1. Cristo ha avuto consapevolezza netta di essere Dio fatto carne fin dal primo istante del suo concepimento.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, dopo aver parlato della conoscenza acquisita di Cristo (n. 472), parla anche di un altro tipo di conoscenza, “della intima e immediata che il Figlio di Dio fatto uomo ha del Padre suo” (n. 473).
Prosegue dicendo che “il Figlio di Dio anche nella sua conoscenza umana mostrava la penetrazione divina che egli aveva dei pensieri segreti del cuore degli uomini”
Da notare l’espressione “conoscenza intima e immediata”, molto simile a quella usata da Benedetto XII nella Bolla Benedictus Deus dove si parla della conoscenza dei santi in cielo e si dice che essi “vedono l’essenza divina con una visione intuitiva e, più ancora, faccia a faccia, senza che ci sia, in ragione di oggetto visto, la mediazione di nessuna creatura, rivelandosi invece a loro l’essenza divina in modo immediato, scoperto, chiaro e palese” (DS 1000).
2. Giovanni Paolo II ha accennato a questa consapevolezza di Cristo in una pubblica udienza e ha detto: “In realtà, se Gesù prova il sentimento di essere abbandonato dal Padre, egli però sa di non esserlo affatto. Egli stesso ha detto ‘Io e il Padre siamo una cosa sola’ (Gv 10,30), e parlando della Passione futura: ‘Io non sono solo, perché il Padre è con me’ (Gv 16,32). Sulla cima del suo spirito Gesù ha netta la visione di Dio e la certezza della unione col Padre. Ma nelle zone di confine con la sensibilità e quindi più soggette alle impressioni, emozioni e ripercussioni delle esperienze dolorose interne ed esterne, l’anima umana di Gesù è ridotta ad un deserto, ed Egli non sente più la ‘presenza’ del Padre, ma fa la più tragica esperienza della più completa desolazione” (30.XI.1988).
3. Anche nella lettera Novo millennio ineunte (6.1.2001) ne parla in questi termini: "La tradizione teologica non ha evitato di chiedersi come potesse, Gesù, vivere insieme l’unione profonda col Padre, di sua natura fonte di gioia e di beatitudine, e l’agonia fino al grido dell’abbandono. La compresenza di queste due dimensioni apparentemente inconciliabili è in realtà radicata nella profondità insondabile dell’unione ipostatica.
Di fronte a questo mistero, accanto all’indagine teologica, un aiuto rilevante può venirci da quel grande patrimonio che è la «teologia vissuta» dei santi. Essi ci offrono indicazioni preziose che consentono di accogliere più facilmente l’intuizione della fede, e ciò in forza delle particolari luci che alcuni di essi hanno ricevuto dallo Spirito Santo, o persino attraverso l’esperienza che essi stessi hanno fatto di quegli stati terribili di prova che la tradizione mistica descrive come «notte oscura».
Non rare volte i santi hanno vissuto qualcosa di simile all’esperienza di Gesù sulla croce nel paradossale intreccio di beatitudine e di dolore”.
4. Dopo queste affermazioni Giovanni Paolo II cita l’esperienza di Santa Caterina da Siena.
Nel Dialogo della Divina Provvidenza, Dio Padre le mostra come nelle anime sante possa essere presente la gioia insieme alla sofferenza: «E l’anima se ne sta beata e dolente: dolente per i peccati del prossimo, beata per l’unione e per l’affetto della carità che ha ricevuto in se stessa. Costoro imitano l’immacolato Agnello, l’Unigenito Figlio mio, il quale stando sulla croce era beato e dolente» (n.78).
Allo stesso modo Teresa di Lisieux vive la sua agonia in comunione con quella di Gesù, verificando in se stessa proprio il paradosso di Gesù beato e angosciato: «Nostro Signore nell’orto degli Ulivi godeva di tutte le gioie della Trinità, eppure la sua agonia non era meno crudele. È un mistero, ma le assicuro che, da ciò che provo io stessa, ne capisco qualcosa» (Ultimi colloqui, quaderno giallo 6 luglio 1897)”.
5. Il Papa prosegue dicendo: “È una testimonianza illuminante! Del resto, la stessa narrazione degli Evangelisti dà fondamento a questa percezione ecclesiale della coscienza di Cristo, quando ricorda che, pur nel suo abisso di dolore, egli muore implorando il perdono per i suoi carnefici (cfr. Lc 23,34) ed esprimendo al Padre il suo estremo abbandono filiale: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46)" (Novo millennio ineunte 26-27).
6. Pio XII nell’enciclica Mistici Corporis parla della conoscenza di Cristo fin dal primo istante della sua esistenza: “Questa amantissima conoscenza, con la quale il Divin Redentore ci ha seguiti fin dal primo istante della sua incarnazione, supera ogni capacità della mente umana, giacché per quella visione beatifica di cui godeva fin dal momento in cui fu ricevuto nel seno della Madre divina, Egli ha costantemente e perfettamente presenti tutte le membra del Corpo Mistico e le abbraccia col suo salvifico amore!(...) Nel presepio, nella croce, nella gloria eterna del Padre, Cristo ha presenti a sé tutte le membra della Chiesa in modo molto più chiaro e più amorevole di quello con cui una madre guarda il suo figlio e se lo stringe al seno, e con cui un uomo conosce se stesso” (Mistici Corporis, 76).
7. Il Magistero dunque ha parlato e bisognerebbe dire insieme con Sant’Agostino: “Roma locuta, causa finita” (Il papa ha parlato, la discussione è terminata”.
È vero che Cristo si è fatto simile a noi in tutto fuori che nel peccato, ma per quanto riguarda la natura umana e le sue infermità.
Ma rimane il fatto che Cristo non è semplicemente uomo come noi o anche come Adamo prima del peccato originale.
La sua persona non è umana ma divina.
Cristo è Dio fatto carne e questo fa sì che il suo “Io” non sia umano, ma divino, sempre in relazione col Padre suo. (da una ricerca di Padre Angelo Bellon, domenicano).
http://www.amicidomenicani.it/ Qui accanto, il link del sito dove potrete trovare il testo sopra riportato ed altri di grande interesse spirituale.
La tendenza odierna rende l’immagine di Cristo eccessivamente umana, e succede così che alcuni scrittori blasfemi, addebitino a Gesù relazioni affettive non proprio di stampo amichevole.
Cristo Dio è Amore, ma di un Amore che è altamente spirituale. Non dimentichiamolo mai!
Gesù ha scelto la morte, per donarci la Risurrezione nella Gloria: la Sua come primizia, che corrisponde alla promessa della nostra stessa risurrezione. Se questo non è vero Amore, che altro è? Forse si può abbassare un simile atto di Amore, ad un umano e materiale movimento dei sensi?
La nostra Pasqua è la consapevolezza di una perfezione che è divina, non umana, così come la nostra anima, essendo libera dalla corruttibilità della carne, è di natura divina essa stessa provenendo dalla Ruah, ovvero dal soffio dello Spirito.
La nostra Pasqua, dunque, va pensata ogni giorno, camminando verso la Perfezione del Cristo, affinando il nostro spirito per aprirlo all’eternità.
Grazie cara, specialmente per tutto questo bel magistero che hai citato! Decisamente, Sant'Agostino ha ragione. Se si applicasse oggi il suo motto, avremmo più sostanza e meno diversivi da ogni dove!
RispondiEliminaUn abbraccio
Il magistero che ho citato, proviene da un'informazione che mi hai donato, grazie alla sapienza teologica di Padre Angelo! Sarò ripetitiva, ma i vasi comunicanti per me hanno una valenza incredibile, ed una capacità immensa! Magari fossero molti a far girare certe informazioni,in modo da raggiungere la maggior parte delle persone!!! Grazie cara, a te, e al Signore che ci ama!!!
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