AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

domenica 30 maggio 2021

SPLENDORI E MISERIE NEL SAHEL di P. MAURO ARMANINO


Splendori e miserie nel Sahel

Alphonse era partito con suo fratello maggiore alla volta dell’Algeria. Dopo la morte del padre per malattia, il suo lavoro di moto-taxi a N’Zerekoré in Guinea, non assicurava il futuro della famiglia. A 19 anni Alphose vede morire suo fratello che cade dal ‘pick-up’ che trasportava 42 migranti nel deserto. L’attacco dei banditi/terroristi ha completato il viaggio di andata in Algeria. L‘hanno risparmiato solo perché aveva perso il fratello nel viaggio. Ad Algeri è accolto dall’Associazione ‘Incontro e Sviluppo’ e, durante il soggiorno nella loro casa, è informato che la salute della madre si sta rapidamente deteriorando. Al suo appello telefonico risponde a malapena e capisce solo che la madre lo invita a tornare da lei perché ha già perso il suo primo figlio. Ancora prima di regolarizzare i documenti di viaggio è informato della morte repentina della madre. Alphonse, aiutato dall’Associazione, parte col poco che gli rimane del breve transito in Algeria. Prima di raggiungere la città di Tamanrasset alcuni poliziotti algerini lo derubano, lui, l’unico nero del convoglio: il cellulare,un paio di pantaloni, le scarpe e la camicia. Gli rimane uno zainetto e il poco di soldi che l’Associazione gli ha riservato per il seguito del viaggio. Ben nascosti, sono sopravvissuti alla perquisizione. Alphonse torna alla sua città natale e spera che suo zio gli compri una moto per riprendere il mestiere di tassista che aveva abbandonato appena qualche mese fa. Alphonse non sarà mai più lo stesso.

Siamo buoni ultimi nel recente rapporto sullo sviluppo umano pubblicato dall’apposita agenzia delle Nazioni Unite. I soliti nomi per l’indice dello sviluppo molto elevato, a cominciare dalla Norvegia, l’Irlanda, la Svizzera e Hong Kong, città stato. Si passa poi ai Paesi ad elevato indice di sviluppo umano con l’Albania, Cuba socialista dopo la dinastia dei Castro, l’Iran coi guardiani della rivoluzione e il Messico degli zapatisti che tornano in barca da coloro che secoli fa li invasero. Con un indice medio di sviluppo il rapporto annovera il Marocco con l’enclave di Ceuta che ha fatto esperienza ‘dell’invasione migratoria’, inedita per ampiezza e soprattutto per le studiate modalità. Seguono l’Iraq e il Guatemala, Paesi che, ognuno a modo suo, ha potuto assaporare la realtà di democrazia esportabile degli Stati Uniti. Nella parte terminale del rapporto si trova la maggior parte dei Paesi africani e in particolare della zona sub-sahariana. Sono pudicamente definiti a sviluppo ‘debole’ e tra questi trovaiamo il Burundi, il Sud Sudan senza pace dalla sua creazione post coloniale, il Chad col figlio del maresciallo dittatore Idriss Deby, la Repubblica Centroafricana con la presenza russa in crescendo e ultimo per l’ennesima volta il Niger. Non saranno bastati i cavalcavia, i palazzi nascosti nei quartieri, gli hotel con le stelle sparse sulla riva del fiume Niger e la costruzione di un nuovo aeroporto internazionale per schiodare il Paese da questa posizione cui ci siamo, malgrado tutto, abituati. Ricordiamo che l’indice di sviluppo umano prende in considerazione tre fattori. Il primo in relazione con la vita, cioè la speranza di vita, e il servizio sanitario. Il secondo l’ambito delle conoscenze e dunque l’educazione e in ultimo le condizioni di vita e la loro decenza. Il tutto, tenendo conto delle disuguaglianze economiche, sociali e di genere. Il Niger si trova al numero 189, primo partendo dal basso.

Christophe e i suoi figli sapranno il seguito della loro avventura con l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni il prossimo 10 giugno. Dopo aver sfiorato il mondo dei rifugiati, lui e i suoi figli hanno confermato il desiderio del ritorno alla capitale della Relativa Democrazia del Congo, Kinshasa RDC. Christophe spera rifarsi una vita dopo gli anni di transito verso una terra che non ha mai raggiunto. Sua moglie, invece, questa terra l’ha raggiunta ed è stata sepolta a Ouagadougou, la capitale di Thomas Sankara del Burkina Faso. Hanno obbedito all’obbligo del tampone Covid e, solo per lui, della vaccinazione con AstraZeneca per lo stesso motivo. Sulla carta di vaccinazione alla voce professione hanno scritto ‘migrante’. Diceva che non gli hanno mai domandato qual era la sua professione e afferma che vorrebbe solo ricominciare a vivere come si conviene ad un papà che deve prendersi cura del futuro dei tre figli. 

Malgrado il coro dei politici e le ingiunzioni di chi possiede il potere di decidere, dappertutto nel Sahel c’è una giusta reticenza alla vaccinazione contro la Covid. Tutta una questione di priorità, di decenza e di rispetto. Solo nel Niger si sono registrati, nel 2020, oltre 5 mila morti di malaria, per la maggior parte bambini. Per evitare un'altra ecatombe simile, è stata annunciata una campagna di distribuzione personalizzata di milioni di zanzariere. Quando la prima epidemia da sconfiggere è quella della fame, parlare di vaccini anti-Covid è un’offesa. Se l’altra preoccupazione è l’insicurezza legata all’azione nefasta dei gruppi armati terroristi che hanno provocato migliaia di vittime, e creato centinaia di migliaia di sfollati o rifugiati, azzardarsi a parlare di Coronavirus è un crimine di lesa dignità. Chi dovrebbe essere vaccinato in priorità sarebbe allora l’Occidente, affermano i morti del Mediterraneo. Il vaccino più efficace, di difficile produzione, è quello della libertà nella mobilità delle persone. Come ricorda Michelle  Bachelet dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani in un recente rapporto che accusa la Libia e l’Europa…’Finché non ci saranno sufficienti canali di migrazioni sicure, accessibili e regolari, la gente continuerà a tentare di attraversare il Mediterraneo, nonostante i pericoli e le conseguenze’. 

Ciò significa che l’unico certificato che l’Africa dovrebbe pretendere da ogni cittadino, locale o straniero, sarebbe un ‘pass democratico’. Una carta che offrirebbe l’evidenza dell’impegno fattivo per il rispetto dei diritti umani e la dignità di ogni persona. Un ‘pass’ che darebbe garanzie di cittadinanza attiva per creare un mondo differente e cioè liberato da ogni tipo di esclusione. Quanti non fossero in grado di esibire detto certificato sarebbero messi in quarantena e invitati poi a mettersi a scuola di democrazia, in una scuola di sabbia che solo i bambini del Sahel sanno come costruire. 

           Mauro Armanino, Niamey, maggio 2021




domenica 23 maggio 2021

L'ULTIMA REGINA DEL SAHEL di P. MAURO ARMANINO

 



                                                            L’ultima Regina del Sahel


E’ stata sepolta oggi, in una tomba di sabbia nel cimitero cristiano di Niamey. Ha terminato il suo transitare tra la repubblica del Benin e la repubblica del Niger. Si trova adesso, presumibilmente, incoronata nell’unica repubblica non segnalata dalle carte geografiche o tra i Paesi membri delle Nazioni Unite. Una repubblica senza territorio, costituzione, parlamento, governo e presidente. Una repubblica che si inventa ogni giorno che passa a seconda di chi arriva. Lei, l’ultima Regina del Sahel, ha raggiunto la sua nuova e definitiva terra da poche ore e solo possiamo immaginare la festa in suo onore che durerà almeno una settimana.
Lei, cuoca e commerciante di professione, si troverà senz’altro a suo agio e, con tutta probabilità, inviterà i suoi nuovi concittadini a gustare ciò che abitualmente vendeva a Niamey. Malgrado la sua salute malferma continuava a fare la navetta tra il Benin e Niamey, proponendo ai suoi fedeli clienti, quanto di meglio poteva offrire la cucina del suo Paese d’origine, la Nigeria. La Regina aveva lasciato il suo paese quindici anni prima sperando di far fortuna nel vicino Benin. Passavano i giorni e, col tempo, scemava il suo desiderio di viaggiare in un Paese lontano. Non aveva figli e la sua propria famiglia era rimasta in Nigeria.
E’ morta all’improvviso, come spesso in questi casi, con accanto l’amico, di origine camerunese, cuoco che si definisce lui stesso ‘specializzato delle braci’. Cucina con perizia carne e soprattutto pesce di mare arrostito. L’ultima Regina e lui si erano conosciuti per caso nel Benin e non avevano interrotto i contatti. Mettevano in comune l’arte culinaria e un ristorante di fortuna che lui aveva saputo creare . Anche i clienti erano condivisi e ogni suo viaggio di ritorno a Niamey era una festa perché solo lui le dava il coraggio di continuare. In effetti la sua malattia la scoraggiava e più di una volta aveva pensato di smettere tutto.
Quel giorno non si sentiva bene e lui l’aveva accompagnata al servizio di accoglienza per i migranti, non attrezzato per la sua situazione ormai disperata. Le cure sono arrivate tardi e l’ultima Regina è morta all’Ospedale Nazionale di Niamey e poi custodita per alcuni giorni nell’obitorio. Prima di deporla nel feretro è stata rivestita di una tunica bianca, una sorta di sudario, che accarezzava l’esile corpo trasfigurato dalla malattia. Nella sala dov’è stata preparata per l’ultima volta, le inservienti hanno acceso un braciere di incenso. Il profumo e la leggera nube che si è prodotta sono stati il suo commiato. Queen è il suo nome di battesimo ed è così che l’ultima Regina del Sahel, con l’abito bianco di sposa, ha cominciato la festa.

    Mauro Armanino, Niamey, 21 maggio 2021

sabato 22 maggio 2021

LIRICHE MARIANE DI DIVERSE EPOCHE

Una mia carissima corrispondente imolese mi ha inviato 16 liriche mariane di diverse epoche. Ho pensato bene di decorarle con manufatti presenti nei caratteristici Cimiteri lombardi, permettendomi di inserirne anche una personale. A tutti buona continuazione del Mese di maggio! 

Padre Nicola Galeno OCD



















sabato 15 maggio 2021

UNA VITA SCAPPANDO. I FUGGITIVI DEL SAHEL E NOI di P. MAURO ARMANINO

 


Una vita scappando. I fuggitivi del Sahel e noi

Un gruppo di cristiani, scappando dal villaggio di Dolbel, sono arrivati ieri a Niamey. Il motivo della fuga è da trovarsi nel massacro di sei persone, di mattina presto, perpetrato nel villaggio di Fangio, non lontano dal loro. Come in altri villaggi della zona e altrove, il messaggio dei Gruppi Armati Terroristi è lo stesso: scappare per salvare se stessi e la la propria famiglia. Si uniscono alle altre migliaia di persone che, per vivere e sperare, devono fuggire dalle loro terre e lasciare la casa e i beni che costituiscono la loro povera ricchezza. Una vita scappando appare come una delle metafore del nostro e di altri tempi storici. Una drammatica parabola della nostra condizione umana. Ancora prima di far scappare gli altri c’è la fuga da se stessi e da ciò che costituisce la propria umana identità. Chi fugge da sé, prima o poi farà fuggire gli altri dalla propria terra.

La prima volta di questa fuga mi vide testimone a Monrovia, in Liberia. Fu la conclusione della guerra civile durata una quindicina d’anni. La gente, per migliaia, si ammassava sulle strade della capitale terrorizzata per l’annunciato arrivo dei ribelli del LURD (Liberiani Uniti per la Riconciliazione e la Democrazia). Sotto la pioggia battente di stagione scappava, portando sul capo o su mezzi di fortuna, il salvabile in quella circostanza: un materasso, qualche coperta, il necessario per cucinare, le zanzariere e gli immancabili bambini appesi alle spalle dei genitori. Una scena da apocalisse e dunque da rivelazione unica e decisiva del vero volto della guerra, di ogni guerra. Le guerre sono i morti, i feriti, gli abbandonati e soprattutto loro, quelli che fuggono per salvarsi e sperare un’altra parte. Dove andate, si chiedeva loro: non sappiamo, dicevano, lontano.

Il vicino Burkina Faso, patria di Thomas Sankara e del giornalista bruciato dai sicari del potere Norbert Zongo, è vittima di attacchi terroristi da cinque anni. Ciò sta causando, oltre le numerose vittime, migliaia di sfollati e dunque una crisi umanitaria senza proporzioni nella storia recente del Paese. Il loro numero è passato da 560 mila del dicembre 2019 a oltre un milione nel dicembre dell’anno scorso. Sui 300 comuni che conta il Paese, almeno 266 accolgono una parte degli sfollati. Il 54 per cento di questi ha meno di 15 anni. La scelta principale è stata finora la fuga dal loro luogo di nascita. Dopo aver vissuto il trauma della marcia forzata, della paura di attacchi, rappresaglie, regolamenti di conti e conflitti etnici ereditati o provocati, sarà difficile vivere una vita ‘normale’. D’altra parte la così chiamata ‘normalità’ è ciò dalla quale sono scaturiti i drammi di cui si parla.

La povertà endemica, il cambiamento climatico, la violenza armata, l’insicurezza alimentare e la malnutrizione continuano a mantenere il Sahel in un’estrema fragilità. Nelle regioni toccate dai conflitti armati, i civili sono confrontati a una crisi di protezione e hanno dovuto fuggire altrove. I servizi di base, la salute e l’educazione, sono seriamente bloccati. Circa 5 mila scuole sono chiuse e così pure oltre 130 dispensari con disagi evidenti per le donne in stato di gravidanza. Quest’anno, circa 29 milioni di Saheliani avranno bisogno di assistenza e di protezione, cinque in più dell’anno scorso. Nel Niger, infine, nell’ultimo rapporto dell’Alto Commissariato per i Rifugiati, vengono rilevati oltre 234 mila rifugiati, circa 300 mila sfollati interni e più di 3 mila richiedenti asilo. Ciò senza contare le migliaia di migranti di passaggio e gli ospiti delle case dell’OIM.

I fuggitivi del Sahel non sono numeri o accidenti di percorso ma uno dei volti e simboli del nostro tempo che scappa da sé senza sapere dove andare. Prima di trovarsi, forse, c’è da andare lontano.

    Mauro Armanino, Niamey, 16 maggio 2021

mercoledì 12 maggio 2021

VITA DI S. TERESA DI G.B. in poesia ad opera di ENZO REALI

Ciclo sulla Vita di S. Teresa di G. B. in poesia ad opera di Enzo Reali

(“Vorrei essere missionario” degli anni 1932-33-34)

IL 1° NUMERO DEL PERIODICO NEL SETTEMBRE DEL 1932


N° DI OTTOBRE 1932


N° DI DICEMBRE 1932

N° DI GENNAIO 1933

N° DI FEBBRAIO 1933

N° DI MARZO 1933   

   “Mi ricordo di un sogno che mi capitò verso quell'età e che si incise profondamente nella mia immaginazione. Una notte sognai che uscivo per andare a spasso, in giardino, sola.  Giunta agli scalini che bisognava salire per arrivarvi, mi fermai spaventata. 

   Davanti a me, vicino alla pergola c'era un barile di calce, e su questo barile due orribili diavolini ballavano con agilità sorprendente nonostante i ferri da stiro che avevano ai piedi; a un tratto lanciarono verso di me i loro sguardi fiammeggianti, poi, nello stesso momento, parvero assai più spaventati di me, si precipitarono giù dal barile, e andarono a nascondersi nella lavanderia ch'era di faccia. 

   Vedendoli così poco coraggiosi volli vedere cos'andavano a fare, e mi avvicinai alla finestra. I diavolini erano  lì, correvano sulle tavole e non sapevano come fare per fuggire il mio sguardo; a momenti si avvicinavano alla finestra, guardavano inquieti se ero ancor lì, e, vedendomi, ricominciavano a correre come disperati. 

   Certo, questo sogno non ha nulla di straordinario, eppure io credo che il Signore mi abbia permesso di ricordarmene per provarmi che un'anima in stato di grazia non ha nulla da temere dai demoni i quali sono vigliacchi, capaci di fuggire davanti allo sguardo di una bambina”.

(Manoscritti autobiografici N° 38)

 

N° DI APRILE 1933

N° DI MAGGIO 1933

 

N° DI GIUGNO 1933

N° DI LUGLIO 1933

N° DI AGOSTO 1933


……………………

   “Il rito commovente della Estrema Unzione mi si impresse nell'anima, vedo ancora il posto mio accanto a Celina, eravamo tutte cinque per ordine d'età e c'era il caro povero Babbo: singhiozzava.

    Il giorno stesso, o l'indomani, del transito di Mamma egli mi prese tra le braccia e mi disse: "Vieni a dare un ultimo bacio alla tua povera Mamma"; senza dir nulla accostai le labbra alla fronte di mia Madre tanto amata. Non ricordo d'aver pianto molto, non parlavo con nessuno dei sentimenti profondi che provavo. Guardavo e ascoltavo... nessuno aveva tempo per occuparsi di me, perciò vedevo bene le cose che avrebbero voluto nascondermi; una volta mi trovai di fronte al coperchio della bara; mi fermai lungamente ad osservarlo, non ne avevo mai visti, e tuttavia capivo... Ero tanto piccina che, nonostante la statura non alta di Mamma, ero costretta ad alzare la testa per vedere la parte superiore, e mi pareva tanto grande... tanto triste...”.

(Manoscritti autobiografici 42-43)


N° DI NOVEMBRE 1933

“Spesso durante quelle lunghe passeggiate incontravamo dei poveri, 

ed era sempre Teresa piccina a ricevere l'incarico 

di portare l'elemosina, e come n'era felice!”.

(Manoscritti autobiografici N° 40)

………………………………………………………………


(Legnano 11-5-2021), Padre Nicola Galeno


lunedì 10 maggio 2021

SCHIAVI, SERVI E LIBERI. APPUNTI DAL SAHEL di P. MAURO ARMANINO


Schiavi, servi e liberi. Appunti dal Sahel
C’è stata la tratta atlantica ma prima ancora quella araba verso il Nord Africa e la costa orientale. Gli schiavi sono coloro che, spossessati della loro dignità umana, sono ridotti a cose o strumenti senza volontà propria. Le guerre, le razzie, le violenze generazionali hanno reso la schiavitù parte della configurazione delle società. A ogni epoca i propri schiavi. La nostra non è da meno di quelle che ci hanno preceduto, e di cui abbiamo raccolto e sovente perfezionato l’eredità. La schiavitù dei corpi è particolarmente violenta perché s’iscrive nelle fibre che ci costituiscono e si diffonde allo spirito, alle relazioni e a tutto ciò che costituisce la complessità della vita. Schiavi nelle menti e nelle parole che della schiavitù diventano espressione grammaticale. Schiavi della violenza armata che traduce la violenza ideologica, la peggiore delle violenze, perché generatrice del più grande tradimento, quello della realtà. La perversione della realtà e dei volti umani che la costituiscono genera la riduzione dell’altro a oggetto, simbolo o rappresentazione del nemico da abbattere o eliminare. Schiavi della paura di pensare, parlare, scegliere, manifestare o semplicemente vivere da umani. Schiavi del potere, del successo, della Grande Divisione tra l’apparire e l’essere, tra la menzogna e la verità, tra il pensiero e la parola. Schiavi bambini nelle miniere che permettono all’economia del numerico di funzionare e all’energia ‘verde’ di prosperare. Schiave sessuali sulle strade delle città europee che arrivano dal continente africano e da altre parti del mondo. Promesse, illusioni, pressioni famigliari, competizioni economiche, ignoranza, sete di guadagno facile, reti criminali e complicità politiche. Questo e altro riproducono le moderne schiavitù che attualizzano quelle antiche. Le schiavitù sul lavoro, vero e proprio terreno di sfruttamento che evidenzia la sudditanza di classe. Le schiavitù etniche, culturali, famigliari e identitarie che sono funzionali al mantenimento delle relazioni di potere.
Le servitù, invece, hanno qualcosa di particolare. Ad appena sedici anni Etienne de la Boetie, scrive uno dei testi più radicali sui meccanismi della dominazione politica. Secondo lui, se il popolo è oppresso, la colpa non è dei tiranni ma del popolo stesso. Questo meccanismo porta un nome: la servitù volontaria. Si abdica alla propria e innata sovranità per paura, convenienza, interesse o forse perché, nella propria vita, non si è conosciuto altro che la servitù, trasformatasi poi in ‘abitudine’ (habitus). Si vive da servi, si pensa da servi, si agisce da servi, si sogna da servi e ci si accontenta di quanto la servitù possa offrire di meglio. Il pensiero addomesticato, il politicamente corretto, la strategia della bandiera che cambia direzione col vento, nasce da un pensiero e una vita gregaria. Servi del sistema, del potere, della moda di contraffare la storia quotidiana, l’attitudine a ‘strisciare’ per evitare di prendere posizione, la codardia di mettersi dal lato dei vincitori, l’adesione a precetti religiosi per addomesticare l’insurrezione disarmata. Questo e altro addestrano il soggetto alla servitù volontaria. L’obbedienza cieca al capo ne diviene il segno rivelatore.
La libertà comincia con un no. Il rifiuto ha sempre costituito un gesto essenziale. I santi, gli eremiti ma anche gli intellettuali, il piccolo numero di persone che hanno fatto la Storia, sono coloro che hanno detto no, mai i cortigiani o i valletti dei cardinali. Per essere efficace, il rifiuto dev’essere grande e non piccolo, totale e non su questo o un altro punto. Questo scriveva Pier paolo Pasolini sulla ‘Stampa’ nel 1975, un millennio differente da quello nel quale ci troviamo oggi. Appena dopo il rifiuto arriva però il sì nuziale alla vita intesa come straordinaria avventura dell’impossibile. Il sì alle scelte di parte degli oppressi e al camminare accanto e dentro ai poveri, per fare strada assieme. Il sì all’eresia che solo dalla debolezza e dalle periferie scaturirà l’unica speranza possibile per l’umano. Un sì migrante che attraversa frontiere e crea inediti percorsi di umana convivialità. Un sì alla mani nude, ai volti scoperti, alla parole vere che spuntano come fiori nel mare, alla follia delle sconfitte che trasformano il pianto in risurrezione, al silenzio che accarezza il vento, amaro, della libertà.

Mauro Armanino, Niamey, 9 maggio 2021

MAGGIO MESE DI MARIA E DELLE ROSE

LE ROSE NEL GIARDINO DELLA SCUOLA D'INFANZIA DEI CARMELITANI DI LEGNANO, GESTITA DALLA SUORE SACRAMENTINE (foto scattate da Padre Nicola Galeno OCD)
















lunedì 3 maggio 2021

UNA MEDAGLIA DI SABBIA PER IL PRIMO MAGGIO DI NIAMEY di PADRE MAURO ARMANINO


Una medaglia di sabbia

 per il primo maggio di Niamey

Nella capitale Niamey il primo di maggio ci sono stati appena un paio di cortei. Le Centrali Sindacali hanno ridotto le festività rituali a causa del Ramadan e del caldo insopportabile di questi giorni. In margine del corteo sono state presentate al ministro dell’impiego e della protezione sociale, Dr. Ibrahim Boukary, la lunga lista delle rivendicazioni sindacali. Figuravano: il rispetto della convenzione dell’Organizzazione Internazionale del lavoro OIT per i lavoratori migranti, i lavoratori domestici, le condizioni di lavoro negli hotel e le violazioni sessiste sui luoghi di lavoro…In antecedenza il ministro aveva provveduto alla decorazione dei lavoratori che, nel luogo di lavoro, hanno dato prova di abnegazione e dedizione. Dodici di loro, dipendenti di società, dell’amministrazione pubblica e privata, sono stati decorati sia con la medaglia di bronzo, d’argento, d’oro e soprattutto la prestigiosa Grande Medaglia d’Oro.

Peccato. Sindacati, ministro e lavoratori hanno perso un’occasione unica per promuovre e lanciare, in forma perenne, l’istituzione della medaglia…di Sabbia, che in fondo è la più nobile e meritata in questo ambito. L’Africa vive di lavoro informale soprattutto perché, qui da noi, è la vita ad essere informale, precaria, provvisoria, quotidianamente sospesa ad un filo (di sabbia). I lavoratori nel ‘formale’ e dunque con regolare contratto di lavoro, sono, nel panorama attuale, un’infima minoranza numerica. Ministeri, ONG, educazione, salute e qualche impresa di costruzioni, oltre alle note industrie per l’estrazione dell’uranio e il petrolio e poco altro, costituiscono il contesto delle rivendicazioni a cui si faceva riferimento sopra. Gli altri no. Sono la stragrande maggioranza e permettono la sopravvivenza di centinaia di migliaia di persone. L’informale non contempla né contratto né salario e si caratterizza per la marginalità.

Lavoro di marginali che vivono passando le frontiere tra un lavoro e l’altro e sanno cogliere l’occasione quando e se si presenta. Nelle mine d’oro che diventano la salvezza economica e la perdita in salute (e talvolta della vita) per migliaia di giovani e nella partecipazione alla guerra asimmetrica o per procura che si combatte, ormai da anni nel Paese e nel Sahel. È uno sbocco lavorativo per alcune migliaia di giovani resi invisibili dall’assenza di politiche serie di formazione e d’impiego, specie in zona rurale. La medaglia di sabbia va però anzitutto a loro, gli asini, i dromedari e i buoi che, noncuranti del traffico della capitale, dei semafori a secondi contati, dei taxi che imbarcano in ogni luogo passeggeri e bagagli, sono i veri signori e padroni del traffico. Esercitano un lavoro informale anche se non autonomo. A essi dovremmo aggiungere i capri che, avvicinandosi la conclusione del Ramadan, vedono i loro giorni svanire come un soffio al vento.

Ci sono i riparatori di pentole, pantaloni, orologi, antenne paraboliche, radio, cellulari, biciclette, auto, computer, motociclette, frigoriferi, TV, elettrodomestici, fionde, nidi di uccelli, gabbie per il pollame, impianti elettrici, perdite d’acqua nei condotti, gruppi elettrogeni soprattutto nella stagione calda, palloni e partiti politici. A ognuno di questi verrà offerta, per diritto costituzionale, una medaglia di sabbia ad imperitura memoria. Le donne non sono da meno e sono specialiste nel nutrire la famiglia, la numerosa prole, le vicine di casa e le occasionali e immancabili visite, dal nulla. Inventano, fabbricano, vendono ghiaccio, acqua fresca, dolcetti lungo la strada, condimenti, piatti tipici, bevande alcoliche, vestiti all’ultimo grido, parrucche e trecce finte che arrivano dall’India o dalla Cina. Sono insuperabili nel trasformare il poco in sufficiente perchè sanno che l’economia reale è quella del quotidiano, fatta di nulla e dunque per tutti.

La tredicesima medaglia, quella di sabbia, sarà destinata anche e soprattutto ai venditori ambulanti. A colui che vende un cigno e una piscina gonfiabili per la stagione secca e vende ombrelli per la corta stagione delle pioggie. Passerà più tardi vendendo guinzagli per cani o gabbie per gatti o canarini che nessuno ha mai visto. Se arriverete al crocevia con l’auto,  lo vedrete pulire i vetri e domandare dopo qualcosa per la cena. Lo sorprenderete vendere fazzoletti di carta e maschere per la Covid che la polvere del Sahel ha portato lontano. Lo noterete più tardi vendere spiedini lungo la strada con la maglietta della Juve o del Real Madrid.

Mauro Armanino, Niamey, 2 maggio 2021

BENVENUTO|

Il Paradiso non può attendere: dobbiamo già cercare il nostro Cielo qui sulla terra! Questo blog tratterà di argomenti spirituali e testimonianze, con uno sguardo rivolto al Carmelo ed ai suoi Santi