salesiano prima di lasciare per sempre la capitale del Togo.
Yves dice che in carcere gli agenti commerciavano droga coi detenuti in cambio dei soldi che le famiglie passavano ai loro cari. Nel frattempo, passavano anche i presidenti che promettevano al papa per il giubileo del 2000 e agli organismi internazionali un migliore trattamento per i detenuti e magari un’amnistia. Dal 1985, data dell’arresto e in tutti quegli anni Yves non è mai stato giudicato, il processo verbale del suo percorso giudiziario è sparito, assieme ai soldi che lui e suo fratello avevano con sé. Il primo Yves, nato nel 1959 a Juba, era commerciante d’avorio e l’altro Yves, che torna al Paese dopo 37 anni di carcere, è un commerciante di anni che ancora gli rimangono per rivedere la moglie e i figli di cui non sa più nulla. Dice che ricorda bene il colore della casa, era color d’avorio.
                                                                                               
          Mauro Armanino, Niamey, giugno 2022

sabato 18 giugno 2022

MORIRE DI DOLORE O DI VERGOGNA NEL SAHEL - di PADRE MAURO ARMANINO

 


 Morire di dolore o di vergogna

 nel Sahel

Era il 16 giugno del 1976 a Soweto, nell’allora regime di apartheid del Sudafrica. Durante una manifestazione di protesta di studenti e scolari la polizia aprì il fuoco uccidendo quattro bambini. La foto del tredicenne Hector Pietersen ucciso divenne un simbolo della violenza della polizia sudafricana. Nella giornata furono uccise altre 23 persone. La giornata del bambino africano è stata celebrata per la prima volta dall’Organizzazione per l’Unità Africana il 16 giugno di ogni anno dal 1991. Da morire di dolore.

Il sistema scolastico nigerino e l’intera società sono stati sconvolti dall’uccisione, all’arma bianca, di un insegnante da parte di uno dei suoi alunni. Fine scuola ‘primaria’, un ragazzo neppure quindicenne, rivela in modo drammatico lo stato di violenza strutturale della scuola nigerina. Essa si chiama esclusione, impreparazione, commercio educativo, estroversione valoriale, isolamento dalla vita reale della società, assenteismo proverbiale dei genitori e liquidazione vocazionale degli insegnanti. Da morire di vergogna.

Come in altre aree del Sahel, il Niger bagna in un clima quotidiano di violenza. Non passa giorno che piovono i comunicati di attacchi contri i militari, i civili e i beni primari della gente. La parola che riassume tutto ciò sarebbe quella di ‘desolazione’, che evidentemente tocca anche e soprattutto gli scolari e gli studenti delle zone rurali, i più poveri, mentre le scuole dei ricchi possono continuare, ben difese, in città. Una violenza capillare che chiude per sempre il futuro di migliaia di bambini. Da morire di vergogna.

Nel vicino Burkina Faso, a causa degli attacchi dei gruppi armati terroristi, si registrano 3280 scuole chiuse che implica la diserzione scolastica di 511.221 allievi e di 14.901 insegnanti. Nel Mali, per lo stesso motivo, sono 150.000 i giovani e bambini estromessi dal processo scolastico. Nel Niger le scuole chiuse, non lontano dalla capitale Niamey sono 791 e gli scolari estromessi dalla scuola 63.306 di cui circa la metà sono ragazze. Nel Sahel circa undici milioni le persone hanno bisogno di assistenza alimentare. Da morire di dolore.

Nel Niger le cifre della fragilità alimentare sono ricorrenti e variano secondo il momento e le fonti. C’è chi parla di quattro milioni e mezzo di persone in insufficienza alimentare e due milioni e mezzo in quasi carestia. Altrove e in altri momenti, a partire da molto poco, c’è chi ha moltiplicato i pani perché tutti fossero sazi. Per questo e altro ha ragione il poeta dell’Uruguay Mario Benedetti. Una cosa è morire di dolore e l’altra è morire di vergogna. Lo scrisse a suo figlio e gli ricorda che è meglio piangere che tradirsi

Mauro Armanino, festa del Corpus Domini,

giugno 2022

Ho trovato un articolo di Padre Armanino, pubblicato su Il Fatto Quotidiano, 09 marzo 2020, che vedo come un incipit a questo suo nuovo scritto. 

“Una cosa è morire di dolore e un’altra è morire di vergogna”. Mi è tornata in mente questa poesia di Mario Benedetti, compianto poeta dell’Uruguay, appresa mentre mi trovavo in Argentina. La cosiddetta distanza sociale, oggi riesumata, era stata da tempo introdotta e non casualmente e non certo per compassione si tengono aperti i supermercati e si chiudono le chiese e gli stadi e gli avvenimenti culturali e le scuole. Si troveranno buone giustificazioni di carattere medico e senza dubbio scientificamente motivate ma abbiamo perso, non da oggi, la dignità. Da tempo non sappiamo perché valga la pena vivere la vita e ci perdiamo, stolti consumatori consumati, dietro l’effimero che ci seduce per la sua nullità. Quanto ci appaiono vere le profezie di Pier Paolo Pasolini e il suo inascoltato grido del cambiamento antropologico in atto nel paese e in Occidente.

Una cosa è morire di dolore alle frontiere dell’Europa, nei deserti che vorrebbero raggiungere il mare, nei viaggi senza fine e nelle guerre comandate, finanziate e alimentate dai fabbricanti d’armi, europei, americani, cinesi e russi compresi. E l’altra è morire di vergogna come da troppo tempo si fa in Occidente dove la morte, prima parte della vita e celebrata con rintocchi di campane e la sommessa preghiera dei paesani, è stata censurata, di lei ci si è vergognati come fosse una sconfitta e persino le tombe sono giardini coltivati per illudere il tempo futuro.

Ecco perché lei, sorella morte, è tornata, con fattezze antiche e attuali, e passa attorno tra gente isolata, impaurita e scontenta della vita. Eravamo morti da tempo senza neppure accorgercene e facevano bene, i nostri antenati colpiti dalla peste, a rifugiarsi dove almeno le parole di conforto avevano un senso e magari si aspettava che qualche santo ci mettesse una pezza e ci si rendeva conto della fragilità umana e della morte che inciampa nella vita. Ha ragione Benedetti che morire di vergogna è la cosa peggiore che mai potrebbe capitare.

Nella poesia in questione che porta il titolo Uomo prigioniero che guarda suo figlio, il poeta scrive verso la fine del poema: “Uno non sempre fa quello che vuole/però ha il diritto di non fare/ ciò che non vuole”. Ci siamo persi gli anni più belli, quelle delle rivoluzioni e delle resistenze, quelli dei No operai e partigiani e, liquidando le grandi narrazioni della storia, ci siamo ridotti a fare la lista della spesa per il supermercato più vicino che possiede, tra l’altro, lo spazio giochi per i bambini e un ampio parcheggio per le auto, la domenica.

Magari le campane suoneranno, per ricordare che c’è un’ora e un tempo per tutto. Sentiremo il rimpianto, per un attimo, del mondo che avrebbe potuto essere differente, un mondo nuovo da inventare ogni giorno negli occhi di chi si innamora della vita. Perché, come ancora ricorda Benedetti alla conclusione della poesia citata: “è meglio piangere che tradirsi… piangi, ma non dimenticare “.

Poiché entrambi gli articoli portano il ricordo di un grande uomo, per chi non ha notizie su di lui, un breve cenno è d'obbligo.Mario Orlando Hamlet Hardy Brenno Benedetti-Farugia, noto come Mario Benedetti (Paso de los Toros, 14 settembre 1920 – Montevideo, 17 maggio 2009), è stato un poeta, saggista, scrittore e drammaturgo uruguaiano. (ma di origini italiane).

giovedì 16 giugno 2022

FIORI DI GIUGNO OA KANAZAWA . GIAPPONE - FOTO DI YASUDA KAZUKO SAN - Didascalie poetiche di P. Nicola Galeno OCD


Ciclo sul Fiori di giugno a Kanazawa

 (Giappone, foto di Yasuda Kazuko San)



I FRATELLINI TACITURNI

Sembrate fratellini taciturni.

Vorrei potervi in parte consolare,

ma voi celate sempre i vostri crucci…


ACCOGLIENTE

Mi pare di veder in te la faccia

dell’accoglienza: sempre pronto a dare

risposte che mi sappian rinfrancare! 

TIMOROSI

Sembrate timorosi e vi frenate

dal fare confidenze a questo cuore,

che bramerebbe sol di confortarvi…

FULGORE

Chi mai creduto avrebbe che dall’acqua

potesse uscir un siffatto fulgore?

Natura, resti sempre affascinante!


 CONFIDENTE

Capisco dal tuo viso che sei pronto

a rivelarmi quanto celi in cuore.

Perché tardasti a farlo, fratellino?

PIANGENTE

Sembri davver Maddalena piangente.

Attendi che il Maestro sol ti chiami

per sfoggiargli il sorriso più fulgente!


(Legnano 15-6-2022), Padre Nicola Galeno




sabato 11 giugno 2022

IN NIGER MENDICANTI SI PUO' DIVENTARE di Padre MAURO ARMANINO


Giovane Mendicante" di Bartolomé Esteban Murillo (Siviglia 1617-1682)
pittore Barocco nato a Siviglia, in Spagna.

Capolavoro della collezione spagnola del Louvre, il giovane mendicante è il primo dipinto di Murillo che entrò nelle collezioni reali francesi (acquistato personalmente da Luigi XVI nel 1782). L’interesse di Murillo per le rappresentazioni profane e, particolarmente, per quelle dedicate all’infanzia hanno fatto pensare che a Siviglia fosse stato attivo un esteso giro di committenti nordici: i soggetti di strada e di vita popolare ebbero infatti molto successo all’estero, ed è probabile che i numerosi mercanti fiamminghi attivi nella città andalusa, sedotti da tali temi, li commissionassero direttamente ai pittori del luogo.

In Niger mendicanti si può diventare

I genitori che, in cambio di un po’ di soldi, affittavano, o vendevano, i loro figli, normalmente per un periodo di tre anni, a dei personaggi, i cosiddetti ‘padroni’, che si industriavano per portarli nelle grandi città e maggiormente in Francia ed Inghilterra dove li obbligavano ai mestieri più umili e duri: lustrascarpe, venditori per le strade di statuette di gesso e di santini o di altre immagini o di fiammiferi, sguatteri, facchini, mendicanti, suonatori di organetto, spazzacamini, in certe fabbriche, senza cure, senza pulizia, alloggiati in tuguri infami, nella promiscuità e abiezione più ripugnanti…
Si tratta di bambini italiani sui quali, qualche anno fa, l’insegnante Michele Santulli scrisse in un articolo pubblicato dal sito ‘altritaliani’. Nulla di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire nella scontata saggezza di un tempo passato e sempre attuale. La mendicanza è costitutiva della nostra avventura umana perché, se ci pensiamo, vivere non è che passare da uno stato di mendicità radicale, ad altri stadi più coscienti ma sempre ‘mendicativi’. Dal neonato, radicalmente bisognoso e dunque mendicante di tutto, all’adolescente, al giovane e in fine all’adulto, cambiano solo le modalità ma alla radice rimane la ‘mendicanza’ come dimensione ineludibile della vita. Cibo, affetto, amicizia, sguardo, sorriso, riconoscimento, accettazione, fiducia e rispetto. Questo e molto altro è ciò che mendichiamo quotidianamente nelle nostre umane interazioni. Mutano i nomi, le modalità o le caratteristiche ma rimane inalterato il ‘principio mendicanza’.
Altra cosa è l’induzione, l’educazione professionale e lo sfruttamento della mendicanza dei bambini. In alcuni Paesi ciò avviene in modo aperto e per così dire codificato dagli usi e costumi. Chi arriva per la prima volta nella capitale Niamey, è stupito dal numero impressionante di bambini che, utilizzando la strada come ambito di lavoro, una funicella e un pentolino come strumento di lavoro, mendicano cibo o monetine. Vengono comunemente chiamati ‘Talibé’, scolari di modeste scuole coraniche di quartieri poveri, affidati a maestri che cercano di sbarcare il lunario facendosi ‘aiutare’ da coloro ai quali insegnano i rudimenti del Corano in arabo. Malgrado le leggi, le raccomandazioni e le ingiunzioni questo fenomeno continua ormai da anni e rischia di protrarsi, finché farà comodo ad alcuni, che esso perduri. Un’armata di mendicanti potenziali potrebbe essere utile a molti. Per guadagnarsi il paradiso con le elemosine del venerdì, per avere voti eventuali quando verrà il momento delle elezioni, per i piccoli mendicanti quando saranno cresciuti e infine, per ogni eventuale manifestazione di piazza, quando ve ne fosse di bisogno.
Oltre le cipolle e la carne del numeroso bestiame transumante, da anni stiamo esportando bambini mendicanti. In Algeria, nel Senegal e, secondo le recenti notizie dei mezzi di comunicazione, nel Ghana. Si sono formati circuiti di sfruttamento dei bambini da parte di adulti, donne e uomini, che accompagnano e coordinano i processi di mendicanza e la spartizione dei guadagni operati grazie a loro. Tutto ciò appare giustamente scandaloso ma non solo perché il fatto implica una visione negativa e vergognosa del Paese di origine dei bambini. Lo scandalo consiste soprattutto nella riduzione a oggetto di pietà e dunque di sfruttamento dei bambini che, per tutta la loro vita, saranno marcati da questa forma di schiavitù contemporanea. Ciò che dovrebbe piuttosto interrogare autorità, cittadini, genitori, strutture educative e istituzioni religiose, è il motivo e cioè le condizioni sociali ed economiche che portano alla ‘professionalizzazione’ della mendicità. Essere costretti o perlomeno spinti alla scelta della mendicità per sopravvivere è una sconfitta e una vergogna per tutti, Dio compreso. 
Mendicanti si nasce e talvolta lo si diventa per necessità ma, per fortuna, mendicanti si rimane per sempre.

              Mauro Armanino, Niamey, giugno 2022

L'articolo mi ha profondamente colpito, non solo per la mendicanza dei piccoli, sempre molto sfruttata in tutti i tempi. Fino a non molto tempo fa, giovani mamme Rom comparivano davanti alle Chiese, o alla porta dei Supermercati, con i loro neonati in braccio, a chiedere la carità in questo modo, per toccare la sensibilità della gente che si commuoveva di fronte ai piccoli esposti al freddo o alla calura. Ora, almeno in Italia, è vietato chiedere l'elemosina servendosi dei piccoli. Mi ha fatto pensare invece questa considerazione: Mendicanti si nasce e talvolta lo si diventa per necessità ma, per fortuna, mendicanti si rimane per sempre.
Non è forse vero che tutti noi mendichiamo amore, considerazione, rispetto, e se non ci vengono dati, ci sentiamo poveri, profondamente privi della dignità umana? 
Ritroviamo i giovani mendicanti anche ne “I miserabili” di Victor Hugo.
I suoi personaggi appartengono agli strati più bassi della società francese dell'Ottocento, i cosiddetti "miserabili" - persone cadute in miseria, ex forzati, prostitute, monelli di strada, studenti in povertà - la cui condizione non era mutata né con la Rivoluzione né con Napoleone, né con Luigi XVIII.

Ho utilizzato il dipinto di Murillo perché mi è sempre colpito, tanto che ho cercato di copiarlo con le matite colorate, tanti anni fa. Eccolo qui.


Danila Oppio

BENVENUTO|

Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi